Capitolo 38
«Quanto sono attendibili le vostre informazioni?», chiese Drakera con le braccia incrociate al petto, appoggiato in maniera indolente contro la trave di sostegno dell'ingresso.
«Mio figlio, il secondo, fa lo stalliere su all'accademia e ha buone orecchie. Accudiva i cavalli mentre il capo parlava con un paio di cacciatori lì fuori. Quelli ci vanno quando hanno accumulato un po'di pelli di cui vogliono liberarsi: le scambiano con cavalli più freschi o con nuove armi», spiegò asciutta la donna, tra un colpo di martello e l'altro.
Shira Anouk era la sorella minore del capo gilda Anouk ed era abile quasi quanto lui. Per questo motivo vent'anni prima aveva deciso che non voleva rimanere nell'ombra mentre lui dirigeva la gilda degli armaioli di Bios e l'unico modo per riuscirci era stato trasferirsi in una terra in cui le donne avevano potere. Il fatto che forgiasse armi nella fucina del castello toglieva ogni residuo dubbio sulle sue capacità.
«Dannazione!», si lasciò sfuggire senza che l'altra facesse una piega.
Aveva a che fare ogni giorno con decine di soldati provenienti dal Borgo e dal castello stesso che imprecavano in maniera molto più colorita e cercavano di metterle fretta quando le commissionavano qualcosa. Lui l'aveva vista metterli in riga con un solo sguardo passato dal grosso maglio che maneggiava alla loro testa, una minaccia sottile, eppure efficace: quelli tacevano e attendevano il tempo che le era necessario all'incombenza.
No, Shira non era una donna comune, una con cui scherzare e prendersi confidenze inopportune, nonostante la non elevata estrazione sociale e, quello che gli aveva detto doveva corrispondere a verità.
«I problemi vengono sempre a braccetto dice un detto della mia città», continuò quella come leggendogli nel pensiero.
Cosa alquanto facile visto che tutti sapevano che il generale era ormai finito: aveva raggiunto i settant'anni, un'età davvero invidiabile sia per il lavoro che svolgeva che per il tempo in cui vivevano. Se quasi otto anni prima era stato in grado di guidare le truppe contro i traditori, adesso non si alzava neanche più dal letto. La sua morte era una notizia che attendevano con la stessa certezza con cui sorge il sole ogni mattina.
Ananta non aveva ancora nominato un successore e questo era un fatto ancor più grave perché non ci sarebbe stato nessun condottiero in grado di guidare l'esercito in caso di bisogno.
«Cos'altro mi puoi dire su quelle bestie?», Drakera voleva essere preparato benché era impensabile che fosse chiamato a occuparsi di quella faccenda in prima persona.
«Cosa volete che vi dica, comandante? I Tanari sono animali feroci e i cacciatori per quanto abili sono pochi e da soli non possono occuparsi della questione», Shira lasciò il martello e girandosi a sinistra immerse la lama incandescente nell'acqua trasparente. Lavorava a una lama di Sil e per farlo al meglio occorreva che ogni passaggio fosse fatto con cautela.
Yachin chiuse gli occhi, cercando di fare i conti. Sapeva di non potersi permettere di inviare nessuno là fuori per aiutare i cacciatori,eppure qualcosa bisognava fare! Si sentiva le mani legate e un senso di crescente frustrazione lo attanagliava.
I Tanari erano un antico nemico dell'uomo: bestie quadrupedi delle dimensioni di grossi cani, ma molto più feroci e pericolosi. Li avevano spinti nella zona a nord tra i due regni e ne avevano trucidati a centinaia nei secoli, ma questi parevano essersi fatti furbi: i loro attacchi erano rapidi e indirizzati verso piccoli gruppi di viaggiatori incauti. Si era arrivati a pensare che fossero scomparsi del tutto, eppure i recenti ritrovamenti avevano provato il contrario: a quanto pareva i cacciatori avevano continuato quella lotta silenziosa senza informare altri.
Era passato di lì per caso e ora aveva quasi dimenticato qual era la sua meta.
Il suono delle trombe arrivò nitido alle loro orecchie: prima ancora che il messaggio raggiungesse il cervello, il corpo di Drakera era già in moto.
Quel segnale significava che qualcuno aveva violato il perimetro del castello e lui doveva saperne di più.
Uno dei suoi uomini giunse di corsa mentre attraversava il primo giardino e senza riprendere fiato disse: «la principessa, nelle sue stanze».
Potevano sembrare informazioni scarne, ma era tutto quello che gli occorreva sapere in quel momento.
«Chiudete i cancelli, che nessuno li attraversi né in un senso né nell'altro!», fu il suo solo ordine mentre macinava le scale due alla volta con leggeri saltelli.
I suoi pensieri turbinavano incessantemente e su tutto due cose gli premevano: sapere quanto grave fosse la ragazzina e vedere come stesse Ananta.
La trovò nel salotto adiacente alla camera da letto della principessa che ascoltava assieme a un accigliato Zohar il figlio di quest'ultimo.
Il giovane era agitato e faticava a sostenere lo sguardo dei due adulti che attendevano le sue parole quasi strappandogliele dalla bocca.
«Eravamo nel boschetto oltre i giardini, è successo tutto all'improvviso, non ho visto chi è stato», su quell'ultima parte si era girato, come se sapesse che quel chiarimento occorreva più a lui che agli altri.
«Ricominciate da capo», ordinò Drakera e aggiunse poi: «prendetevi un attimo per riflettere, magari ci sono dei particolari che non avete notato».
Il suo arrivo aveva subito portato dei cambiamenti nella stanza: Ananta si era spostata e quasi senza pensarci gli si era avvicinata, mentre Talel aveva stretto una mano sulla spalla del figlio in un muto incoraggiamento.
«Passeggiavamo,parlando...», qui si interruppe un attimo a disagio, scuotendo la testa come a cancellare quello che si era detto con la principessa,un dettaglio che dopotutto era irrisorio per loro, «la principessa era davanti a me e si è girata a guardarmi, facendo un passo indietro: è inciampata in una radice e la freccia l'ha raggiunta a un braccio. Ho preferito occuparmi di lei, piuttosto che cercare di inseguire l'assalitore, non potevo lasciarla lì da sola», il ragazzo faceva i conti con un senso di colpa ingiustificato perché se avesse rincorso l'uomo avrebbe potuto perdere la vita in uno scontro ravvicinato e anche perché non poteva prevedere l'attentato, nessuno poteva.
«Avete preso la decisione giusta», lo rincuorò lui.
Il medico uscì in quell'istante dall'altra stanza e si affacciò per vedere chi vi fosse: lo sguardo vagò fino alla figura della sovrana e le si inchinò davanti prima di parlare.
Ananta tremava appena, reggendo male la tensione: Tiphereth era tutto ciò che le restava della sua vita con Nun e anche l'unica figlia, l'amava molto anche se non riusciva sempre a esternare quel sentimento.
«Ho estratto la freccia che, per nostra fortuna, non ha preso alcuna zona vitale: l'osso l'ha deviata e benché le ci vorranno un paio di mesi perché torni a posto non è grave come può sembrare. Le resterà la cicatrice, ma il fatto che sia uscita da una parte all'altra ha semplificato il mio lavoro», e mostrò un panno di lino bianco contenente qualcosa: un dardo di semplice legno, quasi rozzo, a un'estremità due penne una bianca, l'altra rossa;dall'altra parte aveva una punta fatta di Sil.
Tutto in quello strumento pareva fatto con uno scopo preciso, aldilà dell'immediata consapevolezza che mirava a uccidere: i colori e l'uso di un materiale tanto insolito proveniente da Glasil parlavano di un messaggio rivolto alla regina.
Drakera prese l'involto dal medico che dopo aver ribadito l'attuale incoscienza della principessa, grazie a una potente pozione sedativa e l'assoluto riposo che doveva osservare, prese congedo da tutti loro.
Come era ovvio supporre poco dopo il comandante del Borgo piombò nella stanza con una faccia stravolta.
«Come diavolo è potuto succedere?», chiese a voce troppo alta.
I suoi occhi vagavano tra i presenti per poi posarsi su di lui. Senza aspettare risposta proseguì: «il castello è sotto la vostra protezione! Spero che la vostra coscienza vi torturi abbastanza duramente. Perdere la principessa, in modo così sciocco, poi!».
Quelle parole gli fecero aggrottare le sopracciglia bionde, mentre Ananta prorompeva in un suono scioccato.
«Jethro, abbassa la voce», fu il primo commento del fratello, con un tono aspro che fece voltare l'altro arrabbiato.
«Non starete certo per prendere le sue difese?», domandò e lo sguardo fu molto eloquente.
Era ovvio che in tanti sapessero della sua relazione con Ananta, di certo a un uomo come quello non sarebbe sfuggito, ma insinuare che tale legame gli desse dei vantaggi era piuttosto ignobile.
«Ti sto dicendo che nell'altra stanza vi è una ragazzina di tredici anni ferita che ha bisogno di calma».
Jethro barcollò un istante e i suoi occhi si fissarono sulla porta di comunicazione con l'altra camera come se potesse vederci attraverso. Si riprese in fretta a quella notizia, alquanto diversa da quella che doveva essere giunta a lui nel Borgo: credeva di trovare un cadavere e, invece, scopriva solo una nipote ferita.
Drakera non poteva più rimanere ad aspettare, dovevano trovare chi si era introdotto nel castello e interrogarlo.
«Avete fatto bloccare il Borgo?», la domanda attirò di nuovo l'attenzione dell'altro.
«Questo tipo di procedura scatta allo squillo delle trombe», il tono di sufficienza volto a colpirlo, fu sprecato.
«Ephram avrà impiegato diversi minuti per avvertire qualcuno e in tale lasso di tempo il nostro uomo avrà superato indenne le mura del palazzo»,ragionò ad alta voce.
«Ma non quelle della città», finì per lui l'altro, muovendosi nel mentre, «sarà mio», aggiunse poi.
Drakeralo raggiunse in un paio di falcate e tenne il passo.
«Vengo anche io, i miei uomini sono più che sufficienti ad assicurarsi che non ci siano altre minacce qui».
Il comandante scosse le spalle disinteressato alla sua iniziativa, ma allungò il passo sfidandolo a stargli dietro.
Presi due cavalli, li usarono per percorrere la strada lastricata tra i cancelli, che si chiusero alle loro spalle, e le prime abitazioni del Borgo.
I comuni cittadini avevano già notato il trambusto che gli uomini di Jethro stavano creando per cercare quell'uomo e si tenevano alla larga.
Quando, però, i due comandanti piombarono tra le bancarelle che occupavano gran parte delle vie principali sui loro grossi cavalli ci fu molto scompiglio: era giorno di mercato e ogni negoziante esponeva le sue merci migliori nell'intento di attirare dei clienti.
Drakera cercava di star dietro all'altro che aveva una direzione precisa in mente.
Provò a visualizzare la mappa della città meno piccola di quanto molti credessero: non vi erano vicoli per accattoni dove nascondersi e su entrambi i lati erano dislocati i due quartieri per gli alloggi dei soldati, gli rimanevano davvero poche alternative, a meno che non avesse dei complici disposti a nasconderlo.
Si imbatterono in diverse pattuglie formate da quattro soldati e Jethro non si fermava neanche a parlare con loro: i cenni negativi che questi gli rivolgevano erano sufficienti a fargli capire che non era ancora emerso niente.
Fu quasi nel centro dell'agglomerato che trovarono due guardie inginocchiate vicino a quello che sembrava un mucchio di stracci. Con un movimento aggraziato Talel si lasciò scivolare dalla sella per osservare più da vicino quello che vedeva, mostrandolo subito dopo a lui: erano degli abiti di fattura rozza, quelli che di solito indossavano i garzoni.
«Bastardo!», si lasciò sfuggire, e la frustrazione era evidente nel suo tono.
«Sappiamo come è entrato a palazzo: un travestimento, ciò non ci impedisce di continuare a cercarlo. Non conoscevamo prima il suo aspetto e questo particolare cambia ben poco nella faccenda», Drakera era calmo e si sorprendeva alquanto, invece, di quanto fosse alterato l'altro, «dividiamoci per battere a tappeto la città. Verrà fuori, in un modo o nell'altro».
«Signore!», chiamò un soldato mentre veniva di corsa da una delle strade a destra, «lo abbiamo visto fuggire da quel lato! Si tratta di un giovane con meno di vent'anni. Eravamo così sorpresi che non abbiamo capito fosse lui prima che ci piombasse addosso travolgendoci».
«State tutti bene?», si informò il loro superiore, ma si vedeva che stava valutando il da farsi, «voi Yachin andate da qui, noi cercheremo di tagliargli la via di fuga dall'altro lato».
Drakera fece un cenno affermativo e subito spronò il cavallo. Per fortuna le strade della capitale erano larghe abbastanza affinché vi potesse passare senza problemi e in breve raggiunse altri tre uomini: due di loro avevano delle escoriazioni superficiali, ma l'altro si teneva un polso e la smorfia di dolore sui suoi tratti faceva presupporre che se lo fosse slogato o addirittura rotto.
«Dove?», chiese, visto che vi erano tre diverse diramazioni appena più avanti.
Uno si voltò e indicò la via più a destra.
Il comandante era davvero confuso: secondo i suoi calcoli l'attentatore si stava dirigendo verso le porte esterne della città, eppure era impensabile che potesse superarle.
Su entrambi i lati del percorso vi erano solo case eleganti e qualche servo che svolgeva delle commissioni, cercare qualcuno che corresse,sarebbe stato facile. Eppure quel ragazzo si era rivelato più intelligente e sveglio, forse abbastanza da cercare, nonostante tutto di mimetizzarsi tra coloro che lì abitavano.
Il percorso sembrava, comunque, non avere altre diramazioni, e a ogni svolta non aveva neanche bisogno di far rallentare la sua cavalcatura. Drakera sfilò l'arco che portava allacciato dietro la schiena, lodandosi per aver avuto l'accortezza di prenderne uno prima di uscire dal castello.
All'ennesima svolta vide in fondo alla strada due uomini che portavano una grossa cesta pesante, dividendo il carico tra di loro. Appena dietro, un altro uomo alto e bruno camminava al loro stesso passo. Eppure il rumore degli zoccoli del suo cavallo fece voltare quell'ultimo e nel suo sguardo riconobbe una scintilla di paura.
Subito cambiò andatura e vistosi impossibilitato a eludere i due servi in altro modo spiccò un salto per oltrepassare la cesta tra loro. Questi sorpresi lasciarono cadere il carico: radici nere, ideali peri piatti freddi delle case dei nobili in quella stagione.
Il comandante incoccò una freccia, respirò a fondo e poi smise di farlo per non incidere sulla traiettoria del dardo. Le cosce strette intorno ai fianchi del cavallo gli permettevano di restare stabile in sella.
L'asta rigida vibrava ancora mentre si conficcava in una radice, nel punto in cui un istante prima c'era la gamba del ragazzo. Drakera non intendeva ucciderlo, ma ferirlo per poterlo in seguito interrogare.
Il fatto che la freccia non lo avesse colpito era questione di pura fortuna perché Yachin era uno dei migliori arcieri in circolazione e si allenava ancora per conservare quel livello ed essere in grado di usare l'arco anche stando a cavallo.
La vista del suo grosso stallone fece spostare di corsa i due uomini ancora basiti e non un fiato emisero quando lo riconobbero.
La sua preda doveva essere ben allenata poiché ancora una volta era riuscita a distanziarlo abbastanza da aver superato un'altra svolta. Vi erano due alternative, ma a sinistra c'era solo una grande e confortevole locanda mentre, andando a destra si avvicinava sempre più al confine della città.
Quando alla fine giunse, proprio sulla via principale che portava fuori, tutto era ormai stato fatto: Jethro aveva il fiato grosso per la corsa che aveva dovuto sostenere, lo vedeva dalle spalle che si alzavano e abbassavano veloci, e che i suoi uomini parevano non aver eguagliato. Solo, in mezzo alla strada, stava contemplando il corpo del giovane, una pozza di sangue cremisi si andava allargando vicino ai suoi piedi.
L'altro comandante smontò da cavallo che quasi si impennò per la brusca frenata. Avvicinandosi constatò che l'uomo che inseguivano era morto e Talel aveva del sangue che colava da una ferita sulla guancia. L'altro doveva essersi difeso con il pugnale che ancora giaceva vicino alla sua mano.
«Avremmo dovuto prenderlo vivo, poteva darci delle risposte», disse Drakera frustrato da come si erano messe le cose.
«Questo lo so anche io!», sbottò l'altro con astio mal celato, «mi spiace tanto che il mio primo istinto sia stato quello di difendermi,invece di prendermi una coltellata ben più seria», continuò sarcastico.
Yachin stava per rispondere, ma capì che sarebbe stato sciocco cogliere la provocazione e l'arrivo dei soldati lo fece desistere.
Jethro si pulì la guancia con il palmo guantato della mano che non reggeva la spada, mentre la rinfoderava e in tal modo fu chiaro che il taglio era più profondo di quel che appariva: andava suturato.
«Raccogliete il corpo e qualunque cosa gli appartenga, portate tutto negli alloggiamenti a sud anche gli indumenti che avete raccolto per strada; così cercheremo di capire chi diavolo è quest'uomo!».
Gli ordini misero in moto i soldati: in quattro sollevarono il corpo e altri due allungarono il passo verso la meta, forse per predisporre la stanza a cui il comandante aveva accennato.
«Immagino che verrete anche voi», disse avviandosi nella stessa direzione e tenendo un passo più lento, aspettando di essere affiancato.
Gli dava già le spalle, ma Drakera annuì, lasciando il cavallo in quel punto senza preoccuparsi di recuperarlo: presto un'altra squadra di uomini sarebbe sopraggiunta per lavare il sangue e eliminare ogni traccia di quell'accadimento.
«Non credete sia meglio farvi vedere da un medico?», chiese Drakera, indicando la ferita.
Questi scrollò le spalle facendogli capire che ci avrebbe pensato dopo.
«Prima di dare un'occhiata al cadavere vi devo mostrare una cosa», disse Yachin, trattenendo Jethro nel cortile degli alloggiamenti.
Senza dire un'altra parola l'uomo più giovane tirò fuori la stoffa che gli aveva dato il medico e la tese verso la mano dell'altro: osservò la freccia, ma non disse nulla.
«Il messaggio è fin troppo chiaro, eppure sono stati giustiziati tutti. Dubito sia rimasto qualcuno in grado di ordine una vendetta di qualche tipo, a parte dei bambini!»
Jethro si passò le dita tra i capelli senza preoccuparsi di sporcarli del suo stesso sangue.
«Potrebbero essere dei simpatizzanti o qualcuno che è riuscito a farla franca.Come facciamo a sapere con esattezza quello che accadde? E poi molti erano quelli che la pensavano come lady Orien e tanti altri coloro i quali non la vedono di buon occhio, le ipotesi potrebbero essere infinite e una freccia della casata dominante a Elisiom non vuol dire molto, potrebbe trattarsi di un modo per portarci fuori strada».
Drakera rifletté per qualche istante su tutte quelle considerazioni e dovette annuire riluttante perché erano cose sensate.
La stanzetta che era stata scelta per deporre il corpo era la semplice celletta un tempo assegnata a qualcuno e ora vuota. Era stato predisposto un tavolaccio di legno dove il ragazzo senza vita giaceva con i vestiti ormai intrisi di sangue. Nessuno lo aveva toccato e fu il comandante stesso a rovistare nelle sue tasche.
Quello che trovarono lo sorprese solo in parte: una considerevole somma di nimae d'oro, una dettagliata spiegazione di come erano predisposti i turni di guardia del castello e la richiesta precisa di uccidere la principessa Tiphereth.
Qualcuno l'aveva aiutato e capire chi fosse stato sarebbe stata un'ardua impresa, anche se si trattava senz'altro di gente che doveva essere venuta a palazzo negli ultimi sei mesi, almeno. Quell'ultima deduzione poteva essere fatta solo da Drakera poiché era l'unico a sapere che ogni tanto modificava gli schemi dei pattugliamenti per evitare problemi simili, con scarsi risultati.
«Si tratta di qualcuno di nobile», disse ad alta voce Talel con sarcasmo perché, cercare la colpevolezza di un lord, era come pretendere di trovare un ago in un pagliaio.
«Se qui non vi è altro, torno indietro. La regina deve essere informata di tutto», il tono secco contrastava con il modo in cui ripose quello che aveva trovato indosso all'attentatore.
Fu lui questa volta ad andarsene lasciando l'altro ad inseguirmi per stare al passo.
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