Capitolo 3
Tiphereth seguiva da vicino sua madre. Poteva vedere la sua schiena diritta, e notarne l'incedere così giusto. Camminava proprio come le aveva sempre cercato di insegnare Lady Nili. Solo che lei non era ancora capace di farlo in quel modo, sentiva la schiena dolorante e le braccia rigide, quando ci provava. Però quel giorno non doveva solo tentare, ma anche riuscirci.
Superarono le guardie davanti all'entrata che portava al trono e furono in quel grande ambiente che l'aveva sempre resa un po' nervosa. Aveva sentito delle voci, che si spensero al loro arrivo. Sapeva che gli occhi di tutti erano posati su sua madre e su di lei. L'imperatrice l'aveva avvertita, senza che fosse servito a calmare il suo giovane cuore agitato.
Inghiottì l'ansia come un boccone amaro e procedette a sedersi sul piccolo scranno che le era destinato. Quello di suo padre era vuoto, e lo sarebbe stato per sempre. Impose a se stessa di non pensarci. La seduta a lei destinata, seppure di dimensioni ridotte, non le permetteva di toccare il pavimento con i piedi, contribuendo a farla sentire ciò che era, una bambina.
Nell'immensa sala c'erano molte facce estranee, tutte tristi, venute, come lei sapeva, a dire loro quanto fossero dispiaciute per l'imperatore. Tra quei visi, però, riconobbe anche alcune persone che conosceva.
C'era una donna; l'aveva vista diverse volte aggirarsi nel palazzo accompagnata sempre da una lady diversa. Le ricordava una rana, per via della pelle grinzosa e per la bocca eccessivamente larga. L'anno prima era andata ad osservarle allo stagno, quello piccolo all'interno del parco del castello. Nelle stagioni più miti le sentiva gracidare anche dalla sua stanza e le piaceva vederle tuffarsi e riemergere poco dopo. Alcune avevano colori più brillanti di altre e sembravano voler farsi notare in mezzo alle proprie simili. Come le persone riunite nella sala del trono. L'ultima volta che aveva visto le rane era stato poco prima che suo padre si ammalasse.
Suo padre, Nun Talel, aveva sposato l'imperatrice, diventando a sua volta imperatore e facendo così di lei una principessa. Il suo piccolo fiore, come lui l'aveva sempre chiamata. Lui era stato un uomo incredibile, straordinario, il suo eroe; niente e nessuno avrebbe mai potuto occupare lo stesso posto nel suo cuore, essere alla stessa altezza. Poiché non si può eguagliare o superare un essere posto su un piedistallo.
Le donne avevano tutte dei vestiti eleganti, gioielli preziosi e acconciature elaborate. Gli uomini erano più sobri, ma altrettanto impettiti.
Volse ancora lo sguardo a sinistra e riconobbe Lady Talia, vicino a sua sorella, Lady Karmia. Le due nobili donne vivevano a palazzo da che lei aveva memoria, anche se, quando lo aveva chiesto, le avevano detto che la loro casa si trovava in una delle regioni più fredde di Amrat. Erano molto gentili e non mancavano mai di dispensarle un sorriso ogni volta che la incontravano. Lady Talia, in particolare, amava passeggiare per i giardini da sola o in compagnia della sorella e nascondeva sempre un dolcetto al limone in una delle tasche dei suoi abiti. Non l'aveva mai vista mangiare quelle piccole delizie, ma era sempre lesta a porgergliele quando la trovava ad annusare dei fiori, a giocare da sola o a correre qua e là come fanno tutti i bambini. A volte si era chiesta per chi fossero davvero quei dolcetti.
I loro abiti erano di tonalità scure, come quelli degli altri, eppure sembravano luccicare appena. Nella trama della stoffa erano stati cuciti sottili fili bianchi, che, in contrasto con il tessuto scuro, lo illuminavano. Sarebbe potuto sembrare un insulto, se non avessero conosciuto da vicino l'imperatore e non sapessero che lui amava i colori. Tiphereth si rese conto che in quel modo stavano onorando la memoria di suo padre più di tutti gli altri messi insieme. Anche più di lei, che era stata obbligata a vestirsi di nero, un colore che mai più avrebbe usato.
I suoi occhi si muovevano incessantemente incapaci di fissarsi su qualcosa. Le grosse candele nere, che bruciavano sui due lati della stanza, emanavano un odore sgradevole e l'incenso contribuiva a rendere acre e saturo di profumi l'ambiente.
Lei non aveva mai assistito ad un'udienza e quando le prime persone si avvicinarono inchinandosi dinanzi ai gradini, i loro sguardi le procurarono una certa agitazione. Si trattava di un uomo non molto più grande del suo defunto padre, con i capelli castano chiari e gli occhi gentili. Accanto a lui c'era un ragazzino con i capelli più biondi che le fosse mai capitato di vedere. Lady Nili non le permetteva mai di giocare con altri bambini, poiché essi erano di rango inferiore a lei. Gli unici con cui le era capitato di parlare erano i suoi due cugini, che però non vedeva spesso, perché abitavano ad Andro. Non era una città lontana, però la distanza era tale che bisognava adoperare la carrozza e lei, essendo solo una bambina e viaggiando poco, non aveva molte occasioni per farlo.
Il ragazzo biondo la fissò per qualche secondo permettendole di vedere i suoi occhi, azzurri come il cielo dell'estate. Cercò di ascoltare quello che l'uomo stava dicendo a sua madre. Le prime parole che colse furono quelle dell'imperatrice.
«Vi ringrazio di essere venuto fino a qui, imperatore Elhanan. Siete il benvenuto, come sempre».
Quindi quello era l'imperatore di Algol, e il ragazzino al suo fianco doveva essere il principe, ma non riusciva a ricordare il suo nome. Lady Nili glielo aveva ripetuto diverse volte, e tutte le volte lei pensava ad altro.
«Abbiamo viaggiato il più in fretta possibile, ma siamo arrivati tardi», mormorò lui, e poi si interruppe come se fosse indeciso sulla possibilità di dire altro.
«Naturalmente non dovete giustificarvi, eravamo preparati, ma non pronti».
Tiphereth smise di ascoltare, non poteva sentire ancora o avrebbe pianto, vanificando gli sforzi fatti negli ultimi minuti. Serrò le palpebre, le lacrime che premevano dietro i suoi occhi chiusi. Le si formò un grosso groppo in gola e li riaprì di scatto.
Si fissarono quasi senza volerlo su quelli castani di suo zio Zohar, e non fu più in grado di distoglierli. Eppure paradossalmente quell'uomo, che le aveva sempre trasmesso una sensazione di timore, in quel momento le sembrò l'unica àncora sicura. Accanto a lui c'era Jethro l'altro suo zio, che aveva una qualche vaga somiglianza fisica con suo padre. Sfoggiava il suo solito mezzo sorriso, leggermente più mesto, ma sempre presente, come se non fosse in grado di modificare l'espressione delle sue labbra.
L'aveva sempre trovato simpatico e divertente. Era quello che cercava di farla ridere facendo strane smorfie, sollevandola tra le braccia e sfiorandole le guance con delicati buffetti. Una volta aveva anche giocato con lei a nascondersi nel giardino dietro il cortile del palazzo. Lui era lo zio buono, in alcuni tratti molto somigliante a suo padre, specialmente quando indossava la cappa viola, ma non quel giorno.
Zohar invece la guardava come se fosse solo un'inutile e sciocca bambina, la evitava quando poteva e preferiva non fosse mai presente se doveva discorrere con suo padre. Quello zio la odiava, o almeno era quello che aveva sentito borbottare a lady Nili, quando pensava che lei non ascoltasse.
Non riusciva a pensare a nessun motivo per cui qualcuno dovesse odiarla, per questo aveva preso l'abitudine di stargli lontana e sparire quando c'era lui.
Ora i suoi occhi erano l'unica cosa che le impedivano di piangere. Quelle iridi sembrarono assorbire ogni suo pensiero e urlarle una sola parola, quasi un comando imperioso: non farti sopraffare. Quella sensazione curiosa durò ancora alcuni secondi, quanto bastava perché Tiphereth non versasse neanche un'altra lacrima, non quel giorno.
Ci vollero almeno due ore prima che tutti i lord e le lady di Amrat avessero la possibilità di inchinarsi e parlare con l'imperatrice. Alla fine di quella lunga processione, Tiphereth aveva le gambe formicolanti per essere stata seduta troppo a lungo e il desiderio di sfilarsi l'abito nero che indossava. I suoi lembi toccavano le pietre, quasi a nascondere le scarpine delicate che aveva ai piedi. Non le piaceva il nero, e non glielo avevano mai imposto prima di allora. Lei vestiva sempre con colori chiari, e dal giorno dopo avrebbe potuto riprendere i suoi soliti abiti.
Non le serviva uno stupido abito nero per sapere che suo padre non c'era più, glielo avrebbe ricordato il fatto che nessuno l'avrebbe più portata a passeggiare nei giardini e le avrebbe insegnato il nome delle piante colorate che sbocciavano a profusione in primavera. Lo aveva capito dalle parole di sua madre.
L'imperatrice le aveva detto che lei non era più una bambina, ora era la principessa di quel regno. Quello che era stato solo un appellativo vicino al suo nome, ora era il suo destino.
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