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Capitolo 25

Il comandante delle guardie del palazzo non aveva servitori personali che lo vestissero al mattino e a lui stava bene così. Era abituato fin da piccolo a provvedere alla propria persona da sé e ora che aveva avuto quella nomina, per lui non era cambiato niente.

Quella mattina, come gli capitava negli ultimi tempi, aveva aperto gli occhi prima che la luce comparisse dietro le tende ed era rimasto a letto a riflettere. Quando, però, il primo raggio di sole lo colpì in pieno petto, balzò giù dal materasso per spalancare le finestre e guardare fuori.

Anche alle prime luci dell'alba l'aria era tanto calda da farlo sudare persino nudo. Mancavano solo pochi giorni alle settimane di fuoco e il clima era perfettamente in linea con i tempi. Durante quelle due settimane, l'aria sarebbe stata soffocante e indossare l'equipaggiamento completo avrebbe richiesto grande abnegazione. Come capo del corpo di difesa, lui avrebbe potuto alleggerire il proprio abbigliamento, ma avrebbe dato una cattiva impressione di sé.Anche se deteneva la carica più importante, non si sentiva diverso da tutti gli altri: il suo compito era di proteggere la famiglia imperiale e fare in modo che chi serviva con lui facesse del proprio meglio per quella causa.

La sua stanza era nella sezione principale del castello per poter intervenire in tempi brevi in caso di pericolo, ed era in un angolo remoto di un corridoio facile da raggiungere. Si affacciava sul cortile interno e se si fosse sporto avrebbe potuto vedere le guardie che passeggiavano su uno dei livelli superiori controllando la situazione.

Volgendo le spalle alla finestra andò a scoprire la voliera che stava nell'angolo opposto al suo letto e l'animale che si trovava al suo interno.

Stella del crepuscolo era una civetta femmina di dimensioni ridotte e di colore nero come la notte. Solo i suoi occhi, quando decideva di piantarli addosso a qualcuno, brillavano di un giallo aranciato che riusciva a mettere a disagio anche i più navigati.

Drakera lanciò un breve richiamo e la testa scura scattò in su. Ci era voluto tempo prima che si abituassero l'uno all'altro e non erano mancati degli screzi tra loro: lui portava sulla mano una cicatrice che gli ricordava come la fiducia fosse una cosa da riconquistare ogni giorno.

Introdusse le dita tra le sbarre e fu premiato dalla sensazione delle piume setose del capo di essa che si faceva accarezzare. Le diede distrattamente da mangiare, pensando a come quella creatura somigliasse a un'altra persona della sua vita: il nero era il suo colore da molti mesi, non si fidava di lui ed era elegante e maestosa anche nella sua semplicità.

Paragonare Stella del crepuscolo all'imperatrice Ananta era un pensiero audace e anche sconsiderato, ma alcune volte gli piaceva pensare che sarebbe riuscito a conquistare la fiducia della donna così come aveva fatto con l'animale.

Finito quella specie di primo rituale mattutino, decise che era arrivato il momento di occuparsi della sua persona. Il bacile con l'acqua fresca era stato già preparato accanto a una pezza di lino chiaro che avrebbe potuto usare per detergere il suo corpo. Le brache, così come il farsetto scelto per quel giorno, erano scuri; ma la cappa, di color amaranto, allacciata con una spilla dorata, era la stessa chela regina in persona gli aveva messo sulle spalle quando lo aveva fatto comandante.

Non riusciva a ricordare un giorno più solenne, importante e commovente in tutta la sua vita e sapeva di dover essere grato ai suoi genitori per quell'onore, perché se loro non lo avessero inviato a studiare all'accademia di Amrat forse non sarebbe stato lì.

Il suo abbigliamento era completato dalla spada nel fodero che allacciò al fianco destro, una lama ad una mano sola, leggera e allo stesso tempo letale. Passò le mani guantate di nero tra i biondi capelli, cercando di pettinarli, anche se sapeva che avrebbero continuato a prendere la piega che più gli aggradava e aprì la porta pronto a cominciare la giornata.

Tra i compiti che svolgeva come comandante c'era quello di passare in rassegna l'operato di tutti gli altri soldati. Aveva appena congedato l'ultima squadra che pattugliava la zona esterna quando fu raggiunto dalla notizia che delle civette erano giunte dall'accademia.

Talel aveva infatti deciso di inviare più di una missiva, e una era indirizzata proprio a lui. Lesse le sue parole prima di recarsi nella sala del trono dove di sicuro anche la sovrana stava leggendo il primo resoconto del viaggio del Lord.

Le notizie non erano per niente incoraggianti, ma non sarebbe stato necessario mandare Zohar fino a lì per sapere che sarebbe andata a finire così. Se qualcuno si fosse degnato di chiedere il suo parere avrebbe potuto illuminarli e risparmiare loro del tempo.

Yachin aveva studiato per molti anni all'accademia e conosceva sia il generale Hannibal che le condizioni della flotta imperiale.

Riusciva quasi a vedere come si erano svolte le cose da quando Talel era arrivato fino a quando si era seduto a uno scrittoio per redigere quelle lettere.

Il generale era un uomo che forse era stato un buon comandante tanto tempo prima, ma ora era solo la copia sbiadita di come doveva essere un condottiero. Aveva una pancia prominente, soffriva di gotta e non prendeva una decisione importante da troppo tempo. Non proveniva da una famiglia ricca e aveva dovuto fare la gavetta per arrivare dove era in quel momento. Si diceva che avesse ottenuto la sua carica grazie alla relazione amorosa intrattenuta con l'imperatrice Baya, e quale che fosse la verità, quella tresca c'era stata davvero. Del resto, la nonna della regnante attuale era stata famosa per il numero di amanti ospitati nel suo letto fino a pochi mesi prima della sua dipartita.

Hannibal Weizman, avvertito da un soldato semplice, si era mosso dalla sua postazione in uno dei torrioni centrali dell'accademia per andare incontro al piccolo gruppo in arrivo. Dopo le dovute presentazioni di rito, avrebbe cercato di parlare del più e del meno visto che gli piaceva farlo quasi quanto mangiare molto a ogni pasto; fermato da Talel che, invece, era conosciuto per il suo desiderio di voler andare sempre dritto al sodo.

La notizia dell'occupazione di Glasil avrebbe reso meno sonnacchioso il generale e più incline a rendersi utile. La regina voleva usare la flotta per attaccare in fretta la regione fredda, e sarebbe stata una buona idea se la stessa fosse stata curata meglio.

Zohar avrebbe chiesto di vedere con i suoi occhi le navi e sarebbero dovuti scendere al porto dell'accademia. E lì, pieno di sgomento, lui avrebbe capito da sé come stavano le cose.

Le navi della flotta di Amrat, circa una decina di medie dimensioni, più una grossa nave ammiraglia, non ricevevano cure dal tempo in cui regnava Baya. Gli scafi erano deteriorati dalle intemperie e le vele avevano bisogno di riparazioni; e cosa più importante, non vi era una quantità sufficiente di uomini addestrati per navigare. La poca cura era causata da molti fattori: non tutti frutto della negligenza dei regnanti e del generale, perché la mancanza di fondi adeguati e il fatto che non venissero usate da tempo, aveva contribuito pesantemente su quella situazione.

Nuove decisioni andavano quindi prese e Yachin era curioso ora di vedere cosa avrebbe fatto Ananta.

Davanti alla sala del trono, quella mattina c'erano due soldati giovani, ma di cui aveva già potuto apprezzare la dedizione al lavoro. Pugno destro sul cuore per salutarlo e poi spinsero i battenti per farlo entrare. La porta della sala era di legno massiccio ed era necessaria la forza di più braccia per aprirla, veniva lucidata con regolarità per mantenerne l'aspetto curato.

Ananta sedeva sul suo trono rigida, con le mani pallide strette intorno ai braccioli, come se sentisse il bisogno di aggrapparsi a qualcosa. Con lei c'era solo Lady Merton, l'unica che riusciva a sopportare in quel momento.

La dama stava leggendo la lettera di Zohar ad alta voce, come se l'altra dovesse ascoltarla di nuovo per farsi una ragione del suo contenuto.

«Buongiorno, comandante, forse dovrei rileggere da capo per permettere anche a voi di sapere come stanno le cose», fu il saluto con cui lei lo accolse.

Lui si inchinò davanti alle due donne e raddrizzandosi non poté fare ameno di vedere la smorfia che apparve sui tratti aristocratici di Ananta.

«Non sarà necessario, Lady Merton, sono già a conoscenza del fatto chela flotta non è in condizioni di salpare».

«Voi avete studiato in accademia, se non erro. A quanto ci riferisce Lord Talel, non era difficile arrivare a tale conclusione, e forse voi lo sapevate già?», la contorta domanda della signora aveva fatto centro e quelle parole affilarono anche lo sguardo dell'altra donna.

«Esatto!», alla sua conferma, lei parve volerlo perforare con gli occhi e lui non si sottrasse a quel suo accenno di furia.

«La vostra conferma, toglie ogni residua speranza, dovremo agire in altro modo».

Ananta continuava a starsene in silenzio, seguendo quello scambio di battute tra i due.

«Al contrario, ora potrete mettere in atto una buona strategia».

Il comandante sapeva di stare sfidando la sorte in quel momento, ma sapeva anche di dover dire quello che pensava per il bene dell'imperatrice e del regno, quel che sarebbe stato di lui dopo, non aveva importanza.

Piantò i suoi occhi chiari in quelli scuri di lei, come aveva fatto ogni volta che ne aveva avuto l'occasione, perdendosi a pensare quanto fosse bella e bacchettandosi mentalmente subito dopo: perché non era ammissibile che lui la vedesse come donna e non come sua sovrana. Il cenno del suo capo fu lieve, quasi riluttante, ma gli permise di esprimersi.

«Chiamate a raccolta le case nobili, grandi e piccole, marciate su Glasil e sopprimete l'impudente rivolta. Coloro che vi sono fedeli risponderanno al richiamo, e il generale Weizman potrà guidarli, riuniti sotto il vessillo della casa Lauvi'iah».

Drakera non aveva mai usato quel tono appassionato per rivolgersi a lei e vide che una qualche reazione c'era stata, se fosse positiva o negativa, era ancora da scoprire.

Le porte alle sue spalle si aprirono di nuovo e non fu necessario che si voltasse per sapere chi fosse.

Quegli occhi non gli erano mai piaciuti, così come il sorriso perenne che illuminava il volto attraente del giovane comandante delle guardie del Borgo. Si sentiva scisso in due: da un lato cercava di essere obbiettivo nei confronti dell'altro uomo e dall'altro sapeva che la sua antipatia era motivata da più di semplice gelosia. Se lo sentiva nelle viscere che c'era qualcosa di sbagliato in quell'uomo.

«Lord Talel, vostro fratello ci ha scritto spiegandoci approfonditamente quali sono le condizioni della flotta e siamo giunti alla conclusione che raggiungere Glasil via mare non sia fattibile», era la prima volta che Ananta apriva bocca da quando Yachin si trovava lì, e il tono della sua voce lo lasciò avvilito.

Una qualunque donna non avrebbe dovuto riporre tutta quella fiducia in uno come Jethro abituato a giocare con l'altro sesso e la cui soglia di attenzione per qualcosa che non fosse sé stesso era tanto bassa.

«Desolato di apprendere tale notizia», l'uomo si chiuse in un silenzio strano, forse riflettendo su quali erano le altre possibilità che avevano.

A interrompere quel silenzio furono le parole di Karmia: «Abbiamo già stabilito come procedere, però. E devo dire che i consigli del comandante Yachin sono stati molto preziosi».

Ecco, sembrava che l'aristocratico avesse appena ingoiato un rospo e questo minacciò di strappargli una risata che fu abile a mascherare.

«Naturalmente! Come ho fatto a non pensarci prima? L'opinione di un altro capace uomo d'armi, non può che giovare alla nostra causa in un momento tanto teso».

Quella sorta di sviolinata lo lasciò del tutto indifferente. L'unico parere che contava per lui era quello dell'imperatrice.

«Abbiamo tante cose da fare, voi, Lord Yachin potreste inviare un messaggio alla vostra casa, spero che mandino tutte le spade disponibili», lei si era alla fine scossa dalla sua immobilità e alzandosi in piedi mise in moto tutti gli altri.   

«Con vero piacere», il comandante si sentì congedato da tali parole e si mosse quindi verso l'uscita.   

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