Capitolo 19
Ananta lanciò un'occhiata penetrante alla figlia, seduta alla sua destra a tavola. Ancora una volta, il cucchiaio con cui stava consumando la zuppa entrò in contatto con il piatto, producendo un leggero tintinnio. Per quanto si sforzassero di insegnarle le buone maniere,lei sembrava sempre apprendere a metà, o comunque dimenticare in fretta ogni cosa che imparava.
Strinse le labbra e riprese a sorbire in silenzio il suo pasto. Di nuovo si udì quel rumore, che le fece perdere il controllo.
«Santo cielo, Tiphereth, potresti fare più attenzione? Vorrei che smettessi di comportarti come una qualunque popolana e prendessi atto che sei la principessa!».
Sua figlia interruppe il gesto a metà percorso e posò piano il cucchiaio all'interno del piatto.
«Mi spiace, madre. Cercherò di fare più attenzione».
All'interno della sala, quando la piccola tacque, non si udì altro rumore, se non quello del vento che soffiava da una delle finestre aperte. Erano ormai giunti agli inizi di giugno e la primavera stava lasciando spazio alle prime calde giornate estive. Da mesi, l'imperatrice aveva concesso a Margalit il privilegio di sedere alla loro tavola.La ragazzina era talmente educata e attenta a ogni gesto, che era raro avvertire la sua presenza, se non quando le veniva posta una domanda a cui rispondere. In tal modo lei aveva sperato di dare un altro buon esempio a sua figlia, con pochi risultati, purtroppo.
Questo stato di cose non era imputabile alla giovane Oded, che faceva del suo meglio per spronare Tiphereth in ogni modo, ma allo scarso impegno di lei.
Dopo aver rassicurato la madre, la bambina riprese a mangiare rallentando ogni movimento per evitare di far ancora rumore.
«Cosa vi insegnerà Lady Nili, quest'oggi?», chiese la regina per fare conversazione. Stava troppo poco tempo con sua figlia e approfittava di ogni occasione per interessarsi alla sua vita.
«Siamo state con lei questa mattina. Nel pomeriggio mi eserciterò con il comandante».
La piccola gettò un'occhiata alla madre aspettando la sua reazione.Era così che chiamava il capo delle loro guardie personali, il comandante Yachin, per l'appunto. Questo succedeva da quando il più grande dei suoi zii le aveva donato un arco e aveva ordinato all'altro uomo di insegnarle a usarlo.
La prima reazione di Ananta era stata di scetticismo e fastidio per l'intromissione di suo cognato nell'educazione da impartire alla bambina. Eppure non era stata del tutto una cattiva idea. Aveva assistito due volte a quelle lezioni e vedere l'intensità della concentrazione di Tiphereth l'aveva stupita e resa orgogliosa.
Osservò le dita della piccola: aveva indice e medio fasciati da una leggera garza bianca. Si era tagliata diverse volte con la corda tesa dell'arco, ma continuava a non voler mollare. Anche lo zio della bambina aveva assistito a qualcuno dei suoi allenamenti, sempre da lontano e con il solito cipiglio austero.
Per quello che le era parso di capire, quelle lezioni erano persino più ardue che starsene seduta per ore a ricamare, o ascoltare le prediche che l'istitutrice le impartiva immancabilmente. Il comandante non la trattava con i guanti, non le faceva favoritismi e non sembrava importargli che lei fosse una femmina o la principessa. Faceva il suo lavoro con severità e determinazione, riprendendo la piccola quando necessario. Non era tenero con lei, eppure tutto ciò che Tiphereth faceva in quei casi era corrugare le labbra in una smorfia scontenta.
Yachin sapeva essere duro quanto e più di Talel, e si era chiesta se i due si fossero conosciuti in precedenza, motivo per cui lui l'aveva scelto come insegnante. Il primo era più giovane di suo cognato, ma nulla poteva essere escluso. Di certo il comandante sapeva cos'era il sorriso e sapeva dosare bastone e carota con sua figlia, lodandola quando questa lo meritava.
Lo aveva scelto come capo delle sue guardie personali in virtù della sua abilità con la spada e perché aveva bisogno di sostituire il vecchio comandante. Non lo conosceva davvero e continuava a chiedersi quanto potesse fidarsi di lui. Effettivamente faceva fatica a fidarsi di qualcuno negli ultimi tempi e tendeva a essere più distaccata di quanto lo era mai stata con quasi tutti.
Sua figlia, che in virtù della giovane età non era un buon metro di giudizio, pareva apprezzare la compagnia di quell'uomo e nonostante questo, non poteva ignorare quel segno di apertura della piccola.Aveva pensato che mai più la principessa si sarebbe avvicinata a un uomo e, invece, la vita riservava sempre delle sorprese. Forse un giorno anche lei sarebbe riuscita a ignorare il vuoto che sentiva nel petto per accogliere nuovi teneri sentimenti.
«Quanto a lungo continuerai a portare avanti questa storia? Quanto tempo ti ci vorrà per stancarti degli allenamenti?», mentre parlava notò che Margalit aveva smesso di mangiare per guardarla in viso.
La sua espressione guardinga la lasciò per un attimo interdetta, come se temesse quello che stava per dirle sua figlia.
«Adire il vero, madre, non dovreste chiederlo a me, ma al comandante.Forse lui saprà dirvi quanto tempo sarà necessario».
«Necessario per cosa Tiphereth?», domandò a un tratto confusa lei.
«Per imparare a tirare con l'arco», le rispose con candore la bambina.
«Sei decisa ad arrivare fino in fondo, allora».
«Sì»,la semplice affermazione suonò più sincera che se avesse usato tante parole. Quasi sottovoce aggiunse: «Certi impegni vanno onorati fino alla fine».
«Temo di dovervi dare una spiacevole notizia: non si finisce mai di imparare una cosa simile e bisogna sempre rimanere in allenamento se si vuole continuare a far bene».
«Questo dovrebbe rispondere alla vostra domanda».
La bambina aveva parlato con una solennità che non le riconosceva e chele faceva sperare che stesse maturando.
Dei tocchi decisi alla porta seguiti dall'attesa del permesso di entrare, interruppero ogni conversazione.
«Avanti».
Il comando secco rispecchiava non tanto il fastidio nell'essere state interrotte durante il pasto, quanto il fatto che sapeva che non poteva essere niente di buono. Avevano l'ordine tassativo di non disturbare in quei momenti e se lo stavano facendo, doveva esserci una valida ragione.
Il comandante Yachin entrò nella stanza inchinandosi profondamente e stringendo a sé una pergamena sigillata. L'uomo, di diversi anni più giovane della sovrana, era di bell'aspetto. I suoi capelli erano di un biondo slavato, tagliati corti. Gli occhi di un luminoso grigio verde fissarono Ananta solo per un istante, prima di porgerle la missiva.
Ananta ruppe il sigillo, un cavallo bianco impresso nella cera pallida,simbolo della famiglia Merton, chiedendosi perché quella lettera fosse stata inviata a lei e non a Lady Karmia.
I suoi occhi volarono sulle lettere vergate in una scrittura veloce,per niente elegante. Un suono assordante le riempì le orecchie, come un ronzio insistente che coprì ogni altro rumore intorno a lei. Si impose di far tornare il respiro lento, il battito del cuore al solito ritmo e far passare le vertigini che la assalivano. Era diventata brava in questo, negli ultimi tempi, ma non abbastanza da ingannare il comandante.
Sapeva di stringere ancora la carta tra le mani, che sua figlia stava chiedendo qualcosa all'uomo davanti a lei e che lui le stava rispondendo, senza però aver mai distolto la sua attenzione da lei. Provò un moto di fastidio per quegli occhi puntati addosso e per l'intensità con cui sembravano studiare ogni suo gesto. Gli ordini le uscirono secchi e imperiosi, dalla gola contratta.
«Comandante Yachin, trovate Lord Talel e gli dica di radunare i miei consiglieri e faccia inviare un messaggio al comandante della guardia del Borgo,che venga al più presto».
Lui si inchinò e si volse subito per andare a eseguire le sue direttive.Due falcate ed era già innanzi alla porta, ma lei lo richiamò.
«Aspettate, mi serve l'occorrente per scrivere, preferisco darvi un messaggio preciso da inviare al Borgo. Manderete uno dei vostri uomini, dovete fare in fretta!»
Pochi minuti dopo, una serva portò inchiostro, carta e penna, disponendoli sulla tavola per lei. Si rese conto che sua figlia la guardava con curiosità e Margalit, invece, lanciava occhiate preoccupate prima a lei e poi alla figura silenziosa e attenta che aspettava in piedi.
«Margalit perché non accompagni mia figlia a prepararsi per la sua lezione?Senza il continuo esercizio, di cui abbiamo parlato prima, i tanto agognati miglioramenti non ci saranno presto».
«Certamente maestà».
La bionda ragazzina fece loro un inchino e scortò la bambina più piccola fuori dalla stanza.
Ananta fu sollevata di avere quattro occhi in meno che la scrutavano; ora se fosse riuscita a liberarsi anche di lui, le cose sarebbero certo potute migliorare.
Gli lanciò un'occhiata di sbieco, mentre pensava in fretta a quello che doveva rivelare a Jethro, per fargli capire quanto fosse richiesta con urgenza la sua presenza: poche semplici righe,l'essenziale. Il tempo e il suo passare la spaventavano, dovevano muoversi in fretta, per arginare il problema che avrebbero, invece,dovuto prevenire. Cosa ora assolutamente impossibile da attuare.
Sciolse un po' di cera vicino a una candela e la fece colare sulla lettera,usando poi l'anello che portava al medio della mano destra per imprimervi il sigillo imperiale. Mentre faceva questo parlò a Yachin:
«Datela pure a una delle vostre guardie qui fuori, e poi cercate Lord Talel,come vi ho detto, le due cose hanno eguale priorità».
«Ho già fatto in modo che Lord Talel fosse informato dei vostri desideri, imperatrice. Volete che mi rechi personalmente a consegnare il messaggio al comandante?», chiese Yachin prendendo dalle sue mani la pergamena.
«Non è necessario. Devo ricordarvi che avete una lezione di tiro con l'arco con mia figlia?», domandò a sua volta lei.
Vide sorpresa sui tratti attraenti di lui, prima che il suo viso si ricomponesse in un'espressione neutra.
«Ci sono altri ordini per me o i miei uomini?», aggiunse infine tenendo le braccia rigide lungo il busto.
Lo sguardo di Ananta si affilò, prima di realizzare che quella richiesta non era impertinente come appariva. Yachin non era un semplice galoppino che poteva inviare qua e là per svolgere stupide mansioni adatte ai servi. Lui era il comandante della sua guardia personale, e come tale doveva essere informato di quello che succedeva nel regno non meno dei suoi consiglieri.
«Il palazzo non corre alcun pericolo, si tratta di disordini a Glasil»,spiegò in fretta.
«Capisco»,disse asciutto lui, quando era evidente che non capiva affatto.
La sua confusione era da attribuire alla convocazione del giovane comandante del Borgo, che come lui non poteva fare molto, se non consigliarla. Ed era proprio quello il motivo per cui aveva bisogno di parlargli.
«Se non c'è altro, andrei».
Scuotendosi dalle sue riflessioni Ananta annuì nella sua direzione senza guardarlo. Solo quando lui le ebbe dato le spalle, volse gli occhi verso di lui.
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