Capitolo 17
"Mi addolora apprendere che nulla è cambiato in queste settimane e che il tempo non riesca a portarle il meritato sollievo da un dolore tanto grande. Dovrà imparare a convivere con la consapevolezza che egli non tornerà più. Nessuno di noi è in grado di comprendere cosa senta una madre quando perde un figlio, anche se non dubito che se c'è qualcuno che può portare conforto alla sua anima quella siete voi, Gali.
Ephram fa progressi notevoli nei suoi esercizi e apprezza l'ambiente di corte, affascinato dalla presenza di persone sempre nuove e diverse intorno a lui. Jubal, invece, risente ancora del distacco..."
Tre rapidi colpi sulla porta distrassero Zohar dalla sua epistola. Con lo sguardo ancora concentrato sull'inchiostro che si asciugava, lentamente assorbito dalla carta, rispose: «Avanti».
Si trovava in uno studio adiacente alla sua camera da letto, parte degli appartamenti che l'imperatrice aveva messo a sua disposizione. Quella mattina era giunta una lettera da parte di sua moglie, puntuale come ogni settimana. Riceveva lettere da lei, come del resto anche da Lord Ephram stesso, anche se per lui scrivere non era facile come per la giovane donna. Entrambi lo tenevano informato sullo stato di salute di Lady Eliora, che restava pressoché invariato. La sua sposa, inoltre, chiedeva notizie dei suoi figli e lui si sforzava di ricordare particolari importanti che potevano rendere meno difficile il distacco dai suoi bambini.
Ammirava sua moglie per la forza d'animo con cui aveva accettato la prematura separazione dalla propria prole, prima di quanto ogni donna si aspetti. In particolar modo Lady Gali era legata al suo secondogenito probabilmente a causa della sofferenza che il suo corpo aveva dovuto combattere subito dopo la sua nascita. Eppure aveva accettato le sue decisioni e supportato le sue scelte stoicamente.
Zohar volse lo sguardo verso la porta aspettandosi di incontrare i timidi occhi di una delle serve di palazzo, venuta magari a rimettere in ordine le stanze, ignara che lui fosse ancora lì.
Gli occhi che lo fissavano però, non appartenevano affatto a una schiva giovinetta, piuttosto somigliavano a quelli di un uccello rapace. Riconoscendo la donna a cui appartenevano, Lord Talel posò la penna accanto alla lettera rimasta incompiuta e si sollevò dalla sedia.
Un rigido inchino fu il suo segno di rispetto nei confronti di una donna che lui non rispettava affatto.
«Lord Talel, vogliate perdonare la mia intrusione, ma desideravo conferire con voi in un luogo tranquillo».
Lady Aviel Orien si inchinò davanti a lui, imponendo la sua sgradevole presenza con quella banale scusa.
«Sono sorpreso che vi siate presa tale disturbo per salutarmi. Immagino che siate qui per questo. Mi è stato riferito che ripartirete presto per Diodi».
La signora indossava una ricca cappa scura con sopra ricamati i fiocchi di neve, simbolo della sua casata. Lentamente sfilò il guanto destro e poi si accinse a fare lo stesso con l'altro. Anch'essi scuri e di pregevole fattura. Doveva essere appena uscita dalle sue stanze che non si trovavano nell'ala principale della mastodontica dimora imperiale. Tale privilegio era infatti riservato solo a coloro che appartenevano alla famiglia reale.
«Come certamente saprete ogni dimora nobile richiede la presenza delle proprie signore. Per quanto mi duole ammetterlo non posso trattenermi ancora a lungo qui. Anche se il mio cuore resterà a disposizione della sovrana, felice giorno sarà quello in cui svegliandoci potremo ricordare il nostro amato sovrano senza che la sua perdita devasti le nostre anime».
Zohar si limitò a guardarla, senza mostrare il minimo apprezzamento per quel discorso ipocrita. La piega melliflua assunta da quelle labbra sottili e innaturalmente vermiglie lo lasciava indifferente. Non era la prima a sprecare la sua grande abilità oratoria in simili futili discorsi, e non sarebbe stata neanche l'ultima. Solo che lei era molto brava nella scelta delle parole e se si passava sopra allo sguardo interessato dei suoi occhi le si poteva anche credere.
«Nessuno vi condanna per la cura con cui vi occupate della vostra casa e della gente che vi abita. L'imperatrice conosce i vostri sentimenti e ne tiene conto, potete intraprendere il vostro viaggio serenamente».
Le sue parole erano un chiaro invito ad andarsene, eppure la donna non fece alcun gesto in tale direzione. Al contrario, si passò i guanti nella mano destra, usando poi la sinistra per sistemare la chioma di un biondo scuro, le cui ciocche erano imprigionate in un basso nodo sulla nuca. Tale acconciatura non faceva che mettere in risalto l'ampia fronte e il naso troppo affilato.
«Le vostre parole non fanno che convincermi della giustezza del mio pensiero. L'imperatrice ha un cuore molto generoso e sempre pronto a pensare agli altri prima che a sé stessa. Per questa ragione spetta a noi sostenerla nel suo operato per il regno. Non può e non deve in alcun modo occuparsi da sola di questioni troppo onerose al momento. Deve poter avere il tempo di assorbire il dolore di tale tragedia».
Finalmente Lord Talel comprese il vero motivo di quella visita, e anche il perché ella avesse scelto di incontrarlo in un posto, per così dire, più discreto. Le sue stanze non erano presidiate da nessuna guardia e per quanto si trovassero in un'ala piuttosto frequentata, in pochi sarebbero venuti a conoscenza della visita. Ananta gli aveva chiesto esplicitamente se desiderava degli uomini che salvaguardassero la sua persona, ma così come non riteneva di sentirsi in pericolo a casa sua, così era convinto di essere al sicuro lì nel castello. Per di più, il palazzo era pieno di soldati armati che svolgevano ronde a intervalli regolari, e tutti i visitatori venivano controllati, prima di poter entrare all'interno.
Come altri Lady Aviel cercava il suo appoggio per una qualche questione politica. Raddrizzò la schiena e le rivolse un'occhiata severa, sperando in tal modo di dissuaderla dal continuare. La donna non raccolse il messaggio e proseguì imperterrita.
«Come sapete, Elisiom e Glasil sono vicine abbastanza perché noi si sappia con più precisione quello che avviene lì. Per quanto la mia regione natia sia affascinante, non possiede da sola i mezzi per essere autosufficiente. Molti di coloro che vi abitano fanno affidamento sul commercio e la lavorazione del Sil. Quel materiale è importante per gli Elisiani tanto quanto i Glasiliani», attese un cenno di comprensione da lui che non giunse. Prima che potesse continuare, Lord Zohar parlò: «Il Sil è prezioso per tutto il regno, e mi pare che la sua estrazione continui ad avvenire in modo regolare».
«Certo! La gilda delle Estrattrici compie ogni giorno un lavoro egregio, ma temo che l'avanzata età di Hodaya possa compromettere tale sistema».
Aveva usato il nome della donna come se fosse una qualunque creatura di strada. Ella non portava l'appellativo di Lady, ma la cortesia e il rispetto verso un importante pilastro del loro regno avrebbe almeno richiesto l'uso del cognome della sua famiglia. Cercando di sorvolare su tale cosa, Zohar rispose brusco.
«Avete già esposto i vostri dubbi in consiglio, e siete stata edotta chiaramente sull'opinione dell'imperatrice. Non vedo come parlarne ancora possa cambiare tale cosa».
«Lord Talel», riprese lei dopo aver stirato le labbra nell'ennesimo ghigno che forse considerava un sorriso, «so bene quale effetto possa fare ritrovarsi nel consiglio, così senza aspettarselo. Avevate bisogno di comprendere i meccanismi interni, prima di poter mettere a nostra disposizione il vostro rinomato senso pratico. Dopo le vostre riflessioni, sarete giunto alle nostre stesse conclusioni. Nessuno si aspetta niente di meno da voi».
«E quali sarebbero tali conclusioni?», Zohar avrebbe voluto essere come suo fratello Jethro e ridere dei subdoli ragionamenti della gentildonna, ma tutto quel teatrino, non faceva che alimentare una certa rabbia sorda che si portava dentro dalla morte di Nun. Solo con un notevole sforzo la sua voce non ebbe alcuna inflessione.
«Hodaya ha svolto un eccellente lavoro. Ora è tempo che si faccia da parte. Tenendo conto del volere dell'imperatrice Ananta, la cosa migliore da fare sarebbe attendere l'inizio dell'estate e poi nominare un altro capo gilda».
«Non è questo quello che la nostra regina desidera».
«Quest'anno l'estrazione è stata piuttosto pregiata. Saranno forgiate armi eccezionali dai blocchi prelevati. Lasciamo che Hodaya finisca la sua carriera in bellezza, terminando la stagione di maggior produzione e poi provvediamo come convenuto».
«Spiacente di dovervi dire Lady Orien che è questo il volere della sovrana, l'unico che abbia davvero importanza».
«Tutti insieme possiamo persuaderla della giustezza di tale azione».
«No», il rifiuto uscì secco della sue labbra contratte e pose fine a quel ridicolo colloquio.
Lady Aviel comprese infine di aver fallito nel suo intento e dal suo volto scomparve la piega amichevole. Affilò lo sguardo e per un istante contrasse le sopracciglia, chiaramente scontenta. Le ci vollero alcuni istanti per tornare nel personaggio e in tale lasso di tempo, Zohar provvide a non lasciare dubbi sulla vicenda, per lui totalmente chiusa.
«Ora se volete scusarmi, altri impegni richiedono la mia immediata attenzione. Vi auguro ancora un buon ritorno a casa».
Fece un inchino e la sorpassò la donna, aprendole la porta affinché se ne andasse.
«Allora arrivederci», fu il suo commiato, pareva aver infine accettato di buon grado la sconfitta, tornando a essere quella di sempre.
Prima di lasciare definitivamente gli appartamenti di Lord Zohar, si voltò ancora verso di lui.
«Ho visto i vostri figli in cortile. Due ragazzi adorabili, se non sbaglio il vostro primogenito ha la stessa età della mia piccola Chava. In estate la porterò con me, potrebbero conoscersi. Fa sempre piacere vederli fare nuove amicizie»
«Purtroppo vi sbagliate, Ephram ha otto anni, vostra figlia dodici, a quanto ne so».
«Davvero? Che strano, avrei giurato che fosse più grande».
Lady Orien scomparve dietro la curva del corridoi a sinistra e Zohar si permise di rilassare i muscoli delle spalle, cercando di allentarne la tensione. Tutti conoscevano i tentativi dell'aristocratica di trovare marito alle due figlie, e si sorprendeva del fatto che avesse pensato al suo Ephram. Evidentemente, la minore età di lui, non era un deterrente alle sue mire. Entrambe le creature in questione erano di una bruttezza eccezionale, cosa che suo figlio gli avrebbe rinfacciato a vita, se avesse acconsentito a un matrimonio tra loro. Senza contare che Gali lo avrebbe crocifisso per una tale decisione. Ciò che, invece, sconsigliava lui dal fare un tale passo, era l'indole cattiva e manipolatrice ereditata dalla genitrice.
Gli appartamenti di Lady Tiphereth erano nel corpo centrale dell'ala principale, poco distanti da quelli della madre. Stanze che Zohar mai aveva visitato negli ultimi cinque anni e che gli erano state indicate da Lady Margalit pochi minuti prima. Infatti, il luogo in cui lui aveva cercato la nipote era la stanza in cui la loro istitutrice le teneva occupate per gran parte della giornata. Solo che in essa aveva trovato la bionda bambina intenta a ricamare un delicato fior di luna su un fazzoletto bianco, senza la presenza delle altre due.
Interrogata sulla principessa, gli era stato risposto che ella non si sentiva bene e che riposava nelle sue stanze.
Per un attimo si fermò indeciso sul da farsi. Probabilmente non era il momento adatto per una visita, ma non aveva mentito a Lady Aviel, aveva davvero delle faccende urgenti da sbrigare e quel colloquio era una di queste.
Due giovani soldati stavano davanti alle stanze con i volti leggermente preoccupati, intenti ad ascoltare i rumori al di là delle porte chiuse. Il suo arrivo li fece scattare sull'attenti e uno dei due abbassò il capo, con fare colpevole. L'altro lo squadrò senza vergogna, prima di abbassare il capo a sua volta.
«La principessa si trova nelle sue stanze?», chiese, sospettando vagamente la risposta.
«Sì, signore. Volete che annunciamo la vostra presenza?», domandò a sua volta il più sfacciato dei due.
«Non sarà necessario, devo conferire con lei».
I due si scambiarono un'occhiata, perplessi da quella storia. Continuavano a fissare l'arco che egli portava avvolto in un pregiato tessuto viola. Non era difficile capire cosa fosse, per via della curva, impossibile da nascondere.
«Lord Zohar, lei...», il soldato sembrò voler aggiungere qualcos'altro, poi si fermò indeciso se proseguire. Dall'interno della stanza non provenivano rumori di sorta.
«Ogni giorno è buono per un dono», aggiunse allora lui, per spiegare il tutto. L'espressione dei due si sciolse all'istante. Ananta doveva averli scelti con cura per la premura che sembravano avere nel confronti della bambina, e lui avrebbe fatto lo stesso.
«Questo più di altri. Speciale nella sua unicità, a quanto ci è dato intuire».
«Non certo un balocco», aggiunse lui, un po' titubante.
Era stata la conversazione con Jethro a spingerlo in quella direzione. Diversamente da quanto lui aveva detto, aveva optato per un arco vero, non era un sostenitore dei giochi sciocchi e inutili. Educava i suoi stessi figli in quel modo, ma la piccola lady restava un mistero per lui e poteva anche essersi sbagliato.
«La principessa possiede molti balocchi, custoditi in un grosso baule. Obsoleti per lei che sta crescendo».
La loquacità delle guardie lo spinse a porre loro un altro interrogativo. Aveva parlato con altri e ulteriori conferme gli erano utili.
«Il comandante Yachin, si dice sia un bravo arciere».
«Forse il migliore che abbiamo qui a palazzo».
«Abbastanza da gestire una bambina inesperta ed esuberante?»
Il soldato più schivo fece un sorriso genuino e annuì con vigore.
«Lord Yachin ha un animo nobile e gentile, stima i suoi uomini e ne sa apprezzare le doti», disse usando il titolo del giovane, che era ben visto dai suoi sottoposti.
«Confido comunque nel fatto che sarete presenti a questa sua nuova avventura. La sua persona è nelle vostre mani».
I due scattarono sull'attenti, orgogliosi di avere una tale importanza nella vita della principessa. Uno dei due bussò vigorosamente alla porta della stanza, attendendo dall'interno il permesso di far passare Zohar con rinnovato rispetto nei suoi confronti.
Era stato il Lord suo padre a insegnargli quel modo di fare. Sottolineare il proprio nobile lignaggio senza denigrare le vite e il lavoro di coloro che li servivano. Un uomo aveva bisogno del giusto incentivo per svolgere bene il suo lavoro, e apprezzarli era il miglior modo per ottenere tale risultato.
Tiphereth si era alzata dalla sedia su cui stava accanto al tavolino della colazione. La stanza era in ordine, un tripudio di bianco e rosa in tutte le sue sfumature. Fiori delicati erano intagliati nel legno della sedia, e sotto la tovaglia, anche il tavolo doveva essere dello stesso genere. Aveva visto molte volte quelle piante sui libri di medicina che Nun studiava quando ancora viveva nella loro casa di famiglia, lì nello studio in cui un'altra donna passava le giornate a piangere la sua perdita.
Le porte si chiusero dietro di lui, che concentrò l'attenzione su sua nipote. Aveva tentato di cancellare le tracce di lacrime dalle tenere guance arrossate, ma i solchi erano più che evidenti. Le sue ciglia, colpite dalla luce di inizio febbraio brillavano, trattenendone alcune.
La bambina si affrettò a fare un inchino, imperfetto nell'esecuzione, dato il leggero vacillare della sua persona.
«Lord Talel».
Ella stava in silenzio davanti a lui, dopo il compito saluto, tenendo le piccole mani strette a pugno contro la gonna del lungo abito. Quasi osservandola per la prima volta, poté vedere in lei quello che nei suoi tratti aveva ereditato dai genitori.
I capelli neri e lucidi erano come quelli materni, liberi in una lunga cascata sulle spalle. Il visino, rotondo, ancora infantile gli ricordava molto quello di Nun da piccolo. Elegante e piena la curva della bocca, anche se ancora acerba. Era destinata a diventare una vera bellezza, con le migliori qualità di entrambi.
La cosa più eccezionale erano gli occhi nocciola, di una sfumatura più chiara di quelli dei Talel, ma dalla stessa profonda intensità di tutte le donne della casa. Occhi che lo fissavano in attesa di una sua mossa, timorosi forse della ragione della sua venuta. Non aveva avuto torto Jethro nel dire che lei lo temeva, e ne conosceva anche la ragione. Lui non era fatto per donare il sorriso a chicchessia, soprattutto a una creatura così fragile.
Un giovane virgulto con molti anni davanti prima di diventare cosa era destinato a essere, e niente poteva anticipare cosa sarebbe stato di lei. Come le piante che lo scomparso imperatore sapeva abilmente usare e che da sempre aveva protetto dai due negligenti fratelli minori. Quando ancora ragazzi giocavano a rincorrersi nell'ampio giardino della loro dimora, era lui a chiedere loro di fare attenzione a non calpestare i teneri arboscelli; trovando sempre disattese le sue richieste.
Allora erano stati a loro volta ingenui, ora doveva saper fare di meglio con lei.
«Una lady non può impugnare un'arma, non una principessa», iniziò, quasi non sapesse come intavolare il discorso.
Gli occhi di lei si spalancarono, conscia di essere stata scoperta in fallo. Evitando di soffermarsi su questo, egli proseguì: «Eppure ci sono altri tipi di attività che potreste svolgere senza timore di macchiare il vostro lignaggio».
Fece alcuni passi nella stanza, mentre lei si scostava appena. Arrivò fino al tavolino, dove era qualche attimo prima e appoggiò l'involto che stava trasportando. Dopo una leggera esitazione, lei gli si accostò per vedere cosa conteneva.
Scostando il drappo viola, al suo interno c'era un arco di betulla, flessibile e maneggevole. Adatto all'inesperienza della piccola. Era un'arma pregevole, ma studiata per essere efficace. Vi era anche una faretra con dodici frecce al suo interno, di cui spuntavano solo le candide piume bianche.
Una mano si allungò oltre il braccio di Zohar per sfiorare la bianca penna. Tiphereth parve sorpresa sia dall'omaggio, che dalla morbidezza delle piume. Incoraggiata da un suo cenno, afferrò l'arco, trovandolo leggero. Nel legno erano incise le sue iniziali, quel regalo era stato pensato apposta per lei.
«Ci vuole disciplina per imparare qualcosa. Non si tratta di un passatempo che potrete dimenticare appena ne sarete annoiata».
La principessa strinse le labbra, ma poi un lieve sorriso increspò gli angoli della sua bocca.
«Mi impegnerò a fondo nell'imparare questa arte».
«Comincerete appena possibile. Il vostro insegnante sarà il comandante Yachin, lo avrete già incontrato immagino».
«L'imperatrice lo ha messo a capo delle guardie per la nostra sicurezza. L'altro ieri era in cortile mentre il maestro d'armi istruiva mio cugino».
La bambina che gli stava accanto non era la stessa che giocava con suo fratello quando andava a trovarlo e neanche quella che lottava per impedire alle lacrime di sgorgare il giorno del suo funerale. Aveva davanti agli occhi una crisalide contenente una farfalla che ogni giorno faceva del suo meglio per sopravvivere.
«Questo semplifica molto le cose. Avviserò anche vostra madre del nuovo impegno che vi siete assunta».
Non trovando altro da dire le fece un cenno alla principessa, intenzionato a lasciare le sue stanze e trovare subito il comandante.
«Grazie zio».
Quel commiato non era corretto secondo il protocollo che tutti loro dovevano seguire, eppure lo rese soddisfatto del gesto appena compiuto. Quel giorno entrambi avevano ricevuto un dono: un appellativo mai usato nei suoi confronti, lui; un nuovo motivo per lottare, lei.
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