Capitolo 9: Sorprese (parte 1)
Non riesco ancora a credere di aver accettato, anche se in realtà non mi è mai stato davvero proposto, al solito è tutta colpa di Rebecca e delle sue trovate assurde... non le bastava flirtare con gli sguardi, doveva per forza organizzare una cena tutti insieme – io, lei, Lui e l'amico, perché non poteva permettere che qualcuno si ritrovasse a fare il terzo incomodo –; è quando ha certe idee (discutibilmente) geniali che vorrei fingere di non conoscere la mia migliore amica, solo che è una strategia un po' difficile da mettere in pratica se fino a poco prima confabuliamo insieme con il sorriso sulle labbra, senza contare che mi ha anche tenuta a braccetto per tutta la discussione, consapevole che se mi avesse mollata io me ne sarei andata senza pensarci due volte.
Guardo il disordine in cui versa la mia stanza: vestiti tirati fuori dall'armadio e sparpagliati tra letto, sedie e pavimento, trousse aperta e vuota poiché il suo contenuto è in bella mostra sulla scrivania, ancora ricoperta dai libri su cui studiavo fino a poco prima, e poi ci sono io, con vestito ancora da indossare, capelli ancora da piastrare e trucco ancora da decidere. Mentre cerco di organizzare le mie priorità e fingo di ignorare il fatto che per arrivare al luogo dell'appuntamento puntuale dovrei scendere ora, ricordo al dannatissimo momento in cui mi sono lasciata coinvolgere. Pensare che andava così bene fino a quando Reb Lo odiava...
2 giorni fa... il martedì delle sorprese imprevedibili
Salgo le scale di corsa o almeno ci provo, considerando il peso sulla schiena. La prima ora del martedì c'è di nuovo l'intransigente professoressa di matematica che di sicuro si sarà ripresa dall'"incantesimo" di ieri e oggi mi farà una ramanzina per il ritardo; non è mai capitato che si assentasse, posso al massimo sperare che sia troppo assorta nella spiegazione per accorgersi di un'alunna entrata quindici minuti dopo, anche se dovrebbe vedermi per segnarmi presente... Sono con le spalle al muro e rimpiango di aver fatto le ore piccole per leggere il libro che mi ha regalato Reb, mi ero ripromessa di dare giusto una sbirciata al primo capitolo e invece avevo letto un quarto del romanzo prima di rendermi conto dell'orario tardo, poi stamattina la sveglia è suonata puntuale ma a furia di rimandarla ogni volta di cinque minuti ho fatto tardi. Una simile situazione non si sarebbe mai verificata se la scuola fosse ancora vicino casa. Contenendo la rabbia che minaccia di farmi esplodere da un momento all'altro e che non saprei neanche io contro chi dirigere con esattezza, arrivo in classe. Forse avrei dovuto capirlo dalla porta ancora spalancata, non la lascia mai aperta quando fa lezione, ma ho pensato che se ne fosse semplicemente dimenticata; forse avrei dovuto capirlo dal tono di voce un po' troppo alto, ma ho pensato che stessero discutendo un qualche esercizio più complesso e la porta aperta non attutisse il vociare; forse avrei dovuto capirlo da questi dettagli, ma me ne accorgo solo quando entro in classe trafelata, saluto la cattedra e senza neanche guardarmi intorno mi dirigo al mio banco. Solo quando ho già estratto dallo zaino il quaderno e il portapastelli mi arrischio ad alzare lo sguardo... e non vedo nessuno.
«Fatto tardi oggi?» domanda Rebecca seduta al mio fianco, anche se, lo noto solo ora, non sulla sedia ma sul banco. La rabbia repressa per poco non mi fa rispondere «non lo vedi da te?» ma ovviamente lei non intendeva questo, vuole sapere la motivazione.
«Colpa tua» rispondo con un'occhiataccia, lei alza gli occhi al cielo, ma sorride, mostrando di aver capito che mi riferivo al suo molto apprezzato regalo.
«Comunque, io sarò anche in ritardo ma qualcuno non è proprio arrivato...» dico alludendo alla cattedra vuota davanti a noi.
«Non proprio...» dice Reb e mi fa segno di sporgermi un po', seguo il suggerimento e noto che sulla sedia è depositata un'inconfondibile borsa di pezza multicolore, dalla prospettiva che avevo prima non la vedevo, ma adesso che so che la professoressa si è presentata mi sto domandando dove sia, se fosse uscita solo per qualche minuto i miei compagni non sarebbero in piedi a parlare così rilassati, deve mancare da più tempo. Mi volto verso la mia amica per domandarglielo, ma lei mi mette un dito sulle labbra e dice: «So cosa vuoi sapere, ma questa è qualcosa che non si può spiegare, va vista...» dallo sguardo birichino capisco che stava aspettando di darmi questa notizia dal momento in cui sono entrata.
«Ebbene, vediamo» dichiaro mentre mi alzo per seguire la mia compagna fuori dalla classe.
La nostra aula è in fondo al corridoio, accanto al punto di incrocio con un altro in cui hanno messo il resto della nostra sezione. Reb si accosta all'angolo, in questo modo le voci dei due dialoganti arrivano e possiamo sporgerci per sbirciare. Prima di guardare mi metto in ascolto, nonostante la porta aperta e il brusio crescente dei nostri compagni, ho un buon udito quindi riesco a distinguere subito chi sta parlando, anche se non comprendo tutte le frasi, capisco che sono un uomo e una donna, entrambi sembrano familiari, sono...
«Il professor Smith e la professoressa Rizia!» esclama Rebecca quasi a voler confermare quello che io non riesco ancora a credere possibile, mi sono dovuta sporgere per assicurarmi di non essere stata ingannata dai rumori circostanti e quando sono tornata al fianco della mia amica la perplessità mi si doveva leggere in faccia per farla parlare a voce abbastanza alta da richiamare l'attenzione della nostra docente negligente o almeno lo avrebbe fatto in una qualsiasi altra occasione.
«Non posso credere che a lui piaccia quella vecchiaccia!» sbotto incrociando le braccia al petto, la situazione sentimentale di un nostro insegnante non è certo affar mio, ma non credevo che Lui fosse interessato alla donna matura, ma se proprio avessi sbagliato valutazione quantomeno poteva cercare una collega di età simile ma portata meglio. Mi sporgo un'altra volta per vedere come prosegue il loro colloquio: la professoressa mi da le spalle e la sua corporatura robusta mi copre la visuale del suo interlocutore, però li sento ridere e vedo lei sventolarsi con una mano, mentre tiene l'altra sul fianco in un atteggiamento che dovrebbe essere provocante. Decido di averne avuto abbastanza e desidero girare sui tacchi per tornare in classe.
«Anche se lei ci sta palesemente provando, ti assicuro che lui non ha alcuno interesse» dice Rebecca catturando la mia attenzione e facendomi distogliere lo sguardo dalla scena, è appoggiata al muro, ha le braccia incrociate e un atteggiamento serio, neanche mi stia per fare un'importante confessione. Ho già detto che non mi interessa la vita sentimentale dei professori? Reb sembra però molto interessata a chiarire l'argomento e a me non resta che ascoltare la sua spiegazione, quantomeno distrarrà la mente dal pensiero di quei due che ridono insieme nel corridoio affianco.
«Oggi la campanella è suonata un po' prima del solito, non abbiamo controllato l'orario e siamo saliti direttamente, ci siamo accorti dell'errore solo quando in classe non c'era la prof. Non ne abbiamo fatto un dramma, in fondo si trattava di cinque minuti, non è che cambiasse molto. Ben è arrivato mentre ero fuori la porta con Giusy, in realtà stava cercando te, ma quando gli ho detto che non c'eri ancora si è ricordato che anche io lavoravo alla recensione e ha comunicato a me la data della presentazione. Abbiamo visto la Rizia arrivare, Giusy era già rientrata, io me la stavo prendendo comoda perché avevo la giustificazione di star parlando con un professore, ma anche lui aveva la sua lezione da fare e stava per andarsene, non ci ho pensato e mi sono fatta scappare ad alta voce che speravo arrivassi presto dato che la prof odiava i ritardatari. Ben mi ha salutata e l'è andato incontro, sono ritirati a parlare lì da allora.»
Rebecca finisce il suo racconto e io rimango allibita perché non può davvero essere successo quello che lei sta insinuando sia successo, perché se così fosse... non riesco a pensare lucidamente, ho sempre più bisogno di tornare al mio banco. Mi sporgo un'ultima volta, solo per controllare che stiano ancora parlando e abbiamo sufficiente tempo di rientrare senza essere beccate, solo che la Rizia si sposta e mi libera la visuale sul professore, lui ha lo sguardo basso perché sta ridendo, ma poi lo alza e mi vede. Per un attimo sembra perplesso ma poi vede anche Rebecca che, abbandonata ogni premura, mi ha affiancata mettendosi in mezzo al corridoio, la mia amica cerca di comunicargli con la mimica che sono arrivati tutti. Lui annuisce e sorride, lo stesso sorriso che ho visto ieri mattina e che mi aveva quasi convinto a concedergli una seconda opportunità. La Rizia probabilmente crederà che sia rivolto a lei e scommetto che starà arrossendo. Rebecca forse si illuderà, vedendo che è rivolto in questa direzione, di averlo così colpito alla scorsa lezione da farselo dedicare. Io però so che è una questione tra me e lui, la destinataria sono io.
È adorabile e affascinante, non lo nego, ma non è abbastanza. Torniamo in classe dopo aver visto il professor Smith congedarsi dalla Rizia con un baciamano. Il resto dell'ora passa rapidamente: la professoressa ha la testa tra le nuvole e non presta attenzione agli alunni e anche io ho i miei pensieri tra cui perdermi. Rebecca capisce che non sono dell'umore di fare conversazione e non mi rivolge la parola per le due ore successive. Poi suona la campanella per l'intervallo. Non voglio andare a vagare per il corridoio, ma ho bisogno del bagno, così prendo fazzoletti dalla cartella ed esco. Appena metto piede fuori però vorrei tornare immediatamente indietro e lo farei se non sembrassi una folle che cammina in tondo, anche se con tutta la confusione che c'è dubbio che qualcuno si accorgerebbe di me, tranne ovviamente Lui, che mi ha già notata. Sto pensando di tornare a sedermi, ma non posso lasciare che la sua presenza mi impedisca di raggiungere la mia meta. Lui finisce di sistemare fogli nel registro e si allontana dalla finestra a cui si era appoggiato, io devo raggiungere la porta dall'altro lato, ci scontriamo a metà strada. Non è una delle botte che prendo quando urto Tommaso, anzi in realtà non ci tocchiamo proprio, ci fermiamo entrambi prima e restiamo immobili in mezzo al corridoio. Faccio un passo indietro per lasciarlo passare, anticipando la mossa certa che un galantuomo come lui avrebbe fatto. Per un attimo sembra perplesso dal mio gesto, poi però riprende a camminare. Passandomi accanto mormora una frase che sento chiaramente: «La prossima volta cerca di arrivare puntuale, non credo di poter sopportare un altro interrogatorio su quale sia il mio dolce casalingo preferito o il numero ideale di gatti, né tanto meno di essere in grado di trovare ancora scuse educate per declinare quei troppo insistenti inviti a cena...» la sua immagine da perfetto gentiluomo sbiadisce per un attimo quando trema al solo pensiero del pasto «...anzi credo di non tollerare proprio quella donna.»
Stavolta sono io a sorridere mentre lo vedo allontanarsi «Grazie di tutto... Ben» l'ho solo mormorato, ma da come vedo incurvarsi all'insù gli angoli delle sue labbra sono convinta che mi abbia sentito.
La rabbia che provo da questa mattina è svanita, forse dopotutto la sua "aura calmante" non è così male.
Le ultime due lezioni passano più velocemente ora che la voglia di strozzare qualcuno è sparita. Non ho rivisto Ben, probabilmente aveva finito quando ci siamo incontrati prima, ma sono felice così. All'uscita il sole splende e quasi mi sembra di sentire gli uccelli cantare. Rebecca continua a lamentarsi del tremendo orario che ci hanno affibbiato, ma ha il sorriso sulle labbra, dopotutto il rientro non è stato così traumatico come vuole far credere. Sta commentando le orribili nuove scarpe che tutti quanti sembrano possedere, quando di colpo si blocca. Ammetto di non essermi applicata a seguire tutta la spiegazione del perché quel modello andrebbe ritirato dal mercato, ma la sua interruzione improvvisa mi ha sorpresa.
«Tu!» esclama di colpo puntando il dito, guardo nella direzione che sta indicando e vedo Tommaso e Carlo, ovvio avrei dovuto immaginare che si trattava di loro due.
«Ci rincontriamo» Tommaso sorride affabile mentre ci avviciniamo loro. Infilo le mani nelle tasche del jeans cercando qualcosa da fare che non sia portare avanti una conversazione con questi antipatici. Sto facendo vagare lo sguardo intorno e per poco non mi perdo la scena: Rebecca inciampa e cada addosso a Tommaso, lui però ci stava osservando quindi riesce ad acchiapparla al volo, senza che succeda uno dei terribili scontri che di solito accadono tra me e lui, anche se conoscendo la mia amica non mi meraviglierei che avesse calcolato tutto alla precisione per finirgli tra le braccia, probabilmente ora gli sbatterà le ciglia e dirà una frase finto costernata del tipo:
«Ma come, non mi dici che devo chiedere scusa?» al contrario di ogni mia aspettativa Reb è tornata subito in piedi, ho la sensazione che la scena fosse sì premeditata ma non per la ragione che credevo io.
«Oh, ti prego non dirmi che l'ho detto ad alta voce!» stavolta la frase è rivolta a Carlo, Rebecca ha le braccia incrociate e sta fissando i due ragazzi con uno sguardo di fuoco che non ha niente da invidiare ai suoi capelli. Realizzo che è tutta colpa mia quando ormai si sta già allontanando: quando ieri le ho raccontato quello che era davvero successo ai magnifici incontri con gli universitari, Rebecca non ha mostrato alcun tipo di reazione, non mi sarei mai aspettata che oggi succedesse questo, non so se adorare la mia amica perché mi spalleggia in ogni momento oppure temerla per questo suo nuovo lato vendicativo. Reb non si volta indietro neanche per controllare che io la stia seguendo, io però faccio entrambe le cose, la affianco e mi giro anche a lanciare uno sguardo di scuse ai due: Carlo sembra non aver ancora capito cosa sia appena successo, Tommaso invece ha uno sguardo affilato e mi scruta incuriosito, quasi domandandosi a che gioco stia giocando, il problema è che non lo so neanche io.
- Prossimo capitolo: Sorprese (parte 2) -
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