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Capitolo 39: La fiamma e la falena

«Domani si ricomincia, carica?» s'interessa Tommaso quando vede che ho riposto nella cartellina il tema appena concluso.

«Sì» asserisco con decisione. Questo mesetto di vacanza mi ha offerto la possibilità di visitare i mercatini invernali di differenti pianeti - o meglio, Tommaso mi ha portata in giro in luoghi che riteneva sicuri e caratteristici - ma è tempo di ritornare alla solita routine.

«Bene, perché è arrivato un pacchetto per te.» Per un attimo credo che sia qualche regalo natalizio in ritardo, oppure che lui me ne abbia fatto un altro, ma appena vedo la sua espressione seria capisco che sono nel torto. «In realtà è arrivato qualche giorno fa, ma ho riconosciuto il blasone e ho pensato di farti godere con calma la fine delle vacanze.»

Dovrei essere arrabbiata perché ha requisito la mia corrispondenza, ma il tono grave mi fa solo preoccupare.

Tommaso mi porge un parallelepipedo rosso che entra in una mano, chiuso da nastri arancioni e con al centro un elegante stemma. Sfioro la carta lucida percorrendo con il polpastrello i contorni della figura in filigrana, una falena ad ali chiuse al centro di una fiammata, e l'iscrizione riportata sotto, IGNIS IGNEM INVOCAT. Temo di sapere chi sia il mittente e avrei preferito non ricevere affatto il misterioso dono, ma Tommaso ha fatto bene a darmelo alla fine altrimenti mi sarei trovata impreparata quando lo avrei rincontrato.

Un lieve tremito scuote le mie dita quando faccio scivolare il nastro via dagli angoli del quadrato e provo a strappare la carta, che non cede. Tommaso mi dice che la devo bruciare, ma non riesco a generare neanche una fiammella, quindi accorre in mio soccorso, prendendo per un attimo la scatolina, quando ha finito me la restituisce senza una parola.

La confezione nuda è sempre scarlatta con sempre l'incisione arancione lucida. Con riluttanza sollevo il coperchio, rivelando, accomodata su un cuscinetto rosso, una falena dorata ad ali spiegate, le ali sono modellate con l'oro ma il corpo è una gigantesca goccia di rubino. Il metallo e la pietra sono tiepidi al tatto e, studiandola, mi accorgo che si tratta di una spilla.

Tommaso si avvicina per sbirciare il contenuto e s'irrigidisce quando lo riconosce. «Richiudilo e buttalo da qualche parte, di certo non la metterai» comanda inacidito.

«Sono abbastanza sicura che non sia il genere di regalo che si può prendere e buttare» controbatto a tono.

Tommaso serra la mascella. «Sì che lo puoi fare, a meno che io non abbia travisato i segnali e in realtà tu non voglia sposare Jurian.»

Dopo il ballo, ci siamo riavvicinati ma non ho mai ceduto alla tentazione di assaggiare le sue labbra perché ci sono già momenti in cui come amico lo vorrei strozzare, non oso immaginare come fidanzato.

«Non eri tu quello intelligentissimo?» lo accuso, ma me ne pento subito. «No, senti, non volevo scattare così, solo... Come ti viene in mente che voglia sposare quello?»

«No, hai ragione tu, solo che...» lascia la frase in sospeso e ne comincia un'altra: «Te la manda la famiglia del tuo focoso cavaliere, è praticamente una proposta di matrimonio, molto più invasiva di un anello secondo il mio parere.» Un sorrisetto malvagio gli incurva le labbra prima che prosegua. «Sempre secondo il mio parere, è molto patetico farti inviare la proposta dai familiari e non essere abbastanza uomo da fartela in persona.» Non ha senso, non ci siamo lasciati in buoni rapporti la sera della festa e da allora non ci siamo più incrociati, perché dovrebbe chiedermi di sposarlo? «Anche se, sempre secondo il mio parere, è altamente probabile che il poverino neanche lo sappia che la famiglia gli sta organizzando le nozze. Non sono adorabili i genitori che si preoccupano del futuro dei figli?»

Non mi prendo la briga di commentare il suo sarcasmo, preferendo piuttosto studiare la pregiata fattura del cimelio.

«Non la posso tenere e rivendermela? Secondo me, vale una fortuna...» scherzo, cercando un lato positivo nell'assurda faccenda, Tommaso, però, lo interpreta un po' troppo sul serio.

«Non è il genere di gioiello che puoi abbandonare da un rigattiere, è magico e donato dalla famiglia reale di Piryntia ad una persona in particolare, puoi rispedirlo indietro, ma nel momento in cui provi a cederlo a qualcuno di estraneo si fonde.»

«Avevo capito che Jurian fosse un metaforico principe...»

«Tecnicamente sì, ma quando la vera famiglia reale è stata... deposta, diciamo così... il padre ricopriva la carica di Arciduca, divenendo quindi l'uomo più potente del pianeta.»

«Quindi la devo rispedire indietro... Sai l'indirizzo?»

«Non è necessario scomodarsi, basta che non la indossi, il messaggio arriverà chiaro e manderanno loro qualcuno a riprendersela.»

«Non posso neanche provarla per vedere come mi sta?»

«Così che ti resti attaccata alla pelle? ... Sto scherzando, non fare così! Basta che non ti faccia vedere in pubblico, ma puoi provarla. Vuoi una mano a metterla?»

«No, faccio da sola.» Prendo la spilla e lancio la scatola sul divano, mi dirigo in camera mia per vedermi allo specchio. Tommaso mi segue di volata ma resta impietrito sulla soglia quando mi vede appuntarmi e sistemarmi la regalia e assumere varie pose nell'armadio. Non starò dimostrando il massimo dell'eleganza, ma sto giocando, me la toglierò tra qualche istante per non correre rischi, non c'è bisogno si agiti tanto.

«Non ti sei ustionata?» principia incerto, avanzando nella mia direzione. «Non ti ha dato fastidio stringerla in mano più di pochi secondi?»

«No, all'inizio ho avvertito un formicolio, ma si è attenuato subito» spiego sotto il suo sguardo allibito.

«È strano, è incantata affinché venga indossata subito, solo qualcuno con un alta resistenza al fuoco può tenerla per tanto tempo a contatto con la pelle.» Si avvicina per studiarmi meglio. «Non l'hai neanche messa su una giacca. Mi sta venendo un dubbio...» Senza spiegare altro mi afferra per un polso e mi riporta nel salotto, si guarda intorno finché non trova una candela e la va a prendere, accendendola con un soffio. «Metti la mano qua sopra» dice, avvicinandomi la candela.

«Che stai facendo?»

«Voglio dimostrare una teoria. Secondo me, fai parte di quei pochi maghi del fuoco tanto resistenti da essere totalmente ignifughi.»

«Mi dispiace contraddirti, ma mi sono scottata in passato, bastava che me lo chiedessi e te lo avrei detto.»

«Ma era prima! Prima di iniziare ad allenare i tuoi poteri, forse non ci hai fatto caso, magari si attiva solo se sei davvero in pericolo.» Prima che possa controbattere mi riafferra il polso e avvicina lo stoppino.

Sento la fiamma lambire la pelle e tiro per ritrarmi, ma Tommaso mi trattiene. Insiste fino a quando non urlo e un lieve odore di carne bruciata si propaga nella stanza. Solo allora desiste e spegne la candela con aria affranta.

«No, pare proprio che tu non sia ignifuga.» Sento le lacrime pizzicarmi gli occhi, non le trattengo anche se non risolveranno niente. Non reprimo neanche il singhiozzo strozzato che lascia la mia gola e questo Tommaso lo sente. «Hai ragione, scusa, avrei dovuto farlo come prima cosa, metti la mano sotto l'acqua fredda, vado a recuperare una pozione che te la sistemi.»

«Non ne avrei avuto bisogno se tu mi avessi ascoltata!» sbraito di fronte alla calma con cui crede di rimettere tutto a posto.

Tommaso non capisce. «D'accordo, avevi ragione tu ed io torto, è questo che volevi sentirti dire, no? Però, almeno adesso sai che devi fare attenzione al fuoco.»

«Lo sapevo anche prima!»

«No, prima c'era la possibilità contraria, avresti potuto correre rischi fatali, con un piccolo incidente di percorso adesso, invece, abbiamo la certezza che presterai attenzione.» Mi sorride radioso, con uno scintillio divertito negli occhi smeraldo.

Non capisce, realizzo di colpo, non capisce, crede che basterà una pozione per tornare in pochi attimi come prima e non dubito che sia vero per l'ustione alla mano, ma non capisce.

Tommaso si accorge la mia espressione furiosa non si è addolcita e inizia a intuire che qualcosa non va. «Tutto bene? Devi metterla sotto l'acqua fredda, l'unguento sistemerà tutto, non è necessario che tu soffra inutilmente.» Avanza di un passo, forse per riprendermi il polso e forzarmelo sotto l'acqua fredda.

«Sta' indietro!» Indietreggio, avvicinandomi alla porta. Dovrei seguire il consiglio, ma non ce la faccio a stargli intorno, se esiste questo unguento miracoloso qualcun altro sicuro lo conosce... Rebecca! Sicuro tra le prime spiegazioni all'Eroina ci sarà stata come curarsi.

«Lara, ti prego, non essere avventata, non vorrei mai che ti accadesse qualcosa di male...»

«Sta' indietro» ripeto «o ti friggo il cervello.» Che minaccia patetica, sappiamo entrambi che non lo farò mai.

Tommaso alza le mani, mostrandomi i palmi. «Per quanto apprezzi la tua combattività, non ne saresti capace, fidati, fatti curare e poi ti porto a cena fuori per vedere un altro po' di universo prima che ricomincino gli impegni scolastici.» Avanza.

«Sta' indietro!» urlo ancora una volta, probabilmente a voce davvero alta perché Tommaso si porta le mani alle orecchie e serra gli occhi. Approfitto di quell'istante di distrazione per infilare la porta, chiudermela alle spalle e lanciarmi nel corridoio vuoto.

Affrettandomi nel corridoio, avverto qualcosa sbattere contro il cuore e mi ricordo della spilla, la sfilo, usando solo la mano sana è difficile ma ci riesco, e la tengo stretta nel pugno mentre raggiungo il piano con la camera di Reb.

Le lacrime mi annebbiano la vista, ma non riesco a scacciarle. Per fortuna non incontro nessuno, almeno fino a quando, scendendo l'ultima rampa di scale, percepisco dei rumori di passi in avvicinamento. Mi irrigidisco di colpo e fingo di studiare la parete affrescata, dando così le spalle alla persona misteriosa e sperando che passi oltre senza degnarmi di una seconda occhiata. Non sono così fortunata, nel momento in cui l'intruso gira l'angolo, il suono di passi si ferma.

«Lara? Tutto bene?» I passi riprendono, si avvicinano a me, fermandosi a breve distanza. Perché proprio lui? Vorrà sapere cos'è successo, chi è stato, e finirà malissimo.

«Rebecca è in camera?» Mi trema la voce e mi sfugge un singhiozzo traditore.

Ben inspira prima di parlare. «Sì. Non devi rispondere, ma vorrei davvero sapere cos'hai, mi fai preoccupare. Posso fare qualcosa per aiutarti?» Il tono è dolce e conciliatorio e rassicurante e... e io mi spezzo. Le lacrime non scendono più silenziose e mi giro per lasciargli valutare le mie condizioni, sia quel che sia. Rebecca magari sapeva come aiutarmi, ma altrettanto probabilmente è da lui che sarebbe andata, meglio risparmiare tempo.

«Dio!» si lascia sfuggire Ben alla vista della carne arrossata, prova a toccarmi per quantificare meglio il danno ma si ritrae subito. «Ho preso la scossa» giustifica il brusco allontanamento e non lo biasimo, persino i miei capelli sono elettrizzati dalla corsa di poco prima. «Ce la fai a camminare ancora un po'? In stanza ho quello che ci serve» dice, precipitandosi lungo il corridoio. Apprezzo che non abbia provato a trascinarmi, né chiesto chi fosse il colpevole, non oso sperare che scamperò del tutto all'interrogatorio, ma almeno è stato rimandato a quando starò meglio.

Mi affretto dietro di lui perché non vorrei rischiare di perderlo, dato che la mia vista è ancora appannata. Ben mi ha tenuto la porta aperta, non appena sono entrata me l'ha chiusa alle spalle. Tengo lo sguardo basso e serro i denti, cercando di attenuare il dolore.

Ben si avvicina e le sue mani entrano nel mio campo visivo. «Posso?» Gli do il permesso, non m'importa di sapere a cosa. Ben mi copre la mano con le sue e avverto un tepore propagarsi da lì al resto del corpo. Quando mi lascia andare, la mano è guarita, i miei occhi sono asciutti e persino i capelli sono tornati in ordine. «Meglio?» Annuisco sconcertata, sono sicura che non abbia spalmato nessun unguento. «Ne vuoi parlare?» Scuoto la testa, non fa ulteriori pressioni. «Vuoi restare?» Stavolta esito, cambia domanda: «Posso offrirti un te?» Sì, questo sì. Annuisco ancora una volta.

Mi indica il divano in pelle marrone e mi dirigo a sedermici sopra, Ben mi resta al fianco per assicurarsi che non cada, gli sono grata che non provi a sorreggermi. Mi accomodo sul bordo, Ben non commenta, si limita a prendere un bollitore e riempirlo d'acqua. Studiare i suoi movimenti calmi, mi calma di rimando; non gli stacco gli occhi di dosso mentre prende da un mobile due piattini e li pone sul tavolino in legno davanti al divano, poi le tazze, poi i cucchiaini, la zuccheriera, e il resto, uno dopo l'altro, anche se avrebbe potuto portare più cose insieme fa più movimenti così da lasciarmi concentrare su qualcosa di meccanico che non mi turbi. Quando ha finito, l'acqua bolle e lui la versa nelle tazze con la bustina dentro, mi ha offerto un libro con varie bustine tra cui scegliere e ho optato per un tè nero.

Ben capovolge una piccola clessidra per tenere il tempo, poi si siede anche lui, non accanto a me, ma sull'altro divano vicino a questo, sul lato più vicino al mio. Sento il suo sguardo su di me, ma non riesco a reggerlo, quindi lascio vagare il mio per la stanza. Studiando la disposizione delle porte, mi rendo conto che è sottostante a quella di Tommaso, ma l'arredamento la fa sembrare più piccola; a differenza di quella del corvino, che è diventata meno asettica solo da quando ho iniziato ad arredarla io, questa è una stanza vissuta, librerie in mogano coprono le pareti e traboccano di libri di tutte le forme e dimensioni, alcuni sembrano parecchio antichi, ma ciò non gli ha risparmiato di finire accatastati su altri più recenti e abbandonati sul pavimento.

«Scusa il disordine, di solito ricevo in ufficio e non mi preoccupo di rendere questo posto più vivibile dell'indispensabile.» Si stringe nelle spalle e poi toglie le bustine dalle tazze, lasciandole sgocciolare in un altro piattino. «Latte, miele... limone?» Scuoto la testa, vorrei ringraziarlo, vorrei rispondere a parole, ma non riesco neanche ad aprire la bocca. «So io cosa ci vuole...» dice criptico, con un sorriso divertito estrae dall'interno della giacca una fiaschetta argentata e la svita, avvicinandola alla mia tazza, su cui porto una mano sopra, lanciandogli un'occhiataccia di sfida. Può avere le migliori delle intenzioni, ma ho avuto già troppe brutte sorprese per oggi.

«Zucchero» gli dico per spostare l'attenzione, mi aspettavo che la voce tremasse, invece è uscita solida «per favore.»

«Ai suoi ordini, quanti cucchiaini?» Alzo quattro dita. «Siamo tornati al silenzio?» indaga, riponendo la fiaschetta nella giacca.

«Quattro, per favore.»

«Suppongo che potrò concederti di martoriare quel povero tè, date le circostanze» si lamenta, riempiendo il cucchiaino per quattro volte. Nel suo versa del latte freddo. Apre anche la scatola di biscotti in latta e me la offre. Studio il contenuto e ne prendo uno al cioccolato con gocce di cioccolata. «Ovviamente» commenta Ben roteando gli occhi, prima di servirsene uno bianco alla marmellata.

«Ovviamente» gli faccio il verso e non trattiene un sorriso.

Restiamo in silenzio per un po', sorseggiando tè e sgranocchiando biscotti, ma non è imbarazzante, anzi, vorrei che avessimo avuto modo di farlo in un'occasione più lieta. Quando ho finito la tazza e vedo che sta mettendo su il bollitore per un altro giro, rompo il silenzio: «Mi dovresti passare un po' del tuo unguento miracoloso, così la prossima volta che un incantesimo mi si ritorce contro la gestirò con più calma.»

Ben mi guarda serio, ma alla fine si addolcisce. «Non posso fare rapporto senza una tua denuncia, ti chiedo di pensarci bene, oggi è andata così, la prossima volta potrebbe...» essere l'ultima? No, la situazione ci è sfuggita di mano, ma non siamo a un punto tanto critico.

«La prossima volta potrebbe accadere come non accadere, gli incidenti sono imprevedibili.»

Ben riempie le tazze e rigira la clessidra, risiedendosi. «Non posso darti l'unguento.» Va bene, non lo facevo così possessivo, ma va bene. «Non esiste, era magia con cui ti ho guarita, non te la posso neanche insegnare perché sono l'unico a poterla praticare. È il motivo per cui non potevo restare fuori e ti ho dovuta portare qui, anche se nessuno studente ci è mai entrato. Non so quanto l'Incantatore ti abbia detto, ma forse hai sentito la storia della battaglia finale tra Bene e Male incarnati...» Annuisco, incerta sul perché mi stia dicendo ciò, forse crede che aprendosi con me poi io mi aprirò con lui. «Io sono il Bene, è il mio potere far sentire bene gli altri, ad esempio il mio cosiddetto "fascino" sono ferormoni che mettono le persone a loro agio, rendendole più ben disposte nei miei confronti.»

È per questo che riusciva ad imporsi senza alzare la voce. Le implicazioni di questa rivelazione sono tantissime e credo che il mio cervello vada in tilt perché l'unica cosa che riesco a dire è «Bene-Ben, ha senso» e scoppio in una risata isterica. Ben sgrana gli occhi e cerca di capire cosa mi prenda, perché nessuno capisce? Come fa il Bene ad essere così grigio? Se può semplicemente persuadere con la magia, ha mai avuto un rapporto consensuale? Ha mai avuto davvero ragione su qualcosa? Senza bisogno di dare voce ai miei dubbi, la risposta che riceverò mi appare lampante: «Il Bene è Bene, tutto può essere fatto in nome del Bene Superiore, per sconfiggere il Male.» Pertanto, rinuncio a chiedere e ripiego sullo spiegare il gioco di parole all'inglese: «In italiano "bene" si dice b-e-n-e, con una "e" in più dopo il tuo nomignolo.» Ben annuisce e abbozza una risatina, probabilmente trovandolo divertente ma non abbastanza da spiegarsi la mia risata ossessiva di poco fa.

Ben continua a osservarmi, in attesa che gli dia occasione di saltare alla gola di Tommaso, ma io mi limito a studiare i dorsi dei libri consunti per carpire qualche titolo, rigirando la spilla che ho ancora in mano.

«Cos'hai lì?» domanda, accorgendosi del movimento continuo. Apro il palmo e lascio che studi il gioiello. Ben emettete un fischio. «Ah, però, sei diventata una persona importante. "Servizio reso alla corona di fuoco", eh? Già immagino l'aria trionfa con cui lo sbatterai in faccia a una certa pesciolina domani.» Ben cerca di assumere un tono complice per alleggerire la conversazione e non farmi sentire forzata a dargli quell'informazione.

«Sarebbe divertente, sì, ma non la indosserò, in realtà è stato un errore che l'avessi anche adesso.»

L'espressione giocosa di Ben muore e il suo incarnato perde qualche tonalità. «Che vuol dire che non la indosserai? Sei impazzita? So che non hai una conoscenza delle casate magiche, ma non puoi offendere in questo modo gli Ignatus!»

«Beh, se ne faranno una ragione» sibilo «perché non intendo sposare il loro figlioletto.»

«Cosa?» Adesso è perplesso. «Ti ha chiesto di sposarlo?»

«Non di persona, è stato un codardo e mi ha spedito questa» dicendo ciò gli sbatto davanti al viso la spilla.

D'un tratto Ben si fa serio. «C'era un biglietto o qualcosa di scritto?»

«No, solo questa, ma ha un significato preciso.»

«Chi te l'ha detto?»

«L'Incantatore.» Non sono una stupida, non sarò cresciuta nel mondo magico ma qualcosa l'ho imparata, mi ha fatta infervorare e ho risposto di getto, solo adesso mi mordo la lingua temendo che fosse un trucco per incastrare Tommaso, ripercorro la conversazione cercando il punto in cui l'ho venduto.

«Dovevo immaginarlo... Ascolta, prima di tutto, continuerò a non far niente sul fronte ustione, ma a giudicare da come tieni la spilla ho un'idea abbastanza precisa di come possa essersi svolta la vicenda che però non ti chiederò di confermare. Seconda cosa, non ti devi fidare di ciò che dice l'Incantatore, la maggior parte delle volte perché mente, ma in questo particolare caso perché è disinformato.» Tommaso non mente tanto quanto sostiene Ben, ma m'incuriosisce la possibilità di un errore. «Il significato di "proposta di matrimonio" quella spilla lo aveva tempo fa, perché veniva conferita a chi dimostrava un valore tanto elevato da poter... perpetuare la specie con i reali. Col tempo, quando erano in così tanti a meritare un riconoscimento e magari mancava un erede al trono, ha solo assunto il significato di "medaglia al valore". Tipico dell'Incantatore fermarsi alle sue conoscenze retrograde e non considerare che nei secoli si siano evolute.»

«Quindi la posso indossare senza problemi, come faccio a sapere che non siano tornati al vecchio significato?»

«Perché gli Ignatus sono viceré, governano in attesa che il legittimo sovrano atteso dal popolo tutto reclami il trono, non oserebbero disfare una tradizione e far assumere un ruolo diverso a un gioiello che viene dal Tesoro della Corona, scoppierebbe una rivolta che li deporrebbe e metterebbe al potere un'altra casata che rispetterebbe il volere reale. Dato che il legittimo erede non tornerà mai, non rischierebbero tutto per, senza offesa, te.»

«Capisco...»

«Inoltre, per quanto non escludo che una proposta ufficiale potrebbe arrivare e che questo sia solo il primo passo per dissuadere altri possibili pretendenti, hai davvero reso un servigio di valore alla corona che meritava di essere premiato.»

«Sarebbe?» Quando ho trattato Jurian come un burattino? Quando l'ho fatto minacciare? Sono davvero curiosa.

«Sei andata al ballo con il loro pupillo.» Ben guarda la mia espressione confusa e capisce di dover specificare: «Il che vuol dire che lui non è andato con la maga dell'acqua.»

«Ma è stato Tommaso a...» mi blocco, riconoscendo l'errore.

Ben sospira, ma non m'incalza. «Perché non sono troppo sorpreso? Comunque, non dubito che l'Incantatore abbia fatto in modo che giungesse voce che sia stata tu a fargli cambiare idea, non importa se lui l'ha minacciato, alla fine è tutto partito da te, anche se ammetto che non mi sia ancora chiaro come, ma non m'interessa.» Sento le guance andare a fuoco. «Fatto sta che dopo quella sera, probabilmente questo non lo sapevi, lui e Vandine hanno rotto. Ed è merito tuo. Hai reso un servigio alla Corona, o quantomeno a un Suo stretto rappresentante, e ora la Corona è in debito con te. Quello è un molto elegante "pagherò", la puoi mettere così.»

«Utile, non credo mi capiterà mai di riscuotere, ma utile, quello che non capisco è perché farne una, letteralmente, questione di stato. Nel loro miglior caso, è una cottarella adolescenziale e per la fine degli studi si sono lasciati, nel peggiore, Vandine è ricca e potente, non sarà simpaticissima, ma sono sicura che riuscirebbe ad abbindolare nobili vari, questo conta, no?»

Ben scuote la testa. «Concordo che quella ragazza riuscirebbe a... raccogliere consensi, diciamo... se non fosse per un dettaglio importante che è il centro di tutto, resta una maga dell'acqua.»

«Quindi, cos'è, sono razzisti verso gli altri elementi?»

«Solo quelli che potrebbero legarsi al loro patrimonio genetico.»

Aggrotto le sopracciglia e inclino la testa. «Non ti seguo.»

«Hai studiato la genetica di Mendel, no?» Annuisco. «Gli elementi sono caratteri che possono essere dominanti o recessivi. L'acqua è dominante sul fuoco, capisci quindi il conflitto di avere l'attuale erede a un trono di fiamme che genererebbe futuri eredi con poteri acquatici. Non è Vandine il problema, è qualsiasi maga con un elemento diverso, credo che Jurian abbia iniziato la storia proprio perché dopo anni a seguire ciecamente i dogmi familiari volesse provare l'ebrezza della ribellione.»

Ben sorseggia il te. «I maghi del fuoco sono pochi anche per questo, il fuoco è recessivo a qualsiasi elemento quindi, in particolare i nobili, per conservare il potere spesso si accoppiano tra loro, con tutte le gravi conseguenze che ne derivano ma che tendono a... eliminare. Alcuni senza lignaggi importanti non si fanno problemi a scegliere all'infuori del parentado, ma la maggioranza non vuole rischiare. È il motivo per cui tu sei tanto preziosa ai loro occhi, sei solo una semplice terrestre, ma controlli il fuoco e hai mostrato interesse per loro figlio, sono più i vantaggi degli svantaggi.»

Mi servo un altro biscotto mentre elaboro le nuove informazioni. «In pratica, sono un cavallo da monta?»

«Un purosangue, se migliora la prospettiva.» Scuoto la testa ma ho un sorriso in viso. «Comunque, non proprio. Sì, sei speciale, sì, proveranno ripetutamente a comprarti, ma no, non sei unica, i genitori di Jurian non sono riusciti a dargli una sorellina come sarebbe stato loro desiderio, ma sono abbastanza sicuro che abbia una cuginetta... Puoi trarre le tue conclusioni.»

Mi va traverso il biscotto e inizio a tossire, Ben mi aiuta a bere dell'altro tè per mandarlo giù. «Direi che ho tratto le mie conclusioni» scherzo quando riesco di nuovo a parlare.

«Comunque si evolva quella faccenda, ti consiglio di concentrarti sul presente, pensa solo a mettere la spilla, assicurati che la vedano, assicurati che Jurian la veda, e sei a posto.»

«Quindi la devo proprio mettere?»

«Sì, se non vuoi che lo prendano come un affronto, non ti puoi permettere di metterteli contro.»

Annuisco, ma non sono davvero convinta. Se il fine ultimo è assicurarsi eredi in salute, la mossa più astuta sarebbe incastrarmi con una proposta luccicante che non saprei smascherare. Tommaso sembrava avere rapporti con gli Ignatus, forse ha riconosciuto il trucco perché più informato, forse dovrei dargli retta almeno su quello, anche se sul resto aveva torto.

«Vuoi un'altra tazza di tè?» domanda Ben per spezzare il silenzio in cui sono sprofondata. Sollevo gli occhi dal fondo rosso della tazza e incrocio i suoi, mi perdo in quelle sfumature di blu screziate d'oro. Ho bisogno di un terzo parere, qualcuno imparziale e disponibile ad aiutarmi, mi serve un punto di vista femminile. Ma dopo.

«Sì, grazie.»


~Secondo voi, chi ha ragione? Qual è il vero significato della spilla? Cosa dovrebbe fare Lara, indossarla o buttarla?~

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