Capitolo 26: Termine ultimo (1)
~Aesthetic: Rebecca Marrineti~
È trascorso un mese dall'inizio delle lezioni. Superata la sorpresa iniziale, persino trasformare un fiore in frutto con poche gocce diventa normale amministrazione. La vita scorre frenetica ma lineare e avvenimenti sconcertanti come quelli della prima settimana non si sono riproposti: se il giorno seguente l'incidente tutti sono stati sorpresi dal nuovo cortissimo caschetto sfoggiato da Vandine, poche ore ed era già storia vecchia. Avrei voluto che l'accaduto le pesasse di più, ma il non farne menzione ha quantomeno accantonato i sospetti su di me e il rancore generale nei confronti delle terrestri. Non la considero una vittoria, ma neanche una sconfitta, del resto non è stato il peggio che mi è capitato in questi ultimi trenta giorni. No, quello è avvenuto il sabato successivo all'inizio dei corsi quando Rebecca è uscita presto e non è rientrata prima di domenica sera, lasciandomi sola senza spiegazioni. Alla fine non è occorso che dicesse niente, avevo già intuito il motivo e ne ho avuto conferma quando non mi è sfuggito come il professorino abbia evitato di restare solo con me e trascorso intere giornate con lei per le successive quattro settimane. Nonostante sia capitato di incontrarci - condivido ancora la stanza con la mia migliore amica - non sono stata degnata di uno straccio di scusa, né chiarimento, ignoro ancora quale sia l'effettivo ruolo dell'eroina, che cosa impegni la mia amica d'infanzia e come in tutto ciò rientri il picnic nel roseto.
L'unica ragione per cui non ho mollato è Tommaso. Sabato sera ha bussato, quando sono andata ad aprire ha notato i miei gonfi occhi arrossati ma non ha fatto commenti - allo stesso modo, non ho indugiato sul contorno violaceo del suo occhio sinistro - mi ha solo dato una tavoletta di cioccolato alle nocciole prima di sparire. Il giorno dopo è ricomparso, esordendo con: «Siamo entrambi liberi, motivo per cui oggi sorbirai la mia presenza che ti porta in esplorazione e ti salva dal cibo della mensa.»
Ho accettato per riflesso, dal suo tono sembrava un'imposizione più che una proposta, ma riflettendoci era certo che se avessi rifiutato non avrebbe insistito; ho imparato a conoscerlo e lo stesso vale al contrario: era cosciente che mi occorreva una spinta forte per trascinarmi fuori dallo stato comatoso in cui ero sprofondata.
«È un appuntamento?» ho chiesto con un sorriso tirato, con l'unica intenzione di prendere tempo, pur avendo acconsentito non ero molto propensa a vestirmi.
«Per niente.» Con l'unica intenzione di prendere tempo. Il solo motivo per cui non gli ho sbattuto la porta in faccia era perché aveva una mano a tenerla. Non avevo voglia di altri stupidi giochetti, la cocente delusione del giorno prima era ancora troppo fresca perché potessi reggere il suo incomprensibile comportamento sfuggente. Delle tre affermazioni, una era vera. «Se lo fosse, ci saremmo accordati prima. Questa è una sconsiderata decisione dell'ultimo secondo a cui speravo di trovare un complice altrettanto folle.»
Per quanto allettante, restare appallottolata sotto le coperte non regge il confronto con l'esplorare la zona con qualcuno che la conosce meglio e potrebbe (in)volontariamente lasciarsi sfuggire preziosi segreti.
«Ripassa tra dieci minuti.» Ho ceduto e mi sono vestita con un pantalone in denim e una camicetta che stavo per prendere bianca, ma all'ultimo ho afferrato azzurra. Il regolamento imponeva di indossare sempre la divisa quando ci si muoveva sul terreno scolastico, ma i festivi si era meno fiscali sul colore unico.
Dopo il tempo concordato, ha ribussato e mi sono lasciata scortare. Camminavano fianco a fianco con le braccia che ondeggiavano ad ogni passo, più volte ho visto la sua mano arrivare fin quasi a sfiorare la mia ma riallontanarsi subito dopo. Quel ripetuto mancato contatto però non è sufficiente a smorzare il sorriso trionfo di cui Tommaso si è accorto. «Perché quell'espressione?» ha chiesto, quasi spazientito.
«Sei tornato dopo dieci minuti.»
«Lo so, ci eravamo accordati così» ha commentato incurante, quasi annoiato, poi di colpo si è fermato, non mi ha guardata ma ho visto il lampo che gli ha attraversato lo sguardo. «Dopotutto, sembra che questo sia davvero un appuntamento.» Gli angoli della sua bocca si sono incurvati all'insù e ha ripreso a camminare senza aggiungere niente. Per un attimo mi sono dispiaciuta che fosse finita lì, ma quando l'ho di nuovo affiancato e la sua mano ha dondolato all'indietro, si è fermata e ha intrecciato le dita con le mie. «Il primo di molti, spero.»
Invero, così è stato.
Accordi presi il pomeriggio prima per quello dopo impiegati perlopiù per esercitazioni, ma a volte, quando ero particolarmente stanca o deconcentrata, mi portava in esplorazione, a curiosare in zone a cui Ben non aveva mai accennato sostenendo che non interessassero i novellini. Evitavamo i corridoi principali; se una parte di me era curiosa di svelare le misteriosa reputazione di Tommaso, l'altra sottolineava quanto quella segretezza che condividevamo accentuasse la magia del tutto. È stato durante uno di quei giri che ho visto Ben e Rebecca pranzare tra le rose; non ho chiesto delucidazioni a nessuno dei due, non avrei potuto farlo senza tradire che Tommaso si era procurato un folto mazzo di chiavi di un qualche professore e mi aveva fatta entrare. Da allora abbiamo limitato le esplorazioni e ci siamo concentrati sulle esercitazioni. Ho passato ore a fissare una sigaretta cercando di restare calma, finché l'incantesimo non mi è riuscito in un momento di pausa: avevo appena vuotato la lattina offertami da Tommaso e l'avevo poggiata sul comodino, prima di ricominciare ho dato voce alla mia stanchezza, commentando che avrei voluto incendiare la lattina con un'occhiata e andare a dormire; neanche il tempo di finire la frase e l'alluminio aveva preso fuoco e si stava sciogliendo. Ero certa di non essere arrabbiata e ho riprovato con la sua lattina, infiammando anche quella. Il pomeriggio successivo Tommaso si è presentato con scatoloni di lattine e ho incendiato tutto, siamo passati ai fogli e ho ottenuto lo stesso risultato. Capito il meccanismo, l'ho fatto con tutto, persino con le sigarette. Non ho capito come mai non avessero funzionato dall'inizio, ma considerando il breve tempo in cui ho raggiunto un livello elevato non mi lamento. Sono molto fiera dei progressi che non posso mostrare a nessuno. Quantomeno ho qualcosa di cui esultare, dato che a Poterologia mi sto rivelando un fallimento; la teoria non è un problema, ma la pratica è un'altra orribile storia: quelle poche volte che ha fatto esercitare noi con potere manifesto ho quasi dato fuoco alla classe, non per rabbia, ma perché a differenza degli altri non riesco neanche minimamente a controllare il mio elemento dopo averlo attivato. Dopo il secondo disastro, non sono stata più chiamata. Non ne ho parlato con Tommaso, un po' perché presa dal resto l'ho dimenticato, un po' perché temo che mi dica di smettere, data la sua inflessibilità sullo scatenare indomabili fiamme.
Ormai sono abituata a restare a posto quando, gli ultimi dieci minuti di lezione, Meven chiama uno tra gli undici rivelati (un'altra aria si è aggiunta), eppure quando il nome che pronuncia è quello della mia compagna di banco non posso evitare a una fitta di attanagliarmi lo stomaco. Rebecca è brava - memorizza la disposizione dei pezzi di carta sulla cattedra e ad occhi chiusi fa passare le fiamme dall'uno all'altro spegnendole quando bruciano l'ultimo - e le voglio bene, ma la invidio: nonostante mi sforzi, non riesco ad estinguere il fuoco col pensiero; se non sono capace con il mio, come posso sperare in futuro di fermare quello degli avversari?
Scaccio gli infimi pensieri e li sostituisco con l'allettante immagine di me e Reb sedute davanti a un enorme piatto di gustosa pasta. Non appena il professore ci congeda, mi affretto ad attuare la mia idea.
«Pranziamo insieme?» chiedo a Rebecca correndole accanto prima che si inoltri tra i corridoi e la perda di vista per il resto della giornata, è successo spesso ultimamente, al termine delle lezioni scompare per ricomparire la sera in stanza dopo cena. Se da una parte mi sento meno in colpa a trascorrere tutto quel tempo con Tommaso, conscia che non è nella posizione di rinfacciarmi niente, dall'altra non nego che con lui mi diverta, ma mi manca la mia amica d'infanzia.
«Non posso. Devo vedermi con il mio responsabile per discutere alcune faccende.»
Il mio responsabile, come se non sapessi chi è. Alcune faccende, ovvero segretissimi affari da eroina di cui non sarò mai messa al corrente. Non ha senso chiederle di rimandare a dopo pranzo, probabilmente si saranno già accordati per mangiare insieme. Mi trattengo dal pestare i piedi ma non dallo stringere i pugni.
«Non starete passando troppo tempo da soli? Non ti dovresti fidare ciecamente, è più vecchio di te e non sai che pensieri gli passano per la testa.» L'ho avvertita su Tommaso e si è fidata, posso fare lo stesso con il professorino più anziano - non so esattamente di quanto, ma se li porta bene - di entrambe. È vecchio, volubile, folle. Tanto quanto io sono infantile in questo momento.
«Ben è molto dolce, l'altro giorno mi ha portata a vedere la serra...»
Lo so, vorrei urlare, vi ho visti. Ma non sei l'unica che ha portato lì, penso con una punta di perfido orgoglio, soprattutto non sei stata la prima.
È stato un errore, la lascio andare perché non riesco ad ascoltare i racconti delle loro avventure, quindi mi immergo nei ricordi delle nostre. Richiamo alla memoria le conversazioni avute quel giorno, illudendomi che significassero qualcosa anche se so che ci starò male. Da quando mi ha trovata sotto l'arco alla scelta dei fiori, ripercorro ogni momento... I ricordi si interrompono quando una frase mi fa tornare in mente un'altra conversazione sullo stesso argomento e un dettaglio accantonato perché entrambe le volte mi fidavo della fonte.
«Tutta questa magia e mi scadete su serrature babbane, basterebbe che qualcuno rubi le chiavi e tanti saluti alla sicurezza.»
«Assolutamente no. Le chiavi sono incantate, questo è il mio mazzo, funziona unicamente in mano mia.»
«Quelle come le hai avute? Sono dei professori, non dovremmo essere qui!»
«Le ho rubate, ero curioso di vedere cosa nascondessero qua dentro. Te l'ho detto, una sconsiderata decisione dell'ultimo secondo a cui speravo di trovare un complice altrettanto folle.» Ha girato la chiave nella toppa e la serratura è scattata.
Mi ha mentito.
O si è sbagliato.
No, Ben è un docente serio, non commetterebbe un simile errore. Forse Tommaso, da semplice studente, non conosceva alcune informazioni, però... le chiavi hanno funzionato anche se non avrebbero dovuto. Non regge; più analizzo razionalmente la situazione, più non ha senso. Tra le mille incertezze, raggiungo un'amara conclusione.
Uno dei due mi ha guardata in faccia e mi ha spudoratamente mentito.
*Trivia (ovvero, quando ci sono così tante stesure della stessa storia che non ti ricordi più cos'hai infine approvato e devi rileggere il precedente e modificare di conseguenza; se sembra una giustificazione ai miei aggiornamenti lenti (non) lo è):
-Quando ho buttato giù il capitolo, sapevo che Lara avrebbe dovuto scegliere la camicia azzurra, nella prima stesura aveva sotto dei jeans. Mi sono poi ricordata che doveva mettere la divisa e ho modificato il tessuto lasciando però il "modello divisa", tuttavia così avrebbe dovuto mettere la parte di sopra uguale e non si sarebbe proprio posta il problema tra bianco e azzurro. Non sapendo come riscrivere il pezzo, ho ideato la regola dell'abbinamento di colori libero nei festivi.
-Mi ero inoltre dimenticata che le chiavi aprivano solo in mano al proprietario, l'ho ricordato solo dopo aver già scritto il pezzo della serra e non sapevo come farne uscire Tommaso se Lara glielo avesse chiesto dopo che aveva detto di averle rubate; potevo ignorare il dettaglio, ma fossi stata una lettrice avrei storto il naso, inoltre sapevo che prima o poi avrei dovuto affrontarlo lo stesso, così ho inserito la conversazione con Rebecca per ricordarglielo e farla riflettere. Ho ritenuto credibile che, se me n'ero dimenticata io, lei con tutte le nuove lezioni (il lettore leggendo in blocco e solo dettagli importanti forse non l'avrebbe scordato, ma va ricordato che c'è molto che accade "off-screen") l'avesse accantonato in un meandro della mente, inoltre si fidava di Tommaso e non aveva motivo di rimuginare troppo su quello che diceva.
~Prossimo capitolo: Termine ultimo (2)~
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