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Capitolo 25: I see fire




~Aesthetic: Tommaso~



Rigiro una ciocca azzurra intorno all'indice sinistro impressionata dalla naturalezza e dalla brillantezza del colore; da quando ho applicato la pozione non faccio altro.

Tutti avevano completato l'assegno, ma non mi è sfuggito il soffermarsi di Nandyn sulla chioma mia e di Reb, senza quasi prestare attenzione al rosa smorto di Vandine. L'insegnate ha intuito che abbiamo usato delle rose – non ha battuto ciglio, probabilmente conoscendo il tutore di Rebecca – ma gli altri hanno pensato che avessimo colto i fiori dalle aiuole ed è stato divertente vederli scervellarsi per capire cosa avessero sbagliato, perché la pozione non avesse dato lo stesso scintillante risultato; non abbiamo smentito, crogiolandoci nell'ammirazione riservata alle due misere terrestri. Vandine sembrava aver ingoiato un limone e non metto in dubbio che farà di tutto per scoprire la verità, ma per il momento le sta bene così. Più tardi ringrazierò di nuovo Ben: non solo mi ha fatta entrare nella serra, ma ha anche passato il pomeriggio a sopportare i dubbi di due ragazzine che temevano di bruciarsi i capelli – non aveva lezione nel pomeriggio proprio perché doveva vegliare sull'esperimento di Reb – e, nonostante fossi stata io stessa a dire che non doveva sostituire l'insegnate, sono stata grata quando ha analizzato i due preparati per assicurarsi che fossero a posto.

«Posso controllare anche te, oppure posso recuperare l'Incantatore ovunque sia finito e costringerlo ad assisterti» mi ha sussurrato Ben quando Rebecca è andata in bagno. Ho accettato il suo aiuto e lasciato Tommaso a qualsiasi cosa stesse facendo; spero per lui che fosse importante perché quando abbiamo iniziato e Reb prestava più attenzione all'adulto che alle giuste dosi mi sono pentita di non averlo stanato.

Nonostante siano passate due ore dalla fine di Poziologia, continuo a rimuginarci. Neanche esplorare la mensa è servito a distrarre la mia mente; spero che la nuova materia riesca dove il cibo ha fallito.

La targhetta sulla porta recita "Poterologia" o "Storia dei Poteri", l'indecisione è conseguenza della scrittura incomprensibile e della mancanza di una traduzione precisa, ma a breve la mente si assesterà e il mal di testa passerà. Il professor Meven è spigliato e simpatico, non lesina sulle battute per stemperare la tensione, senza mancare di fornire le informazioni necessarie. Stando alla sua spiegazione, questo corso sarà un'introduzione generale alle tipologie di magia, classi specifiche per i differenti poteri partiranno non appena tutti si saranno assestati ed avranno chiaro il proprio elemento. Dato che ognuno ha del potenziale magico latente e non è necessario fare incantesimi per essere ammessi, è probabile che alcuni studenti siano ancora all'oscuro delle proprie capacità, motivo per cui i docenti stanno iniziando da basi universali. Nessuno si è pronunciato a riguardo, ma sono convinta che ci sia un limite entro cui manifestare i poteri, altrimenti si vieni rispediti a casa. Non ho chiesto delucidazioni dato che non mi riguarda: da tempo riesco a evocare il mio elemento... grazie a Tommaso. Quantomeno, prima di sparire per sempre, l'idiota si è reso utile. Non sono dispiaciuta di non provare il brivido dell'ignoto o l'eccitazione che vedo sui volti degli scopritori, posso farne a meno se ho la certezza di non essere alunna a tempo indeterminato. Inoltre alla "prova d'ingresso" organizzata dal docente per capire le nostre attitudini non farò "scena muta".

Sui banchi sono disposti quattro oggetti (un foglio, un bicchiere d'acqua, una piantina in vaso, un palloncino sgonfio); il docente ha spiegato a quale elemento corrispondono e cosa voleva facessimo, mi sembrava superfluo, ma a quanto pare per qualcuno era vitale. Rebecca, accanto a me, li osserva per un po', annusa la pianta, con l'indice destro percorre più volte il bordo del bicchiere, giocherella con il palloncino, ma alla fine prende la carta e chiude gli occhi. Fuoco, anche lei.

Senza esitare, afferro il foglio. Sono tentata di tenere le palpebre aperte, ma tutti le hanno chiuse, quindi faccio come loro; non è necessario, ma non voglio mettermi in mostra: conosco un solo incantesimo, che succede se davvero il professore s'impressiona e chiede di mostrargli altro?

Tommaso aveva ragione: così è più semplice "contattare l'elemento interiore" e lasciare fuori il resto. Per me dovrebbe essere una passeggiata, però... Nonostante tocchi la cellulosa, ho paura di sbagliare, so che è un timore infondato ma non riesco a togliermi dalla testa che se mi regolo solo sul ricordo di ciò che ho appena visto finirò per dare fuoco al banco e non alla punta del foglio. Socchiudo le ciglia quel tanto che basta per mirare e le apro del tutto quando sento lo sfrigolio della scintilla.

Mi assicuro di tenere l'estremità opposta alla fiamma e avvicinare l'acqua, poi mi guardo intorno: Rebecca non sembra preoccupata quanto me dalla propagazione di un incendio, anzi ha accostato il foglio alla piantina così da mandare a fuoco anche quella; Vandine ha infilato un dito nel bicchiere e l'ha tirato fuori, un rivolo cristallino è rimasto attaccato al polpastrello e ne segue i movimenti; altri hanno gonfiato palloncini o schiuso le gemme dalla piantina; c'è poi chi guarda abbattuto i quattro oggetti. Tre acqua, tre aria, tre terra, due fuoco, tre ignoti, per un totale di quattordici.

«Ottimo lavoro, può bastare» comunica il professore dopo aver girato tra i banchi e preso appunti sul registro. Ha alzato un sopracciglio di fronte alla pianta in fiamme di Rebecca, ho temuto la rimproverasse, invece ha sorriso e con uno schiocco di dita ha fatto riassorbire la pianta dal terriccio spegnendola. Terra; forse potevo ipotizzarlo da occhi e capelli castani, ma non sempre c'è corrispondenza. Quanto al suo foglio di carta, Reb ci aveva soffiato sopra spegnendolo dopo aver incendiato una gemma. Mi affretto ad immergere il mio nel bicchiere prima che si consumi del tutto e mi bruci le dita.

«Patetiche! Proprio l'atteggiamento che ci si aspetterebbe dai terrestri. Se vi spaventano i vostri poteri, non dovreste essere qui» sibila Vandine fissandoci con astio dal banco opposto al nostro. Lancio un'occhiata a Rebecca, aspettandomi che le risponda a tono, ma si stringe nelle spalle costernata. Capisco in un attimo: ha raccontato a Ben dell'accaduto e lui l'ha redarguita sul mettersi in mostra. Mi aspetto che almeno il docente faccia qualcosa ma è tornato alla cattedra e non ha sentito. Vandine, insoddisfatta dal nostro non reagire, scatta in piedi e afferra il bicchiere. Mi alzo anch'io, ma lo strusciare delle sedie non è passato inascoltato e il professore sopraggiunge a dividerci. Vandine riposa il bicchiere seccata senza  rimangiare ciò che ha detto, ma anche se lo facesse sarebbe superfluo, continuerebbe a pensarlo. Mi rendo conto che l'insegnate vuole spiegare le ultime cose prima che il suo tempo finisca e sta per liquidare la faccenda. Anche lei deve averlo intuito perché sorride soddisfatta mentre scuote i folti, lunghi, turchesi capelli. Non è giusto che se la cavi così.

«A occhi aperti è più facile lanciare incantesimi a distanza.»

Un'idea malsana mi balena in mente. Non dovrei scatenare fiamme che non so controllare e non ho mai provato un incantesimo a distanza, ma il professore è qui, non dovrebbero esserci conseguenze gravi. Abbasso lo sguardo e non ho bisogno di vedere per sapere che il sorriso trionfo di Vandine è aumentato credendo che mi stia dichiarando vinta, mi infastidisce che lo ritenga anche solo possibile, ma cerco di concentrarmi sul mio obbiettivo: le punte dei capelli che superano il sedere. Sono sicura che adori la sua chioma, l'accarezza in continuazione, inoltre è stata l'unica che nello spacco è andata a lavarla per farla tornare del colore originale. Serro i pugni e punto la ciocca che mi interessa. Il familiare sfrigolio mi percorre, ma questa volta non si ferma alle mani, come una saetta scagliata con precisione lo sento attraversare l'aria e giungere a destinazione.

Per qualche battito di cuore nessuno se ne accorge, poi Vandine stessa sente la puzza di bruciato e arriccia il nasino voltandosi nella direzione da cui proviene, all'inizio non sembra realizzarlo, poi sgrana gli occhi e urla. Sbatte subito i capelli cercando di spegnerli, ma peggiora solo la situazione: il movimento improvviso li fa sfiorare l'orlo della gonna e anche quella prende fuoco. Non potevo sperare di meglio.

Non pensavo avesse un acuto del genere, tutto questo urlare mi sta infastidendo. Controlla l'acqua, perché non smette di starnazzare e risolve il problema? La risposta mi folgora: non può, conosce solo incantesimi a contatto, per bagnare la parte interessata dovrebbe toccarla, ma se lo facesse, si ustionerebbe.

«Non generare fiamme che non sei in grado di spegnere subito.»

Cos'ho fatto? Non avevo capito la gravità delle conseguenze. Per fortuna il professore è rapido a reagire e, sfruttando i bicchieri d'acqua, spegne il fuoco.

Ho il respiro corto. Vandine stima il danno, alza lo sguardo e mi fronteggia; lacrime scorrono sulle sue guance, ma senza sfumare il trucco perfetto, proverei quasi compassione per lei, ma la sua disperazione diventa rabbia e inveisce contro di me: «Sei stata tu! È tutta colpa tua! Voi terrestri siete solo un problema!»

Il furore le deturpa i lineamenti e non mi pento di niente, serro i pugni pronta rifarlo, l'adrenalina mi inonda, mi sento potente come mai prima d'ora. Cosa succederebbe se mirassi al fiocco appuntato sul suo petto o alle ciglia? Ci sono infinite possibilità che non vedo l'ora di sperimentare... su di lei e sul gruppetto di amiche che la spalleggia.

«Non diciamo sciocchezze» interviene il professore «a stento conoscente gli incantesimi a contatto, figuriamoci a distanza. Signorina Ribas, si sieda e faccia respiri profondi, vado a chiamare qualcuno che possa assicurarsi che stia bene.»

L'insegnante si affretta fuori dall'aula, aspetto che Vandine mi insulti di nuovo, ma la turchina ha capito che come vittima riscuote più attenzioni e si disinteressa a me per concentrarsi sull'enfatizzare gli ordini che le sono stati dati.

L'adrenalina che mi teneva in piedi, già diminuita con l'interruzione del docente, svanisce del tutto e anche io necessito di sedermi. Non cado platealmente all'indietro e non mi stendo sul banco come Vandine, ma sono spossata. Sento lo sguardo di Reb addosso e le sono grata per il silenzio, la testa mi sta scoppiando e non reggerei altri suoni.

Qualche minuto dopo il professore rientra con al seguito... Ben. L'inglese scandaglia la stanza con un'occhiata e si inginocchia di fronte a Vandine, che sembra dimenticarsi la situazione e gli sbatte le ciglia, lui la ignora e si limita a stringerle la mano mentre con l'altra accarezza i suoi cappelli. Tanto gli basta, qualche istante dopo si rialza e comunica che è tutto a posto. Vorrei chiedergli se oltre che professore e giardiniere sia anche medico, intendo approfittarne ora che l'insegnante sta rassicurando i suoi alunni e Ben si sta avvicinando al nostro banco per uscire. Capisce che gli devo domandare qualcosa perché si ferma proprio accanto a noi, ma quando sto per aprire bocca, lui mi anticipa: «Credevo di essere stato chiaro.» Il mormorio minaccioso non è rivolto a me – non sembra essersi accorto della mia presenza – ma a Rebecca.

«Non ho idea di cosa tu stia parlando.» Reb si sporge in avanti sul banco, così che le sue parole gli arrivino chiare pur tenendo la voce bassa e restando seduta.

«Non prendermi in giro, la traccia magica nasceva qui.» Gelo sul posto: la magia può essere localizzata? D'un tratto sono grata del suo ignorarmi, così quando continua a parlare sono certa che non abbia notato la mia reazione. «Ho capito che non ti sta simpatica, ieri hai reso l'idea, ma ti ho già spiegato che non puoi usare le tue capacità da Eroina per queste bambinate.»

«Mi dispiace contraddirti, ma Rebecca Marrineti non è colpevole» soffia la rossa in risposta. La sua postura ricorda un gatto pronto a graffiare, così come quella di Ben un cane sul punto di mordere.

Meven stronca il conflitto: «Professor Smith, so che lei è abituato a studenti degli ultimi anni, ma questi sono nuovi, non c'è bisogno di cercare un responsabile, non sanno ancora lanciare incantesimi a occhi aperti, figuriamoci a distanza. Non le so dire cosa abbia scatenato l'incendio, ma non è stato nessuno di loro, sarei più propenso a parlare di combustione spontanea.» Ridacchia come se la vita di una sua alunna non fosse appena stata in pericolo.

L'inglese serra la mascella, ma Meven non gli dà peso. Capisco l'errore: il cane non morderà, sbranerà. Ben si guarda intorno, credo stia facendo una conta dei testimoni; ha detto di avere un ruolo importate e che poche situazioni potrebbero comprometterlo, aggredire un suo collega rientrerà tra queste? I nostri occhi si incrociano e la sua espressione cambia, mi sembra di scorgere rammarico in quelle iridi blu ma non ne sono certa, quello che so è che le sue intenzioni bellicose spariscono ed esce dall'aula sbattendosi la porta alle spalle senza salutare.

Il professore sorvola sull'accaduto e si limita a comunicare che la lezione è finita.





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Lo scrosciare della doccia continua a disturbarmi, nonostante abbia la testa sotto il cuscino e le cuffie nelle orecchie. Non sento musica perché sarebbe peggio, ma speravo di riuscire ad attutire ulteriormente i rumori. Il mal di testa che si stava placando a metà lezione è tornato prepotente verso la fine. Persino la luce troppo forte mi da fastidio e quando Reb è andata a lavarsi per togliere la tinta ho spento tutte le lampade, ma la situazione non è migliorata. Ho la gola secca, ma ogni volta che avvicino il bicchiere alle labbra mi viene il rigetto ed evito di bere perché temo di vomitare. Devo andarmene prima che Rebecca debba asciugarsi: non sopporterei il fon acceso.

Massaggio le tempie mentre rifletto su dove rifugiarmi. Ripenso a tutti i posti che conosco e ricordo che, sebbene mi sia stabilita qui, sono ancora assegnataria di una stanza singola. Intasco la cartina e giro la maniglia della porta. Sulla soglia, con la mano sospesa in aria pronta a bussare, c'è Ben.

«Rebecca?» domanda secco, senza neanche chiedere come sto. Forse è meglio, non vorrei mentirgli dritto in faccia quando ci separano così pochi centimetri.

«Sotto la doccia.»

«Devo parlarle, puoi uscire per... non lo so, un po'?» Si gratta il mento cercando di quantificare "un po'", ma con uno svolazzo della mano destra gli comunico di lasciar perdere.

«Non c'è problema, tanto stavo andando a recuperare le ultime cose dalla vecchia stanza.» Faccio un passo fuori lasciando che entri. Mi sbatte la porta alle spalle senza aggiungere altro; da quando è così freddo?

Sento le lacrime pizzicare, serrare le palpebre per impedire che scendano accentua il pulsare alla testa. Respiro profondamente e, scongiurato il pianto, mi dirigo alla mia meta. La breve camminata mi offre un lieve sollievo.

A destinazione, sollevo gli occhi dalla mappa per assicurarmi di essere nel posto giusto e rimango stupita da ciò che vedo: appoggiato alla porta della mia stanza a braccia incrociate c'è Tommaso. Schiude le labbra in un sorrisetto compiaciuto prima ancora di voltarsi e trafiggermi con i suoi smeraldi. Mi stava aspettando?

«Ho sentito che hai dato spettacolo.» Gli esce come una cantilena – la testa è inclinata verso il basso, gli occhi scintillano e sembra divertito – e non riesco a capire se sia un rimprovero o un complimento. Qual è il suo gioco?

«Se ti riferisci a quello che è successo a Poterologia, devi aver sentito male. Il professore ha chiaramente detto che nessuno dei suoi alunni è in grado di lanciare incantesimi a occhi aperti. Pare si sia trattato di combustione spontanea» rispondo con lo stesso tono, stringendomi nelle spalle. Possiamo giocare in due.

Devo aver indovinato le regole perché il suo sorriso si allarga, si stacca dalla porta e si avvicina fino a portare la bocca a un centimetro dal mio orecchio. «Lieto di constatare che non mi ero sbagliato. Impari in fretta» mormora suadente.

Non so se sia la vicinanza eccessiva o l'inatteso complimento a farmi arrossire, ma capisco di essermi tradita.

«Lieto di constatare che sono sempre il migliore.» Si allontana di qualche passo, il sorriso compiaciuto non accenna a svanire.

Imbarazzata e infuriata, non riesco a reggere i suoi occhi scintillanti e fisso la sua spalla, rifiutandomi di rispondere e accentuare il suo ego.

«Se stai pensando di darmi fuoco, non ti conviene. La camicia è nuova e ti avevo già promesso che non ci saresti riuscita una terza volta. Sei avvisata.» È una minaccia... o una sfida? Perché è così difficile capirlo? Inoltre non sopporto che mi consideri una piromane, non avevo neanche preso in considerazione di bruciargli l'ennesima camicia bianca. Proposta che diventa sempre più allettante... Le mani sfrigolano, devo concentrarmi su altro prima di fare qualcosa di cui mi pentirei.

«Come lo hai saputo?» È successo da non più di un'ora, come fa ad esserne già a conoscenza?

«Diciamo solo che il professorino non è l'unico a saper accarezzare i capelli di una ragazza e darle conforto.»

Il professorino? Meven? No, lui non ha toccato i capelli di Vandine, è stato Ben. Non chiamarlo "idiota" ha impedito che capissi al volo il soggetto, ma sono felice che ricordi la promessa. Mi rallegro per questo, perché non voglio pensare alle implicazioni della seconda parte della frase.

«Stai bene» esclama d'un tratto. Assorta nei miei pensieri e fissando il pavimento, ero convinta che se ne fosse andato. Sto per mentire, ma realizzo che non è una domanda, ma un'affermazione. Sollevo lo sguardo e noto che il suo sorriso si è addolcito. Allunga una mano verso i miei capelli, ma la ferma un attimo prima di toccarli, in attesa del mio consenso, non dico niente e lo deve interpretare come assenso perché termina il movimento. «Tutto questo azzurro ti dona. Mi piace il colore e come ti sta.» Era all'esteriorità che si riferiva. Stamattina ho optato per un'uniforme che si abbinasse a capelli e occhi, Reb ha ironizzato sulla mia somiglianza con un Puffo ma la questione si è chiusa lì, nessuno ha apprezzato la scelta cromatica, non che qualcuno fosse tenuto a farlo, però... è piacevole ricevere un complimento.

Due, mi correggo, il primo risale a qualche minuto fa.

«Bevi questo» dice porgendomi una fiala estratta dalla tasca del pantalone. Non stacca gli occhi dalla ciocca con cui sta giocando, ma ho la sensazione che osservi la mia reazione. Con riluttanza afferro la provetta e la metto in controluce per studiarne il colore latteo con riflessi celesti.

«Sarebbe?» domando scettica. Mi delude il suo ritenere che mi scolerò il contenuto potenzialmente letale solo perché mi ha ammirata.

Tommaso corruga la fronte. «Aspirina...?» Se fosse stato più convinto e non avessi mai visto un'aspirina in vita mia, gli avrei creduto, ma così è ridicolo. Anche se il modo in cui ha pronunciato quella semplice parola mi lascia perplessa, è stato diverso dal suo parlare solito.

«No, non è davvero aspirina.» Di nuovo quell'incertezza. «Ho cercato un corrispettivo terrestre che ti aiutasse a capire, ma è più potente, più magico.»

Non riuscire a seguirlo non giova al mal di testa.

«Per lanciare un incantesimo a distanza, anche se ravvicinata, senza esercizio dovevi essere molto arrabbiata, devi aver usato molto potere, che ti ha dato alla testa, ti ha fatto sentire invincibile. Sei andata in overdose, il tuo corpo si è drogato di quella sensazione e ora sta cercando di riassestarsi per poter funzionare senza quell'eccesso di energia.» Ha incatenato i nostri occhi e senza che me rendessi conto ha ripreso la fialetta, l'ha stappata e avvicinata alle bocca. «Ho pensato che dovesse essere molto doloroso per te e volevo attenuarti il dopo sbronza. Temevo che non riferissi al professorino del tuo malore per non farti beccare e non ti avrebbe curata. Inoltre... sono io il tuo supervisore, spetta a me.» Sento il freddo del vetro sulle labbra, in realtà credo che non sia la provetta ad essere gelida, ma io ad andare a fuoco.

«Tom?» Sono sempre più vicina a fare qualcosa di cui pentirmi.

«Sì?» La fiala, quella attaccata alla mia bocca, ora sfiora anche la sua. Da questa distanza vedo i suoi occhi verdi attraversati da venature rosse.

«Scollati.» Sono particolarmente fiera della fermezza della mia voce e dell'espressione sbigottita del mio interlocutore. Questo non se lo aspettava. Due a due, palla al centro.

Gli angoli delle labbra di Tommaso si piegano all'ingiù e le striature rosse nell'iride si espandono. Il timore che non si allontani mi assale, dopotutto non c'è molto che possa fare se decide di non muoversi, poi indietreggia di almeno mezzo metro. Prima che si scosti afferro la fiale la vuoto in un sorso. Gli occhi verdi e il sorrisetto soddisfatto sono tornati, alla fine l'ha spuntata lui, ma il dolore alla testa scompare non appena deglutisco, quindi direi che è una vittoria per entrambi.

«Sai, la prossima volta, puoi anche spiegare cosa mi stai offrendo senza cercare di portarmi a letto» commento reggendo tra pollice e indice la provetta vuota e sventolandogliela sotto al naso.

«Cosa ti fa ritenere che avessi quell'intenzione?» Inclina la testa e allunga la mano per riprendersi la fiala. Gliel'allontano quando le punte delle sue dita la sfiorano.

«Sarebbe preoccupante se non fosse stato lo scopo.»

Un battito di ciglia è tutto quello che gli occorre. Un attimo prima è davanti a me con il braccio teso, quello dopo è scomparso e sento le sue dita avvolte intorno al polso e la sua presenza alle mie spalle, il suo petto contro la mia schiena. Colta di sorpresa lascio andare la fiala, lui è rapido ad acciuffarla e infilarla in tasca.

«Magari facciamo un altro giorno, per oggi ho già dato» commenta sardonico mentre mi gira intorno per tornare alla posizione di prima.

«Diciamo solo che il professorino non è l'unico a saper accarezzare i capelli di una ragazza e darle conforto.»

«Perché sorridi ora?» La perplessità gli invade lo sguardo, ma continua a sogghignare.

«Diciamo solo che so a cosa darò fuoco la prossima volta che la fata turchina mi da fastidio.»

L'espressione giocosa cede del tutto. Le labbra sono tirate in una linea sottile.

«Possiamo parlare in privato?» chiede alludendo alla porta della mia stanza.

«Guarda che scherzavo, non mi importa con chi te la fai.»

«Lo so, ma ti stavo aspettando per un motivo specifico e vorrei dirtelo prima che si faccia tardi.»

Annuisco e lo seguo all'interno della stanza. Chiude la porta e mi fa cenno di sedermi sul letto, eseguo e lo osservo estrarre dalla tasca opposta a quella della fiala una scatolina rettangolare. Si accomoda accanto a me e mi porge il nuovo oggetto: un pacchetto di sigarette.

«Non fumo» dico piatta.

«So anche questo» risponde, prendendo una sigaretta e infilandola in bocca. «Accendila.»

Sarà un nuovo esercizio? Allungo il braccio per toccarla, ma lui ritrae la testa.

«A distanza.»

«D'accordo hai vinto, sono stata io.» Non comprendo il suo scopo, credevo di aver già confessato.

«Perché l'hai fatto?»

Che domanda stupida. Come se non lo sapesse, come se non lo avesse detto lui stesso poco prima. «Perché ero arrabbiata. Ci tieni davvero poco alla camicia nuova» brontolo.

«Appunto.»

Appunto? «Puoi parlare chiaro per una volta?»

Posa la sigaretta. «Non ti farò la morale, non sono adatto, lanciare incantesimi per rabbia va bene, incantesimi di rabbia non altrettanto. Se una persona ti fa arrabbiare e vuoi fargliela pagare sono affari vostri, se perdi il controllo e fai terra bruciata sono problemi di tutti.»

Mentre parla ripenso a come mi sono sentita qualche ora prima, alla sensazione di onnipotenza e al desiderio di ridurre chiunque in cenere. Sapevo di star sragionando, eppure volevo continuare.

«Meven è sempre stato un idiota, ti è andata bene, ma io mi reputo un filino più intelligente, abbastanza da non farti promettere di non farlo mai più – solo uno sciocco ci crederebbe – ma farti esercitare così da non perdere il controllo. Non dubito che manterrai il segreto, lo hai già fatto quando non hai aperto gli occhi.»

Non si aspetta una risposta, si aspetta azione, lo capisco quando riporta la sigaretta alle labbra. Serro i pugni e mi concentro, dovrebbe essere facile, l'ho già fatto una volta, ma non accade niente. Per non sottolineare l'insuccesso, provo a distrarlo: «Che fine hanno fatto i fogli di carta?»

L'espressione di Tommaso per un attimo equipara quella del professor Smith quando riceve una domanda superflua, torna divertita quando realizza che una mancanza del professorino è il motivo per cui la sto ponendo.

«Ogni oggetto è più o meno accline a un elemento, i maghi esperti riescono a infuocare un cubetto di ghiaccio, ma con i principianti è meglio usare mezzi predisposti a intercettare quel potere. Le sigarette vengono create per essere accese, quindi sono più sensibili di un pezzo di carta derivato da un albero nato dalla terra. Dato che sarà difficile di suo, volevo facilitarti il più possibile il compito.»

«Le candele non andavano bene?»

«Volevo lasciarti il pacchetto per farti continuare a esercitare e ho pensato fosse più maneggevole. Inoltre, in caso di perquisizioni, desterebbe meno sospetti.»

«Perquisiscono gli studenti?»

«È successo una sola volta da che ricordi, ma meglio prevenire che curare.»

Il ragionamento non fa una piega; per quanto gli sia grata, non sopporto che abbia tutto sotto controllo, non c'è niente che non ha previsto?

«Cosa si fa col fumo? Non intendo intossicarmi solo per evitare che qualche odioso finisca abbrustolito.»

«Tranquilla, ho già incantato le sigarette, il fumo si dissolverà da solo.»

Piego la testa incuriosita, camuffando l'ennesimo fallimentare tentativo.

«Ho usato lo stesso incantesimo della serra, almeno questa manipolazione dell'aria te l'avrà spiegata.» In realtà da come lo dice, sembra sperare che lo smentisca. «A proposito, non ho avuto modo di chiedertelo, ti è piaciuta la serra?»

Non necessito di uno specchio per sapere che mi si sono illuminati gli occhi, sto per lanciarmi in un'ammirata recensione, quando realizzo un importante dettaglio: «Come fai a saperlo? Te l'ha detto Ben?» È da ieri che sta provando a scaricarmi, quando non ho accettato è comprensibile che abbia richiamato Tommaso all'ordine per farmi capire che devo smetterla di andare da lui.

«Benjamin me l'ha riferito, ma in realtà già lo sapevo. Del resto, sono il tuo responsabile, è mio dovere tenerti d'occhio.»

«In pratica hai appena confessato di essere uno stalker, lo sai che è inquietante, vero?»

Ridacchia. «Colpa mia, è uscita male. Non ti seguo ovunque, preferisco essere uno di quei supervisori fighi che lasciano la libertà di sbagliare al proprio protetto piuttosto che tenerti sempre la manina.»

«Che sarebbe un modo carino per dire che ti scoccia farmi da balia?»

«Perspicacia e schiettezza sono encomiabili qualità, che temo di non apprezzare manifeste in un'unica persona» commenta seccato, allegando una strizzata d'occhio. Tre.

«Per farla breve, ieri ti ho vista correre per il corri- non interrompere, ti ho vista camminare veloce come quando non vuoi fare tardi a lezione va meglio?, e ti ho seguita, ma quando ti ho raggiunta c'era già quell'altro. Sembravi più calma, vi ho tenuti d'occhio per un po' e vi ho lasciati andare senza interferire, del resto l'importante era tu stessi bene.»

Questo dolcissimo discorso sa tanto di presa in giro. «Resta il fatto che tu sei il mio supervisore, l'hai detto TU, dovevi intervenire, era il TUO dovere!» Così magari non mi ritroverei con il cuore spezzato.

Gli occhi di Tommaso si rabbuiano, non capisco se sia risentito dalle mie accuse o in pena per altro. «Fidati, non lo avresti apprezzato. Non vuoi farti vedere troppo in giro con me. Ho una certa... reputazione, se così si può dire, che ti assicuro non vuoi condividere.»

«Se me lo avessi chiesto, ti avrei spiattellato tutto qui e ora.»
«So che hai molte domande, quindi forza, sono tutto orecchi.»

Ha fatto una promessa. Se glielo chiedo, mi risponderà. Potrei farla finita con tutti questi sotterfugi e sottintesi. Potrei... ma non posso fargli questo, non voglio. Nonostante la mia insaziabile curiosità, non riesco a ignorare i suoi sentimenti.

«Sei in debito con me» per tutto quello che non mi hai detto, per tutto quello che non ti ho chiesto. Non c'è bisogno di aggiungere altro, Tommaso capisce che non sto rinunciando, solo rimandando, e che riscuoterò.

Chiusa la questione, non ho più scuse e devo concentrarmi sull'accendere la sigaretta. Il tempo passa e non faccio progressi. In realtà, un paio di volte ci sono riuscita, ma Tommaso non si è mostrato entusiasta, non l'ho ingannato, ha capito che la motivazione del successo era uno scatto di rabbia improvviso verso quello stupido esercizio.

«Strano...» Tommaso interrompe il silenzio dopo il mio ennesimo fallimento. «Molti maghi, pur furibondi, non lanciano un solo incantesimo a distanza dopo anni di pratica e se ci riescono spesso mancano il bersaglio. Mi aspettavo che dopo la performance di questo pomeriggio riuscissi a padroneggiare la tecnica in un paio d'ore al massimo, specialmente se aiutata da un acchiappa-fuoco.»

Ignoro da quanto siamo qui, ma la stanchezza si fa sentire: restare immobile a contemplare un bastoncino è più sfiancante di quanto pensassi, ho i muscoli indolenziti e il mal di testa è tornato. Anche il corvino non è nella sua forma migliore, si è passato le mani tra i capelli così tante volte che ormai le ciocche puntano ribelli e spettinate in ogni direzione.

«Mi dispiace.» Credevo di averlo detto io, invece è stato lui. Non mi incolpa dei progressi inesistenti, si rimprovera la convinzione errata.

«Anche a me.» Non so quanto allevi il suo peso, ma non mi viene in mente altro.

Sgranchendoci, scendiamo dal letto e ci dirigiamo verso la porta.

«Non liberare la stanza, potrebbe tornarci utile per altri esercizi» pianifica Tommaso studiando l'ambiente circostante, come se non lo conoscesse già a memoria.

«D'accordo» acconsento con meno energia di quanta vorrei.

Tommaso gira la maniglia squadrandomi. «Ti farò recapitare un'altra fiala di aspirina e una pozione per rilassare i muscoli» comunica ad analisi conclusa. Ringrazio senza chiedere come supererà il controllo di Ben, certa che troverà il modo.

Chiusa la porta, restiamo fermi invece di dirigerci ai due lati opposti del corridoio. Non mi ha chiesto se volessi essere accompagnata, deduco c'entri con la storia del "non vuoi essere vista con me". Se fosse per me, sarei già in cammino, ma Tommaso sembra sul punto di dire qualcosa, non voglio mettergli fretta, quindi aspetto. Non ho idea se vinca o perda la sua battaglia interiore, ma alla fine parla: «Fa' attenzione col fuoco, dico sul serio.» Non mi ha chiesto di promettere di fare attenzione, offre solo un consiglio. «È l'elemento più distruttivo, più vicino alla morte che alla vita. Non molti lo possiedo, ancor meno non sono impazziti usandolo.»

«Fammi indovinare, tu fai parte di quella ristrettissima élite?» Ovvio che non avrebbe perso occasione di sottolineare la sua superiorità, di vantare le sue doti di perfetto maneggiatore di un indomabile potere e di ridicolizzare le mie insulse ripicche.

«No.»






~Et voilà. Spero che il capitolo sia sufficiente per fare ammenda per i miei puntualissimi aggiornamenti.

Siccome so che se non ho una data precisa sono capace di postare l'anno prossimo, dalla prossima settimana ci sarà un capitolo nuovo di questa storia ogni giovedì (saranno più brevi, ma più frequenti), mentre il lunedì aggiornerò l'altra storia che sto scrivendo Falling Angel, così voi non siete con il dubbio di quando aggiornerò e io dovrei riuscire a far tutto... trovando anche il tempo di studiare perché ricomincia la scuola, ehm...

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