Capitolo 24: La prima lezione (2)
~Aesthetic: Benjamin Smith~
Un'altra scoperta è stata che i maghi non disdegnano la tecnologia: ci sono pianeti completamente dipendenti dalla magia ma altri accostano le due. La seconda formula è quella sfruttata in questa scuola, difatti anche se si preferisce la luce naturale ho notato quasi ovunque lampade e nelle nostre stanze arriva l'acqua calda. Anche alcune aule non sono tecnologicamente equipaggiate, ma non quella in ci troviamo ora. La stanza non è immensa, ma c'è abbastanza spazio per le due colonne di massicci tavoli con sopra appoggiata l'attrezzatura che si troverebbe in un qualsiasi laboratorio scientifico, le finestre sono ampie ma chiari tendaggi evitano che gli studenti cuociano sotto al Sole. Senza esitare io e Reb ci sistemiamo in seconda fila, per quanto mi dolga abbandonare il solito primo banco ci è bastata un'occhiata per concordare che davanti a tutti in un mondo di cui non sapevamo niente non sarebbe stata la mossa più saggia.
Quando il professore arriva, mi ritrovo ancora delusa dalla normalità della situazione. L'uomo ha capelli azzurri chiarissimi quasi bianchi e occhiali a montatura rotonda che continua a sistemarsi sul naso mentre legge ad alta voce i nostri nomi per controllare le presenze. Una coppia di ragazze sorride quando le cerca con lo sguardo per associare un volto al nominativo. Suppongo si possa si possa avere fascino pure con dei semplici jeans e una polo, ma... non è Ben. Non so come faccia quell'uomo ad indossare costantemente giacca e cravatta senza versare una goccia di sudore, anche Tommaso porta quasi sempre camicie, ma almeno si concede di tenere i primi bottoni aperti. Affondo le unghie nei palmi per riafferrare il contatto con la realtà, devo tenere quei due fuori dai miei pensieri, non è possibile che si intrufolino sempre.
«Salve a tutti, io sono il professore Nandyn, l'insegnante di poziologia. Sono felice di vedere tante facce nuove, ma anche qualche vecchia conoscenza...» Lancia uno sguardo a Vandine, che ridacchia con una mano davanti alla bocca. Vorrei tanto schiaffare in faccia alla turchina la sua inutilità in presenza dell'Eroina e, a giudicare dalle braccia incrociate e lo sguardo assottigliato, so che Reb la pensa come me. Ma abbiamo fatto una promessa a Ben - che è già stato fin troppo tollerante - quindi invece di sollevare un polverone, entrambe ci chiniamo per estrarre dalle cartelle poggiate accanto agli sgabelli penna e quaderno. Sulla prima pagina scrivo fin troppo elaboratamente "Poziologia Lezione 1", qualsiasi cosa pur di focalizzarmi su altro.
«Bene allora» Nandyn richiama la nostra attenzione «lasciate che vi introduca brevemente il corso: abbiamo deciso di iniziare con questo perché tecnicamente una pozione elementare potrebbe essere preparata anche senza magia, quindi ci è parso appropriato partire tutti insieme senza basarci sul potenziale magico. Ovviamente pozioni più avanzate richiedono l'ausilio di magia, ma ci arriveremo per gradi. Proprio perché è la prima lezione ho pensato di iniziare con qualcosa di semplice: un cambia-colore per capelli.» Sul serio? Una tinta? Questa è la grandissima magia che oggi andremo ad apprendere.
Nonostante finora sia stata un filino scettica sull'effettiva esistenza della magia, ogni mio dubbio residuo si dipana quando il professore scrive alla lavagna la lista degli ingredienti con una grafia incomprensibile che però riesco a leggere e trascrivere. Aveva ragione quando ha detto che si trattava di un composto semplice dato che sono solo due gli ingredienti necessari alla sua realizzazione: acqua, prelevata direttamente a una fonte magica dal nome impronunciabile ma sempre acqua è, e un pigmento naturale del colore scelto, con questo ha indicato un mazzo di girasoli sulla cattedra precisando che è meglio prelevarlo da petali di fiori colti da poco polverizzati, aggiungendo che per questa volta ci aveva pensato lui a prendere la materia prima, ma visto l'immenso giardino di cui disponeva l'accademia per l'esercizio a casa ci avremmo dovuto pensare noi. Infatti, dopo averci dato le ultime disposizioni su quantità, temperatura e tempistica, ci ha lasciato provare in coppia mostrandoci passo passo il procedimento. A fine lezione, durata tre ore stando all'orologio al mio polso, Nandyn affida a ciascuno un'ampolla contente l'acqua per la base e avverte di sperimentare solo in presenza del referente assegnato, cosicché in caso di complicazioni una figura più esperta sappia come risolvere.
Il professore augura buon proseguimento ed esce. Per il resto della giornata non abbiamo lezioni, probabilmente il pomeriggio ci è stato lasciato libero proprio per permetterci di lavorare alla pozione per domattina.
Pregusto la prima di molte giornate dedicate a mescolare pozioni e praticare incantesimi. Vero che per il momento non sembra niente di che, ma sono sicura che si tratta solo delle basi, di certo non ho accantonato quello che avevo progettato come mio futuro per fare la parrucchiera, del resto anche il professore ha detto che si tratta solo di un livello principiante per non escludere chi manca un elevato potenziale magico. E se fossi io uno di quelli? Dopotutto fino ad ora non è che abbia fatto chissà cosa di eclatante, cosa accadrebbe se io mi dovessi fermare e Reb continuasse a risplendere salvando mondi su mondi? Io...
«Lara, sei dei nostri?» Rebecca richiama la mia attenzione allontanandomi da quei pensieri che diventano sempre più oscuri, ma nonostante la stia guardando non riesco a metterla a fuoco, l'oscurità si agita ancora nei lati della mia mente e preme per espandersi così come sta accadendo nei miei occhi. Io... devo uscire di qui ora.
«Vieni a pranzo con noi?» Insiste ancora Reb, indicando sé e il gruppetto di ragazzi e ragazze alle sue spalle.
«No.» La voce non trema come credevo, ma esce troppo frettolosa, quasi isterica. «Vado a cogliere il pigmento per l'esercizio.» Esco senza lasciare tempo per formulare la più ovvia obiezione che sarebbe "non conviene prenderlo dopo?" Percorro il corridoio ad ampie falcate, non corro solo perché è affollato e rischierei di rendermi più ridicola di quanto non abbia già fatto. Per fortuna mentre andavamo in classe mi sono guardata intorno e rindividuo un porticato che da sul giardino senza dover consultare la mappa. Mi appoggio alla colonna, alzando il viso verso il sole lasciando che il calore mi inondi e sperando che sia sufficiente per scacciare l'oscurità e il gelo che in questo momento sento dentro.
Non so quanto tempo sia passato, non riesco ad aprire gli occhi neanche per controllare l'orologio. D'un tratto sento una mano posarsi sulla mia spalla, il gesto è delicato ma la presa decisa. Assorta nei miei pensieri non reagisco subito ma quando finalmente sto per scostarmi non ne sento più il bisogno, un'ondata di caldo e tranquillità mi travolge. La sensazione me ne riporta alla mente un'altra provata non molto tempo prima generata sempre da un contatto del genere. Tom- no, l'odore è sbagliato, è molto simile ma non uguale. Apro gli occhi per guardare la persona al mio fianco, ma prima ancora di schiudere le palpebre un nome lascia le mie labbra e so che è giusto: «Ben...»
L'inglese mi rivolge un sorriso rassicurante e si avvicina, nonostante la mano sulla spalla si era tenuto a distanza.
«Come stai Lara?» Il tono di voce è basso, sembra si stia approcciando a un animale pericoloso.
«Bene» mormoro quando siamo a pochi centimetri di distanza.
Mi poggia l'altra mano sulla fronte, come a misurare la temperatura e poi la fa scendere per il braccio prendendomi il polso, come a misurare il battito. Quando ha finito si riallontana, ma senza staccarsi dalla spalla. «Non è vero» dice scuotendo la testa, sembra dispiaciuto che non sia stata del tutto onesta «perché prima stavi correndo?»
«No, io non...» correvo? Sono sicura di non essermi messa a correre per il corridoio.
«Neanche passeggiavi.» Si porta la mano libera sul fianco, ha la fronte corrucciata. «Ti conosco, so come cammini per i corridoi e come acceleri il passo quando non vuoi arrivare in ritardo ma neppure vuoi spettinarti correndo.» Non avevo idea che mi avesse osservata con tanta attenzione, sarebbe quasi inquietante se non avessi fatto lo stesso con lui. «Inoltre... so riconoscere un attacco di panico quando ne vedo uno.»
Un attacco di panico. È questo che ho avuto poco fa? Avrebbe senso, tutte le aspettative e le possibilità a cui non avevo mai davvero pensato si sono di colpo palesate ai miei occhi e mi hanno oppressa. «Certo, scommetto che molti alunni sono andati in panico quando li hai chiamati e non erano preparati.» Faccio un sorriso tirato perché se non sposto l'attenzione da me potrebbe chiedermi se è la prima volta e non intendo affrontare quel che è successo con lui.
«Certo, gli alunni impreparati...» Ben continua a fissarmi, ma i suoi occhi sono fuori fuoco, è immerso in un ricordo che non sono convinta riguardi la scuola. Lo sguardo perso mi fa venire voglia di allungare la mano e toccargli la guancia, lo faccio, ma nel momento in cui le dita sfiorano la pelle, lui si ritrae di scatto interrompendo il contatto con la spalla, il calore si disperde, ma quasi non me accorgo mentre faccio un passo avanti e lui indietreggia. Capendo l'errore mi fermo e gli do il tempo di riprendersi, sbatte le palpebre qualche volta prima di tornare al presente e scusarsi per il comportamento. Non aggiunge altro però, nessuna spiegazione, e muoio di curiosità: voglio sapere di che si tratta, voglio che si confidi con me. Ma è come aver raggiunto un tacito accordo: se fingo che non sia successo niente, mi riserverà lo stesso favore.
«Com'è andata la prima lezione?» Il suo tono è tornato normale ed è impressionante con quanta nonchalance riesca a cambiare argomento ignorando la crisi precedente.
«Nel complesso direi bene, la nostra pozione è stata la più simile a quella del professore» anche quella di Vandine a fine infusione aveva raggiunto la giusta tonalità di giallo, ma non vedo perché dovrei dirglielo «e per domani dobbiamo prepararne un'altra.»
«Ah, la "tintura per capelli"... se non sbaglio, dovete raccogliere dei fiori, giusto?» Questa volta il ricordo lo fa sorridere, vedendolo di buonumore, faccio un audace tentativo alludendo ai rigogliosi cespugli che ci circondano: «Esatto. Sono qui proprio per questo. Mi faresti compagnia?»
«No.» L'entusiasmo si smorza subito, gli tirerei un pugno vedendo che ancora sorride nonostante mi abbia appena spezzato il cuore. «Però in quanto professore posso procurarmi le chiavi per la serra e siccome lì non possono girovagare matricole solitarie ti dovrò tenere d'occhio... se per te va bene, ovviamente...» All'ultimo ha smesso di sostenere il mio sguardo, mentre un leggero rossore gli colorava le guance. Non che mi senta di giudicare, dato che mi trovo nell'identica situazione.
«Se vuoi...» Cerco di non farmi troppe illusioni, ha appena rimesso in chiaro che è un professore, riserverà lo stesso trattamento a tutti i suoi studenti, rientrerà tutto nel suo lavoro.
«Se non avessi voluto non lo avrei proposto. Sono in pausa pranzo e questo pomeriggio non ho lezioni, ho tutto il tempo del mondo.»
Il cuore perde un battito e lo stomaco brontola. Questa volta arrossisco per un motivo diverso.
«Colpa mia. Ti spiace se prima mangiamo?» Ben mi fa un occhiolino. Grata, acconsento alla sua richiesta. Solo quando ci siamo inoltrati nel bosco e accomodati su una banchina in marmo bianco, mi rendo conto di non avere cibo con me, dato che con Reb avevo programmato di andare in mensa. Prima che abbia il tempo di scervellarmi Ben mi allunga un tramezzino che ha estratto dalla sua borsa. Apro l'involucro e osservo incuriosita il ripieno, si può capire molto di una persona dal tipo di panino che prepara e questo urla Benjamin: il pane bianco senza crosta tagliato a triangolo contiene prosciutto cotto ed Emmental. Così sistemato, preciso, geometrico.
«Ti devo un pranzo» esclamo tra un morso e l'altro. Non so se è l'ambiente, la profumata natura verdeggiante che ci avvolge nel silenzio e ci scherma dagli altri frequentanti dell'istituto, o la compagnia, ma mi sento bene qui.
«Mi devi anche una corsa» ribatte lui con un sopracciglio alzato «ma suppongo che possiamo iniziare con il pranzo» continua con un sorriso sornione di fronte al mio imbarazzo, mi domando quando abbia capito che non sarei riuscita a stargli dietro, forse si è accorto dal primo momento che non avevo il fisico da sportiva.
«Dimmi solo quando sei libero» rispondo iniziando già a pensare cosa potrei cucinare, posponendo il problema del recupero degli ingredienti.
Si gratta il mento, i suoi occhi indugiano nel cielo azzurro mentre passa in rassegna l'agenda: «Sabato va bene?»
«Perfetto.» La consapevolezza che lo rivedrò mi aiuta a rammentare il compito da svolgere. «Andiamo?» alludo agli incartamenti vuoti di entrambi.
Annuisce e mentre si alza prende il mio l'alluminio e lo getta insieme al suo in una busta di plastica che fa sparire nella borsa.
Mi porge una mano per aiutarmi ad alzarmi, ma quando sono in piedi non mi lascia subito, per qualche altro secondo rubato mi tiene vicina e mormora: «Questo fine settimana iniziamo con il pranzo, ma per il prossimo mese intendo prendermi tutto ciò che mi spetta.»
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La serra è ampia e luminosa. I differenti profumi che permeano l'aria mi stordiscono per qualche istante, ma poi sento solo quelli delle piante più vicine a me. Ben mi ha spiegato che c'è un particolare incantesimo dell'aria per farlo accadere e sono felice che finalmente mi ritenga degna di apprendere nozioni sul funzionamento del mondo magico.
L'imponente edificio in vetro e acciaio è situato alle spalle della sede centrale, avremmo potuto tagliare passando per i corridoi, ma Ben ha preferito prendere la strada più isolata e tranquilla, sebbene più lunga, e aggirarla passando tra gli alberi. L'ho ringraziato mentalmente per quella decisione, non solo perché non mi sentivo ancora pronta a tornare a mischiarmi con gli altri, ma anche per il tempo concessomi per riorganizzare i pensieri dopo quell'ultima frase che mi ha rivolto. Credo di averci rimuginato più del necessario, l'ha seguita un'occhiolino e ormai dovrei conoscerlo: nonostante il modo in cui è stata formulata, non nasconde niente di più, sarebbe stata più preoccupante se l'avesse pronunciata Tommaso. Non era nelle sue intenzioni mandarmi in confusione, voleva solo ricordarmi che presto saremmo davvero andati a correre insieme, non stava certo invitandomi a uscire. Con questa rinnovata consapevolezza, mi focalizzo sul mio obbiettivo: trovare un fiore. Mentre mi aggiro tra le piante, ripasso gli avvertimenti di Ben: ci sono vegetali provenienti da tutto l'universo, quindi non devo sorprendermi se trovo varietà o colorazioni mai viste sulla Terra, tuttavia bisogna sempre prestare attenzione, usare dei fiori artificiali per la realizzazione della pozione ha conseguenza di farla diventare acido per capelli; mi ha consigliato, sebbene qui sia tutto naturale, di rendergli nota la mia scelta, prima di coglierla. Il suo consiglio è stato di optare per le rose perché pregne di magia, quindi adatte ai principianti, e disponibili in varie colorazioni; mi sono detta d'accordo pertanto è nella sezione a loro dedicata che mi sta conducendo.
Ci dirigiamo verso il fondo della serra, fino a un'immenso cancello in ferro battuto a forma di rovi spinati. Ben non esita un istante ed estrae dalla valigetta lo stesso mazzo di chiavi tra cui c'era quella con cui ha aperto la porta d'ingresso, le scorre con lo sguardo per qualche breve attimo poi ne sceglie una dello stesso colore verdastro del cancello con l'impugnatura decorata da un bocciolo schiuso. La chiave entra con facilità e dopo un paio di giri scatta la serratura.
«Tutta questa magia e mi scadete su serrature babbane, basterebbe che qualcuno ti rubi le chiavi e tanti saluti alla sicurezza» commento soprappensiero mentre tiene il cancello aperto per lasciarmi avanzare.
«Assolutamente no» ribatte lui, sembra divertito, quasi si aspettasse quella domanda, suppongo che un'insegnante impari ad anticipare le perplessità degli studenti «le chiavi sono incantate, questo è il mio mazzo, funziona unicamente in mano mia. I professori, solo loro, ne hanno una copia e non tutti hanno l'autorizzazione ad accedere in ogni luogo.»
«Tu sì?» Quelle sono davvero tante chiavi.
«Diciamo che sono uno dei pezzi grossi...» dice sibillino, non aggiunge altro ma sono sicura di vederlo gonfiare il petto in un moto d'orgoglio e cercare di nascondere un sorriso soddisfatto. Non è qualcosa che mi sta nascondendo, me la sta solo riservando per dopo, per un altro momento, per... impressionarmi?
Non lascio a quella flebile speranza neanche il tempo di attecchire prima di scacciarla e concentrare la mia attenzione sui fiori disposti in ordine di colorazione, dal bianco al nero.
«Attenta alle spine» mi ammonisce Ben. Non capisco cosa abbia da rimproverarmi, non sto facendo niente, sto solo guardando... sbatto le palpebre un paio di volte prima di rendermi conto che effettivamente ho allungato una mano e stavo per stringerla intorno allo stelo più vicino, la ritraggo di colpo spaventata per quel gesto incontrollato.
«Non preoccuparti, non è colpa tua. Te l'ho detto, le rose sono cariche di magia ed essere in gruppo le rende irresistibili a chiunque eccetto ai maghi più esperti, per questo le teniamo separate dal resto» fa un cenno in direzione del secondo cancello «e più in generale l'intera struttura è inagibile ai non-diplomati.» Senza supervisione. Non lo aggiunge, ma lo aveva accennato prima, quindi riesco a comprendere il sottinteso di restargli accanto.
Lo seguo mentre si dirige verso la zona rossa e si appresta a cogliere una rosa dai petali rubino, gli afferro il polso prima che ci riesca.
«Pensavo sarebbe stato simpatico se tu avessi optato per il rosso e Reb per il giallo» spiega rapido, stupido dal mio gesto audace. Quando me ne rendo conto, mi stacco imbarazzata.
Credeva che ci saremmo invertite i capelli? Per quanto suoni divertente, non è fattibile, Reb è gelosissima del suo colore naturale e anche io non apprezzo il biondo tinto; mi affretto a rivelargli che pur essendo migliori amiche è un'opzione da escludere.
«D'accordo allora, guardati intorno e scegli» concede, ma appena sto per allontanarmi vengo trattenuta dal suo prendermi la mano «Non era una cattiva idea, il contatto fisico dovrebbe annullare del tutto gli effetti delle rose.» Non mi è dato di sapere come faccia a spiegarlo restando così calmo mentre io sento d'impazzire.
Temevo che non sarei riuscita a concentrarmi con Ben così vicino e avrei afferrato a caso, invece lui non parla e mi segue docile permettendomi di accantonare che sia ancora con me. Mi sposto dal lato opposto a dove era lui e mi soffermo sulle sfumature del blu. Alla fine opto per celeste e viola per Reb; mi vergogno un po' ad ammettere che non avevo proprio considerato la mia amica e ho cercato qualcosa per lei solo dopo che Ben l'ha dato per assodato. «Sicuro che posso? Non vorrei metterti nei guai...» mormoro mentre indico ciò che voglio.
«Tranquilla, ho un ruolo importante e davvero poche situazioni potrebbero compromettermi.» Strizza un occhio e rapido coglie i fiori, più altri due dei medesimi colori sostenendo che è meglio avere una riserva in caso la prima volta dovesse non riuscire.
Anche se non ho ancora ben capito che posizione occupi, decido di dargli soddisfazione: «Sì, ho imparato la lezione, del resto lo hai già dimostrato quando ti sei vendicato costringendo Tommaso a farmi da responsabile.»
Ben stava avvolgendo gli steli in un foglio di alluminio staccato dal rotolo poggiato su un tavolo al lato della stanza occupato da tutto l'occorrente per il giardinaggio, ma si blocca sentendo le mie parole. Vorrei rimangiarmi ciò che ho detto, avrei potuto formulare meglio la frase o avrei potuto tacere.
«È stato lui a dirti così?» domanda tornando al suo compito, ma mi sembra che i suoi movimenti siano meno decisi e la presa meno salda.
«Non proprio... ha solo detto che il preside aveva ricevuto una richiesta che non poteva rifiutare e ho pensato che fossi stato tu» detto a voce alta suona abbastanza stupido, ma nella mia mente aveva senso.
Ben poggia i fiori sul tavolo ed inizia a tamburellare con le dita sul ripiano, apre la bocca e la richiude alcune volte senza emettere alcun suono, sembra combattuto, alla fine cede: «Non sono stato io. Tommaso ha avanzato la richiesta di sua volontà e ha fatto in modo che fosse accettata.»
«Hanno dato retta a un semplice studente?» Mi sembra assurdo, se fosse stato un rappresentante avrebbe anche potuto essere, ma Tommaso ha sottolineato con insistenza di essere un comune allievo.
«Ovvio che no, ma lui è... Quanti anni ho?»
Il cambio d'argomento così brusco mi fa sussultare, perché questa domanda adesso?
«Trenta?» azzardo, ma me ne pento subito, avrei dovuto sparare più basso.
Mi scruta per qualche attimo. «Lo pensi davvero...» Smette di muovere le dita e soppesa bene le sue prossime parole: «Se lui non ha parlato, di certo non sarò io il primo a farlo così da lasciargli rivelare tutto ciò che vuole sul mio passato. Mi dispiace, ma non posso permettermelo.»
Mentirei se dicessi di non essere ferita dalla sua reazione brusca (prima la strana reazione al mio tocco e ora questa segretezza su chi sia davvero), ma al contempo lo comprendo abbastanza da non insistere oltre. Il pensiero che quella frase, per quanto criptica, sia già più di quanto abbia concesso a molti è invitante e questa volta non lo scaccio.
«Lo sai che si possono combinare petali di fiori diversi per ottenere sfumature di colore? Con le giuste dosi inoltre è possibile anche tingere le ciocche in maniera differente usando un'unica pozione. Se per domani sfruttassi questo trucco, di sicuro faresti un figurone.»
«Ti ringrazio, ma credo che il tuo compito sia più di supervisionare e basta, non tanto di fare supplenza di pozioni.» Un altro cambio di argomento, si deve essere accorto che ci sono rimasta male e sta provando a tirarmi su di morale. «Però sabato dopo pranzo possiamo provare, se ti va» mi arrischio a proporre.
Ben mi fissa, soppesando la mia offerta, poi afferra i gambi incartati e si dirige al cancello senza dire una parola. Aspetta che lo raggiunga per chiudere i battenti con tre mandate. Sempre in silenzio, mi riconduce all'esterno della serra. Solo dopo essersi assicurato che anche questa porta non possa essere aperta, si rivolge a me: «Non stai dimenticando qualcuno? Io sono il responsabile di Rebecca, è con lei che devo stare.»
So benissimo che lui non è destinato a me e che il mio assegnatario mi ha scaricata non appena gliel'ho concesso, non l'ho scordato e non c'è bisogno che lui mi ricordi come Tommaso neanche si sia voltato indietro quando aveva deciso che il suo compito era finito. Di quello sono consapevole, ciò di cui non sono certa è se l'ultima frase fosse davvero per me.
*Nota per questa frase: «[...]Se per domani sfruttassi questo trucco, di sicuro faresti un figurone.» Ricordo che Ben parla in inglese, per 'tu' e 'voi' usa lo stesso pronome. Al momento si sta convincendo di averlo usato per intendere 'voi' (Lara e Reb) - per giustificare sé stesso di non essere venuto meno alle sue responsabilità - in realtà il Panglottismo ha compreso le sue reali intenzioni e ha "tradotto" 'tu'.
~Prossimo capitolo: I see fire~
«Non ho idea di come sia potuto accadere. Nessuno degli studenti è in grado di lanciare incantesimi ad occhi aperti. Non saprei proprio dire come si sia scatenato l'incendio.»
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