Capitolo 42
Avviso veloce prima di incominciare:
1. A partire da oggi e per tutto agosto accetterò proposte per dei disegni da realizzare con i personaggi della storia (Sia disegni di alcuni pg principali/secondari che scene varie. Pubblicherò poi anche il restyling di alcuni pg che ho modificato), che verranno come sempre pubblicati su Instagram.
2. Vorrei far arrivare a più persone possibili, non capisco perché quando era scritta male la leggeva molta più gente; perciò, se vi va condividetela e consigliatela.
Il silenzio regnò sovrano per tutto il viaggio fino a casa Blaze. Non c'era da stupirsi infondo riflettendoci bene. Era Ethan di norma l'anima del caos e delle chiacchiere con la sua parlantina infinita, ma in quei momenti era totalmente assorto nei suoi pensieri e teneva lo sguardo sempre rivolto fuori dal finestrino. Chissà cosa gli frullava nella testa, avrei dato qualunque cosa per saperlo, per essere d'aiuto come lui era stato con me solo poche ore prima. Non capendo però che fosse accaduto, diventava impossibile. Avevo così tante ipotesi nella mente che non riuscivo neppure a comprendere quale fosse la più plausibile. Gli si potevano criticare molte cose, ma di certo non era uno sprovveduto, doveva aver visto o sentito qualcosa di serio per essersi allontanato da solo e soprattutto mentendoci spudoratamente. Chi poteva attirarlo con tale facilità? Un amico di famiglia oppure un vecchio conoscente di suo padre? Non mi sarei sentita di escludere neppure qualcuno collegato ai Titans. Spostai lo sguardo lungo lo specchietto retrovisore, unico mezzo che mi permetteva di guardare gli altri senza voltarmi essendo seduta accanto al guidatore. Sirius non smetteva di osservare Eth nemmeno per un istante, quasi ne volesse studiare ogni suo singolo movimento. Mentirei se non dicessi che era esattamente l'atteggiamento che mi sarei aspettata da lui. Accanto Shiny sembrava essere molto preoccupata, continuava a giocherellare con l'orlo della gonna quasi fosse sul punto di una crisi di nervi. Raggiungemmo la nostra destinazione poco dopo. La casa era molto diversa dalle nostre, infatti riprendeva in piena regola lo stile architettonico classico giapponese. Non avevo mai chiesto il perché di quella scelta, soprattutto dopo aver vissuto così tanto tempo in occidente. Forse una mancanza delle nostre tradizioni? La strada che vi conduceva era stracolma di volanti, ma ciò non mi stupiva conoscendo il prestigio della figura ricoperta dal padrone dell'abitazione. Scendemmo rapidamente senza però allontanarci dalla vettura, non era a noi che toccavano i primi passi. Il biondo iniziò ad avanzare avvolto in una coperta verso il portone, scortato dal nostro autista. Li seguimmo a poca distanza. Aperta la porta d'ingresso, una figura si buttò al collo del ragazzo.
<<Non farmi più scherzi del genere. Ho davvero avuto paura di perderti per sempre.>> La sua voce rotta dal pianto e quella stretta così forte, quasi volesse durare in eterno, erano il riassunto perfetto di tutte le emozioni che avevano accompagnato ognuno di noi in quella giornata infernale.
<<Mi dispiace tanto, non avrei mai voluto farti preoccupare.>>
<<L'importante è che tu ora sia qui.>> Richiamati dal detective Yamamoto, superammo velocemente il genkan* e imboccammo l'engawa** fino a raggiungere il salone. Arredato con lo stesso stile della casa, vedeva nel televisore riposto nel tokonoma*** l'unico segno di modernità. Noi ragazzi ci accostammo al muro per sederci poi a terra senza dire una parola. Non molto tempo dopo gli altri parvero seguire il nostro esempio. L'agente sembrò cercare con cura la frase da utilizzare. La cosa non mi sorprese più di tanto, si trattava sempre di un quattordicenne in stato di shock.
<<Allora Ethan, prima di tutto stai bene?>> Attese qualche istante prima di rispondere.
<<Sì, credo di sì.>> La sua voce squillante era solo un ricordo, sostituita da una così bassa che era persino difficile da udire.
<<In ogni caso per sicurezza è meglio che tu vada a fare dei controlli in ospedale. Tuo nonno era un medico dopo tutto, non dovresti averne paura.- Si avvicinò leggermente a lui, mettendogli una mano sulla spalla. -Ti va di raccontarci cos'è successo e dove ti trovavi nelle ultime ore?>> Scosse la testa in modo vigoroso facendo improvvisamente allarmare tutti i presenti. Cosa diamine significava? Papà gli rivolse un sorriso gentile come se volesse tranquillizzarlo.
<<Ehi, qui nessuno vuole farti del male e sei al sicuro da chiunque ti abbia rapito.>> Quel tono dolce lo conoscevo bene, aveva accompagnato la mia vita sin dalla culla. Era un misto di paternità allo stato puro e gentilezza, quella dolce come lo zucchero filato che fa cariare i denti. In poche parole, un atteggiamento quasi opposto a quello di zio Jude, che difficilmente riusciva ad abbandonare il carattere autoritario che lo contraddistingueva.
<<Non è quello, non ho paura di nulla, solo che non ricordo niente. Ho un vuoto nella mente che non sono in grado di colmare. Vorrei aiutarvi ma non saprei come.>> I presenti si scambiarono sguardi confusi, cosa poteva avergli causato un'amnesia? Forse un colpo alla testa, però non mostrava alcun ematoma e in più c'erano ancora i misteri legati al suo abbigliamento e alla tinta da risolvere.
<<Qual è l'ultima cosa che rammenti?>> Era stato il più grande degli Sharp ad intervenire.
<<Di aver inseguito un'ombra scura negli spogliatoi e poi di essermi risvegliato con il volto di Ella davanti.>>
<<Quindi manca anche il nostro incontro all'appello o quello lo ricordi?>>
<<No, nemmeno quello.>>
<<Presumibilmente la tua sparizione deve essere legata a qualcosa che hai visto o sentito nel lasso di tempo tra i tuoi ultimi ricordi e quando ci siamo parlati.- Avevo gli occhi degli adulti puntati addosso, essendo inoltre scattata in piedi presa dalla foga. -Scusate.>>
<<Tranquilla, anzi la tua osservazione è stata molto importante e sensata.>> L'ispettore replicò sereno.
L'interrogatorio proseguì per alcune ore, mentre noi sempre più assonnati stavamo per addormentarci lungo la parete. Ci riprendemmo solo una volta che ci richiamarono per tornare a casa, informandoci inoltre che Ethan non sarebbe venuto nemmeno domani a scuola per effettuare i controlli medici del caso.
<<Eth, qualunque cosa chiama. Noi ci siamo.>>
<<Lo so, grazie.>>
Pov. Ethan
Avrei potuto dire molte cose, ma non lo feci. Volevo solamente andare in camera e rifugiarmi nei miei pensieri. Congedatomi finalmente da chiunque, riuscii a chiudere il soji**** della mia stanza. Finalmente avrei potuto avere un attimo per me. Guardai nello specchio il mio riflesso. Su quegli abiti così eleganti, sicuramente più adatti a Sirius che a me, c'era ancora il suo profumo, era così pungente che lo avrei riconosciuto ovunque. Ricordavo quando da bambino mi svegliavo trovandolo sul cuscino, non esisteva cosa che mi piacesse di più. Mi ricordava che non ero solo e che qualcuno mi amava, o almeno era quello che avevo sempre pensato fino a quel fatidico giorno. Adesso invece? Beh, non ci capivo molto, la mia mente era un intreccio infinito di idee e pensieri talmente confusionario da farmi girare la testa. Mi passai una mano tra i capelli e mi domandai come gli eventi delle ultime ore avessero potuto generare quel cambiamento. Non erano tinti e non si era mai verificata una risposta del genere a quel processo. Era meglio non pensarci troppo. Tolsi il gilet riponendolo sulla sedia ed estrassi il futon dall'armadio, sistemandolo poi accuratamente sul pavimento. Mi spogliai in fretta rimanendo solo con i boxer addosso e con passo lesto tornai davanti al grande specchio. Abbassai leggermente il lato sinistro dell'elastico e osservai la pelle scoperta. Un piccolo simbolo vi era stato impresso, era simile ad un tatuaggio estremamente realistico, avevo quasi l'impressione che fosse solamente appoggiato lì. Bruciava ancora molto quella minuscola corona d'alloro, ma non potevo farne parola con nessuno, nemmeno con papà. Erano così tante le cose che gli stavo nascondendo e non solo a lui, anche ai miei amici, ai miei zii e alla polizia. Mi vergognavo, però fingere l'amnesia era stata la decisione giusta da prendere. Troppe erano le informazioni che dovevo assimilare e altrettante erano le riflessioni e le decisioni che stavano scaturendo da esse. Per una volta avrei dovuto davvero affrontare tutto da solo, farmi forza e accettare che si trattava di una mia responsabilità.
* Il Genkan è l'area interna posta subito dopo la porta di ingresso; è una specie di "limbo" che si frappone tra l'esterno e l'interno vero e proprio dell'abitazione, con la funzione primaria di permettere a chi entra in casa di togliersi le scarpe ed indossare le pantofole prima di recarsi verso i locali interni
**L'Engawa è quella parte di pavimento che rintraccia il perimetro esterno dell'abitazione
***I Tokonoma sono delle apposite aree incassate su di un lato in una tipica stanza in stile giapponese
****I Soji sono le porte scorrevoli caratteristiche delle abitazioni giapponesi, sono più luminosi dei Fumusa
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