Capitolo 22
Il giorno prima della partita eravamo al campo al coperto a testare i nostri miglioramenti dopo gli allenamenti speciali sostenuti con i cinque ex fuoriclasse. Alcuni erano visibili a vista d'occhio, soprattutto quelli ottenuti individualmente e sul piano fisico. Preparandoci ad ogni eventualità avevamo persino deciso di rispolverare l'Assalto tuonante di cui il punto focale sarebbe stato Ethan, una supertecnica ideata appositamente per contrastare la Royal Academy. Era molto tempo che il pubblico non assisteva ad una finale che aveva contrapposte le nostre due squadre, sembrava quasi fosse un ritorno al passato, un salto nella leggenda. Ognuno di noi ovviamente era preoccupato, anche se c'era chi lo dava più o meno a vedere. Sirius, nonostante cercasse di mostrarsi serio e imperturbabile come al solito, era certamente quello più in ansia.
<<Dev'essere proprio una brutta situazione per lui.- Alzai lo sguardo verso chi mi era comparso alle spalle. Genesis giocherellava con la borraccia e fissava il regista. -Io non vorrei mai trovarmi contro un team comandato da mio padre, insomma se vincessimo noi mi sentirei in colpa, mentre se lo facessero loro mi arrabbierei con lui e gli terrei il muso. Sei fortunata ad avere il tuo come allenatore, almeno sai per certo che non avrai mai questo tipo di problemi.>> Rimasi abbastanza sorpresa dalle sue parole, difficilmente l'avevo sentita interessarsi alle condizioni degli altri, o per lo meno non ne aveva mai accennato con me. Non eravamo mai state molto in confidenza, forse per i caratteri che dall'esterno potevano sembrare ai poli opposti, oppure per i gruppi che si erano formati prima ancora di iniziare le medie, probabilmente anche tutte e due. Dall'incidente, però, qualcosa dava l'impressione di stare cambiando, anche perché per la prima volta credevo di aver iniziato a capire chi si nascondesse sotto quella maschera fredda e austera.
<<Effettivamente. Speriamo che domani non succeda il finimondo.>> Sentii una risata strozzata di Lea, che si allontanò immediatamente a passo svelto.
<<Quella non mi convince molto.>>
<<Cosa intendi?>>
<<Non so, forse è solo una mia sensazione, ma credo ci nasconda qualcosa quella ragazza.>>
<<Temo di conoscerla da troppo poco per dare un giudizio. Tra le due manager è Shiny con cui ho più confidenza.>>
<<Già, ho sentito persino che ti ha chiamato senpai l'altro giorno, pensi di istaurare un rapporto di quel tipo con lei?>>
<<Forse, se posso evitarle un anno di scherzi crudeli e soprusi perché no. Infondo a me non cambia molto in ogni caso. Secondo te potrei essere adatta ad un compito del genere?>>
<<Perché non dovresti esserlo? Insomma, sei già una guida per tutti noi e sono certa potrai esserla anche per lei. Tu tiri fuori il meglio dalle persone, persino senza farlo di proposito.>>
<<Grazie.>> Stavo per dire altro, quando mi chiamarono per allenarci con i calci di rigore. Il pomeriggio era stato in fin dei conti abbastanza rilassante; infatti, avevamo ignorato volutamente per la maggior parte del tempo il pensiero dell'incontro dell'indomani. Rincasai prima rispetto al solito, tendevo sempre ad evitare di stancare i muscoli anche andando alla torre prima di una situazione come quella. Mi bastò il tempo necessario ad aprire la porta per capire dove si trovasse la mamma; infatti, venni accolta da un odore nauseabondo proveniente dalla cucina. Ciò stava a significare solo una cosa, stava preparando la "cena", meglio conosciuta come arma di distruzione di massa. Ero quasi entrata nella sala quando sentii un rumore sordo provenire da quella direzione. Lasciai cadere a terra la borsa e mi precipitai lì con il cuore fermo in gola. In quel breve tragitto pregai ogni singola divinità che mi venne in mente perché lei non fosse caduta e non si fosse fatta male. Ripresi a respirare solo nel momento in cui la vidi star bene, ma con una padella e vari cocci a terra. Stava per tentare di chinarsi, però bloccai quell'idea sul nascere.
<<Lascia faccio io. Tu perché non ti siedi? Non mi dai l'impressione di essere molto in forma.>>
<<Grazie. Non so cosa sia preso a tuo fratello, sta facendo un macello qui dentro.- Rispose appoggiandosi ad una sedia. -Sono certa che qui abbiamo un altro futuro calciatore, sono due settimane che non fa altro che scalciare. A volte sembra volermi dare tregua, ma poi ricomincia subito dopo.>>
<<È sempre stato così esuberante o solo di recente?>> Chiesi raccogliendo le cose.
<<Si è mosso parecchio fin da subito. Ora che è così grande mi distrae di più ed io combino questi disastri che tu sei costretta a sistemare, non sai quanto mi dispiace.>>
<<Sta tranquilla, non è assolutamente un problema. Almeno mi anticipo nell'affinare quest'abilità, se nascerà un terremoto si romperanno molte cose.>>
<<Guarda quasi quasi non aspetto altro, preferisco inseguirlo che venire malmenata internamente.>> Ridacchiò. Certo che la gravidanza non era tutta rosa e fiori, l'idea che un giorno sarebbe toccato a me cominciava a non esaltarmi più di tanto.
<<Oggi sei entrata nel terzo trimestre, perciò puoi consolarti pensando che manca poco.>> La osservai passarsi una mano sulla pancia, come se volesse accarezzare il bambino che c'era al suo interno.
<<In realtà, ad essere completamente sincera, non scambierei questo con nulla al mondo. Essere padri è sì stupendo, insomma giochi con loro e crei un rapporto stretto, ma non sarà mai unico come quello tra una madre che lo ha protetto per nove mesi e che lo ha ospitato in sé.>> Accennai un sorriso, la sua voce sognante era qualcosa di incredibile.
<<Ti facevo penare anch'io così tanto quindici anni fa?>>
<<No, tu eri tranquilla forse persino troppo. Il parto è stata l'unica sorpresa.>>
<<Che intendi?>>
<<Avevi fretta di nascere, eri davvero entusiasta di conoscere il mondo e forse persino di farci un bel pesce d'aprile. Sei nata dieci giorni prima della data prevista, impaziente come tuo padre sin da subito. Ricordo quando ti ho vista, hai urlato solo per un attimo, ma poi ti hanno data a Mark e nonostante non sapevi chi fosse gli hai sorriso. Tutto questo ovviamente mentre lui piangeva a dirotto.>>
<<Gli uomini sono sempre così emotivi.>> Dissi scherzando.
<<Soprattutto lui.- Diede uno sguardo veloce all'orologio attaccato sul muro alle mie spalle. -Cavolo quanto è tardi, devo rimettermi a lavoro.>>
<<Vatti a riposare, cucino io stasera.>>
<<Assolutamente no, tu domani hai la partita e non puoi sprecare energie.>>
<<Ti assicuro che sarò carica come al solito, vai.>> Ci misi un po' a convincerla e quasi dovetti trascinarla fino alle scale, però alla fine andò a stendersi in camera da letto. Bene, mancava solo la cena a quel punto.
Eravamo in viaggio verso la Royal Academy da quasi venti minuti e continuavo a chiedermi per quale assurdo motivo dovevamo per forza giocare nel loro stadio, lo capivo quando la Raimon aveva solo un campetto sterrato, ma ora le attrezzature c'erano tutte. Sicuramente Sirius avrebbe potuto darmi una risposta se non fosse stato bloccato a fissare un punto indefinito davanti a sé. Doveva essere davvero in ansia per non essersi mosso dal momento stesso in cui eravamo partiti. Genesis aveva ragione, nessuno avrebbe voluto essere al suo posto, o per lo meno non qualcuno sano di mente. Derek doveva essere sicuramente grato dell'anno sabatico che il padre aveva deciso di prendersi. Riconobbi immediatamente l'edificio al quale eravamo diretti non appena capitò nel mio spazio visivo. Non l'avrei mai detto ad alta voce, però trovavo quel luogo al quanto lugubre. Riflettendoci bene, se messe a confronto, le architetture delle nostre due scuole rappresentavano a pieno le loro anime, ovvero quella di stampo militaresca e la nostra allegra e vivace. Conoscendomi non credevo di poter sopravvivere per più di due minuti in un ambiente del genere e ringraziavo i miei genitori per non avermici iscritta ogni giorno.
<<Confesso che mi mancava un po' tutto questo.- Ci girammo tutti verso Lea, compresi i due allenatori. Giocherellando con il nastrino del fiocco verde ci guardò interrogativa: -Che c'è?>>
<<L'ho detto che quella ha qualche rotella fuori posto. Dai racconti di mio padre questo sembrava quasi un carcere minorile.>> Sussurrò a noi più vicini la Stonewall. Mi domandai se non fosse semplicemente il carattere combina guai di Caleb ad aver alterato la sua prospettiva, anche se sinceramente non mi sentivo di dargli torto.
<<Lei magari ci è abituata, infondo persino Joe King l'ha frequentata. Sarà stata cresciuta con la loro mentalità.>> Il nostro regista, che finalmente mostrava segni di vita, si intromise nella conversazione.
<<È certamente così. Chi come noi, fatta a quanto pare eccezione per te Gen, è stato educato da un adulto con la loro impostazione arriva a trovare questo posto piacevole.>> La centrocampista ed io ci guardammo tra il confuso e lo schifato, a volte c'erano cose che non capivo minimamente. Una volta scesi e superata la solita folla venimmo accolti da un volto familiare. Sapevo di averlo già visto, solo che non capivo dove. I miei dubbi vennero diradati dal nostro viceallenatore, che lo salutò prontamente.
<<Princeton è un piacere rivederti.>>
<<Anche per me Dark.- Ci squadrò uno ad uno da capo a piedi, soffermandosi infine sul mio migliore amico. -Sapevo che il figlio del Comandante giocasse con voi, ma vederlo è tutta un'altra cosa. Se volete seguirmi sono stato incaricato di accompagnarvi agli spogliatoi.>> Notai il giovane Sharp irrigidirsi sul posto, ero sicura che avrebbe voluto già indossare i suoi occhialini in quel momento. Per lui erano sempre stati un'ulteriore protezione dal mondo. Appena le porte si chiusero alle nostre spalle e venimmo finalmente lasciate sole per cambiarci, Sierra sentenziò:
<<Dentro è ancor più inquietante che fuori, sono percorsa da un brivido da quando siamo entrati.>> Non avrei saputo come negare la cosa ed ero abbastanza certa che le altre fossero del mio stesso avviso; infatti, nessuna di loro si accinse a replicare. Non credevo di aver mai indossato la mia divisa tanto in fretta, ma soprattutto di essere stata più felice di ricongiungermi ai ragazzi. Quando finalmente giungemmo al campo da gioco, venimmo accolti dal rumore assordante dei tifosi sugli spalti. Curiosai un po' in giro con lo sguardo e mi accorsi della vastità della loro seconda squadra. Erano tutti in fila con la schiena dritta fissi nella stessa direzione, davano l'impressione di essere più soldati che bambini. Mi richiamarono poco dopo, perché saremmo dovuti scendere in campo. Superati i messaggi imbarazzanti degli sponsor il pallone venne posizionato sul dischetto bianco, tra i piedi di Ethan e Melany. L'arbitro fischiò e l'incontro che avrebbe cambiato per sempre il nostro modo di giocare ebbe inizio.
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