Capitolo 14
Visto che abbiamo parlato molto di Ella la nostra protagonista e di Sirius l'abile regista, finalmente ci occupiamo un po' dell'ultimo membro del nostro trio, l'attaccante Ethan Blaze.
Pov. Ethan
Sistemai velocemente il colletto della giacca rossa, controllando che fosse perfettamente alzato, e lasciai casa a passo svelto. Il tempo quella notte non era stato clemente, portando con sé un burrascoso temporale, che nonostante fosse terminato da alcune ore dava l'idea di poter ricominciare in ogni momento. L'aria odorava di pioggia e il cielo in alcuni rari momenti tuonava ancora, mentre i miei anfibi alzavano talvolta l'acqua delle pozzanghere che ornavano la strada. Non sapevo per certo nemmeno io perché avessi deciso di uscire in quella domenica dei primi di giugno. Forse il sentire la villa vuota mi metteva ancora più angoscia, visto che papà era costretto a lavoro. Nel corso degli anni avevo sviluppato una certa avversione per quelle giornate in cui il vento si rinfrescava e la città si svuotava. Quando non avevamo in programma nessun incontro nel weekend, nemmeno la fascia inazuma dava segni di vita. Odiavo il silenzio e la solitudine di quei momenti, anche se cercavo di non darlo a vedere. Sapevo che se lo avessi raccontato ai miei migliori amici sarebbero usciti di casa persino in mezzo ad un uragano per raggiungermi, in particolare Ella che non abbandonava mai nessuno. Non volevo però che lo facessero, non perché non avrei gradito la loro compagnia, ma bensì non volevo privarli di quei momenti che si venivano a creare quando tutta la famiglia era riunita a casa. Gli Evans trascorrevano tutta la giornata insieme tra giochi da tavolo e attività divertenti, mentre in quelle più calde Mark organizzava gite fuori porta. Gabriella ridendo una volta mi disse che negli ultimi tempi anche Iridio, dalla pancia di Nelly, si divertiva a partecipare dando qualche calcio quando c'era una risposta da dare. Dagli Sharp la situazione variava invece a seconda di due semplici fattori, l'assenza di Alyxia per un turno in ospedale o una partita della Royal Academy per quella di Jude. Nel primo caso i due uomini di casa guardavano serie o film polizieschi/investigativi, cercando di risolvere prima del protagonista il mistero. Il secondo prevedeva tante ore passate a chiacchierare e qualche dolce fatto in casa sfrattando lo chef. Quando erano tutti insieme la situazione variava ancora e Sirius giurava di non aver mai sentito il padre ridere come in quei casi. Erano in grado di passare alle attività più disparate in pochissimi istanti, una volta tentarono persino di insegnare alla bionda il calcio, che ne uscì molto più confusa di prima. Doveva essere bello avere una famiglia così unita. Amavo la mia vita, le serate passate a chiacchierare, le partite viste in TV o quando andavo, fino qualche anno fa, direttamente a vedere lui in campo. Eppure, erano diverse dall'ambiente che si andava a creare dai miei amici, nonostante papà non mi avesse mai fatto mancare nulla. Senza rendermene conto arrivai a quello che con i ragazzi avevamo soprannominato il Viale dei ciliegi, in quanto era la strada che aveva più alberi in tutto il quartiere. Mi piaceva molto venire lì per l'hanami* sin da bambino e anche quando la fioritura era terminata rimaneva un luogo di conforto dove trascorrere le giornate. Avevamo tutti un posto del genere, che ci faceva sentire a casa, in città. Per Ella la Torre, per il regista la Tokyo Skytree e per me questo. Non avevo mai ammesso con nessuno il perché di questo luogo e quando qualcuno me lo chiedeva direttamente tendevo ad evitare la domanda o ad inventare una scusa. Non c'era cattiveria in questo, ma solo paura dell'ammetterlo, perché a volte era più facile far finta di essere forte. Mi sedetti a terra, tra le radici di uno dei ciliegi, e chiusi gli occhi ascoltando il suono del vento. Un flebile ricordo, oramai sbiadito, mi pervase la mente. Una mano tesa verso di me, che io ero pronto a stringere, apparteneva ad una donna alta dai capelli neri ricci e dagli occhi azzurri, esattamente come i miei. Intorno a noi tutti gli alberi erano in fiore come se il cielo fosse improvvisamente diventato rosato. Ad un certo punto si arrestò e mi fece avvicinare a lei, mentre spostava una ciocca dietro l'orecchio destro, scoprendo l'orecchino con rubino che non si toglieva mai. Le sue parole mi rimbombavano in testa, come se le stesse pronunciando in quell'esatto istante: "Angelo mio, ascoltami bene. Il papà sarà qui tra poco, perciò mi prometti di non muoverti?- Come ogni bambino di cinque anni, annuii senza farci troppo caso, per essere all'altezza delle sue aspettative di avere un figlio perfetto. -Bene, sei sempre perfetto. Ora la mamma deve andare, ma tu ricorda sempre cosa devi essere." Si tolse la collana che portava al collo, abbinata all'orecchino, e me la mise al collo. Con un riflesso involontario la sfiorai nella realtà. Dopodiché mi lasciò la mano e se ne andò senza dire un'altra parola e senza mai voltarsi indietro. Ricordavo papà arrivare di corsa, ancora sudato dopo un allenamento, che mi strinse a sé come per non lasciarmi più andare. La donna, che tutto meritava fuorché l'appellativo di madre, lo aveva chiamato dicendogli che ero qui da solo ad aspettarlo. Nessuno la rivide più da quel giorno. Era strano come il mio posto preferito fosse anche quello del mio abbandono, forse lo avevo scelto proprio perché mi aveva insegnato che non ci si poteva fidare di chiunque. Le mie urla mentre la chiamavo e le lacrime che mi rigavano il viso, erano ciò che mi era rimasto di lei. Se non avessi avuto accanto mio padre, probabilmente sarei finito per odiare il mondo. I primi tempi furono gli zii a tenere in piedi l'attaccante, rammentavo ancora la frase che zio Mark gli disse l'ultima volta che si lasciò andare un mese dopo gli eventi: "Posso solo immaginare quanto stai soffrendo in questo momento, ma tu sei un adulto e sei tutto ciò che rimane a quel bambino dei suoi genitori, non puoi lasciarlo da solo ad affrontare il mondo." Dopo quel giorno, non lo vidi mai più crollare, ma al contrario iniziò ad esserci sempre un sorriso dolce sulle sue labbra.
Non ero certo di quanto fossi stato lì immerso nei miei pensieri, potevano essere stati pochi minuti o persino ore, una mia caratteristica che mio padre detestava, perché si preoccupava quando rincasavo troppo tardi. Mi risvegliai dal mio viaggio nel passato solo quando sentii la prima goccia d'acqua colpirmi il viso. In poco tempo ne vidi altre cadermi sulla maglia bianca e sui pantaloni scuri, dovevo assolutamente correre a casa, prima che scoppiasse di nuovo il temporale. Corsi come se fossi nel mezzo della finale di campionato riuscendo a raggiungere la via principale in pochi istanti. Le auto mi sfrecciavano davanti impedendomi di attraversare e costringendomi a bagnarmi sempre di più, finché una rossa non si fermò davanti a me. La conoscevo benissimo. Il finestrino scuro si abbassò rivelandomi la chioma color panna di papà.
<<Sali forza.- Non me lo feci ripetere due volte e saltai a bordo, finalmente felice di essere a riparo dall'acqua. -Quando sono tornato a casa e mi sono accorto che non c'eri, ero quasi certo di trovarti qui.>>
<<Quasi?>>
<<Prima ho chiamato sia da Jude che da Mark per sicurezza. Ti ricorderai mai di portarti dietro un ombrello in giornate come queste? Puntualmente mi torni a casa bagnato come un pulcino e se non ricordo male il fuoco non va molto d'accordo con l'acqua.>> Scoppiammo a ridere entrambi come due idioti, che per qualche strano motivo avevano l'abitudine di creare solamente supertecniche utili ad appiccare incendi. Erano quelli i momenti in cui non potevo essere più felice di fare parte di quella pazza famiglia che riusciva a tirarti su anche nelle giornate peggiori.
* In Giappone è il termine che si usa per indicare il godere della bellezza naturale della fioritura primaverile degli alberi, in particolare dei ciliegi.
Per chi fosse curioso ecco il look di tutti i giorni di Ethan, che a breve sarà seguito da quello degli altri.
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