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- Perché porti spesso la camicia nera?
Eh?! Cioè davvero è questo il problema?
- Perché, non sto bene?
Arrossisce.
- No, no, assolutamente, stai benissimo... Ma perché la metti?
Ma che razza di domanda è?!
- Perché mi piace... E perché penso mi stia bene...
La vedo mordersi il labbro, incerta se continuare questa conversazione surreale.
- Non...non c'è un motivo particolare?
- Ma scusa, che motivo dovrebbe esserci? Puoi spiegarmi per favore?
- Hai presente il fascismo?
- Be', sì, ma che c'entra?
- I fascisti avevano come "divisa" la camicia nera...
Mi va in cortocircuito il cervello.
- Cioè, tu hai pensato che fossi fascista solo perché mi piacciono le camicie nere? E tu allora? Tifi Real, visto che sei vestita di bianco?
- No, ma...
- Scusa, eh, ma potevo sopportare i tuoi pregiudizi sui calciatori, ma questo mi sembra un tantino troppo, non trovi?
Abbassa lo sguardo, sembra sul punto di piangere.
- Senti, scusa! Lo so, non avrei dovuto! È una cazzata, solo che...
- Solo che?
- Per la nostra famiglia, per me, è importante. - Si interrompe, forse per vedere se mi basta come spiegazione, ma poi decide di continuare. - Mio nonno è morto l'estate scorsa. Suo padre è stato ucciso dai fascisti quando lui aveva cinque anni. Durante la guerra era poco più che un bambino, ma ha fatto la staffetta partigiana. Per fortuna, non si è mai trovato nella situazione del Piero della canzone, anche perché so che non avrebbe mai sparato, neanche a Mussolini. L'altro nonno non l'ho mai conosciuto, per cui mi sono affezionata tantissimo a lui e lui me, che ero la sua prima nipote. Mi diceva sempre che avrebbe voluto vedermi con un bravo ragazzo prima di morire. Non ci è riuscito, ma non ha mai smesso di ripetermi: "Destra, sinistra, centro, assenteista, conta poco se lo ami e se ti ama. Ma ricordati che un fascista non è mai una brava persona!"
Cerco di capire esattamente il senso di tutto questo discorso che ha fatto a mezza voce e con lo sguardo fisso a terra. Mi rendo conto che ha gli occhi lucidi e capisco quanto doveva essere legata a questo nonno e quanto vuoto abbia lasciato la sua morte.
Le metto un braccio intorno alle spalle e la stringo a me. Lei si asciuga gli occhi e tira su con il naso.
- Scusa...
Non so se si sta scusando ancora per la domanda di prima o per il fatto che sta piangendo, ma non mi importa.
- Va bene così. Non è successo niente.
Ma non è vero che non è successo niente: suo nonno la voleva fidanzata e non voleva che il ragazzo in questione fosse fascista. E lei si preoccupava che non lo fossi io.
Lo vedete anche voi che non sono io che corro troppo, ma davvero questo vuol dire che mi vede come un possibile fidanzato? Dai, il nesso è chiarissimo!
§§§
La festa è esattamente come me l'aspettavo: coloratissima, chiassosissima, affollatissima.
Francesca ha ricominciato a sorridere non appena ci siamo buttati nella folla per cercare di avvicinarci alla processione. Sua madre ha cominciato a preoccuparsi che ci si potesse perdere tra la folla, ma lei le ha detto di stare tranquilla, che i cellulari servono a questo. Sembra essersi dimenticata tutto quello che è successo lungo la strada. Ora non fa che ridere e si è illuminata di tutt'altra luce.
La osservo mentre di fianco a me batte le mani e dondola la testa al ritmo dei tamburi. È raggiante!
Ogni tanto si gira verso di me e mi indica qualcosa, commentandolo. Il più delle volte non sento cosa mi dice, ma seguo il suo dito, sorrido e poi torno a guardare lei, che è sicuramente più bella e interessante di tutte le processioni del mondo.
A un certo punto la vedo scostarsi ridendo e, prima che possa capire il perché, mi ritrovo coperto di qualcosa di gelatinoso, appiccicoso, giallo fosforescente.
Lei si sta sbellicando dal ridere, io ancora non ho realizzato cos'è successo.
- Ma cos'è questa roba?
- Boh! La spruzzavano addosso alla folla a caso. Io l'ho scampata per un pelo, ma tu...
Io mi guardo e storco la bocca.
- Sembro un arbitro!
Lei scoppia di nuovo a ridere.
- È vero! Si vede che era destino che la tua camicia non restasse nera...
Sorrido anch'io, mentre mi rendo conto che qualcosa mi sta colando sulla faccia.
- Ma cosa...
- Ce l'hai anche in testa! Aspetta...
Prende un fazzoletto di carta e mi si avvicina.
Improvvisamente mi compare davanti agli occhi la stessa scena a parti invertite, quando io le avevo bagnato l'occhio. Quanto eravamo vicini in quell'occasione? E quanto sono andato vicino a baciarla?
Non ho neanche il tempo di pensarci troppo che me la ritrovo addosso.
No, non nel senso che avete capito voi! Semplicemente mi cade addosso, finendo contro il mio corpo che non desiderava altro da giorni. Mi si blocca il cervello. Credo anche di essere in apnea.
Ma poi lei si allontana con un sorriso imbarazzato.
- Scusa! Puoi abbassarti? Sono tappa lo so, ma se no non riesco a pulirti i capelli... Come hai visto in punta di piedi non sono propriamente stabile...
Respira, Paulo, respira! Sorridi e ubbidisci. È tutto a posto! È tutto a posto!
Mi ritrovo a dar retta alla mia voce interiore, senza però riuscire a dimenticare quello che è appena successo, quello che ho appena provato.
- Fatto! Puoi rialzarti.
Di nuovo faccio come mi dice, ma lei non si allontana. No, comincia a pulirmi la camicia.
- Mi sa che dovrai lavarla comunque, ma almeno ti levo il grosso...
Sento la sua mano che si muove sul mio petto, seguendo il disegno di quella porcheria gialla. Su, verso la spalla, e poi giù, lungo il fianco. E nuovo a destra...
No, decisamente non posso più aspettare oltre. Oggi, adesso, è il momento giusto. Lo so, me lo sento!
Prima che riesca a rendermene conto, però, Francesca finisce con la mia camicia e passa al suo vestito, che si è sporcato quando mi è caduta addosso. Poi torna con gli occhi alla processione. Ma dev'essere la mia giornata fortunata, perché finisce proprio in quel momento e la folla si riversa nello spazio prima libero davanti a noi.
- E ora che si fa? - la sento domandare, mentre sono ancora immerso nei miei pensieri.
Colgo la palla al balzo.
- Ti va lo zucchero filato? Prima ho visto che c'era un banchetto...
Lo so, normalmente a una ragazza si offre da bere, ma lei, mi sembra di averlo già detto, è diversa. Non solo è astemia e offrirle una coca-cola mi sembra un po' squallido, ma poi, sotto sotto, è una bimba e questa proposta è molto più azzeccata.
- Volentieri! - acconsente infatti, seguendomi senza nemmeno preoccuparsi di avvisare i suoi.
Riesco a ritrovare il banchetto e ordino uno zucchero filato bianco, perché "Rosa sa di Big-babol. E le Big-babol fanno schifo".
Mentre lei osserva ammirata lo zucchero che sfrigola, la prendo per i fianchi e la avvicino a me.
Stupita si volta a guardarmi.
Sposto le braccia intorno alla sua schiena.
Adesso siamo proprio vicini, occhi negli occhi, con le bocche a pochi centimetri di distanza.
Centimetri che questa volta elimino e, finalmente, appoggio le mie labbra sulle sue.
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