2.
Il vento lo aveva portato lì.
Come un seme batuffoloso di dente di leone, aveva girovagato qua e là, facendo brevi capatine ovunque la sua piccola band lo avesse trascinato con sé, sempre troppo distratto per far caso davvero agli spostamenti.
Non aveva nemmeno ben chiaro che giorno fosse, a dirla tutta. Sapeva per certo di essere sbarcato a Calais il ventun febbraio. Dopo aver girato la Francia, avevano fatto una toccata e fuga in Olanda, per poi tornare verso ovest fino alla Spagna, arrivando a Barcellona e passando per Monaco di Baviera. Erano entrati in Italia, fermandosi per lo più a Torino e poi a Milano.
Ogni città era un ricordo nebuloso di serate a suonare in fumosi locali notturni e in rumorose sagre paesane, trovando più o meno la stessa tiepida accoglienza ovunque.
A Milano, ricordava una serata vicino ai Navigli durante la quale avevano discusso se proseguire verso il centro Italia per recarsi nella città eterna. Lui, indifferente a qualsiasi decisione, aveva continuato a fumare tranquillamente, incurante dell'alterco all'interno della piccola band.
Steve, che l'aveva preso sotto alla sua ala e che a tutti gli effetti era il loro capo, aveva decretato lo scioglimento della band. I due dissidenti avevano preso la loro strada verso il centro Italia, mentre lui, Harry e Al avevano proseguito verso est, con l'intenzione di tornare verso casa facendo un giro largo attraverso il nord Europa.
Harry era da due anni via di casa.
Era fuggito per seguire il suo sogno: la musica. Sotto sotto, sapeva che c'erano altre motivazioni, più private, più nascoste. Ma principalmente aveva voluto dare respiro alla sua anima da artista. Si era accontentato di dormire per strada, di saltare i pasti, di suonare e cantare agli angoli delle strade per qualche tempo. Poi, proprio quando le cose si erano fatte difficili, aveva incontrato Steve. Lui era stato come la luce in fondo al tunnel: più grande di sei anni di lui, con l'esperienza della vita itinerante alle spalle, era stato come il fratello maggiore che non aveva mai avuto. Cercava un chitarrista, ed aveva trovato Harry.
Avevano suonato per tutta l'Inghilterra, forti dell'epoca musicale che stavano vivendo. Passavano dal blues, al soul, al rock con la stessa disinvoltura con cui cambiavano città. Harry era stato tenuto nascosto, protetto dagli altri, perché era minorenne. Soltanto sul palco spuntava quella figura allampanata e riccioluta da dietro agli altri, a serata iniziata. Pareva impossibile che da quel bambino tutto fossette e viso d'angelo scaturisse una voce così vibrante, dalle inflessioni soul.
Ora Harry aveva diciotto anni. Si era alzato di statura e si era irrobustito, cosicché Steve aveva potuto allentare la sua presenza protettiva, anche se non del tutto. Harry era rimasto il sognatore che aveva conosciuto, sempre accomodante, sempre con la testa sulle nuvole. Mentre il morale di Steve ed Al era incupito dai recenti avvenimenti, Harry pareva quasi non essersene reso conto.
Si erano inerpicati sempre più a nord-est attraverso la Pianura Padana, risalendo attraverso il Veneto e giungendo infine a Longarone per approfittarne e dare un'occhiata alla più alta diga del mondo, di cui tutti parlavano.
Era mattino presto, ed era ora di scendere dalla rumorosissima Fiat 600 che avevano acquistato in circostanze strane fuori Milano.
Al era seduto sul lato del passeggero, a fianco di Steve, ed Harry dormiva incastrato tra l'attrezzatura ed una valigia che non erano riusciti a stipare nel piccolo bagagliaio della berlina.
Agli occhi dei pochi abitanti già svegli, quel terzetto era apparso ben strano. Non c'era una sola caratteristica usuale in loro: dall'auto con una portiera ed il cofano di un altro colore, dall'aria malconcia, all'allampanato autista coi lunghi capelli biondi e gli occhiali da sole anche se erano appena le sei del mattino, all'altro passeggero, rosso di capelli, alto quasi due metri e largo abbastanza da incutere meraviglia anche in quel posto di montanari corporuti.
Steve si stiracchiò, allungando la schiena dolorante all'indietro.
-Ma dove siamo finiti, in mezzo alle mucche?- Brontolò Al, esplodendo fuori dal piccolo abitacolo in tutta la sua imponente corporatura.
-Finiscila di lamentarti. Guarda che meraviglia di cielo. Senti che aria frizzante. Chissà dov'è la diga. Son proprio curioso di vederla- fece Steve, per nulla toccato dalle lamentele dell'amico.
-Svegliamo la principessa e andiamo a cercare una locanda- aggiunse, e Al annuì, aprendo la portiera.
"La principessa", che era alto quasi quanto loro, sbadigliò come un leone e si stropicciò gli occhi.
-Dove siamo?-
-Da qualche parte in mezzo al nulla- borbottò Al, lanciando un'occhiata veloce verso Steve.
-Siamo a Longarone. Troviamo un posto per fare colazione. Sia mai che troviamo una sagra di paese, o un localino- gli rispose Steve, speranzoso.
Un paio d'ore dopo, Louis scese in bicicletta fino al centro del paese, fermandosi davanti alla solita locanda per fare colazione. La proprietaria, la signora Rosa, lo aveva preso in simpatia e gli faceva trovare il latte appena munto, cremoso e saporito, assieme a due fette di pane nero fragrante.
Appoggiò la bici al muretto e salutò un paio di avventori, clienti fissi come lui, accomodandosi al solito tavolino per attendere l'arrivo della signora Rosa.
Si guardò intorno, con la spiacevole sensazione di essere osservato, ed incrociò lo sguardo di un ragazzino vestito in modo strano, seduto al lato opposto della veranda in mezzo a due forestieri. Il ragazzino abbassò subito lo sguardo, e Louis osservò con curiosità l'eccentrico terzetto, capendo subito che fossero inglesi. Con un moto di patriottismo si avvicinò, sorridendo, per salutarli.
-Ciao! Siete londinesi, giusto?-
Il biondo parlò a nome di tutti:
-Sì, amico. Dal tuo accento direi che lo sei anche tu-
-Esatto. Che piacere sentir parlare qualcuno nella mia lingua, finalmente- esclamò il giovane, mentre il biondo scostava una sedia al loro tavolo per farlo accomodare:
-Ci fai compagnia? Siamo arrivati stamattina e non conosciamo nulla, qui-
Louis ringraziò e prese posto, osservando con curiosità i tre ragazzi. Notò che il ragazzino non lo guardasse mai apertamente in viso, e che il biondo, che scoprì chiamarsi Steve, si comportasse con lui con fare protettivo. Pensò che fossero fratelli.
-Lui è Al, e questo qui è Harry- li presentò il biondo, mentre Louis stringeva la mano prima a quello che assomigliava ad un vichingo e poi al ragazzino riccio.
Quando gli strinse la mano, Louis trasalì involontariamente. Due iridi incredibilmente verdi, come due gemme incastonate in un viso d'angelo, gli fecero sentire un fremito lungo la spina dorsale. Il contatto finì subito, e lui si retrasse, come scottato. Si stupì di sé stesso per la propria maleducazione, dissimulando il suo gesto nel richiamare l'attenzione della proprietaria.
-Buongiorno, signorino inglese. Stamattina sei in compagnia- sorrise lei, bonaria.
-Buongiorno, signora Rosa. Sì, sono anche loro di Londra-
-Aspettavo che arrivassi per poter parlare con loro dell'affitto delle camere, perché non parlano italiano- disse lei. Louis si rivolse a Steve:
-Volete alloggiare a Longarone?-
-Sì. Ho tentato di farmi capire, prima, ma la signora non parla inglese-
-No, infatti. Cosa volete chiederle?-
Steve ed Al si consultarono brevemente, e poi il biondo rispose:
-Intanto vorremmo fare due notti qui, e chiederle anche se la sua locanda è aperta di sera: siamo musicisti, cerchiamo posti dove suonare-
Louis rivolse loro un sorriso di ammirazione, tornando a parlare con la proprietaria.
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