I
"E solo quando m'avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.
Ricorderai d'avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro."
G. Ungaretti: La madre.
Ad una traballante lampadina appesa tramite un semplice cavo al soffitto, era affidato il compito di illuminare quella squallida cucina dai muri ingialliti e scrostati. Questa riusciva a malapena ad illuminare tutta la stanza, e seppur in modo molto debole, faceva luce pure sul ripiano dove l'anziana donna stava lavorando.
La luce tremolante le cadeva dalle spalle, ma nonostante la scarsa luminosità lei continuava a mescolare gli ingredienti dentro una bacinella di plastica. Il mestolo di metallo che teneva nella mano destra di tanto intanto, rifletteva un timido bagliore lungo il manico quando questo usciva dall'ombra della donna.
Dalla bocca dell'anziana signora stava uscendo una ninna nanna, mormorata a fil di labbra. Piccole zampette di ragno si accavallavano agli angoli della sua bocca, quando la socchiudeva per fare qualche fischietto a ritmo della cantilena. Nel frattempo, le mani erano impegnate a mescolare con cura farina e zucchero in una miscela che aveva assunto la morbidezza grazie ai tanti anni di esperienza in cucina.
La vecchia signora aveva una corporatura piccola e gracile, sembrava quasi potesse cadere a pezzi da un momento all'altro per quando paresse fragile.
I suoi occhi brillarono per un momento quando prese tra le mani un lungo coltello affilato, e rimase un attimo incantata rigirandolo con le proprie dita callose e consunte dall'età. Sembravano essere quasi senza forza, dalla pelle leggermente rigonfia intorno alle nocche.
L'aria del viso le si fece assorta, come se la mente si fosse messa a processare qualcosa.
Con un sospiro si ridestò e prese ad affettare la mela riposta accanto al resto degli ingredienti. Un dolce sorriso si increspò sulle sue labbra secche. Un'aria che sapeva di tenerezza la avvolse d'un tratto.
Sentì un improvviso rumore.
Allarmata, prese uno strofinaccio e pulendosi distrattamente le mani con questo, si avvicinò a passo lento alla finestra della cucina scrutando attentamente oltre il vetro trasparente; lo sguardo sembrava quasi timoroso, mentre oscillava da una parte all'altra quasi spaventato. Il cortiletto era immerso nell'oscurità di una di quelle notti d'inverno nelle quali il buio cala sempre troppo in fretta. Il cielo era imperscrutabile, senza stelle e né luna, solo nero e tenebroso.
La stessa lucina appesa al soffitto della cucina, riusciva però, faticosamente ad attraversare il vetro della finestra per andare oltre, e portare qualche spicchio di luce su una piccola parte del cortile posandosi sopra qualche metro quadro di terra bagnata e mossa recentemente.
La signora rimase lunghi attimi a fissare quel pezzo di terreno fresco. Una ciocca di capelli grigi e secchi cadendo pigramente sulla sua guancia la riportò alla realtà. Spostò questa dietro l'orecchio in un gesto meccanico, mentre lo sguardo dalle pupille dilatate rimaneva ancora perso nell'oscurità. L'unico suono che percepiva era il proprio cuore battere rumorosamente nel petto. Si chiuse le mani vicino alla bocca rimanendo in un'espressione concentrata e vigile. Il respiro che si fece via via più veloce. Si costrinse a riportare l'attenzione alla realtà.
Lentamente si spostò dal cornicione della finestra e tornò a prendere il coltello in mano, per continuare a preparare l'impasto per la sua torta di mele.
Poco dopo un altro rumore sembrò attirare la sua attenzione.
Un lamento.
La signora rimase immobile quasi smettendo di respirare. Si stava sentendo così debole e stanca in quel momento.
Dopo lunghi istanti decise di andare a controllare nella stanza adiacente alla cucina dove stava lavorando, non poteva continuare a cucinare con quelle continue distrazioni. Si avviò con passo lento e cadenzato, strascicando le pantofole che portava ai piedi ossuti. Con movimenti lenti entrò nel soggiorno accendendo la luce, e rimanendo per un attimo timorosa sulla soglia della stanza. Tutto era come lo aveva lasciato l'ultima volta che ci aveva messo piede: ogni cosa perfettamente al proprio posto. Delle grandi poltrone polverose troneggiavano al centro della stanza, un tavolo di legno con alcune sedie numerate erano poste ai lati di questo, invece era sistemato sul lato opposto della camera. La stanza era arredata in una maniera davvero semplice, due o tre quadri su un muro, con delle grandi tende oscuravano le finestre, che però, sembravano non venire aperte da tempo ormai. Non c'era nessuno. Niente.
Un tintinnio.
Lo sguardo vigile si spostò furtivo di nuovo fuori dalla stanza, in fondo al corridoio. Andò a posarsi sulla fessura della porta socchiusa del sottoscala.
Ebbe un leggero tremolio. Si incamminò verso il sottoscala e aprì la sua porta, che si schiuse producendo un fastidioso cigolio.
Lo stanzino non era provvisto di una luce, ma l'anziana signora non aveva bisogno di una luce per sapere cosa fosse presente in quella cameretta.
Un badile dal manico di legno, con la terra fresca ancora attaccata ai bordi in metallo. Due palette, una di medie e l'altra di piccole dimensioni. Guanti di plastica. E infine un grande sacchetto nero, pieno di stracci grondanti di sangue che ormai doveva già essere secco.
Sbuffò infastidita. Doveva ricordarsi di disfarsi al più presto di tutta quella roba.
Un suono gutturale. Prolungato questa volta.
La vecchia rinchiuse la porta, tenendo però la mano ferma attorno alla maniglia di questa. Come se stesse sondando con lo sguardo attraverso il legno.
-Che serata strana...- mormorò, -Stev. Dove sei? Puoi controllare che sia tutto a posto al piano di sopra?- domandò poi, alzando la voce. Attese qualche attimo prima di dirigersi verso le scale che portavano al piano superiore. Il figlio doveva per forza star studiando, motivo per cui lei non aveva ancora ricevuto una risposta.
Sorrise calorosamente al pensiero di lui: così diligente e modello. Talmente impegnato a studiare, che ormai lo vedeva pure raramente. Ma non gliene faceva una colpa, sapeva che stava faticando per potersi costruire un futuro, e permettersi di avere una vita agiata. Sapeva anche che stava facendo tutto questo per lei, quella madre che gli aveva dedicato la propria vita. E ora, vederlo fruttare così tutti i suoi sacrifici le riempiva il cuore di orgoglio e gioia. Si sarebbe portato la propria adorata madre con sé, ovunque sarebbe andato nel mondo. Sarebbero stati felici. Le avrebbe dato quella felicità che nemmeno il marito era riuscito a darle.
Dopo aver rivolto un ennesimo sorriso con il pensiero perso nel vuoto, si diresse di nuovo verso la cucina.
Per mettere finalmente in forno la torta che stava preparando. Per lei e Stev. Dovevano festeggiare il venticinquesimo compleanno del ragazzo.
Un grattare sul vetro della finestra.
I brividi.
Il corpo vecchio della signora fu attraversato da un tremito.
Levò una mano in aria, lasciandola sospesa nel nulla. Quasi a sfiorare qualcosa di invisibile che solo lei vedeva. La bocca socchiusa lasciava ad intravedere una fila perfetta di denti ancora sani, leggermente ingialliti dal tempo. Gli occhi chiari, erano attraversati da un contorno ceruleo, segno caratteristico della vecchiaia che non avrebbe aspettato ancora molto per manifestarsi completamente. Le guance invece, dalla pelle rosea leggermente vuote e affossate ospitavano qualche piega di ruga. Un viso dai tratti dolci e rassicuranti.
Prese una tortiera e cominciò a versare l'impasto della torta all'interno. Liscio e cremoso che presagiva una torta morbida dalla consistenza perfetta.
Il sibilo di un soffio di una ventata d'aria fredda le accarezzò dolcemente la nuca, per infilarsi nel suo colletto e scendere lungo la spina dorsale. Quella serata aveva decisamente qualcosa che non andava.
Infornò la torta mettendola a fuoco medio e decise di andare a controllare suo figlio.
Salì uno alla volta gli scalini scricchiolanti, sostando diversi istanti su ognuno di loro.
-Stev...- lo chiamò.
-Puoi scendere a dare un'occhiata...? Non so, ho una strana sensazione. - Sentì un fruscio giù al piano di sotto, si fermò. Con un sospiro quasi spaventato fece dietrofront e senza aspettare una risposta dal figlio, scese le scale più velocemente di quanto non fosse salita e di quanto le sue vecchie ginocchia glielo permettessero.
Le rimaneva solo una stanza da controllare. Magari era quella l'origine di tutti i rumori: la piccola biblioteca del figlio.
Il posto preferito di Stev nella biblioteca era un angolo sotto alla finestra del salotto. Illuminato anche nelle giornate più grigie. I libri sugli scaffali erano anni di collezioni di enciclopedie e saghe di molti generi diversi, sistemati in un ordine meticoloso, ora erano coperti da una sottile patina di polvere.
Una lunga scia di sangue secco e scrostato sul pavimento. In quello stesso angolo. La vecchia rimase a fissarla con una espressione esterrefatta sul viso.
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