Rhys
Bruciare di desiderio e tacere
è la punizione più grande che
possiamo infliggere a noi stessi
– Federico García Lorca
La osservo.
Tengo i miei occhi puntati su di lei con un'insistenza che dovrei evitare; tuttavia mi è impossibile: qualcosa di lei catalizza la mia attenzione.
La osservo con la stessa curiosità di chi ha mille domande che frullano per la mente e, non sapendo trovare una risposta per nessuna di esse, non può far altro che restare a guardare l'oggetto del suo interesse.
Non dovrei essere incuriosito da lei, ma non riesco a frenare il desiderio di sapere cosa si cela dietro quella corazza che si ostina ad indossare per difendersi.
La osservo.
Non sorride.
Non sorrideva nemmeno quando l'ho vista per la prima volta, raggomitolata sul sedile della macchina di Shirley. Dormiva profondamente, ed io mi chiesi di che colore avesse gli occhi. Quel viso spruzzato di lentiggini era reclinato verso il finestrino. Esile come una bambina indifesa, con i capelli biondi che le ricadevano sul volto, era riuscita a catturare la mia curiosità. Le labbra chiuse erano due strisce sottili che sembravano trasudare un dolore profondo, ed io sentivo di volerlo comprendere.
Non sorrideva. Era triste e somigliava ad un angelo a cui hanno strappato le ali.
L'ho presa in braccio, come mi aveva chiesto Shirley, e l'avevo portata in quella che sarebbe divenuta la sua stanza. Era leggera e piccola, e l'ho stretta contro il mio petto, dove lei aveva appoggiato il capo mugugnando nel sonno. Pareva una bambina innocente, colta dal sonno nel bel mezzo di un pianto a dirotto.
«Non le ho ancora detto di te. Cioè, ci stavo provando, ma credo che si sia addormentata prima.»
Avevo annuito, continuando a concentrarmi sul viso di Rossella. Era un nome particolare, la prima cosa di lei che mi ha intrigato. Shirley aveva detto che veniva dall'Italia, che aveva bisogno di un posto dove andare perché aveva fretta di trasferirsi. Non sapevo nient'altro, e nel vederla mi ero accorto che c'era tanto di lei che invece avrei voluto conoscere.
Quella curiosità inspiegabile era cresciuta quando il giorno dopo avevo finalmente visto i suoi occhi: verdi come i prati irlandesi che si perdono a vista d'occhio, oltre la linea dell'orizzonte. Lei credeva che io fossi un malintenzionato ed il suo sguardo era impaurito, ma io ci intravedevo dell'altro, un sentimento nascosto e più profondo.
Forse qualcosa di più bello ed immenso.
La osservo e mi chiedo come sarebbe il suo volto se solo sorridesse per davvero, pervasa dalla gioia più sincera. Mi chiedo che luce avrebbe il suo sguardo se la felicità la prendesse per mano e diventasse sua amica.
Ha gli occhi bassi ora: fissa l'aranciata che ha di fronte, quasi non ci fosse nient'altro attorno a lei.
Come se non ci fossi nemmeno io.
Sono lontano anni luce dal suo universo. Non vuole farmi entrare e forse io non dovrei neanche tentare, né tantomeno dovrei volerlo. Non so cosa c'è oltre i suoi occhi e temo di perdermi in un labirinto senza via d'uscita. Sarebbe come attraversare un ponte che crolla dietro di me ad ogni passo che muovo: giunto alla fine non potrei più tornare indietro senza affogare nel fiume che scorre di sotto.
Gli occhi sanno trasformarsi in demoni che inghiottono chi li guarda, e i suoi sono buchi neri dai quali dovrei fuggire; ma l'ignoto mi attrae a sé come un magnete attira il metallo.
Mi incuriosisce in una maniera così viscerale da lasciarmi frastornato.
Mi ripeto che non devo pensarla, non devo guardarla. Devo fermarmi: ci si scotta una volta perché poi non ci si deve scottare di nuovo e le mie mani hanno già toccato il fuoco in passato.
Solleva la testa e i nostri occhi si incontrano. Qualcosa dentro di me trema. Ha nelle iridi barriere alte che non vuole che io oltrepassi.
Ed io non devo volerlo.
I suoi occhi mi ricordano le radure incantate di cui mia madre mi parlava, quando mi raccontava antiche leggende celtiche. Luoghi magici, permeati da forze benigne che aiutano l'uomo privo di cattive intenzioni. Eppure, nei suoi occhi impenetrabili, scorgo quella che potrebbe essere la mia sciagura. Quel mistero che l'avvolge mi trascina verso di sé, mi sussurra di scoprirlo, ed io mi sto lasciando ammaliare perché sento di desiderarlo.
Ma io non devo volerlo.
Devo lottare con ogni fibra della mia volontà per restare fermo nei miei principi. Devo impedire a questa curiosità di crescere e trasformarsi in un altro sentimento - qualsiasi altro sentimento - che sfuggirebbe al mio controllo razionale.
Più la guardo negli occhi, più il mio interesse cresce, proprio perché lei non si lascia leggere. È un libro scritto in una lingua che non conosco e che non permette di essere interpretata facilmente. Ad ogni modo, io la vedo la sofferenza che prova e che, malgrado i suoi sforzi, non riesce a nascondere.
E vorrei strapparle di dosso quel dolore, insieme a quella corazza che mi impedisce di capirla, e vedere che aspetto ha il suo volto quando sorride con gioia.
Ma io non devo volerlo.
Se glielo concedessi, potrebbe entrare nella mia vita, attraversare i miei confini, ma ciò mi renderebbe dipendente da lei, dai suoi occhi, dai suoi gesti. So che potrebbe accadere, se io lo volessi e se glielo lasciassi fare; solo che io non devo volerlo.
Ho iniziato a respingerla, a dirle che non desideravo averla intorno, che addirittura bramavo di vederla andare via - ed effettivamente sarebbe la soluzione: la sua presenza non fa altro che aumentare la mia curiosità e la mia voglia di sapere, capire.
Malgrado i miei sforzi, evitarla si sta rivelando più complicato di quanto avessi pianificato. Shirley fa di tutto per farci andare d'accordo, ed in un modo o nell'altro me la ritrovo sempre intorno, con quei suoi occhi verdi come prati e i capelli dorati.
A Shirley non ho detto nulla. Ho paura di dare voce ai miei pensieri: significherebbe concretizzarli, dare loro una maggiore importanza - dare a lei uno spazio più grande nella mia vita.
Ed io non devo volerlo.
Malgrado questa curiosità nei suoi confronti mi stia divorando lentamente, non posso permettere che veda la luce, che diventi reale. Devo reprimerla, lasciarla al buio, annientarla prima che sia lei e distruggere me.
I suoi occhi tristi, ora, mi stanno fissando.
Non credevo che da un corpo così esile potesse uscire una voce tanto potente. Tremava, era incerta all'inizio, ma mi ha vibrato nell'anima con una forza inspiegabile. C'era dolore nelle sue parole, e più lei mostra la sua sofferenza, più io desidero strappargliela di dosso e vederla sorridere.
Sorrideva, sul Westminster Bridge. Era un sorriso timido, ancora velato di mestizia, ma sincero. Mi sono incantato ad osservare la bellezza che emanava il suo volto sorridente, anche se la mia mente mi suggeriva di smettere di guardarla prima che fosse troppo tardi. Non le ho dato retta e, persistente, l'ho scrutata, studiando con attenzione le sue labbra rosee, le guance bianche spruzzate di lentiggini, le ciglia lunghe e chiare, la curva delle sopracciglia definita.
Chi avrebbe mai il coraggio di farla piangere?
Il suo viso non è fatto per essere solcato dalle lacrime: è stato cesellato finemente per sorridere, per essere felice e sereno.
Non devi guardarla. Non deve interessarti.
Stavo varcando l'ingresso del labirinto e questo si sarebbe chiuso alle mie spalle, intrappolandomi al suo interno.
Poi, d'un tratto, si è voltata. I nostri occhi erano fissi gli uni negli altri. I suoi erano splendidi, illuminati dal sole e dal riverbero dei suoi raggi nell'acqua placida del Tamigi. Verdi, immensi, luccicanti, ed io rischiavo di perdermi in quella radura.
Ed io non dovevo volerlo.
Avevo inforcato gli occhiali da sole, voltandomi per distogliere l'attenzione da lei. Il desiderio di continuare a guardarla mi premeva nel petto, la curiosità scalpitava, ma io sapevo che dovevo controllare il mio interesse, prima che si trasformasse in un fuoco indomabile. Ho nascosto i miei occhi, come chi cela i propri peccati perché teme che vengano scoperti.
Sono sensazioni viscerali, alle quali non so dare una spiegazione. La risposta giace nei suoi occhi, ma, se li guardo troppo a lungo, vengo colto dal terrore e non posso far altro che volgere la testa altrove per smettere di vedere le sue iridi.
La sua tristezza pizzica il mio interesse nei suoi confronti. Mi pungola, mi incita a capirla. Per giorni ho ascoltato i suoi singhiozzi restando in silenzio, lottando contro il mio desiderio di comprenderla.
Ma io non devo volerlo.
Non so nemmeno perché, davanti al Sondheim Theatre, le avevo afferrato il polso, guardandola in quel modo così intenso. Lei era stupita, ma nella profondità del suo sguardo avevo visto trapelare rassegnazione e tristezza. Avrei voluto affogare nei suoi occhi ed esplorarne gli abissi per scoprire ogni suo segreto, per capire cosa l'avrebbe fatta sorridere.
Ma io non dovevo volerlo, per cui, ancora una volta, mi ero girato. Eppure, l'ho portata via da lì, quasi per salvarla da quell'ombra che le aveva incupito il volto. Avrei voluto stringere il suo polso ancora a lungo, per sentire la sua pelle a contatto con la mia, ma ciò aumentava soltanto la mia curiosità ed il mio bisogno di capirla.
Ho cercato una spiegazione, ma non la trovo. Per quanto mi sforzi, non comprendo la ragione del mio interesse, che cresce, si ingigantisce e si impossessa dei miei sensi e della mia mente. Ogni giorno che passa, diventa sempre più difficile controllare queste emozioni sconosciute.
Vorrei scuoterla dalla sua malinconia, ma, quando ci ho provato, ho ricevuto in cambio il suo disprezzo. Forse me lo sono meritato, dato che le ho fatto credere di non volerla intorno. Non posso certo pretendere che lei sia gentile nei miei confronti, se io le ho dimostrato soltanto ostilità, fin dall'inizio.
«Credi di risolvere i tuoi problemi restando chiusa qui dentro come un'anima in pena?», le ho chiesto.
Avrei potuto essere gentile, ma ho avuto paura di mostrarle la parte migliore di me perché avrebbe scoperto che, nonostante le apparenze, io le davo importanza.
Lei mi ha fissato con astio.
«Che cosa vuoi saperne tu di me? Sei solo uno stupido bambino viziato e nient'altro. Cosa può capirne, uno come te, delle sofferenze altrui?»
La sua voce era dura, eppure tremava.
Avrei voluto farla sorridere, invece avevo provocato in lei una reazione che stonava con i suoi occhi verdi come il mare limpido di quei luoghi esotici e lontani. Lei, che somiglia ad una creatura magica che vaga per i boschi, mi ha guardata con la rabbia di un diavolo circondato dalle fiamme.
Sono rimasto in silenzio, non sapendo cosa rispondere. Mi aveva appena descritto come la persona che io avevo voluto mostrarle per respingerla, per frenare sul nascere quell'interesse che lei suscita in me; però faceva male, perché io so cosa vuol dire soffrire.
Ho abbassato lo sguardo: il suo, colmo d'odio e risentimento, mi bruciava sulla pelle. I suoi occhi erano divenuti tizzoni ardenti che hanno risvegliato in me il dolore di ferite che ancora non erano guarite, graffi di una delusione recente.
E mi sono sentito patetico: ero convinto che dimenticare sarebbe stato difficile e che il mio cuore avrebbe faticato prima di riuscire a rialzarsi, ed invece era bastato l'incontro con una perfetta sconosciuta affinché si risvegliasse in me un sentimento che so bene che potrebbe rivelarsi nocivo, ma ciononostante capita che i miei occhi cerchino i suoi senza che io me ne accorga.
Non devo permetterle di entrare nel mio cuore, né io devo lasciare a me stesso la possibilità di entrare nel suo se lei decidesse di concedermelo. Il suo sorriso - i suoi occhi - attecchirebbero dentro di me come una malattia che nessuna cura è in grado di debellare.
Avrei voluto risollevare lo sguardo e affrontarla, confessarle chi ero veramente, mostrarle la parte migliore di me.
Ma io non dovevo volerlo.
Sono rimasto in silenzio, indeciso se parlare o meno. Alla fine non ho detto nulla, e sono uscito dalla sua stanza, sentendomi stupido e sconfitto.
In fondo, farmi odiare da lei è proprio ciò che voglio, perché solo così posso tenerla lontana da me, abbastanza distante da non far scaturire in me sentimenti che alla lunga sono sempre deleteri: nessuno, dopo aver preso il meglio di te, resta. Se ne vanno tutti, proprio come aveva fatto Lauren, e io non volevo illudermi di nuovo.
Ma Rossella sta cambiando le carte in tavola, rendendo la mia vita un groviglio complicato di emozioni finte da mostrare e sensazioni viscerali da reprimere. Combattere contro me stesso sta diventando una routine, ma non so quanto ancora potrò resistere. Eppure, fingere di essere chi non sono, dovrebbe essere facile per me che ho studiato per anni come risultare convincente nei panni di un'altra persona.
La mente mi suggerisce di distogliere lo sguardo, perché i suoi occhi mi stanno consumando. Vorrei perdermici dentro, affogare dentro quei due laghi cristallini e nuotare alla ricerca dei suoi misteri, nuotare fino al suo dolore per portarlo in superficie e allontanarlo dal suo cuore.
Ma io non devo volerlo.
Mi giro dall'altra parte per smettere di vederla, ma le sue iridi sono impresse nella mia mente come marchi indelebili che nemmeno la mia volontà, per quanto forte, potrà cancellare.
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