Capitolo 9 (seconda parte)
Per tutto il tragitto che ci separa dal locale, Shirley tiene viva la conversazione, mentre Jason replica a quasi ogni frase da lei detta con delle battute che non riesco a comprendere. Rhys cammina davanti a me e Shirley, che mi tiene a braccetto e cerca di coinvolgermi nei suoi discorsi. Io provo a condividere il suo entusiasmo, ma dentro di me sento crescere il desiderio di tornare indietro. Per un attimo sospetto che Shirley l'abbia fatto apposta a non menzionare la presenza di Rhys stasera, per poi realizzare che lei non sa della nostra antipatia. Forse credeva che io immaginassi che non saremmo state sole; del resto, non farebbe mai nulla per pura cattiveria.
Giungiamo di fronte al locale, al piano terra di un edificio dai mattoni scuri. L'insegna nera riporta il nome del posto, illuminato da una fila di lampade a led poste sopra il cartello. Dalle vetrate intravedo una luce calda che illumina anche la strada.
Rhys apre la porta, tenendola per farci passare. Mentre varco la soglia, lui tiene lo sguardo puntato altrove e mi chiedo quando la smetterà di fare il bambino piccolo.
Mai. Non crescerà mai, è troppo tardi perché sviluppi un cervello.
Osservo l'ambiente che mi circonda: in fondo alla sala c'è un camino in pietra spento, sul quale sono esposte alcune statuette bizzarre. Il resto delle pareti è in legno, e ad esse sono appese varie cornici, al cui interno foto e dipinti ad acquerello fanno bella mostra di sé. Tavolini, sedie, poltroncine e divanetti sono disseminati nella sala, mentre dal soffitto pendono dei lampadari ornati di finte candele che funzionano con l'elettricità. A destra, un varco conduce ad una saletta adiacente, poco più grande di quella principale. In fondo a questa, vi è una pedana con alcuni strumenti musicali. Sulla parete opposta, c'è un maxischermo.
Shirley mi guida verso un tavolo ad angolo, vicino ad una vetrata dalla quale si può osservare il viavai di persone lungo la strada. Ci accomodiamo sui divanetti, l'una di fianco all'altra, mentre Jason e Rhys si siedono di fronte a noi.
Jason si sfrega le mani.
«Ah, finalmente si beve!», esclama.
«Ti prego, non ti ubriacare anche stasera», Shirley si massaggia le tempie, trattenendo a stento una risata.
«Si vive una volta sola.»
«E tu non vivrai a lungo se anziché sangue avrai alcol nelle vene», ribatte Rhys, al che Jason gli rivolge una smorfia contrariata.
«Hai già idea di che cosa prendere?», mi chiede Shirley, virando l'attenzione generale su di me.
Scuoto la testa, e Jason sembra illuminarsi.
«Ho una buona conoscenza e posso consigliarti.»
«Basti tu ubriaco», lo rimprovera Shirley.
«Mi stai facendo passare per un alcolizzato», si risente lui, incrociando le braccia sul petto.
«Non sei poi così tanto lontano dal diventarlo.»
Arriccio le labbra per non cominciare a ridere.
«Non sono mai troppo ubriaco», prova a difendersi, ma Rhys sorride e si lascia scappare una risata.
Jason gli lancia un'occhiata truce che Rhys ignora, coprendosi la bocca per nascondere la sua ilarità.
«Una volta eri talmente sbronzo che mentre ti riaccompagnavamo a casa hai scambiato un palo della luce per un uomo e hai cominciato a chiamarlo "bel maschione". È stato difficile evitare che tu lo baciassi.»
Jason arrossisce, mentre tutti ridiamo.
Per un attimo, scruto Rhys di sottecchi, senza farmi notare. Ha la mascella rilassata e le labbra incurvate in un sorriso sincero e affascinante, mentre due fossette gli compaiono sulle guance. Le sopracciglia folte non sono inarcate nel solito modo che lui ha per mostrare la sua ostilità nei miei confronti. Con la luce del locale, i suoi occhi paiono ancora più chiari e lucenti.
La sua risata calda mi provoca uno strano brivido, e all'improvviso mi chiedo perché dobbiamo detestarci così tanto. Lo sento parlare con Jason e Shirley, lo vedo mostrare loro un aspetto diverso di sé e che a me invece cela dietro uno schermo di disprezzo insensato.
Potremmo anche andare d'accordo, se lui volesse. Se anche io lo volessi.
Per Shirley, lo farei.
D'un tratto, Rhys si volta e i nostri sguardi si incontrano. In un istante, il suo sorriso si congela. Prende un respiro profondo, prima di tornare ad ignorarmi per parlare con Jason.
Non lo capisco.
Perché dovrei volerlo capire?
Vengo distratta dall'arrivo di un cameriere, venuto per prendere le ordinazioni.
«Per me una vodka», dice Jason, attirando un'occhiataccia di Shirley.
Il cameriere appunta sul suo taccuino, dopodiché si rivolge a me.
«Avete qualche bibita analcolica?», gli domando.
«Certamente», risponde gentile. «Succhi di frutta, aranciata, tè.»
«Un'aranciata.»
«Anche per me», dice Shirley.
«Per me un tè freddo al limone»
Il cameriere segna anche l'ordinazione di Rhys e se ne va, per tornare poco dopo con un vassoio e quattro grandi bicchieri.
«Siete davvero noiosi», sbuffa Jason non appena il cameriere ci lascia soli. «Come fate a divertirvi senza alcol?»
«Sai che non devo berlo», gli risponde Rhys, prendendo un sorso del suo tè.
«E poi è meglio essere sobri per poterci occupare di te», aggiunge Shirley.
Sorseggiamo le nostre bevande. Ascolto la loro conversazione, cercando di inserirmi, ed ogni volta Jason e Shirley mi osservano attentamente, ascoltandomi, mentre Rhys tiene lo sguardo puntato altrove.
«Vado a prendere altra vodka», afferma Jason ad un tratto.
Si alza in piedi e si allontana, benché già stia iniziando a barcollare.
«Gli basta un bicchiere per cominciare ad essere brillo?», chiedo a Shirley, che annuisce sconsolata.
«Si ostina a credere di riuscire a reggere l'alcol, malgrado le prove che dimostrano l'esatto contrario.»
Jason ritorna al tavolo e Shirley lo rimbrotta scherzosamente.
Mi volto per osservare i quadri appesi al muro della sala, i cui tavoli sono quasi tutti occupati. In sottofondo si sente un brusio leggero e vivace.
«Non doveva esserci la musica jazz?», domando ancora.
Shirley riflette un attimo.
«Oh, ora che mi ci fai pensare il venerdì è la serata karaoke», dice, indicando con un cenno del capo il maxischermo.
«Ci si diverte un sacco il venerdì», prosegue Jason, con la voce che inizia a suonare impastata.
«Quando non ci sei tu che cerchi di prendere il microfono in mano ci si diverte moltissimo», dice Rhys.
«Io canto divinamente.»
«Tu sei stonato come una campana da sobrio, quando sei ubriaco sembri un animale agonizzante.»
Io e Shirley cerchiamo di non scoppiare a ridere.
Poco dopo, un uomo alto e dai capelli brizzolati, che entrando ho visto dietro al bancone, sale sulla pedana con gli strumenti, posizionando un microfono sull'asta. Si schiarisce la voce per attirare l'attenzione dei presenti.
«Benvenuti a tutti e grazie per essere venuti qui. Per chi non lo sapesse, il venerdì è la serata karaoke, e le canzoni vengono scelte casualmente. Non importa se non sapete cantare: l'importante è divertirsi. Allora, chi vuole essere il primo?»
Una ragazza seduta al centro della sala si alza in piedi e si dirige verso il palco. Non appena sente la base, spalanca la bocca. Si gira verso lo schermo per seguire le parole della canzone, con voce timida e vibrante. Alcuni, seduti ai loro posti, cantano insieme a lei. Alla fine della sua esibizione, tutti applaudono.
«Ottima performance», afferma l'uomo, unendosi agli applausi. «Allora, chi vuole essere il prossimo?»
«Rhys, dai: vai tu!», lo incita Shirley scuotendogli la mano.
Lui sospira, dopodiché si alza e si avvia verso la pedana con passo sicuro. Con una falcata sale sul palco e afferra l'asta per sistemarla alla sua altezza.
Parte la base e vedo i suoi occhi ridursi a due fessure.
When you say nothing at all.
Penso che ormai ne abbia abbastanza di canzoni dolci e doverne cantare una contro la sua volontà sia troppo per lui; dentro di me, questa idea, mi fa godere: saperlo infastidito ed incapace di poter rigirare la situazione a suo favore mi rende tremendamente soddisfatta.
Faccio passare i miei occhi prima da lui a Jason, cercando di comprendere maggiormente le dinamiche della loro relazione, ma per quanto mi scervelli ritorno al punto di partenza: nessuna certezza e mille domande.
Ad un tratto, vengo bruscamente strappata dalle mie elucubrazioni da una voce profonda, calda e sicura che pare avvolgermi come un abbraccio.
È la voce di Rhys.
Ha gli occhi fissi sullo schermo dove scorre il testo della canzone, le dita avvolte attorno all'asta, i capelli che gli ricadono sulla fronte dandogli l'aria di un innamorato disperato.
La sua voce vellutata azzecca ogni singola nota senza ostentare bravura. È bassa e suadente, ma lascia trapelare dolcezza. Sembra dare importanza a tutte le parole, donando loro un significato che altri non saprebbero cogliere, ma che a lui è chiaro come il sole.
Durante il ritornello, la sua mano destra scivola via dall'asta e si posa sul suo petto, in corrispondenza del cuore.
C'è qualcosa al di là di ciò che sta cantando: lo percepisco dal modo in cui, ad un tratto, la sua voce vibra, quasi trema; ma subito si ricompone, spezzando quell'istante di trasparenza che mi stava permettendo di leggergli dentro.
Jason si sposta al mio fianco, rischiando tuttavia di cadere per terra. Reclina il capo e lo poggia sulla mia spalla.
«Jason, la tua testa non è né leggera né morbida.»
«Da qui vedo meglio», dice, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Sospiro, cercando di portare pazienza.
«Non trovi che sia bellissimo?», mi chiede ad un certo punto.
Inclino la testa e vedo i suoi occhi sognanti puntati su Rhys.
«Non ci ho mai fatto caso», replico, sapendo che sto mentendo: mi sono accorta del fascino che esercita.
«Come ti invidio», prosegue lui, «tu ci vivi insieme e lo vedi tutti i giorni.»
«Non lo reputo un privilegio...»
«È stupendo», mi interrompe lui.
A questo punto non riesco a trattenere la domanda che mi preme nella testa da giorni.
«Ma voi due state insieme?»
Jason scoppia a ridere: è una risata quasi isterica, forse da attribuire al suo stato di ebbrezza.
«Magari. Purtroppo non sono una fanciulla.»
Sgrano gli occhi, esterrefatta. Eppure ero così sicura che tra loro due ci fosse qualche cosa...
«Però lui ti piace», indago, cercando di districarmi tra i rovi dei miei dubbi.
«Moltissimo», bofonchia, e per un attimo temo che si stia per addormentare sulla mia spalla.
Con l'altra mano, spingo la sua testa, facendo attenzione che non cada in terra.
La canzone finisce, e la musica viene presto sostituita dal suono degli applausi. Rhys torna a sedersi con noi, non badando agli sguardi di alcune ragazze che se lo stanno mangiando con gli occhi e che stanno applaudendo con eccessivo entusiasmo.
«Sei sempre bravissimo!», esclama Shirley, con un sorriso ampio e sincero, che tradisce un orgoglio quasi materno.
Lui annuisce, sorridendo piano, per poi tornare a concentrarsi sul suo bicchiere di tè.
Lo osservo attentamente, forse sperando di capire qualcosa di più di lui. Non comprendo il motivo della mia curiosità. Dopotutto i suoi comportamenti da maleducato dovrebbero essere un deterrente in grado di farmi chiudere ogni tipo di rapporto con lui, limitando le nostre interazioni a semplici frasi civili come "Il bagno ora serve a me" oppure "È arrivata una lettera per te". Eppure, inspiegabilmente, in lui c'è uno strano mistero che mi attrae e mi porta a volerlo scoprire.
Saprà della cotta che Jason ha per lui?
Ero così convinta che stessero insieme che non ho preso in considerazione la risposta più semplice, ovvero che anche Jason, come me, sta male perché ama qualcuno, ma deve farsi da parte.
Osservo prima Jason, seduto al mio fianco e ormai quasi privo di sensi, e poi Rhys, di fronte a me, che ignora il resto del mondo che gli gravita attorno.
Oltre alla curiosità, sento crescere in me un irrazionale desiderio: vorrei vederlo prostrato in ginocchio, che implora il mio perdono per i suoi comportamenti da cavernicolo incivile, pronto a rimediare diventando un vero gentiluomo.
Perché gli stai dando così tanto peso?
La verità è che non lo so. Non ho idea del motivo che mi spinge, nonostante tutto, a voler sapere qualcosa in più di lui. Vorrei capire se oltre ad essere geloso e possessivo nei confronti dei suoi biscotti sa anche atteggiarsi da persona matura. Vorrei comprendere perché ogni volta che mi guarda debba sempre distogliere lo sguardo, quasi i miei occhi gli bruciassero sulla pelle.
Assorta nei miei pensieri, a malapena mi accorgo che altre persone si stanno alternando sul palco, finché non sento Shirley scuotermi il braccio.
«Perché non vai anche tu?»
La osservo confusa.
«Dove dovrei andare?»
«A cantare. Per scioglierti un po' e divertirti.»
Cantare.
«No, non fa per me», dico, cercando di risultare convincente.
«Suvvia, lo scopo di questa serata è proprio il divertimento!», mi incita, stringendomi la mano.
«Dai! Infiamma quel palco, baby», si aggrega Jason, ridestato dal suo stato quasi comatoso. La sua voce è divenuta stridula.
Scuoto la testa, abbassando lo sguardo.
Non voglio cantare perché mi farebbe troppo male. Perché Flavio ci ha creduto più di quanto ci credessi io. Perché lui mi ha sempre incoraggiata a realizzare il mio sogno anche quando ero assalita dal dubbio di non essere abbastanza. Perché lui amava ascoltarmi e mi chiedeva di cantare ogni volta che ci vedevamo.
Perché, in fondo, tutto quello che faccio mi riporta a lui. Posso allontanarmi dalla via maestra, ma finirò sempre per imboccare una strada che mi condurrà alla stessa identica conclusione: io e Flavio ci siamo appartenuti, come due anime complementari. Solo che lui aveva già un altro pezzo al quale incastrarsi, ed io in quel puzzle non entravo, ero di troppo.
«Su, forza!», prosegue Shirley.
Non appena una ragazza finisce di cantare, Shirley mi prende il braccio e mi fa alzare in piedi.
«Bene, un'altra signorina», annuncia l'uomo dal palco. «Questa sera i giovanotti sono poco coraggiosi.»
Capisco di non avere altre alternative nel momento in cui il tipo mi fa cenno di raggiungerlo sul palco. Mi volto e osservo Shirley, che mi mostra i pollici per incoraggiarmi. Prendo un respiro profondo e mi costringo a muovere i piedi verso la pedana. Ho l'impressione di sudare freddo e di avere le gambe molli, ma malgrado il terrore che mi pervade raggiungo il palco.
«Vai Rosela!», grida Jason, attirando le occhiate delle altre persone.
Deglutisco, benché un nodo mi stia serrando la gola. Il cuore mi palpita nel petto come un cavallo che galoppa senza fermarsi, liberatosi dalle briglie. Ho le mani bagnate per l'ansia e mi scivolano lungo la superficie liscia dell'asta.
Vorrei potermi dematerializzare e sparire in un universo parallelo dove nulla di ciò che sto vivendo adesso è reale. Mi conficco l'unghia dell'indice nel polpastrello del pollice, sperando di svegliarmi da questo incubo, ma non succede assolutamente nulla: sono ancora qui, in piedi, impacciata e goffa davanti a quest'asta alla quale non sono affatto abituata. Durante gli spettacoli usavamo l'archetto. Non ho idea di come comportarmi davanti ad un microfono e ad un'asta.
Come se il problema fosse solo questo.
Prendo un respiro profondo.
Va tutto bene. Non ci pensare.
Provo a reprimere i ricordi che mi premono nel cuore e nella testa, ben sapendo che se li lasciassi uscire scoppierei a piangere un'altra volta.
Non ci pensare.
La musica parte e strabuzzo gli occhi per l'incredulità.
Desidero scendere da questa pedana e scappare lontano, ma tutti hanno gli occhi puntati su di me, e le luci sono persino abbassate.
Total eclipse of the heart.
Prendo l'ennesimo respiro, sollevando gli occhi per non cominciare a piangere.
La mia voce è incerta e trema, timorosa di spezzarsi per via delle lacrime. Ogni parola che pronuncio è una frustata sul mio cuore lacerato, ma non posso smettere di cantare.
È sempre stato così.
Malgrado il dolore, cantare è sempre stata l'unica ancora di salvezza alla quale potevo appigliarmi con un ultimo slancio disperato. E anche adesso che sono in piedi di fronte a degli sconosciuti che hanno gli occhi puntati addosso a me, nonostante ogni parte di me stia crollando un'altra volta... io continuo a cantare: insicura, incerta, affranta, ma ancora in compagnia della mia voce e del mio cuore.
Sono stanca del suono delle mie lacrime e vorrei stringerti Flavio. Vorrei aggrapparmi alle tue spalle ampie e sentire il tuo respiro tra i miei capelli. Mi rassicurava, mi faceva sentire parte di qualcosa, io che sono sempre stata di troppo. Mi sentivo parte di un noi che per me valeva più di ogni altra cosa che avessi mai posseduto in tutta la mia vita. Eppure, anche con te ero di troppo, perché tu avevi già il tuo pezzo complementare, ed io non mi incastravo.
Eri la luce nella mia vita, ma ti stavo consumando, e ho dovuto lasciarti andare. E senza di te il mio cammino è buio come una notte senza stelle e senza luna. Sono avvolta da tenebre che non si dissolvono perché io da sola non sono capace a brillare. Ero come la luna, tu eri il sole: io riflettevo la tua luce e da quando non ci sei più non ho un astro ad illuminarmi. Sono un corpo opaco e pallido che attende una seconda opportunità.
Nonostante gli occhi appannati, riesco a scorgere il testo, e quando l'agonia finisce mi sento stremata.
Ignoro gli applausi, le voci, le grida di Jason. Se sapessi dov'è il bagno scapperei lì per rinchiudermi nel primo gabinetto libero e piangere. Invece, ritorno al mio posto, con la testa bassa mentre le gambe e le braccia mi tremano.
Mi siedo, mentre Shirley mi parla. Non capisco cosa mi dice, annuisco e basta.
Continui a far parte di me anche quando cerco di distrarmi. Sei dentro ogni mia cellula e non so come farti uscire. Hai preso possesso di ogni cosa che mi appartiene, Flavio, e ora non so come farti andare via.
«Vieni a ballare?», mi chiede Shirley.
Scuoto la testa.
«No, preferisco di no.»
Mi rivolge un sorriso, come a dirmi che non importa, che va tutto bene.
No, non va tutto bene.
Vorrei gridarlo, ma resto in silenzio.
«Rhys, tu vuoi venire?»
«Grazie, ma non mi va.»
«Vengo io», afferma Jason, alzandosi in piedi.
Barcollando, si dirige con Shirley al centro della sala, dove altre persone si stanno scatenando sulle note di Footloose. Non mi ero accorta che fosse finito il karaoke.
Mi tormento le mani, cercando di calmarmi. Mi sento tremendamente a disagio con me stessa in questo preciso istante, e non so se sarebbe meglio isolarmi o restare in mezzo alla gente.
I pensieri si affollano veloci nella mia mente. Non riesco a seguirne nemmeno uno. Mi sembrano un'accozzaglia di rumori fastidiosi.
Fisso il bicchiere dove resta ancora dell'aranciata. Ho lo stomaco chiuso e non mi va di sforzarmi per finirla.
Combatto contro i ricordi che scalpitano per rivedere la luce.
Sei ancora dentro di me.
Ne sono consapevole. Non posso più lottare contro questa verità.
Sentendomi osservata, sollevo timidamente il capo ed i miei occhi incontrano quelli di Rhys.
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