Capitolo 30
Se per baciarti dovessi poi andare
all'inferno, lo farei. Così potrò poi
vantarmi con i diavoli di aver visto
il paradiso senza mai entrarci
– William Shakespeare
Dapprima è un profumo: si fa strada nelle mie narici, assuefatte a tal punto da non essersi mai accorte di questa fragranza fino ad ora. È un aroma dolciastro, ma gradevole. Eppure, per quanto soave, si impone ai miei sensi con irruenza e li ubriaca di sé. Li rende dipendenti, incapaci di poter restare un solo momento senza inspirarlo.
Poi è un sapore: salato, tenue, arrogante nella sua semplicità, ma irresistibile. Si insinua tra le mie labbra, schiuse per accogliere ogni sensazione. Le accarezza, con una delicatezza estenuante che presto crolla, spinta da un incendio incontrollato che via via si fa più esigente, prorompendo in un'esplosione di urgenza.
Mi si annebbia la mente, arresa di fronte alla marea che ha travolto il mio corpo. Abbandonata alle onde che lo trascinano, ascolto un cuore battere contro il mio petto, allo stesso ritmo del mio respiro.
È il cuore di Rhys.
Le braccia che mi stringono. Le labbra che esplorano le mie. Le spalle alle quali sono aggrappata come un naufrago ad una scialuppa. I polpastrelli tiepidi che tremano contro la mia nuca, spingendomi a varcare le porte di un giardino ameno.
È Rhys.
Questa consapevolezza danza nelle mie viscere, provocando un senso di smarrimento che svanisce ad ogni movimento delle sue labbra. Le domande tacciono e, per un singolo istante, il mondo che prima percepivo attorno a me scompare. Non sento altro che lui.
Lui. Contro di me e su ogni centimetro della mia pelle che, per quanto al riparo dal suo incendio, prende fuoco, come sfiorata dagli stessi baci con cui sta viziando la mia bocca, ormai incapace di resistere ad un simile, piacevole tormento; per sempre inabile a pensarsi libera, ora che conosce le carezze più tenere. Il contatto diventa necessità e dipendenza.
Lui. L'uomo che mi sta conducendo sull'orlo della follia e, proprio sul precipizio di un baratro senza via d'uscita, ha dato inizio ad una danza irrefrenabile. E io ballo, spogliata di qualunque timore. Ballo con lui, lo stesso uomo incomprensibile, enigma irrisolvibile, che non conosce altra risposta all'infuori di se stesso.
Il medesimo uomo che, adesso, mi sta baciando.
Con le mani avvicina il mio corpo al suo, quasi volesse fonderli in uno solo. Non riesco a respingerlo. Non voglio allontanarlo. Qualcosa, dentro di me, mi implora di restare così, stretta alle sue spalle salde, persa tra le pieghe di questo contatto intimo, inaspettato, esigente.
Tremo. Non riesco a pensare ad altro: solo alle sue labbra. Morbide, carnose, invitanti. Percorrono le mie, promettendo oasi in un deserto. Si radicano nella mia testa, divenendo già memoria ineluttabile.
Un senso di leggerezza si fa strada nel mio corpo. Rhys lo sostiene e mi impedisce di crollare, vittima della sua tempesta.
Poi è vuoto. Freddo. Nulla.
Schiudo le palpebre e metto a fuoco il suo volto, ormai distante dal mio. Prendo un respiro. Le mie dita fremono e devo impedire a me stessa di sollevarle per sfiorarmi le labbra. Ho ancora il suo sapore addosso, che mi conferma di non aver affatto sognato.
Tutto ciò non ha senso.
Lo fisso negli occhi, cercando una risposta alle mille domande senza voce che non riesco nemmeno a formulare. Sono frammenti sfocati, tanto quanto i ricordi che precedono il bacio.
Il bacio.
Sussulto, quasi mi manca l'ossigeno. Lo spazio tra i nostri corpi si colma di confusione. Ci guardiamo, in silenzio, appigliati all'attesa come foglie che resistono ai colpi crudeli sferzati dal vento freddo del Nord. Siamo vittime di quelle raffiche, che ci prendono a pugni; eppure, perseveriamo, ancorati al suolo, persi l'una negli occhi dell'altro.
Vorrei dire qualcosa. Uccidere il fragore di questo mutismo con una qualunque parola che ci riporti alla realtà. Ridurre in brandelli la tensione che si dipana nello spazio tra noi, che prima non c'era e che adesso mi schiaccia.
Sono frastornata.
I miei pensieri corrono senza meta in modo caotico, inseguendosi tra loro. Il sapore delle labbra di Rhys si schianta con il battito accelerato del mio cuore. Ho il viso bollente e lo stomaco in subbuglio, come se stessi precipitando dal cielo.
E la verità è che non so cosa provo o che nome assegnare al caos che ho dentro. Non comprendo come siamo arrivati a ciò.
Annaspo, cercando tra l'ossigeno il profumo del suo corpo che ora è troppo lontano.
«Rhys...» il suo nome scivola dalle mie labbra come una preghiera confusa.
Lui scuote il capo con vigore, girandosi per nascondere il suo volto. Borbotta delle frasi che non colgo, ma dal tono sembra abbattuto.
Pentito.
Quando si gira per guardarmi, scorgo l'afflizione dipinta su ogni tratto della sua faccia: è nella sua fronte corrugata, nella linea arcuata delle sue sopracciglia folte, nei suoi occhi mesti e colpevoli... e sulle sue labbra.
Riconosco una fitta di dolore, che pugnala un punto imprecisato del mio corpo. La sua bocca mi ipnotizza e la mia attenzione si aggrappa alla speranza che presto, da essa, usciranno delle parole.
«Scusa», mormora. «Io non...»
Il resto della frase rimane sospesa. Non riesco a reagire, a fare domande, a prendere in mano la situazione. Indugio, senza sapere cosa voglio né quello che provo.
«Mi dispiace», esala, con un tono abbattuto che mi colpisce di nuovo, come una sberla. «Forse è meglio tornare a casa.»
Non so che cosa mi aspettavo. So soltanto che, dentro di me, qualcosa scricchiola. Le sue parole mi calpestano.
Annuisco. Inebetita, forse delusa, o magari solamente incredula per il vortice di eventi ed emozioni che mi ha travolta nel giro di pochi istanti.
Lo seguo, assecondando la sua volontà. Siamo di nuovo barricati nei nostri mondi, lontani e impossibilitati a comunicare. La leggerezza si è dissolta: siamo tornati ad essere due individui poco più che estranei.
Attraversiamo le stesse strade che ci hanno condotto a St. James Park, ma ogni cosa mi appare troppo diversa: i toni più spenti, la musica meno allegra; le persone non sono altro che isole solitarie che vivono la propria esistenza.
Arriviamo a casa, senza esserci rivolti la parola. Osservo i suoi gesti, di solito naturali, e che adesso sono celeri: si toglie le scarpe e la giacca, si sistema i capelli passando una mano tra i ciuffi ribelli; il tutto ignorando la mia presenza.
«Buonanotte», borbotta in fretta.
Non mi lascia il tempo per rispondere, né per implorarlo di parlare, capire, chiarire: imbocca le scale e svanisce nella sua stanza. Il rumore della porta mi conferma che è ormai chiuso là dentro e non tornerà di sotto.
Rimango immobile all'ingresso, lacerata tra due possibilità opposte che mi strattonano: andare nella sua camera e obbligarlo a confrontarci, o fingere che non sia accaduto nulla?
Contemplo il mancorrente, come se da un momento all'altro Rhys o una soluzione dovessero apparire.
Non riesco a capire. O forse mi rifiuto di capire.
Abbandono il cappotto e le scarpe all'entrata. Ho bisogno di sciacquarmi il volto, per levarmi di dosso la stanchezza e la confusione. Entro in bagno, chiudendo la porta a chiave, e apro il rubinetto del lavandino. Posiziono i polsi sotto il getto di acqua fredda e, una volta scaldatasi, mi lavo il viso.
Con le gocce che ancora mi scivolano sulla pelle, mi guardo nello specchio che ho di fronte. Cerco un segno che possa riportarmi a quanto è accaduto meno di un'ora fa. Provo a vedermi come deve avermi vista lui. Lo immagino di nuovo, dinanzi a me, che incede e mi sovrasta con la sua altezza. Chiudo gli occhi e, sfiorandomi le labbra, percepisco il suo tocco caldo su di esse.
Ma è solo un ricordo privo di consistenza materiale, di cui molte cose continuano a non essermi chiare.
Tampono il viso con l'asciugamano e mi spoglio per farmi una doccia rapida. Avvolta nell'accappatoio, esco dal bagno e mi chiudo nella mia stanza, dove indosso il pigiama.
Anziché sdraiarmi, mi siedo sul bordo del letto e ripenso alle sue parole, sforzandomi di rievocare con esattezza ogni istante, qualunque dettaglio. Riannodo le trame della memoria per rivedere la serata come un film da analizzare: Rhys che entra nel mio camerino e mi propone di uscire, noi due in pizzeria, lui che mi insegna a pattinare.
Quando siamo usciti dal teatro, avevo compreso che c'era nelle sue parole un sottile strato di frasi non dette: i miei occhi avevano incontrato le vetrine dei negozi, inequivocabili tripudi d'amore commerciale, e qualunque sciocco avrebbe inteso che per mangiare fuori casa la sera di San Valentino era necessaria una prenotazione effettuata molto tempo prima. Eppure, malgrado il primo sospetto si fosse destato già allora, l'ho zittito, desiderosa di scoprire che cosa sarebbe accaduto.
Forse addirittura lusingata da quelle attenzioni inaspettate.
Ogni cosa era perfetta: la cena, la sua compagnia, l'atmosfera. Ero così spensierata da avere l'impressione di trovarmi in una qualche commedia romantica, protagonista di un idillio da far sognare e sospirare.
Incantata. Leggera. Non ero altro che una donna rallegrata dalla compagnia piacevole di un uomo gentile, premuroso, capace di farmi ridere.
Ma è proprio durante la scena più bella che, anche nei film, qualcosa va storto: io ho permesso che la perfezione si incrinasse. Le domande hanno bussato con foga, e non ho potuto far altro che dar loro voce.
Mi strofino il volto con esasperazione.
Lui non desidera la mia gratitudine.
La sua affermazione continua a rintoccare nel mio cervello senza acquisire un senso. Tutto quello che è accaduto questa sera sembra non averlo.
O forse la verità è che mi rifiuto di affondare nel significato dei suoi gesti e delle sue parole perché so esattamente che ciò mi costringerebbe ad affrontare la realtà. Dovrei confrontarmi con i suoi sentimenti e...
Con i miei.
Mi alzo in piedi di scatto, come stuzzicata dal pungiglione acuminato di un animaletto insidioso.
Percorro lo spazio vuoto della stanza, imponendomi di non pensare ad altro che ai miei passi; tuttavia, per quanto io mi sforzi, la voce di Rhys si insinua nella mia mente e cantilena le parole che, pur udite una sola volta, potrei recitare a memoria.
Ha imparato l'italiano per me.
Era un appuntamento, a San Valentino.
E poi il bacio.
Non posso ignorare il calore che mi lambisce i sensi al solo ricordo delle sue labbra sulle mie. Ci siamo baciati tante volte: sul palco o in sala prove, alla festa, per gli scatti ufficiali della produzione. E non mi era mai dispiaciuto. Ho sempre creduto che, per un Tony così dolce e passionale, la giovane e tenera Maria avrebbe perso la testa.
Solo che stavolta è diverso.
Io non ero Maria. Lui non era Tony. Mi sono sempre nascosta dietro ai ruoli che impersoniamo sulla scena, dimenticando che dietro a due nomi fittizi che si muovono nello spazio di una vicenda costruita ci siamo io e lui, Rossella e Rhys.
Stringo le mani sopra lo stomaco, dentro il quale si dibatte una miriade di farfalle.
Dove finisce la recita? Dove inizia la realtà?
Mi sfioro le labbra un'altra volta. I polpastrelli indugiano, incapaci di percepire differenze. Eppure, non mi sento più la stessa. Apro l'anta dell'armadio e scruto il mio riflesso nello specchio; scandaglio la mia figura, alla ricerca di un mutamento impercettibile.
La verità è che non c'è niente di diverso, fuori: è dentro di me che qualcosa sta cambiando forma. E questa cosa mi spaventa.
I miei occhi incontrano la porta della camera. I miei piedi si muovono in autonomia, così come la mia mano, che scivola sulla maniglia. Attraverso il corridoio e raggiungo la cucina: buia, vuota, silenziosa.
Sospiro, frustrata. Una minuscola porzione di me sperava di trovarlo qui, in piedi, davanti ai fornelli. Che mi stesse aspettando, per parlare dell'accaduto, o di nulla. Mi sarebbe andato bene comunque.
Contemplo la cucina, avvolta dalle ombre della notte. Rimango immobile, come se questo potesse richiamare Rhys e farlo uscire dalla sua stanza. Vorrei discutere con lui, capirlo; eppure, al tempo stesso, un brivido mi impedisce di sperare pienamente nella realizzazione di questa eventualità.
Ho paura. Non so di che cosa, ma il terrore è annidato nelle mie viscere e non mi dà tregua.
Se non avessi accettato... se fossimo tornati a casa, come ogni sera, allora, forse, tutto sarebbe come è da sempre: io e Rhys saremmo semplici amici che si conoscono da poco, ma che condividono mille piccoli segreti. Avrei conservato le mie domande e perplessità, al sicuro dalle sue risposte.
Rassegnata alla realtà, me ne vado a letto, benché del sonno non vi sia alcuna traccia.
• • • • •
Consumo il mio patetico pranzo, con i rumori del traffico attutiti dalle finestre insonorizzate del mio camerino. Contemplo il vuoto, mentre i pensieri corrono più veloci dei ricordi di ieri sera in una corsa ad ostacoli da cui sembra dipendere la mia vita.
Ignorare il problema forse non è la soluzione, ma la fuga è altrettanto sconsiderata. Sono atteggiamenti immaturi? Sì, ma non ho altri meccanismi per garantire a me stessa la sopravvivenza e la salute mentale.
Ho riservato ad ogni mio gesto un'attenzione ossessiva pur di concentrarmi su qualcosa che non fossero Rhys, l'appuntamento e quel contatto che mi costa un immenso sforzo, adesso, definire bacio.
Perché un bacio suppone che ci sia intimità. Prevede un certo sentimento. Nasce da un antefatto preciso, fatto di conoscenza, avvicinamento e desiderio. E ha delle conseguenze.
Non è stata la sciocchezza di un momento. Rhys è impulsivo, a volte, ma non fino a questo punto.
Immagino la risposta ad alcune delle mie domande. Benché abbia provato con ogni fibra della mia volontà ad accantonarle, queste mi hanno inseguita per buona parte della notte, stremandomi a tal punto da farmi crollare poche ore prima dell'alba. La stanchezza che provavo al mio risveglio, perlomeno, è stata un ottimo deterrente contro le elucubrazioni che altrimenti si sarebbero nuovamente affacciate alla mia mente, impedendomi di fare colazione in pace.
Pur di non restare sola in casa, sono uscita per fare una passeggiata, ma il vento gelido, il cielo plumbeo e le strade familiari sobillavano i miei pensieri, e non mi è restato altro da fare che comprare qualcosa da mangiare ad un minimarket per poi raggiungere a passo di carica il teatro.
Mando giù l'ultimo boccone di insalata e provo a rintanarmi in un angolo a leggere uno dei libri che ho portato nel mio camerino per spendere i momenti morti. I miei occhi seguono le frasi allineate sulla pagina senza comprendere una sola parola. Per quanto io torni indietro, fatico a concentrarmi.
«Che strazio», impreco, abbandonando il libro sul divanetto e sedendomi per terra.
Cerco sul telefono della musica rilassante e distendo i muscoli per fare dello stretching, ma sento dei passi sulle scale e il cuore sussulta.
Una fiammella debole – insignificante, perché deve essere insignificante – si accende nel mio petto, all'idea che si tratti di Rhys. Non lo vedo da ieri sera, e per quanto incontrarlo costringerebbe entrambi a parlare dell'accaduto, una parte di me desidera che lui sia oltre la mia porta e la spalanchi e...
«Rosela, sei tu?»
La delusione mi riporta a terra. «Entra.»
I capelli corvini di Blanca fanno capolino dall'angusto varco che ha creato schiudendo la porta. «Ti disturbo?»
«No, vieni pure», la invito, cercando di non far trapelare il mio avvilimento. Vorrei essere sollevata per la sua presenza; eppure, per quanto ritrovarmi faccia a faccia con Rhys dopo l'accaduto sarebbe stato complicato, ci speravo.
«È prestissimo, che cosa fai già qui?» mi chiede, chiudendosi la porta alle spalle e accomodandosi al mio fianco sul pavimento.
«Avevo voglia di rilassarmi e prepararmi con calma.»
«Sicura che non ti disturbo? Ho sentito la musica ed ero curiosa.»
«No, anzi: ho proprio bisogno di un po' di compagnia.»
I suoi occhi scuri mi scrutano con attenzione e posa una mano sul mio braccio. Le sue dita olivastre lo stringono con una dolcezza amichevole. «Va tutto bene?»
Scrollo le spalle e interrompo la musica. Il silenzio, con i suoi demoni, mi piomba addosso come un macigno.
«Ho parecchi pensieri per la testa.»
Blanca reclina il capo e mi regala un sorriso affettuoso. «Parlarne potrebbe aiutarti.»
«Non saprei nemmeno da cosa iniziare. Nel mio cervello c'è un tale caos, Blanca, che ho paura d'impazzire.»
«Ti aiuterò a mettere un po' d'ordine, allora. Tu, però, devi permettermi di darti una mano.»
Sospiro. Mi raggomitolo su me stessa, stringendo le ginocchia contro il petto e fissando il muro a pochi metri da me.
«Ieri, Rhys mi ha chiesto di uscire.»
Non udendo altro che silenzio, mi giro per studiare la reazione di Blanca: ha la bocca spalancata per lo stupore ed è immobile.
«Non ci credo», sussurra infine.
«Be', è così.»
«Non fraintendere: non lo ritengo impossibile, ma... iniziavo a pensare che non sarebbe mai successo.»
Sollevo un sopracciglio, attonita. «Non capisco.»
«È palese quanto il naso che hai sulla faccia che tra voi due c'è qualcosa. L'ho percepito fin dall'inizio, lo sai.»
Abbasso lo sguardo, nel tentativo di metabolizzare le sue parole. Non mi ha mai nascosto la sua opinione su me e Rhys, ma parlarne adesso mi fa un effetto diverso: è un sentimento indecifrabile.
«Ieri era anche San Valentino», puntualizzo.
«E dove siete andati?»
Le racconto la serata nei minimi dettagli, limitandomi ad una descrizione spoglia di qualunque sentimento. Voglio ignorare le ragioni del cuore finché mi sarà possibile. «Poi mi ha portata a pattinare», concludo.
«E?»
Prendo un respiro profondo. «E lui mi ha baciata.»
La sua mano si avvinghia al mio braccio con uno spasmo violento che mi fa sussultare. «Cosa hai detto?!»
«Mi ha baciata. Ci siamo baciati.»
La sua bocca si spalanca di nuovo, ma non emette alcun suono. Mi fissa per dei secondi interminabili, prima di riuscire a parlare.
«Quindi... lo avete voluto entrambi?»
«Sì», ammetto, mentre le mie ultime resistenze sul fronte delle bugie crollano, spinte a ritirarsi dall'incalzante verità alla quale mi arrendo. «C'era qualcosa tra di noi, in quel momento. Le sue parole, la nostra vicinanza... ho pensato a quanto avrei voluto che mi baciasse.»
Ed è stato irrazionale. Non saprei in che altro modo definire un pensiero privo di logica, tanto improvviso quanto la necessità di sentire le labbra di Rhys sulle mie.
Mi ha confessato di essere sul punto di impazzire. Per me era lo stesso: le sue frasi mi rimbombavano in testa, ma il suo corpo, così vicino al mio, mi ha attratta come una calamita. Scariche elettriche percorrevano la mia pelle e, quando i miei occhi si sono incatenati ai suoi, ho potuto leggere nelle sue iridi una strofa di quel mistero che ho sempre scorto.
Lui voleva me.
Non sono stata capace di capire altro. Il mio sguardo è scivolato sulle sue labbra: carnose, arrossate, perfette. Ho chiuso gli occhi ed è successo.
Ed è stato... incantevole.
Non ho percepito altro che lui. Noi.
«Terra chiama Rosela.»
Mi riscuoto e metto a fuoco il viso di Blanca. Sta sorridendo.
«Dev'essere stato un bacio degno di tale nome: eri in contemplazione mistica.»
Reclino il capo, mentre una vampata di calore mi investe la faccia. «Lo è stato...»
Anche Blanca inclina la testa per guardarmi negli occhi. «C'è un però, non è vero?»
Annuisco. «Ero così stranita. Euforica, forse. Perplessa e... tante altre sensazioni. Non riuscivo a parlare, anche perché non sapevo che cosa dire.»
«E lui?»
Sospiro. «Si è scusato e siamo tornati a casa.»
Blanca non riesce a trattenere un Ah allibito.
«Non so che cosa fare», piagnucolo, nascondendo il viso tra le ginocchia.
Mi sento una stupida. Una parte di me correrebbe alla ricerca di Rhys e lo implorerebbe per essere baciata ancora, alla stessa maniera di ieri sera – e poi chiederebbe delle spiegazioni; ma l'altra, invece, vorrebbe solo sprofondare e nascondersi per sempre pur di scongiurare un confronto che, tuttavia, è ineludibile: viviamo nello stesso appartamento e lavoriamo insieme. Non possiamo ignorarci.
Non voglio ignorarlo, in fondo. Non dopo quello che è successo.
Se un tempo la mia massima aspirazione era evitarlo per non guastarmi quel briciolo di buon umore che riuscivo a racimolare appena sveglia la mattina, adesso darei qualunque cosa pur di vedermelo apparire dinanzi come il Genio della Lampada.
Mi chiedo se, incontrandolo, sentirei qualcosa. Forse mi accorgerei che baciarci è stato un errore, proprio come deve aver creduto lui.
Ma deve pur significare qualcosa.
«Che cosa hai intenzione di fare?»
«Non lo so», rispondo con sincerità. «Non ho idea di quello che prova. Di quello che sento io», tiro un laccio della mia scarpa, abbandonandomi ad un sospiro frustrato.
Credo di conoscere i miei sentimenti, ma affrontarli mi spaventa. Li ho chiusi sotto chiave andandomene dall'Italia, da Flavio e dall'enorme guaio che avevo causato per seguire il mio cuore. L'ultima cosa che voglio è rovinare tutto, di nuovo. Rhys non lo merita.
«Sono una stupida.»
«Ti sei posta la domanda fondamentale?»
«Ovvero?»
Blanca scuote il capo con tenerezza. «Lui ti piace?»
«È insopportabile. Non hai idea di quanto possa essere infantile, a volte. Però...»
Fisso lo sguardo nel vuoto, ripercorrendo questi mesi a Londra. Dal nostro primo incontro a ieri sera sono accadute mille cose, e altrettante sono cambiate.
«Io non so come faccia, ma riesce sempre ad arrivare al momento giusto. È in grado di salvarmi senza che io chieda soccorso.»
Anche quando ci odiavamo. Anche quando avrei voluto incenerirlo con lo sguardo. Anche quando instillava in me istinti tutt'altro che pacifici e concilianti, con il suo temperamento snervante.
Anche allora.
Come un angelo custode un tantino bipolare, Rhys si è seduto al mio fianco. In silenzio, con discrezione. E quando io mi sporgevo troppo e rischiavo di cadere dalla mia torre di desolazione, lui mi tendeva la sua mano. Nonostante non fosse suo dovere. Malgrado io non lo ringraziassi.
Per quanto anche le attenzioni più strane, a volte, mi seccassero, un angolino del mio cuore era gratificato dalla sua presenza e lusingato da quei gesti così intimi che somigliavano alla purezza.
All'amore.
«C'è stato un tempo in cui temevo che potesse scavare nel mio passato con un solo sguardo e scoprire che persona sono stata. Ora, però, quando gli parlo sento che lui mi comprende... lui legge la mia anima senza che io debba tradurne i segreti.»
La mano di Blanca si insinua tra le mie. Me le stringe con dolcezza. «Allora sai cosa devi fare.»
Scuoto il capo. «Ho paura. Forse non sono pronta per innamorarmi di nuovo.»
«Non puoi impedirlo. Magari è già successo.»
«E se per lui quel bacio non avesse rappresentato altro che la follia di un momento?»
Scoppia a ridere, come se avessi appena pronunciato una sciocchezza. «Rosela, se solo tu ti fossi accorta di come lui ti guarda.»
La scruto, con il cuore che ha preso a battere e la curiosità che scalpita al suo fianco.
«Sarà lui a dirti la verità, ma ti posso assicurare che quel bacio lo sogna da parecchio», mi fa l'occhiolino e scrolla le spalle. «Qualcuno diceva che gli occhi sono lo specchio dell'anima. Ebbene: nella sua ci devi essere tu.»
«Vorrei essere certa di quello che dici.»
«C'è solo un modo per conoscere la verità.»
Ho l'impressione che affrontare questa situazione sia come gettarmi in un incendio cosparsa di sostanze infiammabili, ma immagino di non avere alternative: devo abbandonare il terrore in un angolo e comportarmi come una persona matura.
Basta scappare.
«Andrà tutto bene», mi rassicura Blanca. «Tifo per voi.»
• • • • •
Essere un'attrice mi permette di accantonare i miei problemi per due ore e caricarmi sulle spalle le disgrazie del mio personaggio. Per l'intera durata dello spettacolo, sono rimasta al fianco di Rhys senza provare l'imbarazzo che, invece, mi sta dilaniando adesso: sono di nuovo nel mio camerino, la replica è finita e a breve torneremo a casa.
Fisso la mia immagine nello specchio, cercando il contatto visivo con me stessa per incoraggiarmi.
Non sarà terribile. Andrà meglio di quanto ti aspetti.
Non trovo le forze per alzarmi dalla sedia: sono inchiodata ad essa, incapace di muovermi. Aspetto che sia Rhys a bussare alla mia porta, come ogni sera: si prepara, mi aspetta e poi ce ne andiamo insieme. Lo farà anche oggi. Deve farlo anche oggi.
«Rossella?»
La sua voce ovattata raggiunge le mie orecchie e il cuore comincia a battere con foga. Prendo un respiro profondo e cerco di assumere una posizione quanto più naturale possibile. Non deve supporre che ho trascorso gli ultimi venti minuti a fissare lo specchio come una scema, senza muovermi, vittima dei miei dilemmi.
«Entra», lo invito, con la voce che trema nonostante provi ad impedirlo.
Rhys tiene il capo chino e lascia la porta aperta alle sue spalle. «Sei pronta?»
«Sì, però...» inspiro. «Ti va di fare una passeggiata?»
La sua testa si solleva quel tanto che basta perché i nostri sguardi si incrocino: lui è titubante, io in preda ad una crisi esistenziale.
La passeggiata sembra meno intimidatoria di un confronto. Allude, senza menzionare direttamente la mia necessità di chiarire, sapere.
Annuisce e si scosta per permettermi di precederlo fuori dal camerino. Recupero le mie cose ed usciamo dal teatro. Camminiamo in silenzio, senza una meta precisa.
L'aria è sempre gelida, le vetrine meno rosse e l'atmosfera ancora impregnata del romanticismo di ieri. Ascolto il nostro mutismo, chiedendomi se sia giusto parlare o aspettare che arrivi il momento adatto.
Scruto Rhys di sottecchi, percorrendo il suo profilo scolpito contro le facciate degli edifici sullo sfondo. Somiglia agli uomini assorti delle sculture del passato: un filosofo tormentato dai propri cavilli, desideroso di abbandonarli per trovare requie, ma al tempo stesso incapace di riuscirci perché troppo angosciato dalla necessità di risposte.
Le occhiaie sotto le sue palpebre mi suggeriscono che deve aver trascorso la notte in bianco: forse anche lui, come me, non ha fatto altro che pensare, nelle ultime ore.
Chissà cosa gli passa per la mente...
Raggiungiamo il Westminster Bridge. La prima volta che ci sono stata, il Big Ben si stagliava poderoso contro l'azzurro del cielo. Dominava il mio sguardo, catturava ogni mia idea, e si specchiava vanesio nell'acqua del fiume che splendeva come una scia di cristalli preziosi.
Ora, la notte accarezza il fiume e lo culla come un bimbo che deve andare a dormire. Sull'acqua ondeggia languido il riflesso delle luci artificiali che appannano le stelle, impossibili da vedere.
La torre è avvolta da un mantello di foschia, che pare proteggere la struttura dal freddo pungente di questa sera.
Lo sciabordio del Tamigi è un lamento affannato. Lo ascolto, come una confidente pronta ad accogliere le sue inquietudini. Cerco di recepire anche il minimo rumore del traffico alle mie spalle pur di ammutolire i pensieri, ma riescono ad avere la meglio: Rhys è al mio fianco, proprio come la prima volta.
Allora mi intrigava e mi irritava. Seguita ad affascinarmi, ma non posso non avere paura della sua versione della storia: quel bacio è stato un errore oppure no?
Mi volto: Rhys sta osservando il fiume, con le labbra corrucciate.
Prendo per mano il coraggio. «Penso che dobbiamo parlare.»
Non si gira subito. Rimane immobile per qualche istante, come se non mi avesse sentita; poi, il suo petto si gonfia e finalmente mi rivolge la sua attenzione. Nei suoi occhi si dibatte il più sincero senso di colpa.
«Mi dispiace, Rossella», mormora. «Non avrei dovuto.»
Boccheggio, ma mi costringo ad essere ragionevole e a non perdere il controllo della situazione: voglio la verità, e mi rifiuto di credere che sia questa. Per quanto sia illogico sperare, ho bisogno di andare fino in fondo. Affondare nella realtà, se necessario, anche se questa dovesse travolgermi.
«Perché ti dispiace?»
Si gratta la fronte con un gesto nervoso, mentre il piede sinistro tamburella contro la base del parapetto. Sospira, con la condensa che si disperde nell'aria e, per un breve istante, si insinua tra noi come una sottile barriera.
«Sono stato impulsivo. Non avrei dovuto baciarti, è stato...» la sua mandibola si contrae. «È stato un errore.»
«Quindi anche venire in Italia è stato un errore?» gli chiedo di getto. «Imparare l'italiano? Pure quello era uno sbaglio?»
Mi osserva senza fiatare. Nelle sue iridi ci sono migliaia di parole, ma non ricorre a nessuna di esse. Percepisco la sua difficoltà, ma non riesco ad averne rispetto: merito delle risposte, e non mi importa se per lui non è facile, perché non lo è nemmeno per me.
Non posso controllare il fiume in piena della mia furia; la diga sta cedendo e non ho intenzione di arginare quest'inondazione: potrebbe essere devastante quanto un'alluvione, o benefica come le acque del Nilo. Dipende da ciò che dirà.
«Per tutto questo tempo... tu sei stato al mio fianco. Restavi sveglio la notte per parlare. Ti prendevi cura di me. Mi ascoltavi, ridevi delle sciocchezze che dicevo.»
Gli punto il dito contro il petto, premendo contro la sua giacca con tutta la rabbia che mi sta incendiando il corpo. Rhys, tuttavia, non si muove di un solo millimetro. Tiene le pupille fisse nelle mie, la mandibola contratta e le labbra serrate, quasi stesse impedendo a se stesso di ribattere.
«Mi hai aperto il tuo cuore», proseguo, sempre più esasperata. «Forse era solo un angolino insignificante rispetto a ciò che ti porti dentro. Io non so tutto di te, e tu non conosci ogni cosa di me. Ora, però... mi chiedo se anche questo, ai tuoi occhi, sia un errore.»
Stringo il parapetto del ponte con ogni forza, aggrappandomi ad esso con una veemenza tale che le nocche diventano bianche e le dita iniziano a farmi male.
«Forse non vuoi la mia gratitudine. Non vuoi che io mi senta obbligata a provare qualcosa per te», riprendo, quando ho incamerato abbastanza ossigeno. «Ma se per te tutto quello che abbiamo passato, nel bene e nel male, era sbagliato, allora possiamo anche ritornare al punto di partenza.»
«Che cosa stai dicendo?» domanda, perplesso, eppure al tempo stesso intimorito dalle mie parole.
«Non era forse meglio quando mi odiavi così tanto da volermi sbattere fuori di casa?»
Scuote la testa, distogliendo lo sguardo e puntandolo sul fiume. «No, non era meglio.»
«E allora dimmi perché ogni cosa che è avvenuta è stata un errore», lo incalzo.
«Non ogni cosa. Solo il bacio. È diverso.»
«Perché è diverso, Rhys?!»
«Perché mi sono innamorato di te, Rossella!»
Ci guardiamo. Entrambi con il fiato corto. Entrambi consapevoli che il passato si è spezzato poco prima che pronunciasse l'ultima frase con un tono disperato, sofferente, graffiato dalla verità ormai impossibile da contenere. Oltre la cesura, ci siamo noi: il presente. Una nuova fase.
«Sono innamorato di te», ripete, questa volta in un sussurro. I suoi occhi viaggiano tra le mie iridi e le labbra, senza mai fermarsi per più di un istante. «Sei stata il mio baricentro quando ero sul punto di rovinare a terra. E all'inizio non lo volevo, perché il mio equilibrio doveva dipendere soltanto da me e non da un'altra persona. Tu hai sconvolto tutto.»
«Da quanto?» riesco a chiedere, con un filo di voce.
«Ha importanza?»
La mia mano, ormai gelida, abbandona il parapetto e si avvicina timidamente al suo braccio, dove scivola lungo la giacca fino a raggiungere le sue dita calde. Lui non si ritrae: le stringe con delicatezza, strofinando i polpastrelli contro la mia pelle intirizzita.
«Sì. Per me è importante.»
Si morde il labbro inferiore. Non distoglie lo sguardo, ma continua a fissarmi come se, ormai, non potesse più sfuggire a questo confronto.
«Da tanto. Forse dal primo momento; però ho combattuto per impedirlo», sospira e solleva le nostre mani giunte vicino alle sue labbra, con le quali bacia teneramente le mie dita. «Ho fallito. Hai vinto la battaglia. Anzi: la guerra. Io mi arrendo.»
Ha il volto stremato di un soldato che ha davvero lottato fino ad esaurire le sue risorse fisiche e mentali.
Le sue parole si depositano nel mio cuore.
Rhys. Innamorato di me.
Un tempo, questa affermazione mi avrebbe sconvolta. Sarei scoppiata a ridere, per l'imbarazzo e per il nervosismo, ma anche perché allora mi sarebbe sembrato uno scenario ai confini della realtà.
Ora, non riesco ad essere stupefatta. C'è qualcosa di così intimamente naturale nel modo in cui il suo respiro si scontra con le mie dita, scaldandole, e nella maniera in cui mi guarda.
Mille dettagli che in passato mi sfuggivano o ai quali non riservavo attenzione riemergono nella mia mente e acquisiscono un senso.
«Per tutto questo tempo...» mormoro.
Si è innamorato di me. In silenzio. Si è insinuato nella mia vita, in punta di piedi, sedendosi a debita distanza. Si è avvicinato solo quando sono stata io a chiederlo, a permetterglielo.
«Per questo baciarci è stato un errore», dice, attirando di nuovo la mia attenzione. «Non volevo rovinare ogni cosa mettendo in mezzo i miei sentimenti. Ho preferito amarti da lontano, piuttosto che importelo. Mi dispiace.»
China la testa, lo sguardo fisso sulle sue scarpe. Libero la mia mano dalla sua presa e gliela poso sul viso con cautela, accarezzandogli la guancia. Questo gesto lo fa sussultare, e riprende a guardarmi.
«Non hai rovinato proprio un bel niente, Rhys», sussurro, con il cuore che martella nel mio petto.
È illogico. Non ha senso. Eppure, sento di non volere nient'altro che questo: baciarlo di nuovo, perdere il respiro contro le sue labbra e implorare le sue di non lasciarmi.
Non so dare un nome a quello che provo, ma, dopo quello che è accaduto ieri sera, non posso fare a meno di chiedermi perché abbiamo aspettato per tanto tempo.
Gli avvolgo il collo con un braccio, spingendolo a chinarsi mentre mi metto in punta di piedi. Sembra capire il mio intento.
«Non devi farlo, Rossella, se non lo vuoi.»
«Baciami, Rhys. Fammi impazzire.»
I suoi occhi scavano nei miei. Non mi ritraggo. Non volgo lo sguardo altrove. Non mi nascondo, né lo evito. Gli permetto di entrare nella mia anima e di esplorarla alla ricerca di una conferma. Quando la trova, sorride. Ai lati della bocca si formano due fossette.
Reclina il capo e con le braccia mi spinge contro di sé.
E succede.
Ci baciamo un'altra volta. Come la prima, il suo profumo ed il suo sapore mi accarezzano le viscere. Mi perdo tra le sue labbra, incapace di pensare ad altro che alle sue mani che mi premono contro il suo petto e al suo respiro affannato.
Una sensazione di calore si accoccola accanto al mio cuore.
La mano sinistra di Rhys risale fino alla mia guancia, che accarezza con un tocco così leggero che mi fa rabbrividire dal piacere.
Abbandona le mie labbra, e subito ne sento la mancanza. Schiudo gli occhi e incontro i suoi: c'è in essi un'emozione prorompente, simile ad un'onda che si schianta contro gli scogli con un impeto incontenibile.
«Rhys», bisbiglio, con il fiato ancora corto. Lui sfiora le mie labbra con un altro bacio, dopodiché posa la fronte sulla mia. «Per me non è stato facile capire che mi piaci. Non sarà mai facile.»
Il passato rimane. Le cesure non lo cancellano.
«Potresti scoprire che non sono la persona di cui ti sei innamorato», confesso.
«Permettimi di svelare ad uno ad uno i tuoi tesori, Rossella.»
La sua voce è ridotta ad un flebile sussurro caldo che mi fa attorcigliare lo stomaco. D'improvviso, la mia mente partorisce il pensiero più assurdo dell'intera giornata: mi immagino Rhys intento a parlarmi in questo modo per farmi addormentare. Lo ascolterei per ore. Combatterei contro il sonno pur di sentirlo.
Il problema non deve essere il latte, a questo punto: non ne ho bevuto nemmeno un goccio negli ultimi giorni, eppure ho perduto la capacità di essere ragionevole. Forse il mio punto debole è sempre stato Rhys.
«E se non fossero tesori?» ribatto, terrorizzata all'idea che, una volta conosciuto il mio passato, Rhys potrebbe essere deluso dalla verità.
«Solo io posso giudicare.»
«Ma...»
La sua mano torna ad accarezzare la mia guancia. Mi lascio andare e reclino il capo finché la mia pelle aderisce contro la sua. Chiudo gli occhi, beandomi del calore che sento fuori e dentro di me.
«Neanche per me è stato facile», mi confida, con una sincerità disarmante. «Ora, però, farei qualunque cosa affinché tu capisca che quello che provo non è passeggero, superficiale o volubile. Non cambierà. Vorrei che anche per te fosse così, ma rispetterò i tuoi sentimenti perché vengono prima dei miei.»
Apro gli occhi ed incontro i suoi.
«Non ti chiedo di dirmi che ti sei innamorata di me. Ti chiedo di essere sincera, sempre e comunque. Anche quando la verità sarà dolorosa. Soprattutto allora.»
Sollevo la mano e gli sfioro le labbra con i polpastrelli. Sono morbide e calde e, sotto il mio tocco, fremono.
«Lo prometto.»
«Non posso fissare né l'ora né il posto o
lo sguardo o le parole che furono il principio
del mio amore. È passato troppo tempo.
Ero già innamorato prima di accorgermene.»
– Jane Austen –
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