Capitolo 25
Non è tanto dell'aiuto degli amici
che noi abbiamo bisogno, quanto
della fiducia che essi ci aiuterebbero
nel caso ne avessimo bisogno
– Epicuro
La maggior parte delle mie idee sono il risultato di nottate in cui il sonno è stato sacrificato in favore di riflessioni che non potevo rimandare al mattino successivo. La mia mente lavora, elaborando piani che paiono infallibili nell'oscurità dell'insonnia, ma che spesso si rivelano pura follia alle prime luci dell'alba.
«Non sembra così difficile, alla fine», borbotto, mentre con una frusta da cucina recuperata in un cassetto mescolo latte, uova e farina.
Premo il tasto pausa della videoricetta per versare l'impasto nella padella che ho messo a scaldare poco prima e sul cui fondo il burro è ormai sciolto.
Dentro di me, imploro l'impasto di non carbonizzarsi, allontanando dalla mia mente l'immagine della cucina in fiamme mentre i vigili del fuoco cercano di trarmi in salvo.
Ad una ad una, le crêpes si cuociono senza alcun incidente. Le impilo su due piatti differenti; sopra ad una delle torri di crêpes spalmo della marmellata all'albicocca e cospargo di zucchero l'altra. Soddisfatta del risultato, lo ammiro con orgoglio e attendo il suono della sveglia di Shirley. Non appena la sento, preparo il cappuccino. Quando anche questo è pronto, mi siedo al tavolo e aspetto.
Shirley entra in salotto, con il volto assonnato, ma sorridente come al solito. Ogni mattina, mi chiedo da dove attinga la forza per affrontare il mondo con una tale allegria.
«Rosela, come mai sei già sveglia?» mi domanda, fissando la colazione che ho da poco finito di preparare.
«Avevo voglia di farti una piccola sorpresa.»
Scruta le crêpes e la spuma bianca che straborda dai tazzoni. «Ti ringrazio, ma non c'era bisogno che ti disturbassi.»
«Per una volta, volevo essere io a farti un favore.»
Shirley sorride e si accomoda di fronte a me.
«Sono deliziose!» esclama, assaggiando le crêpes. «È la prima volta che le prepari?»
«Sì, e direi che ora siamo rivali.»
«Oh, non ti preoccupare, perché ai fornelli so cucinare solo queste. Di certo non posso considerare la cucina come una carriera alternativa», scherza, addentando un pezzo di crêpe con avidità.
Mi mordo il labbro: siamo giunte dove volevo arrivare.
«Stai valutando se cambiare lavoro?»
Shirley alza le spalle. «Non saprei. Al negozio mi trovo bene, i colleghi sono simpatici e lo sconto per i dipendenti è senza dubbio molto utile. Non è un'occupazione pessima.»
Con un cucchiaino, prende un poco di schiuma dalla tazza di cappuccino e l'assaggia.
«Sai... stavo ripensando al quadro che c'era nello studio di tuo padre.»
Il cucchiaino le scivola di mano. Il suo volto s'incupisce all'istante.
«L'ho realizzato tanto tempo fa», taglia corto.
«Era davvero stupendo. Hai talento.»
«Avevo talento. Anzi: non l'ho mai avuto, ad essere sincera. Ma tanto meglio così, ho scelto la mia strada.»
«Shirley.»
Lei resta immobile, con i capelli che le nascondono il volto chino sul piatto che ha di fronte e le dita strette attorno al bordo del tavolo.
«Non ho voglia di parlarne, Rosela.»
«Lo so. Per questo ne dobbiamo discutere.»
Finalmente, solleva il capo, permettendomi di vederle la faccia; dai suoi occhi trapela una tristezza che conosco bene, ma che non le ho mai visto dipinta sul viso.
«Non ti capisco.»
«So anche questo.»
Shirley mi osserva con ritrosia. «Non volevo che lo vedessi. Speravo che mio padre l'avesse tolto dal muro per buttarlo.»
«Penso di doverti raccontare una cosa, allora.»
Bevo un sorso del mio cappuccino, per trovare la forza di riaprire la porta del passato e rientrare in una stanza che preferisco non visitare, perché ogni volta fa più male della precedente. Il tempo passa, ma certe ferite non si cicatrizzano, nonostante tutto, e i ricordi sono pezzi da museo esposti in bella vista affinché tu possa rammentare.
«Ti avevo detto di aver studiato Psicologia, ma di non essermi mai laureata», lei annuisce. «Ebbene, in parte è vero: non ho una Laurea in Psicologia, perché non ho mai frequentato quella facoltà.»
Shirley mi guarda con un'espressione confusa. «Non capisco.»
«Ti ho mentito e mi dispiace, perché tu mi avevi accolta in casa tua e meritavi la mia onestà.»
«Non importa. Non è un dettaglio di grande rilevanza.»
«Lo era, invece. Se non mi avessi trascinata in quel locale e non mi avessi spinta a cantare al karaoke, forse adesso avrei appena iniziato a lavorare in un fast food e odierei gli hamburger, perché tornerei a casa puzzando di fritto. Detesterei persino me stessa. O magari, sarei ancora un'inutile disoccupata che giace sul suo letto e piange per la sua esistenza patetica», prendo la sua mano. «Io avevo studiato canto, danza e recitazione. Il palco era il mio mondo, i teatri il mio universo. Non ho mai potuto immaginare la mia vita lontana dai microfoni, dai costumi di scena, dall'ansia per le prove e le emozioni per gli applausi.»
«Avevo capito che fosse il tuo sogno.»
«Ma io stavo per rinunciarvi. Avrei mandato all'aria le speranze che per anni mi avevano tenuta in piedi perché una persona è uscita dalla mia vita», deglutisco a fatica, mentre i ricordi accoltellano gli ultimi brandelli che restano della mia anima. «È dovuta uscirne, perché mi sono comportata come un mostro.»
«Tu non sei un mostro, Rosela.»
«Non conosci il mio passato.»
«È vero, ma conosco il tuo presente ed è quello a contare, per me.»
Sorrido. «Lo vedi? Tu mi aiuti sempre. Io non smetterò mai di ringraziarti per quello che hai fatto per me. Mi hai salvata, dandomi un tetto sulla testa e la fiducia che io, ad una come me, non avrei mai concesso.»
«Sei una brava persona, Rosela.»
«La verità è che non lo sono, per quanto tu ti ostini ad affermarlo. Ho fatto molti errori, di cui mi pento amaramente ogni giorno. Tu hai scavato a fondo fino a trovare qualcosa di buono.»
«Perché sapevo di poterlo trovare.»
Sospiro, stringendo ancora la mano di Shirley. «Io non so se sia vero o meno, ma non è questo di cui voglio parlare.»
«Rosela, ti scongiuro...»
«Tu con me hai insistito.»
«Perché sei testarda. Non potevo fare altrimenti.»
«Be', anche tu sei cocciuta. Per questo ora voglio aiutarti: per me hai fatto più di quanto meritassi.»
«Non c'è bisogno di ricambiare, l'ho fatto volentieri.»
«Non è questione di ricambiare un favore. Io voglio che tu capisca che, a volte, tornare indietro è possibile.»
Shirley lascia la mia mano. Scuote la testa e si massaggia le tempie con rassegnazione. «Non in questo caso. Non voglio tornare indietro», torna a fissarmi, con lo sguardo flemmatico di chi si è arreso e non vuole più saperne di ripensarci. «Perché dovrei?»
Prendo un lungo respiro. Mi tornano alla mente così tanti ricordi che mi concedo qualche istante per riviverli ad uno ad uno: la prima lezione di danza, il primo incontro con Maria, il primo giorno in Accademia, il primo spettacolo, il primo ruolo importante, la prima audizione... e poi Flavio.
Tante prime volte. E mille altre occasioni che hanno rischiato di essere le ultime, se non avessi ripreso in mano la mia vita. Se non avessi lottato per recuperare almeno una briciola di me e di quello che ero una volta.
Il dolore può trasformarsi in una nebbia obnubilante. Se non avessi visto la luce in lontananza, forse starei ancora vagando in una brughiera di rimorsi e rimpianti senza fine.
Osservo Shirley e, come un lampo, mi assale un dubbio a cui non posso non dar voce. «C'entra qualcuno, non è vero?»
«Cosa?»
«Hai smesso di dipingere a causa di una persona?»
Shirley tace. I suoi occhi amareggiati e il suo silenzio sono più eloquenti di qualunque parola. Nelle sue iridi scorgo i frammenti di un passato che vorrebbe scordare, ma che, come me, non può seppellire negli abissi del suo cuore.
«Io so cosa vuol dire», affermo. «So che eliminare tutto quello che ci ricorda una persona è il modo più semplice per illudersi di essere andati avanti. So che a volte siamo così folli da cancellare persino noi stessi con altrettanta facilità, credendo di poterci reinventare a tal punto da diventare qualcuno che non siamo noi», mi fermo, per respirare e aggrapparmi a quell'ultima briciola di coraggio che mi resta. «So che, nella foga, possiamo dire addio anche al sogno più intimo e più bello: quello che abbiamo custodito gelosamente, difendendolo da chi non aveva l'anima per comprenderlo. Lo buttiamo via e fingiamo di poter vivere senza; ma la verità è che abbandonare quel sogno equivale a tradire la nostra identità.»
Sollevo lo sguardo, dopo che a lungo l'ho tenuto fisso nel vuoto. Shirley non è stupita: pare aver compreso le mie parole. Sorride con mestizia, con gli occhi lucidi che ora non fuggono più dai miei.
«Forse ti sembro un'impicciona, ed è vero: la mia curiosità non ha limiti, ma ti garantisco che adesso non è questa a muovermi. Io voglio aiutarti. In tutti questi anni ho imparato una cosa: rinunciare a ciò che ci rende felici perché qualcuno fa parte del nostro passato non è mai la scelta giusta.»
«Non credo che tu possa aiutarmi. Nessuno può farlo.»
«Io non voglio che tu commetta il mio stesso errore.»
Esala un sospiro di sconfitta. «E se fosse il sogno ad essere uno sbaglio?»
Rifletto sulle sue parole, presa alla sprovvista. «Non credo che sia questo il caso.»
«Rosela, apprezzo il tuo tentativo, davvero, ma mi spiace doverti dire che stai sprecando il tuo tempo», si alza in piedi e s'incammina verso la sua stanza, ma si ferma poco prima d'imboccare il corridoio. «Grazie per la colazione, però non ho più fame.»
La guardo sparire dal mio campo visivo, mentre un senso di impotenza mi serra la gola.
Sono una stupida.
Mi massaggio il volto, nel tentativo di processare quanto è successo.
Shirley è più simile a me di quanto pensassi. Testarda, pronta a scansare qualunque aiuto perché non lo desidera – o crede di non volerlo – e capace di nascondersi dietro alla scusa che nessuno può fare qualcosa per lei.
«Ti prego, non commettere il mio stesso errore. Ti prego», mormoro, stringendo i pugni.
• • • • •
Chiusa nella mia stanza, sdraiata sul letto e avvolta da uno strato invalicabile di coperte, contemplo Colin Firth nei panni di Mr. Darcy mentre ammira la sua amata Lizzie.
«Oh, Elizabeth, quanto sei fortunata», sospiro.
Qualcuno bussa alla porta, perciò metto il video in pausa. «Avanti.»
Shirley si sporge nella mia camera e rivolge un'occhiata allo schermo del computer. «Ti disturbo?»
Mi metto a sedere, scostando le coperte. «No, tranquilla. Questo è solo il mio annuale appuntamento con Orgoglio e Pregiudizio, posso interrompere.»
Faccio cenno di avvicinarsi e Shirley si accomoda al mio fianco.
«Anche a me piace questa versione», indica lo schermo, sul quale dà bella mostra di sé un innamorato Mr. Darcy.
«L'ho vista così tante volte da conoscere le battute a memoria», confesso.
Sorridiamo entrambe, in imbarazzo per un istante.
«Devo dirti una cosa», diciamo all'unisono.
«Vai prima tu», mi rassicura.
«Volevo chiederti scusa, per prima. Non avrei dovuto insistere. Desideravo aiutarti, ma ho solo forzato una porta che preferisci non aprire.»
«Sono io a dovermi scusare. Purtroppo sono parecchio permalosa.»
«È normale che tu ti sia chiusa a riccio. L'avevo fatto anch'io, all'inizio», prendo la sua mano per dimostrarle la mia vicinanza. «Non è semplice essere spettatori della vita degli altri quando pensi che stiano per commettere un errore nel quale sei già inciampato. Senti di dover fare qualcosa per evitarlo.»
«Lo so. Mi è successa la stessa cosa quando ho provato a spingerti fuori dal guscio.»
«Non è facile essere noi», sospiro.
«No; però sono fortunata ad avere un'amica che sa cosa voglia dire...» si interrompe, titubante se proseguire o meno.
«Ho capito», la rincuoro. «Non ti preoccupare.»
Shirley si morde il labbro inferiore. «Posso mostrarti una cosa?»
Annuisco. Lei mi precede lungo il corridoio e imbocca la scalinata.
«Perché stiamo andando in camera di Rhys?» le chiedo perplessa.
«Tranquilla, lui è uscito per fare una passeggiata. Ha detto che doveva smaltire l'arrosto di mia madre.»
Shirley apre la porta della stanza ed entriamo. È più ordinata di quanto la ricordassi, ma ancora numerosi volumi giacciono sulla scrivania, mentre una sedia sta lentamente scomparendo sotto un cumulo di indumenti. Osservo il pietoso spettacolo, cercando di non lasciar trapelare l'orrore.
«So a cosa stai pensando. Non sai recitare la parte della persona poco sconvolta.»
«È comunque in condizioni migliori rispetto alla prima volta che mi ci sono avventurata», constato con diplomazia.
«Rhys, in realtà, è meticoloso ed ordinato. Purtroppo, qui non ha la possibilità di dare sfogo al suo estro organizzativo.»
«Come mai?»
Shirley si gratta la testa con indecisione. «Diciamo che... gli armadi sono tutt'altro che vuoti.»
Mi osserva per studiare la mia reazione. La incoraggio a proseguire, ma lei, anziché parlare, apre uno dei mobili, svelando una pila di scatole di diverse dimensioni. Mi avvicino per vederne il contenuto.
«Perdindirindina», esclamo non appena i miei occhi incontrano tubi e barattoli di colori dalle molteplici sfumature.
«Non è finita qui», Shirley sposta lo scatolone in terra, rivelando un altro contenitore colmo fino al bordo di colori. Rimuove anche questo per mostrarmi una scatola di pennelli di varie dimensioni.
«Credo di aver visto così tanto materiale solo nei negozi d'arte.»
«Mi servivano parecchie cose.»
Shirley toglie anche il contenitore dei pennelli, lasciandomi vedere l'ultimo scatolone: questo è pieno di tele intonse e bianche, di diversa grandezza.
«In questo armadio, invece, ci sono dei quadri finiti.»
«Posso vederli?»
Annuisce. Apre lo sportello e, ad una ad una, prende in mano delle tele dipinte con maestria. Sono paesaggi rurali dalle tinte calde ed estive, ma anche pianure ricoperte da un soffice manto nevoso. Alcune raffigurano il Tamigi che scorre nel suo letto. Gli edifici si ergono ai suoi lati e si specchiano nelle sue acque con un realismo stupefacente. Ho l'impressione di essere tornata sul Westminster Bridge e di udire nient'altro che pace e silenzio mentre il fiume continua a fluire.
Una tela è un delicato acquerello che ritrae la madre di Shirley, seduta in poltrona con un libro in mano; traspare un affetto sincero ed intenso, che mi scalda il cuore.
Ammiro le tele, incantata dall'abilità con cui sono state realizzate.
«Sono... non ho parole, davvero.»
«Ti piacciono?» mi domanda con ansia.
«Certo! I tuoi quadri sono stupendi. Li guardo e mi sento in pace.»
«Quindi non trovi che siano... banali?»
«No. Insomma: l'arte nasce dalla vita di tutti i giorni. Molti artisti prima di te, per esempio, hanno ritratto le loro madri, ma non per questo è un male fare altrettanto.»
«E i paesaggi? Non sono troppo bucolici?»
«Troppo bucolici?» chiedo stupita.
«Sì. Quasi idealizzati. Un eccesso di perfezione.»
«È natura. Ho visto centinaia di paesaggi simili, in Italia, ma mai nessuno che fosse uguale agli altri. Erano tutti unici, a modo loro, e tutti straordinari.»
Shirley mi fissa con un'espressione addolorata. «Credi che... ci sia solo tecnica e nient'altro?»
«No. Insomma: non sono una critica d'arte né me ne intendo a tal punto da poterti dare un'opinione professionale», premetto. «Tuttavia, non penso che la tecnica sia un problema. È giusto che ci sia.»
«Quindi ti suscitano, che so, delle emozioni, delle opinioni?» chiede ancora, con una strana frenesia che le vibra nella voce.
Riservo ai suoi dipinti un'ulteriore attenzione. «Risvegliano in me dei ricordi, in verità. Quello», indico il paesaggio con la neve. «Somiglia moltissimo al panorama che si vedeva ieri dalla casa dei tuoi genitori. Mi sembra di essere di nuovo da loro, circondata da un'atmosfera calorosa.»
Shirley sorride. «Grazie, Rosela.»
«Ho solo detto la verità.»
La aiuto a risistemare le tele nell'armadio, per poi sederci sul letto di Rhys.
«Ho studiato alla Goldsmith University», confessa dopo un silenzio che mi pare interminabile. «Fin da piccola desideravo dedicarmi all'arte», sorride con tenerezza e scrolla le spalle. «Da bambina trascinavo i miei genitori per musei. Rachel non ne poteva più di quadri e statue. Mi piaceva studiare i lavori degli artisti del passato e immaginare le storie che volevano raccontare.»
Il suo sguardo si perde nel vuoto. I suoi occhi si illuminano, mentre un sorriso intenerito le incurva le labbra.
«Cosa ti ha fatto appassionare all'arte?» le chiedo, incuriosita.
«Non ricordo con esattezza. Mi piaceva guardare un programma d'arte per bambini, però; credo che fu questo a farmi avvicinare alla pittura.»
«Hai mai esposto i tuoi dipinti?»
«Qualche volta, ma... poi ho smesso.»
La gioia che prima baluginava dalle sue iridi ora è svanita; al suo posto, siede una tristezza profonda, radicata in un angolo del passato ancora prigioniero delle tenebre.
Si alza in piedi per avvicinarsi alla finestra, dandomi le spalle. «Usavo questa stanza come studio. Mi piaceva osservare i tetti e pensare a cosa potesse esserci oltre, al di là della città», si prende una lunga pausa. «Avevo rinunciato da qualche mese quando mi hai contattata. Poi anche Rhys ha dovuto lasciare l'appartamento dove viveva, ma la stanza per gli ospiti l'avresti presa tu, pertanto ho deciso di adibire il mio studio a camera da letto. Tanto, non l'avrei più usato. Volevo buttare via tutto, ma Rhys me l'ha sempre impedito.»
Shirley gioca con le sue dita. La raggiungo e prendo la sua mano, stringendola forte tra le mie.
«Io non so cosa sia successo e non ti chiedo di raccontarmelo, se non lo vuoi.»
Solleva il capo e mi rivolge un lungo sguardo in cui posso leggere tutta la sua malinconia. La stessa che mi dilania il cuore quando i ricordi avanzano come un esercito inarrestabile.
«Nessuno ti obbliga a ricominciare. Se non desideri farlo, allora è giusto che tu prosegua e viva la tua vita. Ti chiedo però di pensarci. Non è mai troppo tardi per riprovarci.»
«Tu come ci sei riuscita?»
«Ancora non lo so», rispondo sinceramente. «Ma so che, se non fossi tornata sui miei passi, in futuro me ne sarei pentita.»
Shirley si morde il labbro con nervosismo. «Rosela...»
«Non devi decidere ora. Fai ciò che ti senti e ricorda che, qualunque sarà la tua scelta, io ti supporterò.»
Shirley si allunga verso di me per abbracciarmi. «Ti voglio bene, Rosela.»
«Anche io.»
«Pensi che sia troppo tardi per finire la colazione che hai preparato?» chiede.
«No, anzi: io dico che avrà un sapore migliore se gustata sul divano mentre guardiamo Orgoglio e Pregiudizio e sogniamo il nostro Mr. Darcy.»
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