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Capitolo 24

Le parole più belle son spesso
quelle non dette, quelle che
naufragano nei silenzi
– John Keats





«Up... wake up! Santa... presents...»

Risate, parole incomprensibili e passi rapidi provengono dall'esterno. Apro gli occhi e tasto il vuoto fino a trovare il telefono sul comodino. Controllo l'ora sul display.

Le sette.

Un istinto omicida si sveglia, più lucido della mia mente; ma quando anch'essa riemerge dal torpore del sonno, accantono i miei propositi criminosi ed emetto un lungo lamento per sfogare la frustrazione.

Impreco e mi metto a sedere, confusa, indispettita ed intontita.

Prendo la vestaglia dal fondo del letto ed esco dalla stanza giusto in tempo per vedere Cindy e Cathy che trascinano il padre fuori dalla sua camera.

«Rosela, ti hanno svegliata?» mi domanda Rachel, preoccupata.

«No», mento.

«Dada, vogliamo scartare i regali!» protesta Cindy.

Michael fa capolino dalla sua stanza. «Che cos'è questo baccano? Sono le sette!»

«Le bambine sono scese di sotto e hanno visto i regali.»

«Babbo Natale è passato!» urlano le piccole.

«Non gridate, bambine!» le rimprovera la madre, cercando di salvare il marito dalle grinfie di Cathy.

«Lasciale fare», dice Susan, spuntando alle spalle di Michael. «Tu e Shirley non eravate più mansuete, a Natale. Una volta ci svegliaste alle cinque e mezza.»

Anche Rhys e Shirley escono dalle rispettive stanze: lui assonnato e con gli occhi ridotti a due fessure che celano a malapena il medesimo istinto omicida che ho nutrito io qualche istante fa; lei già pimpante e con un sorriso stampato sul volto. Cindy corre verso la zia, che sembra più propensa ad interagire con altri umani rispetto al resto della famiglia.

«Non torneranno a dormire e non lo permetteranno a noi», conclude Shirley.

Rachel sospira. «E va bene. Però, prima di scartare i regali, dovete vestirvi e fare colazione.»

Le bambine annuiscono e tornano con entusiasmo nella loro stanza.

«Perdonaci, Rosela. Ogni Natale si ripete questa scena. Noi ci siamo ormai abituati, ma mi spiace che ti abbiano svegliata», si scusa James.

«Non importa, le capisco.»

Tutti rientrano nelle loro camere, tranne Rhys, appoggiato contro lo stipite della porta e prossimo all'incoscienza.

«Buongiorno, principessa», lo schernisco, ridendo.

Lui mi rivolge un'occhiata truce e mi risponde con un lamento simile ad un muggito.

• • • • •

Le bambine si avventano sui regali con la foga di chi non aspetta altro. Con le manine, strappano la carta colorata, sorridendo nel vedere cosa questa celasse.

«Mamma, guarda questa bambola!»

«Papà, le costruzioni!»

Nonni e genitori simulano meraviglia dinanzi ai doni che le piccole avevano tanto atteso e che credono portati da Babbo Natale. Esibiscono i regali con gli occhi che brillano di gioia e i volti illuminati dalla felicità.

«Ora è il turno di noi grandi», dice Susan, quando Cathy e Cindy si spostano sul tappeto per giocare insieme.

Shirley prende un pacchetto da sotto l'albero e me lo porge con un sorriso sincero ed eccitato. «Aprilo!»

«Grazie, Shirley!»

Afferro il dono tra le mani, strappando con delicatezza lo scotch. Apro la scatolina, rivelando una collanina luccicante, con un ciondolo a forma di nota musicale.

«È bellissimo!»

Shirley batte le mani e mi abbraccia. «Sapevo che ti sarebbe piaciuto.»

«Anche io ho una cosa per te», prendo una busta scarlatta. «È un pensierino banale, forse, ma ho pensato che potesse essere carino.»

Shirley apre la busta. «È un buono omaggio per un centro benessere!»

«Due persone, un intero fine settimana. Che ne dici?»

«Dico che è fantastico. Oh, Rosela, ci divertiremo un sacco!» Shirley mi abbraccia con tale foga da rischiare di soffocarmi. «Ora metti la collana. Voglio vedere come ti sta.»

Con l'unghia, apro la chiusura della catenina e indosso il gioiello. «Allora?»

«Ti sta benissimo! Rhys, tu che ne pensi?»

Mi volto per permettere a Rhys di guardarmi. Lui si schiarisce la gola. «Carina.»

«Tutto qui?» lo rimbrotta sua cugina.

Lui mi rivolge un'altra lunga occhiata. «Sei molto... molto bella.»

«Ho un regalo per te, Rhys.»

Lo prendo da sotto l'albero e gli faccio cenno di sederci sul divano.

Osserva l'incarto e tasta il pacchetto con curiosità. Strappa l'involucro e, non appena libera il contenuto, lo osserva con la bocca socchiusa. «Sono...»

«Raccolte di poesie», gli indico i tre volumi. «Autori italiani, spagnoli e francesi. Sono riuscita a trovare delle edizioni con testo originale e traduzione, cosicché tu possa apprezzare i componimenti nella loro lingua e comprendere il loro significato.»

Si rigira i volumi tra le mani con un'espressione incredula e le labbra che tremano mentre s'incurvano in un sorriso. «Non... non so cosa dire.»

«Basta un grazie.»

Rhys solleva gli occhi dai libri per guardarmi. Mette le raccolte da parte e, con uno slancio inatteso, mi stringe in un abbraccio. «Grazie, Rossella», sussurra tra i miei capelli.

Rimango interdetta, stritolata dalle sue braccia. «Prego, ma... mi stai strangolando.»

«Oh», scioglie l'abbraccio e torna a guardarmi. Arrossisce di colpo e si gratta la fronte, spostando gli occhi altrove. «Ecco... scusa e... grazie. Ecco...» si alza in piedi e raccatta una busta da sotto l'albero. «È per te.»

La prendo tra le mani e la apro con cautela. Ne estraggo due strisce sottili di carta rigida. «Ma... sono dei biglietti per andare a vedere Les Misérables

Annuisce, sorridendo. «Sì. Ho pensato che ti interessasse. Ti eri fermata davanti al Sondheim Theatre, quella prima volta che ti ho portata in giro.»

«Te lo ricordi?» domando con stupore.

«Certo. Perché non dovrei?»

Mi alzo in piedi e abbraccio Rhys, cingendo le mie braccia attorno al suo torace. Lui ricambia la stretta con gesti impacciati.

«Puoi portare chi vuoi. Sono due.»

«Grazie.»

«Oh, ma non è ancora finita. Ho ancora un regalo per te», pesca un altro pacchetto tra i pochi ancora rimasti sotto l'albero e me lo mette tra le mani, dopo aver preso i biglietti e averli riposti nella busta. «Aprilo.»

Obbedisco, tirando fuori dall'incarto un piccolo cofanetto in legno bianco. Il coperchio è intagliato con dei motivi floreali che si intrecciano fino a culminare in una rosa centrale, di un candido azzurro pastello.

«È stupendo.»

«Quando l'ho visto, ho pensato a te.»

Lo fisso negli occhi con curiosità. «Davvero?»

«Sì. Ti somiglia?»

«Mi... somiglia?»

«Non in senso letterale. Non so come spiegarlo...»

«Rhys», lo interrompo, prendendogli la mano. «Grazie.»

«C'è ancora un regalo sotto l'albero», dice Susan.

Shirley si china e con un sorriso sornione legge il biglietto pinzato sulla busta. «È per Rhys.»

Rhys prende la busta dalle mani di Shirley e legge il biglietto. «Da parte di chi?»

«La risposta è nel regalo.»

Tira i lembi della busta e sbircia al suo interno. Con cautela, infila le dita nella confezione, fino ad estrarre una striscia di carta.

«È uno scherzo?»

Shirley e Susan scuotono la testa.

Rhys fissa il dono con perplessità. «Che me ne faccio di un biglietto per vedere West Side Story

«Non lo so», Shirley alza le spalle. «Ma sto per chiamare una persona che saprà darti una risposta.»

Shirley allunga il telefono a Rhys, che lo prende tra le mani e rimane a bocca aperta non appena sullo schermo compare la grafica della videochiamata.

«Mamma?!»

«Tesoro, buon Natale!» esclama una voce femminile all'altro capo del telefono.

Gli occhi di Rhys diventano lucidi, mentre le labbra gli tremano. «Mamaí... io non capisco...»

«Siediti, tesoro, così ti spiego.»

Rhys obbedisce e si accomoda sul divano, mentre noi restiamo dalla parte opposta.

«Mi manchi, mamaí. Ti voglio bene», sussurra, con la voce che sembra sul punto di spezzarsi.

«Anche tu, ma ho una sorpresa. Lo vedi quel biglietto per West Side Story?» Rhys annuisce. «È per me.»

«Quindi...»

«Passeremo Capodanno insieme e verrò a vederti a teatro. Sei contento?»

Rhys arriccia le labbra, mentre una lacrima sfugge dal suo controllo e gli scivola lungo la guancia.

«Sì. Sono felice, mamaí

«Ho proprio voglia di vederti sul palco. Quel ruolo te lo sei meritato.»

«E io non vedo l'ora di esibirmi mentre tu sei tra il pubblico.»

«Ma adesso fammi salutare tutti gli altri, prima che mi metta a piangere anche io!»

Rhys gira il telefono per permetterci di vedere lo schermo.

Nonostante la qualità dell'immagine sia bassa, riesco a cogliere i lineamenti eleganti della madre di Rhys, una donna dal sorriso caloroso e i capelli rossicci e vaporosi che le incorniciano il volto.

«Buon Natale, cari!» esclama lei, sventolando le mani in aria.

«Auguri, Erin!» la saluta Susan, che prende il telefono dalle mani di Rhys. «Sei un incanto, sembri ringiovanire ogni anno. Quasi quasi vengo a trovarti, l'aria dell'Irlanda ti fa benissimo.»

«Oh, non esagerare! Anche tu e Michael siete in splendida forma. Rachel, Shirley: siete proprio cresciute. Siete diventate due splendide donne. Ciao, James!»

Rhys si alza in piedi e prende il telefono dalle mani di sua zia. «Mamaí, c'è una persona che ti voglio presentare.»

Mi fa cenno di seguirlo sul divano.

«Lei è Rossella. Interpreta il ruolo di Maria.»

«Piacere», la saluto, sventolando la mano con un certo imbarazzo.

«Spero di incontrarti di persona, perché la connessione non mi è certo amica. Immagino che tu non sia un insieme di quadratini anche dal vivo.»

Scoppio a ridere. «No, signora, lo posso assicurare.»

«Chiamami Erin.»

«Andiamo a giocare sulla neve?!» urlano Cathy e Cindy ad un tratto, buttandosi sul divano accanto a noi.

«Bambine!» le rimbrotta Rachel, prendendole di peso.

«Oh, andate pure, non disturbatevi per me», ci rassicura Erin.

«Voi andate, vi raggiungo fuori», dice Rhys, alzandosi in piedi. «Vado di sopra. Mamaí, ti richiamo con il mio telefono, okay?»

• • • • •

L'aria è pungente, ma non gelida. Il manto di neve scricchiola ad ogni nostro passo e il suo bianco candore è abbacinante.

Le bambine iniziano a saltare allegre, inciampando e ridendo come matte ogni volta che i loro volti riemergono dalla coltre morbida che attutisce le loro cadute.

«Giochi con noi?» mi chiede Cathy, prendendomi per mano e fissandomi con i suoi occhioni.

«Volentieri. Posso insegnarvi a fare le statuine di neve.»

«Statuine di neve?» domanda perplessa.

Annuisco e le faccio cenno di seguirmi. Cindy si unisce a noi.

«Da bambina mi piaceva realizzare delle palme di neve. Una volta sono riuscita persino a fare una piccola persona.»

Prendo un po' di neve e mostro loro come modellarla per ottenere il tronco di una palma e le sue foglie.

«La mia sembra una testa con tanti capelli!» grida Cathy, mostrando la sua opera ai genitori.

«Mi aiuti?» mi domanda Cindy, porgendomi la sua palla informe di neve. «Voglio fare una piramide.»

Le prendo le manine avvolte nei guanti e guido i suoi gesti. Modelliamo la neve fino ad ottenere una piramide.

«Grazie! Ne facciamo un'altra?»

«Va bene!»

Pian piano, costruiamo molte piramidi, che allineiamo per terra.

«Sembra un villaggio» dice Cathy. «Posso mettere le mie palme?»

Cindy annuisce.

«Ho costruito una torre. Che ne dite se l'aggiungiamo al nostro villaggio?» propongo.

«Come hai fatto a fare questi cosi?» domanda Cathy con curiosità, indicando le merlature.

«Basta premere delicatamente con l'indice.»

Insegno loro a costruire delle torri di neve, e ridiamo ogni volta che queste si distruggono tra le nostre mani.

All'improvviso, qualcosa mi colpisce la schiena.

«Porca miseria!»

Mi volto, con le bambine che a stento riescono a trattenersi dalle risate.

«Sorpresa», esclama Rhys stringendo tra le mani una palla di neve.

«Ti sei inimicato la persona sbagliata.»

Raccolgo un po' di neve e scatto in piedi. Schivo la sua palla e gliene lancio una che lo colpisce sulla pancia.

«Ti conviene arrenderti. Non iniziare una battaglia contro di me, Rhys Monroe.»

Lui solleva le mani in aria, in segno di resa. «Va bene, alzo bandiera bianca», mi viene incontro. «Andiamo a sederci là?» mi indica un muretto non troppo alto.

Annuisco. Guardo le bambine, che però sono già impegnate a divertirsi da sole per accorgersi di noi due.

Seguo Rhys, che con pochi gesti libera il muretto dalla neve. Ci sediamo l'uno accanto all'altro, osservando Cathy e Cindy giocare.

«Vedo che ti sei divertita con le bambine», indica il nostro bizzarro villaggio di palme e piramidi.

«Sono adorabili. Mi sarebbe piaciuto avere una sorellina, quando ero piccola. Giocare con loro mi ha fatto tornare bambina e ho avuto l'impressione che quel desiderio si fosse realizzato.»

«Anche io avrei voluto una sorellina.»

«Davvero?»

«Sì. Per sentirmi il fratello maggiore, pronto a tutto pur di difenderla.»

«Sai che una sorellina ti avrebbe torturato, vestendoti da principessa e obbligandoti a giocare con le bambole?»

«Le bambole le avrei sopportate volentieri. I vestiti da principessa un po' meno.»

«Non solo i vestiti, ma anche i trucchi.»

Si morde il labbro inferiore. «Shirley non era così pestifera da bambina.»

«Passavate tanto tempo insieme, da piccoli?»

«Parecchio. Poi c'è stato un periodo in cui...» si blocca per un istante, il sorriso che si spegne e lo sguardo che si adombra. «In cui ho vissuto qui, in questa casa.»

I gridolini concitati delle bambine riempiono il silenzio che è calato tra di noi.

«Tua madre è davvero molto bella», provo a dire per distrarlo. «Non immaginavo che vivesse in Irlanda.»

Il suo volto si illumina all'istante. «È nata e cresciuta lì.»

«E tu?»

«No, io sono nato qui a Londra», sospira. «È una lunga storia.»

«Prima l'hai chiamata in un modo strano.»

«Mamaí. Significa mamma in irlandese.»

«Lo sai parlare?»

«Conosco solo qualche parola, non abbastanza da costruire una frase di senso compiuto senza causare un incidente diplomatico.»

Scoppio a ridere. «Non ti credo. Dimmi qualcosa in irlandese. Anche solo una parola.»

Reclina il capo e assume un'aria pensierosa. Si gira e mi fissa negli occhi. «Is tú mo ghrá

«Che cosa vuol dire?»

Tace per un istante. «Non lo so.»

Sgrano gli occhi. «Sì che lo sai.»

«E invece no», alza le spalle e ride.

Rimaniamo in silenzio a guardare le bambine che giocano nella neve con Rachel e James. Una morsa d'invidia mi stritola lo stomaco. Ripenso con nostalgia alle mie speranze irrealizzate, seppellite da strati di delusioni.

«Quindi tuo padre è a Tokyo?» chiedo a Rhys, per distrarmi dai miei pensieri.

«Sì. Il suo lavoro lo porta a viaggiare parecchio.»

«Dev'essere bello poter girare il mondo.»

Rhys alza le spalle. «Dipende.»

«A te piacerebbe?»

«No. Preferisco la stanzialità e la sicurezza di un posto fisso da poter chiamare casa», si volta per osservarmi. «E a te piacerebbe?»

«Non saprei», fisso il mio sguardo sulla coltre di neve davanti a me. «Non ho viaggiato molto in vita mia. Tu dove sei stato?»

«A Berlino, quando mio padre viveva lì.»

«Ti è piaciuta?»

«Affatto. Non la sentivo mia. Troppo diversa da Londra. Poi sono stato in Irlanda, da mia madre», i suoi occhi si perdono nel vuoto. Gli afferro la mano, per fargli sentire la mia vicinanza. Rhys abbassa lo sguardo, fissando le nostre dita intrecciate.

«Non vedo l'ora di conoscerla.»

Arriccia le labbra in un sorriso. «Sono certo che ti piacerà», mi rassicura. «Ma dimmi un po' dove sei stata tu.»

«Qualche giorno in Francia e un fine settimana in Svizzera, con mia madre. Volevamo andare anche in Olanda, ma...»

Sei come tuo padre.

«Shirley mi ha detto che sei venuta fino a Londra in treno», mi distrae Rhys. Annuisco. «Perché questa follia?»

«L'aereo vola.»

«È il presupposto che lo rende un aereo.»

«Se noi umani dovessimo volare, avremmo le ali.»

Mi fissa allibito. «E le navi, allora? Non abbiamo né branchie né pinne, eppure attraversiamo gli oceani.»

«Le navi sono più sicure degli aerei.»

Rhys scoppia a ridere. «La tua logica è... priva di senso.»

«Perdindirindina, ritira quello che hai detto.»

«Perdindi- cosa?»

«Mi dai fastidio», metto il broncio, incrociando le braccia.

«Come dici tu, ladra di biscotti.»

«Ancora con questa storia?!»

«Certo. Io perdono, ma non dimentico.»

«Sei scemo

«Cos'hai detto?»

«Chissà...»

«Sei più pestifera dei bambini.»

«Devi avermi contagiata.»

«Ero una persona molto tranquilla, prima di conoscerti.»

«Io ho solo illuminato le tue giornate», lo provoco.

Inarca le sopracciglia e arriccia le labbra. «Se lo dici tu...»

«Sei proprio scemo

«La smetti?»

«No. Questo è per ogni biscotto che non mi hai fatto mangiare.»

«Allora è una fissa anche per te e non solo per me.»

«Te l'ho detto: mi hai contagiata con le tue manie da pazzo.»

Tira una ciocca dei miei capelli per indispettirmi. «Non ho manie da pazzo.»

«Invece sì. Però sai a cosa ho pensato stanotte, dopo che sono tornata a dormire?»

«Che noi umani non dovremmo nemmeno costruire le mongolfiere?»

Gli rispondo con una smorfia e uno schiaffo sul braccio, che tuttavia non sortisce alcun effetto perché lui rimane immobile a fissarmi con un sorriso odioso.

«No, simpaticone. Ho pensato che non mi dispiacciono questi nostri incontri clandestini in cui ci ubriachiamo di latte a lunga conservazione.»

«La tua definizione li rende più avventurosi di quanto siano in realtà.»

Sorrido. «Ho scoperto che sai essere dolce anche con me e non solo con i bambini. E che hai un cuore e non solo un nocciolo di sarcasmo pungente. E che, in fondo – molto in fondo – mi vuoi bene. Mi sai ascoltare.»

Lui mi fissa intensamente negli occhi. «Allora dovremmo incontrarci più spesso per la nostra tazza di latte clandestina.»

«Così incentiviamo la nostra insonnia.»

«No, perché poi dormiamo come angioletti», sottolinea.

La sua mano esercita una leggera pressione sulla mia. Malgrado lo spessore dei nostri guanti, mi sembra di sentire il calore delle sue dita.

«Noi rientriamo!» urla Rachel.

«Arriviamo», le risponde Rhys. «Torniamo dentro?»

«Meglio, mi sto congelando.»

Ci alziamo in piedi ed attraversiamo il giardino, con la neve che scricchiola sotto le nostre scarpe. Entrando in casa, l'aria calda mi accarezza le guance infreddolite.

Abbandoniamo sciarpe, cappotti e guanti sugli attaccapanni all'ingresso.

«Michael, sai che ore sono? Dovrei chiamare una persona» gli chiedo non appena ci incrociamo nel corridoio.

Lui controlla l'orologio che indossa al polso. «Le undici. Se vuoi, puoi andare nel mio studio», mi indica la porta dietro di lui. «C'è il caminetto acceso, così puoi scaldarti.»

«Ti ringrazio, sei gentilissimo.»

Entro nello studio, una stanza grande dalle pareti rivestite di legno. Dinanzi al fuoco scoppiettante nel camino c'è una poltrona; dalla parte opposta, una libreria colma di volumi fa da sfondo ad una lunga scrivania.

Mi accomodo sulla poltrona ed estraggo il telefono dalla tasca della felpa. Scorro i contatti salvati in rubrica, fino ad incontrare la persona che stavo cercando.

«Pronto?»

«Buon Natale, Maria!»

«Rossella cara, buon Natale!»

Mi si scalda il cuore nel sentire la sua voce. «Come stai?» le chiedo.

«Molto bene. Sai che amo il Natale.»

«Sei lo spirito natalizio stesso. Cosa fai?»

«Sono a casa di alcuni amici. Tra poco ci scambieremo i regali. Tu, invece, dove sei?»

«Shirley mi ha invitata dai suoi genitori. Hanno una villetta in campagna, è un posto delizioso. E indovina: stanotte ha nevicato!»

«Che fortuna! Non vedo la neve a Natale da tanti anni. Ma dimmi un po': ti stai divertendo?»

«C'è un'atmosfera conviviale e sono tutti molto gentili con me. Mi sto trovando bene, a mio agio. Le nipoti di Shirley sono dei tesori.»

«Ne sono felice», tace per qualche istante. «Hai sentito tua madre?»

Lo stomaco si ingarbuglia. «No. Non credo che voglia parlarmi.»

Maria sospira. «Siete entrambe troppo orgogliose e testarde per fare il primo passo.»

«Il mio non è orgoglio: non voglio farle ancora più male.»

«È tua madre, Rossella. Sono certa che non ti odia. Non potete continuare a non parlarvi.»

«Io...»

«Oggi è Natale. Potrebbe essere l'occasione giusta.»

«Ci devo pensare, Maria.»

«Sappi che io sono al tuo fianco. Qualunque cosa tu decida di fare.»

«Mi manchi.»

«Anche tu.»

La nostalgia mi stritola la gola, impedendomi di deglutire. «Ci sentiamo presto, vero?»

«Certo, tesoro», mi rassicura. «Buon Natale.»

«Buon Natale.»

La chiamata si chiude. Scorro i nomi sulla rubrica, fino ad arrivare alla emme. I polpastrelli pizzicano, tremanti sopra lo schermo, guidati da due volontà opposte che si annullano.

Vorrei. Eppure, al tempo stesso, non lo desidero.

Che cosa potrei dirle? Scusa, mamma, se sono diventata un mostro, ma buon Natale?

Mi mordo nervosamente le labbra, osservando con insistenza le quattro lettere nere sullo schermo, forse in attesa che la risposta venga da sé senza che io debba cercarla.

Nulla acquieta gli affanni del mio animo, che lesto si propone le migliori intenzioni, ma poi vi rinuncia, schiacciato dai timori che lui stesso ha intessuto. Le paure hanno trame sottili e si insidiano negli angoli trascurati, come ragnatele.

Avvicino l'indice all'icona della cornetta, spinta da una forza improvvisa; ma questo resta sospeso a mezz'aria, mentre la tristezza esplode nel mio petto.

Rivedo il biglietto sul tavolo. Immagino mia madre che lo stringe tra le mani e legge le mie parole, cercando il coraggio di perdonarmi, di capirmi, di mettersi nei miei panni.

Una voce mi sussurra di chiamarla, ma un'altra mi incita a lasciar perdere. Perché ho paura: paura che lei mi ponga di nuovo di fronte alla verità che conosco bene.

Avevo amato, ma a che prezzo? Ho perduto più di quanto abbia guadagnato. Dietro a me ci sono i cocci di una vita che, sebbene incompleta, poteva essere perfetta, ma di cui non ho voluto accontentarmi.

Osservo la parola mamma sullo schermo e mi sembra di rivederla in piedi, in cucina, con le mani in pasta e i ciuffi biondi che sfuggivano dall'elastico con cui cercava di domarli. Ci facevamo compagnia. Eravamo l'una l'appiglio dell'altra. Mi sedevo accanto a lei e la guardavo cucinare, mentre le raccontavo le piccole disavventure che vivevo nelle mie giornate, le figuracce, gli aneddoti divertenti.

Lei era la mia casa. Non era fatta di mattoni, ma di carne ed ossa, e aveva l'anima più bella che avessi mai conosciuto. Non era crollata nonostante il terremoto: era forte e aveva saputo convertire il dolore in audacia.

Al primo posto c'ero sempre io. Aveva fatto i salti mortali per permettermi di abbracciare quel sogno che era germogliato in me con la spontaneità delle passioni più autentiche.

Lei si fidava di me e io l'ho distrutta.

Perché dovrebbe perdonarmi?

Ripenso alle bambine che giocavano in cortile, ai sorrisi dei loro genitori e al grande affetto che unisce la famiglia di Shirley; in passato sognavo tutto questo, e solo ora mi rendo conto di quanto io sia stata fortunata ad avere accanto a me una persona come mia madre. Aveva cercato di colmare il mio vuoto con il suo amore, ma io ero troppo sciocca per apprezzarlo.

Volevo di più.

Le dita tamburellano sul dorso del telefono, al ritmo della mia indecisione.

Blocco lo schermo e metto il cellulare nella tasca dei pantaloni.

Forse domani. Forse un giorno. Ma non oggi.

Mi alzo in piedi e mi strofino la faccia con le maniche del maglione, distrutta da questa battaglia deleteria tra volontà antitetiche e inconciliabili, che vivono in me e si scontrano quotidianamente.

Mi manchi, mamma. Eppure, non so se tu provi lo stesso.

Dopo un sospiro, mi avvicino alla porta per tornare nel salotto, ma il mio sguardo viene attratto da un quadro di notevoli dimensioni, appeso accanto allo stipite.

Un lago in primo piano rispecchia le tinte cerulee del cielo, dove stracci di nubi biancastre, sebbene immobili, sembrano pronte a dissolversi. Attorno all'acqua, la vegetazione variopinta pare danzare, sospinta da una brezza invisibile. E poi, sullo sfondo, montagne innevate, imponenti, con i pendii dolci che abbracciano l'orizzonte.

Resto imbambolata dinanzi al quadro, con un senso di beatitudine ad avvolgermi i sensi.

Gli occhi mi scivolano su un ghirigoro nero, in basso a destra. Mi avvicino per poterlo decifrare: S. H.

Torno nella sala, ancora incantata dalla pittura appena ammirata.

«Michael, il quadro nello studio è stupendo.»

«Il paesaggio con il lago?»

«Sì. Susan, l'hai fatto tu?»

«Io? Oh, no!» scoppia a ridere. «Magari sapessi dipingere così.»

«Ho visto la firma e ho pensato...»

«L'ha fatto Shirley.»

Quest'ultima resta immobile, con i pugni serrati sulle cosce e lo sguardo fisso sul pavimento.

S. H.

Shirley Haywood.

Susan mi rivolge un'occhiata triste e scuote la testa, come a volermi dire che non è un argomento di cui continuare a discutere.

«Ora è meglio mangiare. È tutto pronto e il tavolo è apparecchiato», si intromette Rachel, fissando le spalle della sorella con rassegnazione.

Ci sediamo attorno alla tavola. Shirley, dal lato opposto e proprio di fronte a me, fissa il piatto senza dire niente. Rhys si accomoda al mio fianco.

«Tu ne sai qualcosa?» gli domando a bassa voce, avvicinandomi al suo orecchio.

Lui annuisce. «Ma è meglio non parlarne», mormora.

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