Capitolo 20
Ma tu chi sei che avanzando
nel buio della notte inciampi
nei miei più segreti pensieri?
– William Shakespeare
«Rosela Contisini, compra quel vestito grigio topo e giuro sulla mia dignità che non ti parlerò mai più.»
Shirley si stringe la base del naso, scuotendo la testa. «Jason, tu non hai una dignità. Il giuramento non sussiste.»
«Qual è il problema di questo vestito?» domando, posandomelo sul petto.
«È grigio. Il problema è evidente», Jason sgrana gli occhi, come se stesse affermando la cosa più ovvia a questo mondo.
Rimetto il vestito al suo posto, sbuffando sonoramente. «Il problema è nella tua testa.»
«No, cara», Jason sventola il suo indice davanti alla mia faccia, come segno di diniego. «Il problema è nella testa di chi crede che il grigio sia un bel colore. Non lo è.»
«Va bene!» esclama Shirley, ormai sull'orlo di un esaurimento nervoso. «Va bene. Ora voi due ve ne state buoni qui. Torno subito.»
Shirley si allontana, sparendo dietro agli espositori, per poi tornare poco dopo, con un abito argentato tra le mani.
«Provalo», mi ordina, fulminando Jason con un'occhiataccia non appena cerca di esprimere un commento sulla sua scelta.
Obbedisco, rifugiandomi nel camerino. Indosso l'abito ed esco, pronta a sfilare dinanzi agli occhi pignoli di Jason.
«Porca miseria», è il suo commento non appena mi vede.
«Mi sta male?»
«Al contrario: ti sta d'incanto!» esclama Shirley, battendo le mani allegramente, con un lampo d'orgoglio che le illumina gli occhi.
Mi avvicino ad uno specchio, molto più grande di quello del camerino, e rimango senza parole: le luci del negozio fanno sfavillare i glitter dell’abito; il corpetto aderisce perfettamente al mio busto, mentre la gonna cade morbida sulle mie gambe, fermandosi sul ginocchio.
«Wow…» è tutto ciò che riesco a dire.
Ammiro la mia figura, sentendomi bella dopo tanto tempo.
«Hai delle scarpe col tacco da abbinare?» mi chiede Shirley.
Scuoto la testa, al che lei sparisce di nuovo.
«Tu non dici niente?» domando a Jason, stranamente taciturno.
«È che… sei una favola», sorride. «Farai girare qualche testa, secondo me.»
«Suvvia, non esagerare», replico, in imbarazzo. «Ci saranno tante altre belle ragazze.»
«Ma nessun'altra splendida italiana, oltre a te», mi fa l'occhiolino.
«Se non la pianti, potrei credere che tu mi stia corteggiando.»
«Significa che sono ancora molto bravo a flirtare», si vanta con tono pomposo, sistemandosi un papillon immaginario.
«Scemo.»
Shirley torna poco dopo, stringendo tra le mani tre scatole.
«Siediti e provale.»
Alla fine, tra i consigli di Shirley e i commenti sarcastici di Jason, scelgo delle scarpe semplici, non troppo alte, e che si abbinano all'abito.
«Dammi pure, pago io con lo sconto per i dipendenti.»
«Ne sei certa?»
Shirley annuisce vigorosamente. «Non mi manca nulla nell'armadio. Mi restituirai il resto con calma.»
La ringrazio, ed esco dal negozio insieme a Jason.
«Grazie per essere venuto.»
Lui alza le spalle. «Ti ho salvata dallo scegliere un orripilante vestito grigio topo. Direi che i ringraziamenti non sono sufficienti.»
Roteo gli occhi, fingendo di non essere divertita dal suo modo di fare. «Ti ho già invitato a venire con me alla festa. Sarà sicuramente piena di bellissimi ragazzi.»
Jason sembra soppesare le mie parole con attenzione. «Va bene. Direi che ti sei sdebitata.»
«E comunque… volevo farti una domanda», proseguo. Mi fa cenno di continuare. «Mi stavo chiedendo… Rhys sta per caso facendo i provini per qualche altro spettacolo?»
«No, perché?»
«Continua a sparire, uno o due pomeriggi a settimana. Shirley non sa dirmi dove va, e ho pensato che stesse partecipando ad altri casting. Sai, visto che non le ha detto niente per farle una sorpresa…»
«No, in realtà no. Non ha fatto audizioni per un sacco di tempo prima di West Side Story. E, poi, me l'aveva detto quando si era deciso a mandare il filmato.»
«E allora dov'è che sparisce?»
Jason scuote la testa. «Non lo so. Ci sono tante cose di Rhys che ancora non riesco a capire.»
Sto per aggiungere qualcosa, ma veniamo interrotti da Shirley, che esce dal negozio per darmi le buste.
• • • • •
Ci inchiniamo, tra gli applausi del pubblico. Abbiamo portato a termine un altro spettacolo, e da ormai una settimana ci esibiamo quasi tutte le sere al Superior Theatre. Le sensazioni che provo sono ancora troppo surreali perché io riesca a comprenderle.
Sto imparando a non piangere ad ogni esibizione e a non sembrare troppo stranita quando le persone mi attendono fuori dal teatro per una foto, un saluto o un complimento.
Quando cala il sipario, dopo l'ultimo inchino, mi dirigo con prontezza verso il mio camerino.
È tradizione che, dopo la opening night, il cast festeggi. A ciascuno è stata data la possibilità di invitare due persone, e siccome Rhys aveva già chiesto a Shirley, io ho domandato a Jason di accompagnarmi.
Mi tolgo il costume di scena e la parrucca, lavo la faccia e mi trucco nuovamente, usando questa volta la trousse che Shirley mi ha prestato per l'occasione. Infine, indosso il vestito argentato.
Osservo l'immagine che mi rimanda lo specchio e per un istante mi sento come una principessa.
Non amo le feste, ma quella di stasera è speciale: lo spettacolo è ufficialmente aperto e le cose non potrebbero andare meglio di così.
Prendo un respiro profondo e finalmente esco dal camerino, dirigendomi verso l'ingresso principale. In un angolo, tra due colonne, scorgo Jason in piedi, che si tortura le mani.
«Eccoti!» esclama non appena mi vede. «Sappi che mi devi rimborsare tutti i fazzoletti che mi hai fatto usare.»
«Addirittura?»
«Sì! Ero emozionatissimo, neanche fossi stato io a dovermi esibire. E l'ultima scena è stata una pugnalata al petto.»
Lo abbraccio. «Forza, andiamo», lo incito. «Rhys e Shirley sono già andati?»
Annuisce. «Diciamo che, come ogni prima donna, sei perennemente in ritardo.»
Gli tiro uno schiaffo leggero sul braccio, fingendomi offesa. Ad attenderci fuori c'è qualche persona che mi ferma per parlare, ma ci liberiamo in fretta. Raggiungiamo la macchina e partiamo, diretti alla sala che i direttori hanno prenotato apposta per la festa.
Giunti a destinazione, entriamo.
«Wow, quanti bei tipi», commenta Jason con sarcasmo, indicando con un cenno della testa una folla di ragazze che ci stanno ostruendo il passaggio.
«Vedrai che troveremo dei ragazzi, e li stenderai con il tuo fascino», ribatto, cercando Shirley tra la folla. «Sei così attraente con lo smoking», lo stuzzico.
Ci facciamo largo, raggiungendo la zona bar. In piedi accanto al bancone ci sono Rhys e Shirley, intenti a parlare. Lei si volta immediatamente e, riconoscendoci, ci viene incontro, sorridendo.
«Rosela, sei stata magnifica!» esclama con gioia, abbracciandomi.
Dopo avermi stritolata a dovere, mi lascia andare e prende me e Jason per mano, conducendoci vicino al bancone.
Non mi sfugge la lunga occhiata che Rhys mi rivolge: inquisitoria, seria, algida. Mi sta squadrando da capo a piedi, e solo dopo un lungo attimo distoglie gli occhi, ignorando la mia presenza.
«Sono felice che siamo riusciti a prendere dei biglietti proprio per stasera», dice Shirley. «I posti erano ottimi. E lo spettacolo è stato a dir poco mozzafiato. Jason ha anche pianto.»
«Rosela lo sa già», la zittisce prontamente lui, rivolgendole un'occhiata torva.
«Facciamo una foto tutti insieme?» domanda Shirley, indicando l'angolo in cui il fotografo ha installato la propria postazione.
Acconsentiamo. Ci disponiamo l'uno accanto all'altro, e Shirley sembra spostarsi apposta affinché io e Rhys siamo vicini. Senza farsi particolari problemi, lui posa la sua mano sul mio fianco e mi attira vicino a sé con delicatezza.
Il fotografo esegue vari scatti, dopodiché ci libera.
«Mi accompagni a prendere da bere?» mi domanda Jason.
«Basta che non esageri. Non ci tengo a fare brutta figura per colpa della tua ebbrezza.»
Posa una mano sul petto. «Parola d'onore di gentiluomo.»
Una volta che siamo al bar, ci sediamo.
«Sono orgoglioso di te», dice ad un tratto, mentre attende il suo drink.
«Davvero?»
«Sì. Ricordo perfettamente la nostra chiacchierata il giorno dopo il karaoke.»
«Già…»
«Sai, sono felice di averti dato quel consiglio. Perché tu hai aiutato me.»
«Non ho fatto niente di eclatante.»
«Sì invece. Insomma… ora sto provando a scrivere dei racconti per bambini. Ho anche ripreso dei vecchi scritti che il mio ex aveva definito spazzatura.»
Stringo la mano di Jason, per dimostrargli la mia comprensione. «Io sono fiera di te.»
Ricambia la stretta, sorridendo. «Ti ricordi che cosa avevo detto quella mattina? Che io e te non eravamo amici. Be', dimenticalo: ora lo siamo.»
«Wow, hai voluto ufficializzare la cosa.»
«Certo. Se lo desideri, compro anche l'anello. O un bracciale. Quello che più ti aggrada.»
Scuoto la testa, cercando di non scoppiare a ridere. «Visto che siamo amici, dovrei leggere le tue opere, non trovi?»
«Sono ancora delle bozze…»
«Jason», lo interrompo. «Mi hai fatto leggere una scena di un tuo racconto erotico. Non saranno le bozze di storie per bambini a scandalizzarmi.»
Jason sorseggia i suoi drink, mentre mi parla delle sue idee per i prossimi racconti: draghi, gnomi, folletti, ma anche animali come delfini, pettirossi, gattini. La sua fantasia trasforma ciò che esiste e l'immaginario in storie divertenti, ricche di significato.
Lo ammiro, perché anche lui tesse sogni da donare alle persone.
Ad un tratto, si appoggia languidamente al bancone, stringendo il calice in una mano. Seguo il suo sguardo mesto: Rhys sta parlando con una ragazza dello staff tecnico, che non gli toglie gli occhi di dosso e sembra pendere dalle sue labbra.
«Non hai mai pensato di dirglielo?»
Jason scrolla le spalle, senza tuttavia distogliere l'attenzione dalla scena. «Che senso avrebbe? Farei del male ad entrambi.»
«È per questo che stai bevendo avidamente quel drink?» proseguo, accennando al calice ormai vuoto.
«Mi aiuta a non pensare. Stacco la testa dai problemi per un po'.»
«Però non li risolvi.»
«L'importante è scordarli, anche per una notte soltanto.»
Le sue parole pungolano un nervo scoperto. Lo stritolano, fino ad affondare le unghie in una ferita nascosta, ma ancora aperta.
La notte è il momento peggiore: rimango sola con i miei pensieri, che diventano ombre troppo grandi perché io possa guardarle negli occhi e affrontarle. Il tarlo si risveglia dal suo sonno, destato dal silenzio, e torna a divorarmi, a riempirmi di tenebre. Scava nuovi buchi neri nei quali precipito.
Sono stanca di soffocare le lacrime nel cuscino, cercando di sentirti vicino. Sei lontano, Flavio. Sei lontano e ciò che mi fa più male è la consapevolezza che questa sia la cosa giusta da fare. L'amore che ho per te non si è esaurito, ma cresce, ed è sbagliato: non dovrei amarti, eppure il mio cuore scalpita per te.
Sono esausta di addormentarmi stremata dai singhiozzi. Temo i sogni che farò, perché c'è sempre la possibilità che tu ne faccia parte. Sono l’unico luogo in cui ci è permesso abitare, l’unico tempo a cui ci è concesso appartenere; poi, però, il mattino giunge inesorabile: il sogno finisce, e con esso anche noi. Mi abbandoni ai miei demoni perché non sei altro che una visione onirica che l’alba dissolve.
Forse questa è la punizione che mi è stata inflitta per questo amore sbagliato che avremmo dovuto mettere a tacere prima ancora che nascesse.
«Un drink, per favore. Ma non troppo forte.»
L’importante è scordare i ricordi, anche solo per una notte.
Il barista annuisce e comincia a trafficare con bottiglie e ghiaccio.
Tu dovevi essere qui con me, Flavio. Ma non ci sei. È giusto così, ma fa male. Talmente male che vorrei urlare, piangere, picchiare i pugni contro il muro fino a ferirmi le mani, invocare il tuo nome nella speranza che tu possa sentirmi. Vorrei perdermi di nuovo nei tuoi occhi che somigliano all’autunno e ai suoi colori brillanti, ascoltare la tua voce mentre mi dici che per te sono importante, rabbrividire al tocco delle tue mani ruvide. Perché sei sempre stato la mia primavera. La mia rinascita.
Vorrei affogare nelle mie lacrime e perdere la memoria di ciò che siamo stati. I ricordi balenano dinanzi ai miei occhi e mi infliggono una sofferenza tale che il petto potrebbe esplodermi. Ti rivorrei accanto a me; eppure, al tempo stesso, desidero che te ne vada dal mio cuore per sempre: eravamo sbagliati ed io ero di troppo.
«Signorina.»
Abiti la parte più bella della mia anima, Flavio, e non sono abbastanza forte per cacciarti.
Il barista mi porge un calice contenente un liquido lucido e biancastro. Lo annuso: l’odore è forte.
L’importante è scordare i ricordi, anche solo per una notte.
Non voglio più versare lacrime. Non stasera, almeno.
Gioco con il calice ancora per un po’, scrutando il contenuto con indecisione.
L’importante è scordare i ricordi, anche solo per una notte.
Lo avvicino alle labbra.
Per accantonare il passato. Per andare avanti e stare bene.
Qualcuno mi urta e il drink si rovescia interamente a terra. Riesco per miracolo a salvare il calice da uno schianto fatale.
«Sta’ attento, santi numi!» inveisco contro lo sconosciuto, mettendomi dritta per vedere chi sia lo sgarbato che mi ha appena colpita.
Non mi serve molto tempo per riconoscere la figura alta e dai capelli neri che si sta allontanando.
«Signorina, ne vuole un altro?» mi domanda il barista.
Lo ignoro per un attimo, troppo impegnata ad incenerire la schiena di Rhys con lo sguardo, nella speranza che prenda fuoco, si smaterializzi, sparisca nel nulla, lo rapiscano gli alieni… basta che scompaia dalla mia vista e dalla mia vita.
«No», mugugno tra i denti, posando il calice sul bancone con eccessiva violenza. «Grazie.»
Mi alzo in piedi e, a passo di carica, attraverso la sala, cercando di evitare di scontrarmi con le altre persone: non è colpa loro se Rhys cerca guai, e ora devo fargli un discorsetto che forse abbiamo rimandato per troppo tempo.
Finalmente, lo raggiungo: è da solo, in fondo alla stanza, appoggiato contro il muro e con le mani in tasca, ad osservare il vuoto.
«Si può sapere che problemi hai?»
Mi fissa a lungo, impassibile. Non sembra neanche lontanamente intenzionato a parlare.
«Rispondi.»
«Vuoi ballare?»
«Come, scusa?»
«Vuoi ballare?»
«Ti ho fatto una domanda. No che non voglio-»
Non faccio in tempo a terminare la frase: mi stringe la mano destra e posa la sinistra sul mio fianco.
«Che cosa stai facendo?» sibilo, cercando di spingerlo via puntandogli una mano contro il petto, ma invano: è troppo alto perché io, dal basso della mia statura, possa spostarlo.
«Sto ballando con te», risponde con ovvietà. «C’è un lento.»
Mi metto in ascolto, riconoscendo l'inizio di una canzone degli anni Novanta talmente smielata che mi stupisco che lui voglia danzare, anziché sbuffare come una locomotiva.
Massimo Ranieri no, ma ballare un pezzo sdolcinato sì.
«Ho detto che non voglio.»
«Ok.»
Contrariamente alle mie speranze, Rhys non mi lascia andare.
«Sei forse sordo?»
«La canzone è ormai iniziata da un po’. Alcune persone ci stanno guardando e il fotografo sta solo aspettando che tu tolga il broncio per immortalare questo momento», solleva le sopracciglia, fingendosi sconfitto. «Non so, io credo che non abbiamo alternative.»
Mi trattengo dall’insultarlo. Vorrei pestargli i piedi, indugiando con i tacchi sulle dita, ma lui sembra comprendere il mio malvagio desiderio ed evita abilmente i miei attacchi.
«Dai, rilassati», sussurra vicino al mio orecchio. «Accontentiamo il fotografo e poi basta.»
Per infastidirlo, assumo un'aria maggiormente indispettita, ma nonostante ciò lui non molla la presa e continua a danzare.
«È solo un ballo», dice.
«E va bene», capitolo, sbuffando.
Cerco di sembrare contenta, benché io sia tutt'altro che divertita. Mi astengo dal porgli nuovamente la domanda, perché tanto la ignorerà.
«Sembri una condannata al patibolo. Il fotografo potrebbe non apprezzarlo.»
«Preferisci così?» gli chiedo, simulando un sorriso falso ma abbastanza convincente.
«Meglio. Almeno non sembra che tu abbia un attacco di mal di stomaco», replica divertito.
Trattengo una risata perché non voglio dargliela vinta, ma a lui non sfugge il mio cambio d'umore. Mi rivolge un sorriso dolce e sincero, e per un attimo - breve ed insignificante - mi sento in colpa; poi, però, torno in me e ricordo che mi ha urtata, rischiando di rovinarmi il vestito, e che ha ignorato la mia domanda, forzandomi a ballare un lento con lui.
I miei occhi incontrano la figura del fotografo, pronto ad immortalare questo momento. La foto finirà sui social e farà impazzire i fan.
Io e Rhys.
Non ha senso che io mi crucci per questo: tanto, ormai, ci shippano già. Non sarà una foto a peggiorare la situazione. O, almeno, lo spero.
Sollevo lo sguardo, fissando i miei occhi in quelli di Rhys. Da tanto mi chiedo se sa di tutta questa storia, ma l'ambiguità dei suoi comportamenti è tale che nascondere le cose, per lui, è un gioco da ragazzi. Forse, come me, recita una parte anche quando non è sul palco, e di lui non ho visto che una miriade di maschere e mai ciò che sta dietro.
Vorrei porgli tante domande. Non so perché, ma desidero sapere dov'è che sparisce, cosa pensa del fatto che le persone ci vedano come una coppia, il motivo per cui è così maledettamente bipolare nei miei confronti…
Più il tempo passa, maggiori misteri lo avvolgono, e con essi cresce il mio irrazionale desiderio di capirlo. Tento di imputare la colpa alla mia innata e spesso inopportuna curiosità.
Eppure, troppo di frequente mi ritrovo ad apprezzare la sua compagnia.
Il ritornello della canzone accompagna i miei pensieri, che pian piano si perdono.
Appoggio la testa contro il petto di Rhys, abbandonando per un attimo i miei assurdi propositi di risolvere il grande enigma che lui rappresenta per me.
Sarà la musica, o forse l'atmosfera, ma ecco che Flavio si intrufola di nuovo nella mia mente.
Se tu fossi qui…
Danzeremmo insieme. Avrei invitato anche te, questa sera. Condivideremmo questo momento così importante per me, perché nel mio sogno hai creduto anche tu.
Ma non ci sei, Flavio…
Sussulto nel sentire la mia mano stretta con forza. Alzo la testa: Rhys ha il capo reclinato e mi sta guardando con serietà, con la fronte aggrottata ed un'espressione concentrata.
«Che c'è?» gli chiedo.
Tace per qualche secondo, senza mutare espressione. Apre la bocca, ma la richiude immediatamente. Scuote la testa. «Niente.»
Sospiro: è una risposta talmente tipica, da parte sua, che non mi stupisco più.
Inaspettatamente, mi fa volteggiare e mi riavvicina a sé. Quando siamo nuovamente faccia a faccia, colgo una strana luce nei suoi occhi, mentre le sue labbra sono percorse da un debole tremore.
Scorgo una lontana tristezza farsi strada nel suo sguardo, e per l'ennesima volta mi ritrovo a pormi la stessa domanda: chi è Rhys?
Sposta la mano dal mio fianco alla schiena, premendola quel tanto che basta per farmi avvicinare maggiormente al suo corpo. Rimango allibita per qualche istante, ma alla fine chiudo gli occhi, appoggiando di nuovo la mia testa contro il suo petto.
Non voglio lambiccarmi troppo. Non stasera.
Quando sento le sue labbra sfiorare i miei capelli, vorrei provare maggiore stupore, ma non riesco. Forse perché ballare con lui sta allontanando i miei pensieri più cupi. O forse perché in questo momento sto bene, malgrado le ferite inferte dal passato si siano aperte.
O forse perché, sentendo il battito del suo cuore, ho la certezza che, malgrado sia odioso, infantile e fastidioso, è un essere umano, fatto come me di luci ed ombre.
« Angolo autrice»
Ehi ehi, lo so che è una conclusione bizzarra, ma... Chi vi dice che il prossimo capitolo non sia su Rhys? 🌚
Scusate la parte su Flavio, ma se lui non fosse esistito (nella vita di Rossella, non nella mia, grazie al cielo), la storia non ci sarebbe. Facts. Però ho pianto, mentre scrivevo i pensieri deprimenti di Rossella. Chiedo venia, haters del fedifrago.
Ancora una volta vi ringrazio per l'affetto. Sono felice che questa storia si stia ritagliando uno spazio nei vostri cuori!
A presto con un nuovo capitolo (perché il meglio inizia proprio ora 🌚).
Scarlett Hamilton
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