37. L'amore che non ti aspetti
Come ovattati, lontani, Rafe ebbe l’impressione di sentire dei passi sul pavimento. Minuscoli, quasi inconsistenti. Il cigolio fastidioso di una porta che si chiudeva, il sibilo lento del vento gelato, poi qualcuno gli toccò una spalla e lui sussultò. Qualcosa gli fece sollevare le palpebre. Voltando piano la testa, si ritrovò davanti il volto di una ragazza, quella che era poco più di un'adolescente. Una cuffia bianca le copriva la parte superiore del capo, nascondendo i capelli alla sua vista, e nei suoi occhi verdi aleggiava un velo di sollievo.
«Vi siete ripreso» disse, chinandosi appena verso di lui e tastandogli la fronte con una mano minuta. Non si ritrasse a quel tocco, forse perché era troppo debole per farlo, forse perché un istinto inconscio lo indusse a fidarsi di lei. «Non avete la febbre.»
«Chi siete?» domandò Rafe, scrutando la da sotto le palpebre semi sollevate. La ragazza esaminò con scrupolosa attenzione l’intera sua epidermide nel lato superiore del corpo, poi si accorse che una coperta era adagiata a coprire la parte dal bacino in giù e avvampò leggermente. «Vedo che avete anche avuto la forza di coprirvi» commentò sottovoce. «Vi ho chiesto chi siete» insistette Rafe con una certa urgenza.
Lei riportò lo sguardo su di lui.
«Mi chiamo Mary.»
Cominciò a togliere le bende che aveva usato per medicare le sue ferite, e, quando arrivò a quella che copriva la pelle sopra le costole, Rafe non riuscì a trattenere un gemito. Sul viso di Mary comparve un’espressione tesa. «Avete un paio di costole rotte.»
«Lo so» replicò lui in tono amaro. Chi era quella ragazza? Perché lo aveva medicato? Da chi era stata mandata?
«Vi chiamate Mary, avete detto. Non volete dirmi altro su di voi?»
Mary si voltò e afferrò un catino colmo d’acqua e lo trascinò accanto alla sua postazione. Da sotto il corpino tirò fuori una serie di pezzuola pulite e ne intrise una nell’acqua, prima di applicare una sostanza verdognola e appiccicosa nel punto in cui le costole erano rotte. La meticolosità con cui compiva quei gesti sorprese Rafe. Era un'infermiera?
«Sono la domestica di lady Helena Mellins, signore.»
Cambiò anche una seconda benda, mentre Rafe rifletteva sulle sue parole. La domestica di Helena. Lei era…
«Helena? Helena è stata qui?»
«Siamo state noi a trovarvi, signore» gli spiegò Mary con gentilezza. «La mia padrona ha assistito alla scena, ha visto gli uomini di lord Mellins picchiarvi. E poi siamo corse da voi. È stata una sua idea, quella di portarvi qui, perché di certo non potevamo lasciarvi a morire in mezzo ai vermi.»
Il cuore di Rafe aveva smesso per qualche attimo di battere. Dunque non aveva immaginato nulla. Helena era stata lì, e lo aveva curato, gli era rimasta accanto. Lo aveva salvato. Non riuscì a trattenere un sorriso mesto. Mary dovette accorgersene, perché sorrise a sua volta. «Sono molto felice di vedere che state bene, signore. La mia padrona sarebbe felice allo stesso modo.»
«Dov’è adesso?»
Mary sospirò amaramente, mentre toglieva un’altra pezzuola dalla spalla di Rafe e la sostituiva con una pulita. «Alla magione. Suppongo stia cenando. Sapete, è quasi buio.»
«Tornerà?»
L’urgenza nel tono di voce di Rafe spinse Mary a rivolgergli un’occhiata triste. «Non sono certa che lord Mellins le permetterà ancora di uscire. Lui è molto… possessivo.» La voce di lei si incrinò, come fosse stata colpita dall’onda violenta di un mare in tempesta. Rafe si accigliò, mentre tentava piano di sollevarsi. «Ho bisogno di vederla, di parlarle. È molto importante.»
«Vedrò cosa posso fare, signore.»
Mary si voltò per controllare se il fuoco fosse ancora acceso e, accorgendosi del contrario, sospirò. «Vado a prendere dell’altra legna, così rimarrete al caldo stanotte.»
«Aspettate!» Rafe le afferrò un polso, debolmente. «Helena… lord Mellins la tratta bene?»
Gli occhi di Mary si incupirono all’istante. Quella reazione fu sufficiente per instillare il tarlo del dubbio in Rafe. Avvertì un gelo avviluppargli il cuore, stringerglielo a tal punto da sgretolarlo. La ragazza abbassò lo sguardo. «Lord Mellins non ha mai trattato bene una donna da quando ne ho memoria, signore.»
Rafe serrò le labbra. «La porterò via da quella casa» ringhiò.
«Non potete» sussurrò Mary, riportando lo sguardo su di lui. «Nessuno può vincere contro lord Mellins.»
Rafe allentò un poco la stretta attorno al suo polso. «Io non sono nessuno. Amo Helena e la porterò via di lì.»
Mary si allontanò lentamente da lui e si asciugò le mani sul grembiule che le pendeva dalla vita. I suoi occhi riflettevano tristezza e una certa dose di dolore. Cos’era capitato, a quella ragazza? Era così giovane… Lui provò un moto di compassione. Sembrava che avesse completamente perduto la fiducia nella bontà umana. O negli uomini in generale.
«Vorrei che l’amore bastasse, signore.»
«Non sono riuscito a combattere per lei una volta, Mary.» Il tono di Rafe era quasi tagliente. «Non ho intenzione di fallire ancora.»
Lei aprì la bocca per parlare, eppure nessun suono ne uscì. Chinando il capo, annuì lentamente e poi si diresse alla porta fermandosi appena un attimo sull'uscio.
«Sarò presto di ritorno con la legna. Volete che porti un messaggio a lady Mellins?»
Rafe tacque per un lungo istante, durante il quale gli unici suoni percettibili furono l’eco del suo respiro irregolare unito a quella sibilante del vento, fuori dal piccolo abitacolo. «Ditele che la amo» rispose, guardandola intensamente. «E che non mi arrenderò fino a quando non l’avrò portata via da quella casa.»
***
Con indosso solo la sua camicia da notte e un paio di pantofole, Helena percorreva lentamente il corridoio. Era silenzioso, l’oscurità rendeva quasi impossibile vedere i propri piedi. La candela illuminava solo fiocamente il corridoio, e lo stoppino era quasi del tutto consumato. Si era svegliata in piena notte in un lago di sudore, e aveva pensato di fare qualche passo per destarsi da quella condizione di instabilità.
Stava per raggiungere la biblioteca, l’ala più antica di Mellins’ House, quando la candela le cadde di mano e si spense d’improvviso. Imprecando mentalmente, aprì la porta della biblioteca e dovette lasciare aperto uno spiraglio per riuscire a vedere qualcosa. Raccolse la candela e la appoggiò sul lungo tavolino in vetro che separava i divanetti centrali della stanza. Un soffio d’aria fredda la investì, accompagnato da uno strano rumore. Un passo, un sospiro, un'imprecazione. Cos’era? Sì voltò di scatto, nell’oscurità prorompente. «C’è qualcuno?»
«Helena.» Il sussurro le riecheggiò sinistro nelle orecchie. Trasalì, indietreggiando repentinamente; il bracciolo del divanetto di broccato arrestò la sua corsa. «Bayard?»
«Amore mio.»
La voce di Bayard trasudava lascivia. «Perché non sei a letto?»
«Io avevo… non riuscivo a prendere sonno.» La voce le tremava.
Amore mio. Si tappò le orecchie con le mani, ma la voce di Bayard continuò imperterrita, infrangendosi e scolpendosi nella sua mente. «Torna a letto, amore mio.»
«No.»
«Helena.» Era un ammonimento, un ammonimento freddo. Lei respirò a fondo per cercare di calmarsi, poi corse alla cieca fuori dalla porta e si ritrovò in corridoio. Il buio la avvolgeva completamente, restringendo al minimo il suo campo visivo. Il cuore batteva all’impazzata, minacciando di saltarle fuori dal petto.
«Helena, vieni qui.» Alle sue spalle, l’aria sembrò agitarsi, portando con sé uno strano odore. Come di cuoio, di sigari, dolore e carne avariata. Una mano le cinse la vita da dietro. «Vieni qui, ho detto.»
«Voglio andare via» sussurrò Helena. Qualcuno la attirò verso all’indietro e lei gridò. Aderì contro un corpo solido e robusto, un corpo che ormai aveva imparato a conoscere alla perfezione. Il respiro caldo di Bayard le sfiorò il collo. «E dove vorresti andare, mia cara?»
Atterrita, lei cercò di divincolarsi, ma le braccia forti di suo marito non avevano alcuna intenzione di lasciarla andare. Si sentì soffocare, si sentì morire. «Lasciatemi andare» lo implorò. «Tornerò a dormire, ma lasciatemi andare, almeno per stanotte.»
Lui la fece voltare bruscamente verso di sé. Helena non poteva guardarlo negli occhi a causa del buio, ma intravide uno scintillio diabolico serpeggiare nell'oscurità. Bayard le serrò i polsi con forza. «Tu mi ami, Helena, non è vero?»
Lei deglutì, senza riuscire a trattenersi dal rispondergli con le uniche parole che sapeva lo avrebbero fatto infuriare. «No.»
Bayard socchiuse gli occhi, ma Helena non poté accorgersene. Tuttavia era consapevole di averlo sfidato. Ma ormai era fatta, e avrebbe continuato per la sua strada, perché era stanca di mentire a se stessa. «Non è voi che amo.»
Bayard la sospinse contro la parete alle sue spalle, sollevandole i polsi sopra la testa e serrandoli entrambi con una sola mano. Con l’altra afferrò il mento di Helena e si abbassò in modo che lei potesse sentire sulle labbra il suo alito che sapeva di whiskey. «Non importa se non mi ami, Helena. È sufficiente che sia io ad amare te.»
Lei aprì la bocca per parlare, e suo marito ne approfittò per coprirla con la propria. Nell’oscurità, Bayard possedette le sue labbra con avidità, ma si fermò lì come lei non si sarebbe mai aspettata facesse. Si allontanò piano, con il pollice le accarezzò la pelle sotto il mento e poi scese lungo il collo, mentre il respiro di lei tornava lentamente al suo ritmo regolare.
«Io ti amo» sussurrò Bayard senza smettere di accarezzarla. Non si era mai comportato in quel modo. Non era mai stato gentile, non era mai stato delicato. Si era sempre preso quello che voleva dove e quando voleva. Che cosa era cambiato? Era impossibile che lui l'amasse. Lei non gli aveva dato alcun motivo per innamorarsi. Lo odiava, lo avrebbe odiati per sempre. «Io non vi amo. Non vi amerò mai.»
«Ne sono consapevole.» Le dita di Bayard le scostarono una ciocca di capelli dal lato destro del viso, mettendogliela dietro un orecchio. «Torna a dormire, Helena. Tu e nostro figlio avete bisogno di riposo.»
Quando lui la lasciò andare, scossa e turbata, Helena corse lungo il corridoio, tastando la parete per riconoscere la strada verso la sua stanza. Percepì un moto di nausea che attribuì alla gravidanza, ma non si fermò nemmeno per un istante. Quando infine raggiunse la camera da letto e si rifugiò sotto le coperte, la voce di Bayard non l’aveva ancora abbandonata. Qualcosa era cambiato in lui, qualcosa che non era in grado di identificare. All’improvviso, provava ancora più timore al pensiero che lui la amasse. Non era possibile, aveva pensato. Ma se invece fosse davvero accaduto? Che cosa ne sarebbe stato di lei, di Rafe, se Bayard fosse stato innamorato di sua moglie? Se l’amore lo legava a lei, non le avrebbe permesso di uscire, né di avere alcuna libertà. Non sarebbe potuta tornare da Rafe. Non avrebbe potuto curarlo, o stargli accanto. Dio, avrebbe dovuto essere insieme a lui in quel momento. Invece, al suo posto, pochi minuti dopo ci fu Bayard. Non la toccò, né le parlò. Sì girò dalla parte opposta e il suo respiro tranquillo la accompagnò fino a quando il sonno non la prese con sé.
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