29. Specchio, custode di segreti
«Mary, lei è la mia futura sposa.» La voce suadente di Bayard si infranse contro le orecchie di Helena, quella sera, come un'onda che si spezza sullo scoglio. «Helena, lei è la vostra nuova domestica.»
La giovane -che non doveva avere più di sedici anni- chinò il capo in un timido gesto di riverenza, e lei cercò di abbozzare un sorriso. «È un piacere conoscerti, Mary» le disse gentilmente.
«Mary, accompagna la signorina Burren nella sua stanza» ordinò Bayard, lanciando un'occhiata magnetica in direzione di Helena. «Ha bisogno di un po' di riposo prima che la cena venga servita. A proposito, mia cara, c'è un piatto che prediligete? Posso dare ordini al cuoco di prepararvelo.»
La domanda non smosse la gratitudine che lui doveva essersi aspettato, ma solo un misero cenno di diniego. Tuttavia il padrone non si mostrò nemmeno lontanamente risentito. «Molto bene. Ci vediamo più tardi, Helena. La cena verrà servita alle sette in punto, e io mi aspetto che indossiate l'abito che ho fatto arrivare oggi apposta per voi.»
Le afferrò una mano e ne sfiorò il dorso con le labbra, un gesto che fece fremere lo stomaco di Helena. Era diverso da Rafe. Lo era in tutto e per tutto, e lei aveva cominciato a provare un certo timore.
«Ma certo, Lord Mellins. Vi sono immensamente grata.»
Poi, mentre Bayard lasciava il corridoio, impettito e rigido come un manico di scopa, seguì la giovane Mary lungo la scalinata in marmo che conduceva ai piani superiori. La scia che il suo futuro sposo si era lasciato alle spalle sapeva di tristezza. E dolore.
***
Sul letto di broccato c'era un abito di mussola bianco e verde, con un ricamo floreale in corrispondenza della scollatura non troppo profonda. Non era il vestito più bello o elaborato che lei avesse indossato, ma qualcosa le suggerì che Bayard, almeno, era stato altruista. Avrebbe dovuto ringraziarlo di nuovo a cena, anche se l'idea di mangiare in sua compagnia le chiudeva lo stomaco e le serrava la gola.
«Volete che chiuda la porta, signorina?» le chiese Mary in un sussurro, come se avesse paura di parlare. Helena annuì con un sospiro, mentre rivolgeva lo sguardo ad un lungo specchio ovale che si trovava accanto a un cassettone in palissandro.
«Ehm... Potrei, ecco, pettinare i vostri capelli nel frattempo che attendete la cena. Voglio dire, se lo desiderate, signorina.» Helena si girò e fissò la giovane. Non poteva vedere il colore dei suoi capelli, perché una cuffietta bianca le copriva interamente la parte superiore del capo. Aveva un viso dai tratti dolci e delicati, quasi come quelli di una bambola di porcellana, con i grandi occhi azzurri e le guance rosee che la facevano apparire più piccola di quanto non fosse. Ma qualcosa, il suo intuito, le disse che in Mary si nascondeva una vera e propria donna. Forse una donna che era stata obbligata a diventare tale troppo in fretta, nel momento sbagliato e nel modo sbagliato. Se avesse abbandonato la sua timidezza, presto lei lo avrebbe scoperto da sé.
Abbozzando questa volta un sorriso sincero, Helena annuì. «Te ne sarei grata. Ho affrontato un lungo viaggio e devono essere molto aggrovigliati.»
«Non preoccupatevi, signorina, sono piuttosto brava con la spazzola.» Le labbra di Mary si curvarono in un piccolo sorriso. «Sedetevi, prego.» Afferrò un panchetto di legno e lo trascinò rapidamente davanti allo specchio. Helena sedette, osservando amareggiata il proprio riflesso; era sciupata, due grosse borse facevano bella mostra al di sotto degli occhi stanchi, le labbra apparivano secche e increspate. Sospirò. Non era di questo che le importava in quel momento, né del vestito che giaceva sul letto alle sue spalle o del fatto che entro pochi giorni sarebbe diventata la padrona del palazzo. Ciò che contava, che le martoriava il cuore, era pura e tagliente nostalgia. Letale. Dolorosa. Pensò che se non avesse tirato fuori quello che provava sarebbe impazzita.
«Sei mai stata innamorata, Mary?» domandò alla ragazza, che si era sistemata dietro di lei e le stava dividendo in ciocche i lunghi capelli. Dallo specchio la vide assumere un'espressione triste, che lasciava intendere tante cose. Ricordi indelebili, segno di amori proibiti o finiti in modi disastrosi, frutto di un adulterio, di qualcosa di più losco, o forse di un amore passionale e intenso, di un amore puro che era sbocciato tra due ragazzini. Non lo sapeva. Forse non aveva nemmeno diritto di saperlo.
Le scostò una grossa ciocca davanti al collo, facendola ricadere sopra al seno, e schiuse le labbra mentre cominciava a passare la spazzola lungo il resto dei capelli.
«Una volta sola, signorina. Ero molto giovane e inesperta.» Helena le indirizzò un'occhiata dallo specchio, ma lei non se ne accorse. «Quando si è giovani e inesperte, spesso gli uomini se ne approfittano. Sapete, pensano che le prede più succulente siano quelle che sembrano ingenue. » Tirò un sospiro triste. «Nella maggior parte dei casi, hanno ragione.»
Helena avrebbe dato qualunque cosa per sapere cosa le fosse accaduto, e perché i suoi occhi si erano colmati dell'ombra del peccato non appena aveva pronunciato le parole hanno ragione.
Percepì un moto di tenerezza nei suoi riguardi, ma non di solidarietà. Lei si era innamorata di un uomo diverso da quello descritto da Mary. Le si bloccò il fiato in gola. Deglutì per riprendere a respirare, anche se fu una delle cose più difficili che avesse mai fatto. Ma del resto, vivere senza Rafe era già di per sé un tormento.
«E voi, signorina?»
Esibì un sorriso rassegnato.
«Non dovete parlarne per forza se non ve la sentite» precisò Mary timidamente, facendo correre il pettine tra le ciocche ramate.
Helena tacque per un lungo istante, prese un respiro profondo e scosse piano la testa. «Parlare di lui mi fa stare meglio.»
Gli occhi di Mary le sorrisero dallo specchio ovale, incitandola a proseguire.
«Si chiama Rafe, ed è l'uomo più buono che abbia mai incontrato. Il... migliore. Lui mi ha cambiata e io gli sono così grata, così immensamente grata per averlo fatto... » Le parole le morirono in gola.
«E questo Rafe… voi ne siete innamorata? Intendo, davvero innamorata?» chiese Mary, quasi sottovoce. Helena abbassò lentamente le palpebre. Espose il viso al chiarore della luna, che dominava il cielo blu scuro fuori dalla finestra, e si abbandonò al ricordo di Rafe Ellington, del suo tocco, del suo altruismo, del modo in cui l’aveva fatta innamorare; ricordò la prima volta che si erano incontrati. Lei lo aveva considerato un uomo rozzo e burbero, si era decisa a non scambiare con lui non più di qualche parola di circostanza, certa che fosse anche il volere di quell'uomo tanto strano quanto affascinante. E poi I giorni erano trascorsi, tante cose erano cambiate. Il suo modo di vederlo, ad esempio, di ascoltarlo. Lei aveva cominciato a comprenderlo sotto molti aspetti, gli si era avvicinata nonostante lui non lo desiderasse e qualcosa, tra loro, si era aperto. Helena aveva varcato la soglia di quella porta che Rafe aveva tenuto chiusa troppo a lungo, non uscendone più. E lui le si era scolpito nel cuore, nei suoi pensieri, nei gesti che compiva di rado, e in quelli che faceva usualmente. Era irrimediabilmente perduta.
Senza guardare Mary, mentre una lacrima le bagnava la guancia, al chiarore della luna piena, schiuse le labbra. «Sì. Lo amo. Con tutto il mio cuore. Ma a volte l'amore non basta, dico bene?»
Mary finì di spazzolarle l'ultima ciocca con un po' troppa enfasi. La fissò a lungo senza rispondere, tanto che lei temette di averla in qualche modo offesa.
«No» sussurrò piano. «No, non basta.»
Helena abbassò il capo. «Qualunque cosa ti sia accaduta, Mary, voglio che tu sappia che mi dispiace.»
La ragazza parve sorpresa, com'era ovvio, da quelle parole. Probabilmente nessuna delle sue precedenti padrone le si era mai rivolta con tanta confidenza, ma la cosa sembrò rallegrarla.
«La vita è piena di cose ingiuste, signorina» disse stringendosi nelle spalle. «Bisogna solo trovare la forza di accettarle. E di andare avanti. Anche a me dispiace per voi, sapete.»
Helena si voltò a tre quarti, sistemandosi sulla sedia per guardarla negli occhi. Il vuoto che dominava il centro del suo petto si allargò. «Come hai detto tu, la vita è piena di cose ingiuste. Prima o poi me ne farò una ragione.»
«L'uomo che amate vi ricambia?» chiese Mary con amara curiosità. Lei non rispose subito. Non lo sapeva. Non poteva esserne certa, nonostante lo avesse sentito pronunciare quelle parole sottovoce, quando credeva che fosse addormentata. Non sai quanto ti amo.
Ma poi le aveva dimostrato il contrario, abbandonandola e lasciandola nelle mani di uno sposo che non avrebbe mai amato.
Cominciò a torturarsi le dita, gesto che compiva usualmente quando era nervosa, e poi scosse piano il capo.
«No, Mary. Io non credo.»
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