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17. Cuore tormentato

Rafe inspirò una boccata d'aria fresca e poi si riempì i polmoni con un lungo tiro di sigaretta. Fumare gli permetteva di dissipare i suoi dubbi, quei dubbi persistenti che gli ottenebravano la mente da quando aveva baciato Helena, poche ore prima. L'aveva baciata... perché? Solo per soffocare la sua gelosia, o perché voleva qualcosa di più? Perché non era riuscito a trattenersi, a fermarsi in tempo? Perché lei lo aveva sfidato, e lui lo aveva capito. Rafe Ellington non si tirava mai indietro di fronte a una sfida, anche se quella sfida consisteva nel rischiare di macchiare la reputazione di una giovane aristocratica.

Ripensò a Tom, al modo in cui aveva stretto Helena contro di sé, come se ne avesse avuto il diritto, e l'ira gli fece ribollire il sangue. Si affrettò a tentare di placarla inspirando altro fumo. Il cielo, sopra di lui, era plumbeo, pronto ad ospitare una tempesta da un momento all'altro. Non ricordava che potesse piovere in un posto come quello, sempre sommerso da sole e aridità, eppure il grigiore scuro del cielo non poteva preannunciare altro se non un alluvione.

Rafe appoggiò i gomiti alla ringhiera in legno e spense la sigaretta sotto lo stivale. Di dormire non ne voleva proprio sapere. Come avrebbe potuto, comunque, dopo quello che era accaduto con Helena? Non era senso di colpa quello che sentiva, quanto piuttosto timore per il futuro. Se Helena avesse scoperto di aver commesso un errore, baciandolo, come si sarebbe comportata? Come avrebbero potuto affrontare il resto del viaggio in tali condizioni? Non poteva pensarci. Ma avrebbe dovuto prendere precauzioni. Eppure non ci riusciva. Aveva pensato che sarebbe stato semplice, come quando quattro anni prima aveva abbandonato la professione di medico per fingersi una guardia del corpo, in onore di suo fratello, ma con Helena era diverso. Era più difficile, un percorso più travagliato, ostacolato da...

Una mano gli sfiorò la spalla dolcemente. Lui seppe di chi si trattava ancor prima di voltarsi.
«Sta per piovere» disse Helena, affiancandolo. Prese un respiro profondo, percependo un groppo chiudergli la gola. Sarebbe potuto rientrare, chiudersi in camera e non uscire fino all'indomani, ma non lo fece. Perché voleva stare con lei.

«A quanto pare» replicò Rafe trattenendo un lungo sospiro. Averla vicino gli procurava un dolore sordo al centro del petto, l'equivalente di un macigno che nessuno avrebbe potuto spostare. Ma era anche la sensazione migliore di cui avesse bisogno. E ne aveva bisogno, disperatamente.
Lei si strinse il sottile mantello intorno al corpo, estremamente conscia della sua vicinanza, e lo guardò.
«Mi dispiace per avervi sfidato, prima.»
Rafe si strinse nelle spalle, poi finalmente si girò e la fissò. «Perché lo avete fatto, Helena?»
«Fatto cosa?»
Sembrava tesa, adesso. Rafe tornò a scrutare il cielo e le cime degli alberi in lontananza, stagliate contro il cupo dipinto dell'orizzonte.
«Perché non mi avete fermato quando vi ho baciata?» rispose, tentando di rimanere impassibile al suono del suo gemito trattenuto a stento.
«Non ho potuto» fu la sua risposta sussurrata a fior di labbra.
«Avreste dovuto comunque. Perché siete stata tanto ingenua da assecondarmi?»
«Perché volevo che lo faceste. Volevo essere baciata ancora da voi, come mi avete baciato quella notte nella foresta.»

Fu la completa innocenza di quella risposta a scaldare il petto di Rafe, a concedere un altro pezzo del suo cuore a Helena. Lei aveva desiderato quel bacio, forse tanto quanto lo aveva voluto lui stesso. E tuttavia, rimaneva una cosa proibita.
Atteggiò il suo viso a un'espressione pressoché impassibile e serrò le labbra. «Non dovrà ripetersi mai più.»
«Lo so, Rafe.» Helena non sembrò turbata dalle sue fredde parole. «Ma si tratta di voi, e quando sono con voi non riesco a ragionare con lucidità. Mi confondete, mi fate credere che ci sia qualcosa e poi tornate a indossare la vostra maschera d'indifferenza... »
Rafe si voltò di scatto verso di lei, battendo un pugno sulla ringhiera. Il movimento fece sussultare Helena, che lo fissò con profondo turbamento. «Credete che sia indifferente? Credete che non vorrei baciarvi tutti i santi minuti di tutti i santi giorni, Helena? Ma non posso, perché non è giusto. E voi lo sapete, maledizione! Eppure mi sfidate, mi mettete alla prova, sapendo perfettamente quello che provo per voi.»

Adesso aveva cominciato ad ansimare, e fu costretto a darle le spalle per non continuare a gridare. Avrebbe svegliato tutti se non si fosse fermato, e non doveva in alcun modo dare spettacolo, soprattutto su una questione tanto delicata. Ecco, lo aveva fatto, le aveva quasi rivelato tutto; come poteva essere tanto sciocco da lasciarsi sfuggire una verità tanto importante?

Helena, rimasta a bocca aperta, si accorse di avere gli occhi lucidi. Sbatté le palpebre, cercando di elaborare quanto Rafe aveva appena detto, ma non ci riuscì. Era troppo scossa, troppo turbata per giungere ad alcuna conclusione. Perciò tutto quello che si sentì di fare fu circondargli la vita, snella e solida di muscoli, con le braccia. Si era aspettata, aveva temuto, che lui l'avrebbe scacciata, ma non lo fece. Si lasciò sfiorare e lei lo sentì gemere rauco e irrigidire la schiena. Gli ci volle tutto il proprio autocontrollo per non cedere agli impulsi.

«Rafe, guardatemi vi prego.»
«Non voglio guardarvi» mormorò lui, contraendo l'addome. Il punto in cui le mani di lei lo stavano sfiorando bruciava, gli sembrava che le fiamme viventi dell'inferno lo stessero marchiando centrimetro dopo centimetro. Non poteva guardarla, perché sapeva che non si sarebbe fermato. Non poteva permettersi ancora quella libertà.
«Se vi guardo, perdo il controllo.»

Helena tacque per quelle che parvero ore di incessante agonia. Poi la sua voce calda spezzò la quiete burrascosa di quella notte, facendogli correre un fremito rovente al basso ventre.
«E allora non fatelo. Non controllatevi.»

Rafe le afferrò i polsi e si voltò all'improvviso, stringendola forte contro di sé. I suoi occhi la spaventarono; erano luminosi, cupi, languidi e sembravano contenere un fuoco che avrebbe potuto bruciare ogni cosa da un momento all'altro. Lei non avrebbe dovuto dire certe cose, ne era consapevole. Ne andava della sua reputazione. Ma a chi importava della reputazione, in un luogo tanto lontano da casa?
Voleva che la baciasse di nuovo, che la baciasse fino a toglierle il fiato come aveva fatto quella sera, nonostante fosse tremendamente sbagliato, e contro ogni logica.
Mantenne la testa alta, il mento sollevato, gli occhi fissi nei suoi senza dar segno di cedimento.

«Vi prego... »
«Perché volete questo, Helena?» Sembrava adirato, ma Helena non si lasciò scoraggiare.
«Perché siete il primo uomo che mi abbia mai baciata.»
«E che non avrebbe dovuto farlo» controbatté lui stringendole un po' di più i polsi.
«Però lo ha fatto. E lo ringrazierò in eterno per questo.»
Rafe la inchiodò all'asse di legno dietro di lei, con impeto maggiore di quanto avesse premeditato. Non poteva cedere ancora, non doveva. Lei doveva stargli lontano. Lui doveva starle lontano. Ma come poteva, quando Helena era una calamita vivente?
«Vi prego, Rafe.» Suonava come una supplica, ma Rafe cercò di ignorarla e serrò le labbra. Le lasciò all'improvviso i polsi, indietreggiò e si diresse lungo i gradini e poi oltre, verso il sentiero che si estendeva fino alla foresta.
«Dove state andando?» gli gridò dietro Helena, allarmata.
«Rafe! Tornate qui!» Bofonchiò qualcosa tra i denti. Fu nel momento in cui Helena raccolse il coraggio e lo seguì correndo, che iniziarono a cadere grosse gocce di pioggia.
Non le importò di bagnarsi, né di essersi lasciata scivolare via il mantello o di apparire la ragazza più trasandata di sempre. Tutto ciò che contasse era raggiungere Rafe.

«Ma non capisci, Helena?» urlava lui, in lontananza, la voce pari al il ruggito di un leone, o al sibilo di un serpente a sonagli. «Ti distruggerò se non ti allontani.»
Lei affondò i piedi nella terra quasi completamente zuppa, senza curarsi delle sue parole, fino a quando non lo raggiunse.
«Distruggimi, Rafe. Lo accetterò se significherà starti vicino per il resto dei miei giorni.»
Un tuono violento squarciò il cielo, rilasciando una scarica di pioggia potente che inzuppò completamente il passaggio. Rafe, i capelli fradici e gli abiti attaccati al corpo, si voltò lentamente prendendole il volto tra le mani. Era così bella perfino quando la disperazione incrinava i suoi tratti delicati.
«Io non posso distruggerti, Helena. Non voglio.»

Lei gli spostò una ciocca zuppa dalla fronte, facendogli scorrere una mano lungo la guancia ricoperta di barba scura. «Sono io che te lo sto chiedendo, Rafe. Distruggimi, ma fallo amandomi, perché non credo di poter resistere ancora senza toccarti.»
«Appartieni a un altro uomo, Helena! Non dovresti nemmeno pensarle certe cose.» Lei pensò che fosse adirato, che sarebbe corso via e non lo avrebbe più rivisto. E invece Rafe si chinò su di lei e la baciò teneramente, senza ombra di aggressività, mentre la tempesta infuriava e i brividi di freddo venivano sormontati da quelli della passione.
«Io non appartengo a nessuno, Rafe» ansimò Helena staccandosi appena per guardarlo attraverso la cortina d'acqua.
Lui fu sul punto di rispondere qualcosa, ma in quel momento, alle loro spalle, risuonò la voce disperata di James.

«Signor Stewart! Signorina Milton! Correte, vi prego!»

Helena fissò Rafe atterrita, poi seguì l'uomo correndo a ritroso per raggiungere James in piedi sul portico con gli occhi colmi di preoccupazione.
«James, che cosa è successo?» lo interrogò Rafe con urgenza. «Che cos'avete?»
«Mia figlia!» gridò disperato l'uomo. Helena gli bloccò il braccio, allarmata. «James?»
James strabuzzò gli occhi, spalancando la porta. «Sta male, non so che cos'abbia... Grida nel sonno e si dimena come se la stessero intrappolando!»
Afferrò il polso di Helena e la trascinò dentro. «Correte!»

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