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19. Le scuse non sono sufficienti

Ero rimasta lì.  Ferma immobile a passare lo sguardo su ognuno di loro.  Sembravano tristi e sconsolati. Pensavano di soffrire, ridicoli.

-Vado a dormire- dissi e me ne andai.

Avevo provato ad avere amici, ad essere gentile. Per cosa? Un ammasso di bugie e tradimenti?
Erano riusciti molto bene nel loro intento. Non mi ero accorta di nulla, per la prima volta. Era come se i miei sensi si fossero abbassati. Avevo dato fiducia ed era stata presa, calpestata, lacerata e lanciata via da qualche parte come un pezzo di carta inutilizzabile. Le barriere che avevo edificato contro le mie ombre, contro me  stessa, ora erano state erette contro tutto il mondo esterno. Mi sarei isolata. Avrei vinto il torneo e avrei dimostrato loro cosa si siano persi per una stupida scommessa. Però, a loro non interessava di me e io mi stavo solamente rendendo ridicola a sperare che qualcuno di loro mi raggiungesse, mi fermasse o semplicemente provasse rimorso in ciò che aveva fatto.
Lo sguardo di Regulus ora aveva tutto un altro significato. Era come quando d'estate le nuvole lasciassano il passaggio al sole. Era successo la stessa cosa con i suoi occhi, la non conoscenza aveva lasciato il posto alla consapevolezza. Aveva un sapore così amaro, così vomitevole. Avrei preferito che mi odiassero, invece mi hanno pugnalata alle spalle. Non riuscivo a cogliere il divertimento in questo stupido gioco che avevano idealizzato. Me lo sarei aspettato dai tre interessati, ma che gli altri fossero a conoscenza di tutto questo? Mai. Mai avrei dubitato di loro. Di James, il mio primo amico. Non saprei più come denotarlo, amico ormai non vale nulla. Ho sempre saputo quando amicizia e amore fossero solamente menzogne. Eppure ci sono cascata.

L'amicizia. Non c'è cosa più bella, dicono. Non ci ho mai creduto. Ho sempre visto come si comportava mia sorella con le sue amiche e loro con lei. Quella non era amicizia. Era invidia, piacere, dolore e rabbia. Anche la cattiveria veniva spruzzata da tutti i pori della loro pelle.
Quando ho incontrato James, credevo che sarebbe stato così anche per me. Mi sono tenuta lontano da lui, ma continuava e insisteva incessantemente senza lasciarmi respirare. E allora capii. Capii che lui era mio amico solo perché ci teneva a me e aveva visto in me qualcosa. Non si era fermato come tutti gli altri alle apparenze, mi voleva scavare a fondo e conoscermi realmente. Non gli ho mai permesso di assaporare le mie paure, di conoscere i miei segreti. Avevo paura che un giorno sarebbe accaduto un evento orribile da farci separare, avevo ragione. Ora sono così grata al mio carattere diffidente che mi ha permesso di salvare il mio io. Però, una parte di me la conosce. Sa che adesso li tratterò come ho sempre trattato gli altri. Sa che diventerò fredda nei loro confronti. Diverranno anche loro pedine del mio gioco. Finalmente il mio senso di solitudine verrà appagato. Ero stata fin troppo in compagnia, provando mi della mia tanto amata solitudine.
L'amore. Altra bugia. Dicono che l'amore vero è solo per una persona. Quando ami il resto non esiste più, ma non è così. Io non credo nell'amore e mai lo farò. Le coppie al giorno d'oggi si dicono che si amano dopo due giorni di fidanzamento, per poi lasciarsi nel giro di qualche giorno. Sono davvero poche le coppie che si amano sul serio e si possono contare sulle dita di una singola mano. Gli adulti, invece, sono troppo indaffarati nei propri problemi per curarsi di una cosa frivola come l'amore. Creano figli e spesso nemmeno se ne curano. Li sgridano e gli danno ordini, ma cosa provano? Non se lo chiedono. Questa sarebbe un'altra dimostrazione di amore, eppure non c'è. Per questo l'amore non esiste ed è solo uno stupido sentimento del quale non toccherò neanche un filamento.

La camera che ho davanti ora ha un altro significato. È passata da mezzo di sfogo quando ho sofferto per la verità di essere una sanguemarcio. Poi è diventata stanza di tortura, di gioia e infine ora mi appare come una semplice stanza.
Lancio i tacchi in un angolo e il freddo del pavimento mi da sollievo. Slaccio il vestito e lo lascio a terra, incurante di poterlo rovinare. Infine indosso una semplice maglia nera oversize e mi infilo sotto le coperte. Non ricordo quando è stata l'ultima volta che sono rimasta così sola. Forse non c'è mai stata una volta, avevo sempre James accanto. Ora assaporerò cosa significa essere interamente soli.
La porta della stanza si è aperta permettendo alla luce di entrare e costringendomi a chiudere gli occhi abituati all'oscurità. La figura di Astrid mi fissava e bloccava il piccolo passaggio d'illuminazione. Richiuse la porta dietro di lei e mi guardava. In lacrime. Sapevo che era sensibile, ma non mi sarei aspettata lacrime. Non mi importa può anche disperarsi, non la perdonerò. La vedevo muoversi, sfilarsi l'abito e mettere il suo pigiama di seta verde scuro. Sapevo che a breve avrebbe parlato e che ora mi fissava girata di lato nel suo letto. Io, d'altro canto, me ne stavo a pancia in sù a fissare il soffitto e stare attenta ai suoi movimenti con la coda dell'occhio. Dall'altro lato avevo le acque del Lago Nero e le sue creature sembravano aver adottato il mio stato d'animo, muovendosi lentamente e senza un vero e proprio scopo della vita.

-Eddy- ruppe il silenzio dopo un po'.

-Eddy senti- provò ancora con voce tremolante.

-Eithel. Per te e per tutti gli altri d'ora in poi- risposi fredda. Per poi girarmi dandole le spalle e cadendo in un sonno privo di sogni e leggero.

***

Le vacanze natalizie passarono rapide e l'ultima sera decisi di buttarmi a letto senza cambiarmi o struccarmi. Dell'uovo non avevo scoperto niente, così come qualcosa sui miei genitori. Nessuna lettera mi è arrivata e a me andava più che bene.

La mattina dopo mi alzai e il letto accanto al mio era già rifatto e perfetto, come tutti questi giorni. Guardandomi allo specchio vidi la faccia orribile che avevo. Il trucco era completamente sbavato e, una volta rimosso, le mie occhiaie ripresero il loro fisso posto nascoste dal correttore della sera precedente.
Mi truccai come ero solita fare e indossai la divisa. La gonna aveva iniziato a starmi stretta a causa del piccolo peso preso durante queste settimane in cui mi avevamo obbligata a mangiare. Nonostante non volessi recarmi a colazione, andai per prendere un semplice bicchiere di succo di zucca.
Incrociai gli occhi dei miei vecchi amici e li vidi vuoti mentre mi fissavano. Bevvi rapidamente il contenuto del mio bicchiere e me ne andai senza dire una parola o guardare nessuno. L'aula di pozioni era piccola, ma accogliente. Il professor Lumacorno era già pronto per svolgere la lezioni. Un banco al centro dell'aula con sopra tre vari oggetti: un distillatore con una fiala e due calderoni.

Quando tutti gli alunni erano nell'aula il professore chiese se qualcuno conoscesse il contenuto di questi tre oggetti. A farsi avanti fu la Grenger, una novità proprio. Felix Felicites, Veritaserum e Amortentia. Dovemmo tutti annusare quest'ultima. Il filtro più potente al mondo, ma che non crea il vero amore se non una potente infatuazione.
Io non sentii nulla. Non avevo nulla che mi attraesse e Lumacorno, come il resto della classe, ne rimanè sorpreso. Dovemmo preparare un perfetto Distillato di Morte e avremmo ottenuto la Felix Felicites. Inutile dire che quelle istruzioni erano errate da eseguire. Eravamo tutti incapaci di seguirle, tranne Harry Potter. Lo imitaii. Invece di tagliare, schiacciai. Aggiunsi meno bacche di quante scritte nel libro e così via fino ad ottenere il colore prestabilito.
Io e lui ci aggiudicammo la fiala, ma essendone solamente una decisi di lasciargliela. Non ero così disperata.

-Eithel, senti ci dispiace. Abbiamo sbagliato perdonaci- mi raggiungesero tutti fuori e Astrid implorava.

Guardavo James e Blaise gli unici di cui mi sia fidata. Avevano gli occhi bassi e non li alzarono mai per incontrare i miei.
Erano pentiti, ma non potevo perdonarli. Almeno non ancora e, finché le ombre erano a capo del mio corpo e della mia mente, non lo avrei fatto.

-Le scuse non sono sufficienti- il mio tono di voce uscì freddo e tagliente.

I due ragazzi alzarono la testa. Regulus mi guardava triste e le due ragazze si abbracciarono mentre la bionda piangeva. Le facevo male, ma non provavo pena. Me ne andai alla prossima lezione senza degnati di uno sguardo.
Sapevo, infondo, che anche io stavo sbagliando. Vederli soffrire, però, mi dava sensazioni piacevoli. Sapere che stavano male per colpa loro era, in qualche modo, una punizione. E io in un sadico modo ne godevo, godevo della loro sofferenza. Mi recai alla lezione successiva e così via per il resto della giornata, saltando i pranzi per stare in biblioteca a capire come usare quell'uovo. Sapevo che la francese ci era riuscita, ma degli altri due non sapevo nulla. Avrei potuto chiedere a lei, ma il mio ego e orgoglio erano troppo alti, anche se guidati dalle ombre. Non ci sarebbe stato giorno in cui non me la sarei cavata da sola. Il semplice fatto di aver chiesto un ballo per emergenza, mi faceva sentire sporca e piegata al suo volere. Mi ritenevo debole per non essermela cavata da sola. L'ho sempre evitato, ma quella volta non ho potuto farne a meno.

Camminavo per i corridoi di Hogwarts diretta alla sala comune delle serpi quando mi scontrai con un ragazzo imprecandogli contro.

-Eithel Jonson, vero?- mi chiese dopo avermi aiutata ad alzarmi. Lo riconobbi subito come Cedric Diggory. Annuii semplicemente e lui ricambiò sorridendomi.

-Hai capito come funziona l'uovo?- mi domandò.

-No- lo fissai negli occhi. Sentendo un briciolo di speranza diffondersi nel petto. I Tassorosso sono altruisti a differenza nostra, magari mi avrebbe dato la risposta.

-Usa l'acqua- sorrise e andò via.

Ero sul mio letto da circa mezz'ora a ripetere nella mia mente quella strana frase. Mi aveva creato un alto grattacapo.
Presi una pezza impregnata d'acqua e gliela passai sopra. L'urlo era uguale a prima. Lo immersi persino nell'acqua, ma non sentivo nulla se non l'urlo ovattato.
Mi immersi con la testa nella vasca e, al posto dell'acuto, ne usci una dolce melodia. Era un suono soave e dolce. Era come se la risposta del prossimo gioco fosse celata dietro queste parole.

'' Vieni a cercarci dove noi cantiamo,
ché sulla terra cantar non possiamo,
e mentre cerchi, sappi di già:
abbiam preso ciò che ti mancherà,
hai tempo un'ora per poter cercare
quel che rubammo. Non esitare,
ché tempo un'ora mala sorte avrà:
ciò che fu preso mai ritornerà. ''

Sulla terra non possono cantare, quindi per forza creature marine. L'unica fonte liquida qui era il Lago Nero. Perciò era inevitabile che la prova si svolgesse sotto l'acqua, anche il semplice fatto che questa melodia fosse un urlo sulla terra e un dolce suono in acqua, confermava la mia teoria.
La seconda strofa parlava di un qualcosa preso e che ha me mancherà. Quindi un oggetto di mia proprietà. E, per riaverlo indietro, avevo una misera ora per cercarla. Il Lago era vasto, era un'impresa impossibile riuscire a setacciarlo tutto senza finire uccisi dalle creature marine. Se non avessimo ritrovato l'oggetto, lo avremmo perso per sempre.
Sperai con tutto il cuore che questo tesoro fosse qualcosa di facile da trovare e anche se lo avessi perso non me ne sarebbe importato nulla. Ora l'unica cosa per cui dovevo essere in ansia era riuscire a trovare qualcosa per sopravvivere un'ora priva di ossigeno.

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chi sarà il tesoro della nostra Eithel?

sta sbagliando a trattare così i suoi wmici?

cosa sono queste ombre di cui tanto parla?

pubblicazione:
-lunedì
-mercoledì
-venerdì

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