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In Lack'ech

Seconda parte

Mentre recito la filastrocca così come lui me l'ha insegnata, non posso evitare di soffermarmi sul sadismo insito nelle parole che mi ha consegnato.

Si è preso la briga di spiegarmi che non le ha scelte a caso e che, perché abbiano effetto, devono rispettare regole antiche che hanno a che fare col suono, la fonetica, l'intenzionalità e altri concetti che non credo di aver afferrato bene.

La rima no, ha tenuto a sottolineare che si è trattato di un suo vezzo.

Poi c'è il rituale.

Mi ha spiegato che, per possedere un corpo abitato, devi studiarne i movimenti, devi essere capace di ripetere i gesti nei minimi dettagli.

È una danza macabra che permette a due anime di vibrare all'unisono.

Nel tempo impiegato per stringere il nostro accordo, ha ribadito che avrei avuto un'unica possibilità e che qualsiasi errore avrebbe reso vano il mio sacrificio.

Comincio dal mettere i piedi dentro ai suoi. Cerco di allineare le braccia alle sue ma mi risulta difficile perché ha braccia lunghe ed è molto più alto di me.

Prima che il suo rituale abbia inizio e affinché il mio abbia successo, provo a calibrarmi seguendo il movimento della mano destra che passa sotto al sensore del rubinetto, per far uscire il getto d'acqua.

Seguo i gesti che gli ho visto ripetere per ben due volte questa notte, so di potercela fare.

Mano destra su mano destra, mano sinistra su mano sinistra. Le sue mani si strofinano tra esse e così le mie. Mi sento la protagonista di una poesia di Lorca.

Mentre sfreghiamo i pugni fra loro avverto una vibrazione, sono sicura che la stia provando anche lui.

Ora le nostre dita si intrecciano nel gesto tipico di chi implora e mi preparo mentalmente all'ultimo passaggio.

Che non arriva.

Perché non va avanti? Perché non ha rispettato il copione? Oddio è finita. Inutile, è stato tutto inutile, sono morta senza una ragione. Non lo rivedrò più, i miei genitori non lo rivedranno più e io ho solo aggiunto dolore ad altro dolore.

Mi viene da piangere e istintivamente porto una mano agli occhi per asciugarmi le lacrime e allora capisco.

Io sto piangendo.

Sono io ad aver portato le sue mani al volto. Ce l'ho fatta e mentre piango, ora sorrido. E mentre sorrido mi guardo allo specchio. E mentre piango e sorrido e mi guardo allo specchio, vedo il suo volto che piange e sorride e che si guarda allo specchio e questo mi fa sentire davvero una merda.

Cosa sto facendo? Nel momento più spaventoso della sua esistenza, gli sto praticamente ridendo in faccia.

Vengo pervasa da un senso di pudore, non riesco a immaginare come debba sentirsi mentre una sconosciuta usurpa il suo tempio. Non te lo meriti, ma non me lo meritavo neppure io, tantomeno mio fratello o i miei genitori.

È uno schifo, lo so, prendiamoci un momento.

Porto le mani al volto e concedo a entrambi un attimo di tregua, per piangere, per sorridere, per maledirmi. Quando scosto le mani dagli occhi, tu sei tornato con la delicatezza di una fiammella. Qui non è solo il tuo corpo, ci sono le tue emozioni, i tuoi pensieri, i ricordi.

Sono stata un'ingenua, dovevo arrivarci: tu sai chi è lui. Nel tuo passato vedo gli occhi di un bambino spaventato e scorgo nel loro riflesso un volto deforme e inumano. Era stata una notte pazzesca per un ragazzino come te, cresciuto nella solitudine di questa casa. "Il figlio del becchino", quello che a scuola veniva accolto con un gesto scaramantico da coetanei crudeli che non perdevano occasione per ferirlo.

Quella sera invece era tutto perfetto, non potevi credere di essere stato invitato a una festa di compleanno.

Quando hai capito che per una volta facevi parte di qualcosa e che non eri lì per essere deriso, ti veniva quasi da piangere. E lo hai fatto, quando é successo qualcosa di buffo e in quella stanza eravate tutti piegati in due per le risate; mentre le ragazze piangevano dal ridere le tue lacrime avevano un sapore diverso.

Poi è arrivato lui. Quella maledetta filastrocca tramandata dai tempi dei nostri nonni, l'avete recitata anche voi! La stessa che mi ha rovinato la vita, la sera in cui il Signor Chi si è portato via mio fratello.

Inizio a tremare, il tuo corpo inizia a tremare, non capisco più se sono io o sei tu. Forse abbiamo paura entrambi perché tu sai cosa ci aspetta mentre io l'ho appena scoperto.

Ma non posso tirarmi in dietro.

Comincio a sentire la tua voce, mi sorprende che tu non cerchi di farmi desistere mentre mi incammino verso le scale che portano al piano superiore, verso l'uscita. Nel farlo passo necessariamente vicino al mio corpo e per la prima volta sento una tua intenzione; non senza un minimo di titubanza, decido di lasciarti fare.

Hai preso il lenzuolo e lo hai riposto dolcemente coprendomi nuovamente il volto. Poi ti sei piegato e hai baciato il lenzuolo, all'altezza della mia fronte. Ora è il mio turno di cedere al dolore.

Nonostante ti stia per condurre al più spiacevole dei rendez-vous, con quel gesto vuoi consolarmi.

Capisco che anche tu hai visto la mia storia e provato il mio stesso sconforto; a quanto pare, agli abitanti di questo corpo non è permesso custodire alcun segreto.

É a questo punto che mi viene in mente.

Lo penso, non lo dico, perchè ho timore di pronunciare qualcosa con una voce che non è la mia.

In Lack'ech.

Ti saluto così, come ho imparato due mesi prima di morire, mentre annoiata ascoltavo l'insegnante di storia parlare dei Maya, e io mi innamoravo del suono di quella parola e del suo significato profondo.

Io sono un altro te stesso.

Per loro non era un semplice saluto, era riconoscere nell'altro un estensione di se stessi, una manifestazione diversa generata da una fonte comune, in cui tutto converge.

Sai, avrei voluto essere con voi quella sera di venti anni fa, essere tra quelle ragazzine che ti hanno fatto ridere e che ti hanno regalato il giorno più bello della tua vita, e invece ti porto con me, consegnandoti in dono a quella bestia.

Nonostante questo non fai niente per impedirmelo e io non ti chiedo spiegazioni perché qui, ora, siamo la stessa persona.

Sei fuoco vivo e le tue fiamme possono ardere ancora, ma hai deciso di non farlo.

Perché una stupida falena ti sta danzando attorno e tu, semplicemente, non vuoi bruciarle le ali.

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