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Capitolo 9

In questo capitolo una scena in particolare (contrassegnata da questo simbolo:⚠️), potrebbe urtare la vostra sensibilità.

‼️TW‼️
- Disturbi legati all'ansia
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«Buongiorno.» Pronuncio, varcando l'ingresso della mensa, riuscendo finalmente a scorgere Jane dopo una giornata intera in cui si è volatilizzata.

Lei non mi risponde, continuando a camminare, con i libri in una mano e un caffè nell'altra. Mi fermo, al centro della stanza, per poi dirigermi al tavolo dove vedo seduto Matthew.

«Ehi Matt.»

«Ciao Ele, siediti.»

Faccio come dice, posando lo zaino sul tavolo di fronte a me, non era particolarmente pesante: non ho dovuto portare alcun manuale, solo gli appunti per ripetere tra un'ora e l'altra per i vari test. «Per caso hai parlato con Jane oggi?» Gli chiedo.

Nel frattempo la vedo rientrare nella sala, per poi sedersi al tavolo con Iris e le altre.

«Si perché?» Mi risponde, masticando l'insalata.

La osservo da lontano.

«Non so... mi ha evitato per tutta la mattina.»

«A me è sembrata normale, in realtà.»

Mi piaceva parlare con Matthew, diceva ciò che pensava sul serio, era sincero e schietto al punto giusto.

«Vabbè... quando sei libero per continuare il progetto di storia?» Cambio discorso.

Dopo aver pronunciato queste parole si avvicina Andrew, con il suo vassoio anch'esso carico di insalata e carote.

«Mi sembra di essere circondata da erbivori.» Li canzono, e a rispondermi è Matt: «Eh beh tesoro, la partita non si gioca da sola!»

Nel frattempo Andrew si siede accanto a me lanciandomi un sorriso, prima di buttarsi a capofitto nel suo pasto. Inforca la carota portandosela alle labbra umide, dopodiché apre una bustina e riversa il contenuto giallastro sull'insalata. Una gocciolina di olio gli pende dal labbro e afferra un tovagliolo per pulirsi.

Terra chiama Eleanor, stavi parlando con Matthew! Gli do le spalle per impedirmi di fissarlo.

«...Come?» Mi giro di scatto verso Matthew.

«Dicevamo... di vederci per storia.» Mi ricorda mentre alza il sopracciglio, confuso.

«Ah si si, ti stavo ascoltando.» Mento. Ma a chi la voglio dare a bere?

«Non posso in questi giorni, ho gli allenamenti tutto il pomeriggio per la partita, se vuoi però mi faccio dare un permesso dal coach... Anzi no, che ne dici di venerdì?»

«Venerdì è il compleanno di mia sorella, non ci sono.»

I nostri impegni non si univano minimamente, e ogni volta dovevamo fare i salti mortali.

«Tranquilla. Vediamo se riusciamo a fare settimana prossima allora.» Mi assicura lui.

«Fare cosa?» Si include Andrew, guardandomi fitto mentre forza il tappo della bottiglietta d'acqua.

«Il progetto di storia.»

«Devo aiutare?»

Aiutare?

«Di cosa parli?» Mi scappa un risolino nervoso.

«...Parlo del fatto che mi avete chiesto di affiancarvi; avete già bisogno di aiuto o per ora tutto apposto?»

Ritorno sulla terra, definitivamente. Non so che mi sia preso per un attimo.

«Ah...ehm, no. Tranquillo.» Balbetto imbarazzata.

Lui sorride, notando la mia agitazione, e voglio sprofondare.

«Ma fai sul serio?» La voce acuta di Jane mi riscuote dalla conversazione, mi volto a guardarla.

«Finalmente! Ti stavo cercando, è da stamattina che mi eviti, è successo qualcosa?»

Mi alzo dalla sedia per andarle incontro, ma lei si scansa allontanandosi di qualche passo da me.

«Ci sei o ci fai?» Incrocia le braccia e in quel momento mi accorgo del suo tono nervoso.

«In che senso?» Sono confusa.

«Non ho parole, davvero! Mi sarei potuta aspettare tutto, tutto da te, ma non questo. Dopo ciò che hai passato non avrei mai immaginato che ne saresti stata capace, all'inizio neanche volevo crederci. Ma cazzo!» Indica il nostro tavolo e mi guarda schifata, mentre Iris si rivela da dietro le sue spalle, altrettanto offesa.

«Ma di cosa stai parlando?» Non riesco a capire.

Cerco di avvicinarmi ma si allontana nuovamente.

«Andiamo a parlare in privato?» Continuo.

Non mi piace come si sta ribaltando la situazione.

Tutti i presenti lasciano il cibo sul tavolo, avvicinandosi curiosi. Lei mi ignora, incurvando le labbra in modo inquietante.

«Si può sapere che ti prende?» Riprovo, poi finalmente schiude le labbra per parlare.

«Mi prende che sei diventata la persona che fino a qualche mese fa odiavi!»

«Se devi stare qua a parlare almeno fallo chiaramente!»

Forse non avrei dovuto dirlo.

Le altre ragazze che erano al loro tavolo si aggregano, mettendosi alle spalle di Jane e Iris.

Matthew si alza, per dimostrarmi che non sono sola, ma rimanendo leggermente distante per non mettersi in mezzo alla discussione; la stessa cosa fa Andrew, dall'altro lato.

«Hai avuto le palle di negare per tutto questo tempo. Quando Iris parlava di lui ti mostravi anche interessata, invece non vedevi l'ora di tornare a casa per affacciarti dalla tua finestra... o mi sbaglio?»

Sento il cuore andare in frantumi, le dita pizzicare. Le lacrime lottano per uscire dai miei occhi, ma non glielo permetto, non ancora. Solo lui lo sapeva... solo Eric.

Ho la prova che sta parlando di Andrew, nonostante lo avessi già intuito, quando saetta lo sguardo su di lui che nel frattempo si è spostato alle mie spalle, avvicinandosi.

«Jane... non ho fatto niente di male, e lo sai.»

La prego con lo sguardo, cercando di farle capire di tagliare il discorso qui. Mi trema la voce.

«Le bugie hanno le gambe corte, falsa che non sei altro!» Iris mi sputa addosso tutto l'odio che ha riservato apposta per me da tempo.

Le bugie hanno le gambe corte come le avrà Eric non appena lo vedrò.

«Perché fai parlare Jane, se il problema con me lo hai tu?» Mi esce spontaneo.

«Sono io che ho voluto parlare.» Pronuncia Jane, a bassa voce. Una lacrima mi riga la guancia, avendo la meglio sul mio autocontrollo. Sapevo che prima o poi sarebbe successo, ma sembra che il destino voglia che io sia sempre messa in imbarazzo davanti ad un pubblico... e in questo caso anche abbastanza numeroso.

«Oh no! Non piangere. Non devi farti mettere i piedi in testa, ricordi?» Continua Iris.

Guardo Jane, sperando che le dica qualcosa, che la blocchi, ma in lei non vedo più la mia amica di sempre, non lo è più.

Questo pensiero, più degli altri, mi fa male.

Gonfio il petto, sperando che quanta più aria possibile mi entri nei polmoni prima di perdere completamente la forza. Vorrei ribattere, non voglio essere trattata così, ma non ci riesco. Sento centinaia di sguardi curiosi addosso e riesco a fare attenzione solo a quello di Jane, che mi fa sentire orribile.

Un piccolo singhiozzo mi smuove la gabbia toracica.

«Non ti avvicinare mai più a me.» Mi intima Iris, ma a me non importa lei, non quanto Jane.

«Jane...» Richiamo la sua attenzione, sperando che metta fine a questo teatrino, ma non succede.

«Mi dispiace, questo è fin troppo pure per me. Avevi detto che non eri il tipo da rubare i ragazzi delle altre ma sembra che per tutto questo tempo tu abbia fatto solo questo. Mi dispiace ma ho perso la fiducia in te.»

Queste parole agiscono come una pugnalata nel cuore.

«Io non ho fatto nulla. Non ho rubato il ragazzo a nessuno, ho solo... solo, i-io...»

Riesco a dire solo questo, prima di rendermi conto che le loro parole sono vere. Non avrei dovuto dargli attenzioni, non lo avrei dovuto fare sapendo che quelle attenzioni le avrebbe dovute riservare a Iris, che quelle attenzioni erano già desiderate da un'altra persona. Sono stata la "Vivian" della situazione, e in quel momento guardo Iris negli occhi riconoscendo la me dell'anno scorso, e mi sento una persona di merda.

Sento la presenza di Andrew dietro di me e per un attimo ne sono rassicurata. «Ora basta.» La sua voce calda e graffiante irrompe nella discussione. Vedo Iris afferrare il braccio di Jane, tirandola indietro, e improvvisamente si incurva, facendosi piccola piccola, con un atteggiamento totalmente diverso rispetto a pochi secondi prima.

«Ti fai difendere? Sei caduta così in basso?» Prende di nuovo la parola Jane, notando le difficoltà dell'amica.

Faccio per parlare ma Andrew mi posa entrambe le mani sulle braccia, sono calde e a quel contatto la mia pelle divampa. Sento il caldo dei suoi polpastrelli confuso con il freddo gelido dei suoi anelli. Per un attimo abbasso le palpebre, bagnando le mie guance con tutte le lacrime incastrate tra le mie ciglia.

«State esagerando.»

Risponde lui per me.

Perché lo fa? E' tutta colpa mia.

«Perché ti metti in mezzo Andrew? I tuoi genitori non ti hanno insegnato a farti da parte?»

A quelle parole apro gli occhi di scatto, sento i muscoli di Andrew irrigidirsi, e le mani mi stringono le braccia leggermente più forte.

«...Non ti scoccia dopo un po' sentirti sempre sul piedistallo, sempre al centro dell'attenzione?» Continua lei, non conoscendo il grave peso di quelle parole per Andrew, non sapendo di aver toccato un tasto dolente.

«E a te non dispiace vedere la tua migliore amica piangere non per qualcosa che ha fatto, ma solo perché le fanno male le tue parole?»

Come ha fatto a capirlo?

Lei mi osserva, indugiando sul mio viso rigato dalle lacrime.

«Non è certo colpa sua se un ragazzo ha dato attenzione a lei, piuttosto che alla sua amica.» Continua lui, facendo un cenno ad Iris, ormai nascosta dietro le altre ragazze. Lo sento innervosirsi, mi spinge contro il suo petto, come per assicurarmi ancora la sua presenza.

«Si ma lei, in quanto sua amica, avrebbe dovuto stare alla larga da questo ragazzo, o quantomeno essere sincera.» Jane non fa il suo nome, mi degna almeno del favore di non far comparire la mia faccia nella sezione scandalo del giorno del giornalino scolastico. Anche se ho l'impressione di essermi guadagnata quel posto già dall'inizio della discussione.

«No, in quel caso sarebbe stata solo scorretta con il ragazzo. Non ha fatto nulla di male.»

Perché continua a difendermi?

«...Piuttosto» Riprende a parlare, rivolgendo l'attenzione su Iris. «Questa amica dovrebbe almeno stare ad ascoltare le sue ragioni, invece di accusarla e basta.»

«E andiamo, quali sono le tue ragioni, eh?» Iris si rivolge a me, preso coraggio dalla situazione a suo netto vantaggio.

Prendo anche io coraggio dalla stretta di Andrew.

«Io volevo solo non essere maleducata: rispondere a dei messaggi non è un reato, e non mi sembra di aver fatto nulla che andasse oltre. Anzi, ho cercato di mantenermi il più distante possibile così da non creare problemi. Ti chiedo scusa se non te l'ho detto, ma per il resto...» Scrollo le spalle.

Iris avvicina il suo viso al mio, sento il suo respiro pesante gravare su di me. «Tutte cazzate.» Sibila a denti stretti, prima di afferrare lo zaino e correre via.

Jane la guarda allontanarsi, indecisa se seguirla o meno. Tutte le ragazze recuperano le loro cose per andare sui suoi passi, mentre lei rimane lì, a fissarmi.

«Cosa vuoi Ele?» Pronuncia.

«Cosa... voglio?» Cosa intende?

«Vuoi lui?» Abbassa il viso, quasi spaventata dalle sue stesse parole.

«Io...io non ci posso credere.» Sbotto.

«Senti, tu mi hai portato a pensare queste cose.» Si difende, alzando i palmi verso l'alto.

«No, non esiste! Dovevi venire a parlare con me, chiedermi spiegazioni e anche urlarmi addosso, se era davvero ciò che ritenevi opportuno; invece che evitarmi per tutta la giornata e poi mettermi in ridicolo davanti a tutti! Fai sempre le stesse cose, ti allontani da me e ritorni, è un tira e molla continuo e io sono stanca.» Quando finisco sento il sangue ribollire nelle vene, sento un fuoco diradarsi dall'interno, e mi rendo conto di essermi staccata dalla presa di Andrew. Sono a un millimetro dal viso di Jane, che non smette di fissarmi e agitare i ricci, scuotendo la testa.

«Cioè non ho capito... ora sei tu che fai la morale a me? Proprio tu parli di morale adesso...» Ribatte.

«Cosa ti ho fatto? Dimmelo.»

«Cosa mi hai fatto? Mi hai mentito Ele, hai mentito all'unica persona a cui non avresti dovuto mentire.»

«Perché ti ho "mentito" te lo sei chiesta?», mimo le virgolette con le dita. «Se te l'avessi detto non ci avresti pensato due volte a spifferarlo ai quattro venti come tutto il resto. Saresti corsa da Iris per dirglielo.»

«Come avresti dovuto fare tu.»

Perdo la pazienza. «Oh andiamo! Allora dimmi per filo e per segno come mi sarei dovuta comportare, così me lo appunto.»

«Pensi davvero che non lo farò? Al primo messaggio che ricevevi dovevi dirlo ad Iris, senza neanche rispondere. Non dovevi rispondere alle provocazioni, ai complimenti, a nient'altro. Dovevi solo ignorarlo, e fare ciò che avrebbe fatto qualunque altra persona con un minimo di buon senso.»

Sento la testa scoppiare, serro i pugni.

«E dimmi, avrei dovuto anche trasferirmi?»

Mi esce naturale, non riesco a contenerla.

«Non essere stupida! Sai che non intendo questo...»

«E allora cosa, non fa parte anche questo dell'ignorare?» Lei non risponde, e io mi sento fischiare le orecchie.

«Io non ho fatto nulla di male Jane.»

«Non puoi negarlo... sei stata uguale a lei.» Sussurra, anche se nella mia testa mi ricorda un urlo disperato. Non voglio credere alle parole che ho sentito, i miei pugni serrati si distendono e per un attimo la mia testa vortica.

Afferro lo zaino dal tavolo dietro di me, notando che Andrew mi guarda dispiaciuto. Sento mancarmi il respiro, le gambe cedere sotto al mio peso. Ogni secondo che passa provo le stesse sensazioni dell'ultima volta, una dopo l'altra.

E' un ciclo che si ripete.

⚠️

La mia schiena si graffia scivolando a contatto con il muro, cerco di guardare in alto, per frenare la nausea, ma è sempre più forte. Le parole della sua nuova ragazza si ripetono di continuo nella mia mente: "Forse da domani evita di stare addosso alla gente e vedi che scelgono te". Ma io non posso allontanarmi da lui, nonostante tutto io lo amo. Io non voglio essere una seconda scelta. Lo sono stata davvero? 

Non ho mangiato niente per tutto il giorno. Le tempie mi pulsano, la mia pelle va a fuoco. Afferro la tavoletta del water, cercando di aggrapparmi a qualcosa. Vedo tutto nero quando i miei sensi si diradano e percepisco tutto il mio dolore riversarsi fuori dalla mia gola, che brucia a quel contatto. Riapro gli occhi, premendo lo scarico con lo sguardo chino su quel liquido giallastro e la fronte madida di sudore.

Se non ho mangiato nulla perché sto vomitando? Non smetto di singhiozzare, non riesco a respirare. Poggio la testa al muro ma ricomincia, più forte di prima.

⚠️

Mi sento accapponare le viscere.

Lo stomaco si contorce su se stesso.

Guardo in basso per un attimo ma rialzo subito lo sguardo.

Mi viene da vomitare. Devo uscire da qui.

Jane si rende conto della gravità di ciò che ha appena detto, del significato di quelle parole per me, dei ricordi che mi suscitano in questo momento. Lo leggo nei suoi occhi. Allunga le braccia verso di me. Cerca di afferrarmi quando sto per uscire dalla sala pranzo.

Leggo il terrore e il senso di colpa nei suoi occhi, ma sto troppo male per reagire.

«Scusa Ele. Non volevo. Ho sbagliato, non avrei dovuto dirti queste cose...» Continua a parlare ma la nausea mi fa perdere la concentrazione, il respiro accelera.

Butto tutto il mio peso sulla maniglia della porta, sentendo l'aria fresca entrarmi a pieno nelle narici. Chiudo gli occhi concentrandomi sul calore del sole che sento sul viso e sull'aria che domina i miei capelli lunghi.

«Eleanor...» Mi sento chiamare da una voce a dir poco familiare. Quando riapro gli occhi Eric è davanti a me, a pochi passi. Tiene tra le braccia la mia felpa e sorride.

Sorride?

«Non ci posso credere. Che giornata di merda.» Sbotto.

«Ti ho portato la felpa.»

«Ti avevo detto chiaramente di tenertela.»

Cerco di mantenere la calma, ma non mi è possibile.

«Sono venuto per chiarire la lite dell'altro giorno.» Dopo queste parole ci vuole poco prima che io e la calma ci separiamo di nuovo, come se non ci fossimo mai ricongiunte.

Procedo verso di lui a passi veloci, quando mi trovo lì davanti il mio corpo prende il sopravvento sulla mia mente e, senza pensarci, gli tiro uno schiaffo.

Non lo avevo mai fatto prima d'ora.

Lui si mette una mano sulla guancia, tenendo la bocca aperta.

«Ma che cazzo...»

«Come ti sei permesso?»

La rabbia lascia il controllo alla tristezza, e le lacrime mi annebbiano la vista.

«Ne ho abbastanza di te. Non fai altro che distruggermi, volta dopo volta. Stavolta hai esagerato, davvero.»

«Senti...» 

Non lo lascio parlare. «No. Non sento niente che esce da quella tua bocca del cazzo. Mi hai stancata!» Corro via, nel sentiero che porta verso casa, ma lui mi raggiunge.

Mi blocca i polsi e la felpa cade a terra.

«Di cosa cazzo stai parlando?»

Si è agitato, lo sento dalla forza con la quale mi stringe.

«Hai detto a Jane di Andrew. Tutto ciò che hai letto dai messaggi glielo hai riferito. Qual era il tuo obiettivo... farmi litigare con lei? Beh, bravo. Ci sei riuscito, vanne fiero. Ora vattene.»

Cerco di dimenarmi dalla sua presa, ma non me lo lascia fare.

«Lasciati almeno spiegare, Dio!»

«Vai! Parla.» Lo intimo.

«Ho chiamato Jane perché voglio chiarire con te, il che è impossibile visto che non mi rispondi ai messaggi. Lei mi ha chiesto cosa fosse successo e io gli ho detto la verità. Non potevo immaginare che fosse un segreto o che tu gli avessi mentito. Pensavo che lei lo sapesse!»

Urla a un millimetro dal mio viso. La sua presa diventa troppo forte. 

«Lasciami andare.» Lui non lo fa.

«Ho solo provato a chiarire con te. Vedi tu se mi devo pure beccare gli schiaffi!»

«Si, te li meriti! Ti sono sempre stata accanto, nonostante continuassi a farmi male ogni giorno di più. Non mi rivolgere mai più la parola e adesso sparisci dalla mia vista.» Ricambio la sua stessa ira, cercando ancora di liberarmi i polsi.

«Non vado da nessuna parte. Non ho fatto nulla di proposito; mi dispiace di avervi fatto litigare, ma non per questo ora mi devi riversare l'odio di tutti questi anni.»

«Hai ragione, avrei dovuto farlo prima. Vai via!» Ripeto, furiosa.

«Fatti dare almeno la felpa.»

«Tienitela, è il tuo ultimo ricordo di me.»

«Smettila di fare così cazzo.»

«Mi fai male.» Sillabo, con i polsi ormai indolenziti.

«Lasciala.» Il suo timbro marcato si contraddistingue da qualunque altro. Eric mi lascia i polsi immediatamente, guardando la figura alle mie spalle.

«Oh perfetto. E' arrivata la guardia del corpo adesso.»

«Hai problemi a riguardo?» Andrew lo sovrasta, proteggendomi dietro le sue braccia possenti.

«Immagino tu sia il famoso Andrew...» Eric fa la figura del duro, ma non lo è. Il tremolio delle sue mani lo tradisce.

«Io sono quello che ti spaccherà la faccia se non sparisci.»

«Sai che c'è? Fanculo.»

Prende la felpa da terra, si gira e se ne va.

Alla fine se l'è tenuta davvero, come ultimo ricordo.

Le gambe mi cedono, dopo aver resistito per molto, e mi accovaccio a terra. Andrew mi segue, chinandosi a sua volta.

«Tutto apposto? Ti ha fatto male?»

Faccio di no con la testa, scossa da ciò che è appena successo, ma i polsi rossi dicono il contrario. Delicatamente prende quello destro, girandolo da ogni lato. Ha le mani ancora calde e il suo tocco mi provoca un brivido. Alzo il viso su di lui, percependo la sua preoccupazione. Inizia a farmi un massaggio, premendo delicatamente i polpastrelli sulla mia pelle fredda e indolenzita.

«Perché mi hai difeso?»

«Perché non avrei dovuto? Sei in questa situazione anche per colpa mia.»

«Potrebbero spargere la voce.»

«E a chi importa?» Mormora sicuro, rivolgendo finalmente l'attenzione sul mio viso, che sarà sicuramente rosso e paonazzo, incatenando i suoi occhi ai miei.

Nota il mio sguardo confuso.

«A me non importa di stare al centro dell'attenzione, non mi è mai importato, anzi...» Smette di parlare, quasi come se si fosse pentito di quella confessione. Si alza in piedi, e io raccolgo le forze e faccio lo stesso.

«Anzi... cosa?» Gli chiedo. Lui ignora la mia domanda.

Avvicina il suo viso al mio, senza abbandonare i miei occhi. «Te lo hanno mai detto che i tuoi occhi sono meravigliosi?»

Sento le ginocchia tremare nuovamente, ma stavolta per un altro motivo, non per la paura.

«Si, tu. Più di una volta. Te ne sei dimenticato, per caso?»

Lascio cadere lo sguardo sulle sue labbra. Le piega in un dolce sorriso, avanzando verso di me. Ingoio il groppo che mi sento in gola. Faccio qualche passo indietro, sbattendo contro un albero. Andrew mi fa ombra dai raggi del sole e sento il suo respiro mescolarsi al mio. Sento uno sfarfallio nella pancia e il cuore battere più forte. Che mi sta succedendo? Schiudo le labbra, inumidendole, scorgo i suoi occhi seguire quel movimento, per poi avvicinarsi maggiormente. Poggia una mano sull'arbusto, rinchiudendomi in quello spazio stretto tra le sue braccia e il suo petto, inchiodata ai suoi occhi color nocciola e le sue labbra, che sento quasi sulle mie.

Mi sento di dover chiudere gli occhi, quindi lo faccio.

In lontananza sento Matthew chiamarlo a gran voce. Lui sospira.

Stava per baciarmi e io glielo stavo lasciando fare?

«Sarà meglio se ci vai a mettere un po' di ghiaccio sui polsi.» Sillaba, sfiorandomi le labbra prima di allontanarsi di colpo e andare via. Lasciandomi lì, con il respiro irregolare e il cuore irrequieto.

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