Capitolo 4
Il vento mi disordina i pensieri, mentre osservo il mondo dalla finestra della mia camera. Tutto da qui ha una prospettiva diversa: i cipressi che contornano il lago, gli alberelli che segnalano la presenza del parco, la pista da skate che si può intravedere. Sembra di essere in cima al mondo. Piccolo, ma un mondo. Le lacrime mi rigano le guance, non riesco a smettere di pensare a ciò che è successo. Per quanto io continui a provarci qualcosa sarà sempre sbagliato, per quanto io cerchi di fare sempre la cosa giusta. Mi viene detto "prenditela di meno", almeno una volta ogni giorno, ma quando lo faccio mi viene detto che sbaglio, perché facendo così mi faccio mettere i piedi in testa. Mi sento dire di pensare di più al mio benessere, di non ascoltare le cose che mi feriscono, di non dare il mondo agli altri senza tenere qualcosa per me, ma poi mi viene data dell'egoista quando per un po' penso a me stessa e alla mia felicità. Non sono una persona equilibrata, non lo sono mai stata, ho voci nella testa che mi sussurrano sempre di essere sbagliata, di fare troppo o di non aver fatto abbastanza. Tutto ciò che faccio, in un modo o nell'altro, deve essere aggiustato, perché sbagliato. Ma perché?
Perché deve essere così difficile poter vivere serenamente?
Perché ogni giorno mi viene messa davanti la prova schiacciante che non sono una bella persona? Perché ogni giorno mi viene detto di cambiare qualcosa di me, che sia dentro o fuori? Perché per essere felici noi umani dobbiamo sempre fare modifiche, rivoluzionare, cambiare qualcosa?
Perché non possiamo semplicemente accettare ciò che abbiamo, provando solo a migliorarlo, senza alterarne l'origine? Perché l'universo si prende libertà di cambiare situazioni e persone a suo piacimento? Perché a volte si diverte a vederti soffrire, a vederti domandare allo specchio: "Ma perché è successo proprio a me"?
Sento bussare alla porta, mi asciugo gli occhi di fretta, controllando che non si sia sbavato il mascara, e vado ad aprire, è Helena.
La mia sorellina indossa il grembiule rosa con il colletto bianco, sullo zaino alle sue spalle ha disegnate le winx e, dietro di lei, Goldy scodinzola contento.
«Ella guarda le mie scarpe!» mi chiama così da quando è riuscita a dire le sue prime parole. E' un nomignolo che mi è rimasto nel cuore. Chino il capo e osservo gli stivaletti neri, con le solette che si illuminano non appena sbatte il piede a terra, «Sono bellissime! Quando le avete comprate?» le chiedo, sedendomi a terra davanti a lei.
Lei col suo meraviglioso sorriso fa un girotondo su se stessa, facendo svolazzare i suoi lunghissimi capelli castano chiaro, tenuti fermi sul davanti da un cerchietto.
«Li ha portati papà adesso, sono bellissimi non hai visto?»
«Si, sono bellissimi.» sorrido, dandole un buffetto sulla guancia. Accarezzo anche Goldy, che da tempo mi leccava la mano. «Li hai fatti i compitini per domani?» chiedo dolce a Helena.
«In realtà...mi manca matematica. Non so fare la sottrazione...» dice quasi a vergognarsi, col muso lungo.
«E perché questo musetto?» le prendo la piccola manina, che si era nascosta nella tasca del grembiule.
«Tutti i miei compagni oggi le sapevano fare, e io non riuscivo...» mormora triste.
«Non essere triste, ti aiuto io. Facciamo una bella passeggiata con Goldy, che ne dici? Poi torniamo a casa e le facciamo insieme» propongo col sorriso.
Solo lei, solo Helena, con la sua dolcezza infinita e il suo sorriso grande come poche cose al mondo, riesce a far scomparire ogni mio più piccolo problema e ansia. Solo lei.
Allarga le braccia dandomi un bacio sulla guancia e annuisce contenta. «Posso tenere gli stivaletti?»
«Certo che puoi!» Metto il guinzaglio a Goldy e aspetto che tolga il grembiule e lo zaino, prima di afferrarle la piccola mano e uscire di casa.
↭
«Lena!» la chiamo dolcemente a me. Lei si avvicina saltellando su due piedi, felice di star passando una giornata così bella nella sua semplicità. A volte mi sento una bambina anche io e mi ci rivedo. Le mostro quattro fiorellini, tutti gialli, e glieli porgo. Lei li prende.
«Quanti sono?» chiedo.
«Quattro» mormora, dopo averli contati uno per uno.
«Bravissima. Però questo ora lo prendo e te lo metto qui» ne sfilo via uno dal mazzetto nella sua mano, infilandoglielo tra i capelli, all'angolo dell'orecchio. «Ora quanti te ne sono rimasti?»
Conta di nuovo con le piccole dita i fiori che ha in mano, «Tre. Ora sono tre.»
«E perché sono di meno?»
«Perché ne hai tolto uno...Hai fatto la sottrazione!» allarga le labbra in un sorriso quando realizza di essere riuscita a capirlo. Le prendo il fiore dai capelli mettendoglielo nel mazzo, ma subito dopo ne tolgo due e li nascondo dietro la mia schiena. «Ora sono due» dice sicura, «Perché ne hai tolti due.» continua.
«Ora prova tu» prendo tutti i fiorellini e li tengo in mano aspettando una sua mossa. Lei mi guarda insicura.
«Siamo solo io e te» la rassicuro.
Lei ne prende tre eliminandoli dalla sua vista.
«Ora è uno, perché ne ho tolti tre...» sorride.
«E dimmi, che operazione hai fatto?» la incito.
«Quattro, meno... tre» mormora infine.
La stringo in un abbraccio, sollevandola da terra e riempiendola di baci sulle sue guance morbide.
«Grazie sorellona. Ti voglio bene!» mi sussurra nell'orecchio, e io stringo di più la presa, perdendomi nella sua dolcezza.
Una volta tornata a casa, dopo aver fatto una doccia e messo in ordine la mia camera, mi sento più libera, se non che... bussano alla porta.
Mi precipito giù dalle scale e la apro, senza neanche vedere chi sia, e me ne pento subito dopo. E' Jane.
Tiene in mano una busta di caramelle Haribo, gli orsetti, i miei preferiti. «Non ho bisogno della tua compassione» borbotto.
«Sono venuta qui per chiederti scusa...» mormora a bassa voce. Socchiudo la porta dietro di me, decidendo di rimanere con lei fuori qualche minuto, almeno per sentire ciò che ha da dire. «Mi sono resa conto di aver esagerato e, soprattutto, di aver creato un teatrino inutile. Capisco le tue ragioni e capisco anche il tuo ragionamento riguardo Iris. E' una ragazza particolare, ma ha le sue motivazioni, come tutti quanti. Ha reagito così perché... ha l'epilessia. Quella palla in testa le avrebbe potuto davvero fare male, e si è agitata. Tu hai ragione quando dici che poteva avere una reazione meno esagerata, ma lo ha fatto perché ha avuto paura per un attimo, e si è agitata. In quel momento aveva solo bisogno di qualcuno che le dicesse che fosse tutto apposto.»
Rimango sconvolta dalle parole che escono dalla bocca di Jane, non me lo potevo minimamente immaginare e mi sento leggermente in colpa adesso, a saperlo. Anche perché lei non si è confidata con me ed è brutto che sia l'unico motivo per farmi capire la sua reazione e porre fine al litigio.
«Non lo sapevo, se solo l'avessi saputo io...»
«Non potevi saperlo, non è colpa tua» continua, «Ho sbagliato anche a dirti di Eric, sai che non lo penso, ero solo... incazzata.»
«Apprezzo che tu me lo sia venuta a dire. Spero tu sappia che rubare il ragazzo a una mia amica non sia nelle mie corde. Andrew può essere anche il ragazzo più bello della scuola, e non nego che lo sia, oggettivamente, ma anche se mi fa male dirlo nel mio cuore adesso c'è Eric...» ammetto.
Lei mi guarda amareggiata.
«Lo so che non è nelle tue corde, ma non puoi negare tutti gli sguardi che lui ti lancia, sembra volerti sbranare. Iris lo ha notato e ormai non riesce a farne a meno.»
«Io... l'ho notato oggi. Ma non pensavo fosse già successo...» confesso sinceramente.
«Come hai fatto a non rendertene conto? Ti guarda come nei film il ragazzo guarda la protagonista con cui è destinato a stare per la vita intera. Come in tutti i film d'amore che tu ami guardare e i romanzi che ami leggere. Ti guarda come se fossi un sogno ad occhi aperti. Compreso oggi in palestra, in ogni momento.»
«Ma che dici!»
«Te lo assicuro, l'ho visto con i miei occhi. Io voglio solo dirti che sarebbe facile cadere in tentazione, soprattutto ora che sei in questa situazione particolare con Eric, solo... non farlo. Non adesso. Sappiamo entrambe che arriverà il giorno in cui Iris si stancherà anche di lui, perché ne troverà uno più bello, tu fino a quel momento evita.»
«Io...» provo a rispondere.
«Non dire niente.» mi rassicura.
Mi chiude in un abbraccio e si allontana, mimando un cuore con le mani. Chiudo la porta, e pensierosa salgo in camera e mi infilo nelle coperte, senza neanche cenare. Pochi minuti dopo lo schermo del cellulare si illumina.
Scorro tra le notifiche di WhatsApp.
Jane: Mi sono dimenticata di dirti: spero che le haribo siano di tuo gradimento. So quanto le ami! ;) Domani colazione al bar?
Rispondo, ma le notifiche non sono finite.
C'è un altro messaggio, è di Eric...
Eric: Ciao Ele, scusa l'ora. Volevo chiederti se domani ti andrebbe di uscire con lo skate! L'altro giorno hai dimenticato la felpa sulla panchina. Credo sia arrivata l'ora di restituirtela... :)
Porto il telefono al petto, sentendo un sussulto in ogni muscolo del mio corpo. Come posso mai uscire con lui e negare a me stessa ciò che provo, di nuovo?
Eleanor: Ciao, tranquillo! Nei prossimi giorni sono davvero tanto impegnata con la scuola, scusami.
Scusa banale ma efficace.
Eric: Va bene, tranquilla. Fammi sapere quando sei libera e ci sarò! ;)
"Si certo, credici" penso tra me e me.
Spengo il telefono, rimanendo al buio pesto, completamente da sola con me stessa e con il mio cuore spezzato, cercando di rimuginare le ferite che vengono riaperte ogni volta di più.
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