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Capitolo 25

Una parte di questo capitolo (contrassegnata da questo simbolo:⚠️), potrebbe urtare la vostra sensibilità.

‼️TW‼️

- Linguaggio esplicito
- Abuso
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Neanche il tempo di entrare in casa che la circondo in un abbraccio, lei senza allontanarsi si toglie le scarpe sfilando agilmente i piedi, per poi ricambiare quel mio gesto affettuoso e preoccupato e scoppiare in lacrime. La porto in camera facendola sedere sul letto e poso le mani sulle sue ginocchia, cercando di guardarla in viso e cercare di capire cosa fosse successo. Sembrava davvero scossa e non riuscivo proprio ad immaginare.

«Jane, ti prego dimmi cosa c'è che non va, mi stai facendo preoccupare.» Le alzo il viso, asciugandole le lacrime con il pollice e mettendole i capelli bagnati intrinsechi di sudore dietro le orecchie.

«È Jackson...», balbetta tra i singhiozzi.

Dovevo immaginarlo.

«Che ha fatto?»

L'ha rifiutata? Ha detto qualcosa che l'ha fatta rimanere evidentemente male? Cavolo, Jane parla!

E alla fine lo fa, parla, ma quello che dice non me lo sarei aspettata. Era un'idea che non avevo mai neanche contemplato, qualcosa che ancora non credevo potesse accadere, nella mia ingenuità da persona che lo stesso giorno aveva letteralmente dato il suo primo bacio, anche addirittura a stampo.

⚠️

«Jackson mi aveva detto di voler stare con me, ieri sera ci siamo baciati e lui sembrava serio, era serio, lo era per forza. Sono rimasta a dormire da Iris la scorsa notte, mi sono alzata per andare in bagno e me lo sono trovata davanti. Era notte fonda e io avevo voglia di stare con lui, mi ha portato in camera sua e siamo stati insieme, ma poi ha iniziato a toccarmi...» Il suo corpo viene scosso da singhiozzi ripetuti e io faccio un respiro profondo, accarezzandole la guancia mentre ricomincia a parlare - ...Gli ho detto che non mi sentivo pronta ma lui è andato avanti lo stesso, mi ha detto di fidarmi e io l'ho fatto. Mi sono fidata. Ele, non hai idea di quanto sia stato brutto, è stato orribile, ho sentito solo male e... bruciava, tutto il tempo.»

⚠️

I singhiozzi non la lasciavano un attimo, e a un certo punto non è riuscita più ad andare avanti, scossa dai fremiti del pianto. La abbraccio posandole la testa sul mio petto, come se un gesto così potesse cancellare la terribile esperienza che aveva vissuto.

Dopo un po' riesce ad avere la forza per continuare a spiegarmi, nonostante i singulti.

«Mi ero fidata di lui e, c-comunque era andata, l'avremmo superata col tempo. Anche se la mia prima volta non era stata come la sognavo me ne sarei fatta una ragione, p-prima o poi. Ma stamattina mi ha detto che non voleva stare con me. La sua ex gli aveva riscritto e i-io ero stata s-solo una "buona compagnia".»

Non riesco a credere alle mie orecchie.

«O mio Dio. Jane, smetti di pensarci, andrà tutto bene. Ora sfogati un altro po' e cerca di tranquillizzarti, ci sono io.» Cerco di cullarla mentre la accarezzo per farla calmare e passano pochi minuti prima che smetta di piangere e si addormenti tra le mie braccia. Poso la sua testa sul cuscino e chiudo le luci, per permetterle di dormire un po' e lasciare la mente libera da quei brutti pensieri per qualche ora. Scrivo a sua madre assicurandole che quella notte rimarrà da me, è già tardi e conciata com'è non credo sia una buona idea farla tornare a casa da sola, nel bel mezzo di una crisi isterica e un attacco di pianto interminabile.

Mi siedo a terra ai piedi del letto, sfruttando la luce dei lampioni che entra a squarcio dalla finestra. Non resisto alla tentazione di spiare alla finestra di fronte, e noto Andrew intento a leggere un libro, rivolto verso la finestra come ad aspettare di vedere qualcosa, o qualcuno. All'improvviso alza la testa e i nostri sguardi si incrociano, per una millesima frazione di secondo, prima che io possa rinsavire e sporgermi per chiudere le persiane, di fronte ai suoi occhi.

Mi dispiace Andrew, ma è arrivato il momento di accettare che probabilmente non eravamo destinati a stare insieme, io e te.

Il telefono vibra e per la prima volta dopo mesi non spero che sia stato lui a scrivermi, e leggendo il nome sullo schermo il mio sguardo si illumina.

Evan: Ehi, se non sbaglio ora sarebbe il tuo turno, ti va di fare qualcosa domani?

Eleanor: Magari potessi! Domani proprio non mi riesce. Devo fare un progetto e sono con Matt.

Evan: Ah giusto, me lo aveva accennato. Allora che ne dici di dopodomani?

Eleanor: Va bene, visto che è il mio turno scelgo che è arrivato il momento che tu mi faccia provare la tua moto...

Evan: Perfetto, non potrei essere più d'accordo, potrei avere un'idea esatta su dove andare. Preferisci Inverno o Estate?

Eleanor: Decisamente inverno!

Evan: Bene, immaginavo. Sono certo che ti piacerà.

Eleanor: Stupiscimi!

Gli invio la buonanotte e spengo il telefono, aspettando che Jane si svegli per dedicare tutto il mio tempo unicamente a lei, ora più che mai. Fa qualche lamento e si stiracchia più volte prima di svegliarsi completamente e rendersi conto di dove sia e soprattutto perché. Mi avvicino a lei stendendomi al suo fianco, rivolta a cercare il solito barlume di speranza nei suoi occhi, ma non c'era, non più dopo ciò che aveva passato. Col tempo sarebbe tornato sicuramente, ma non sarebbe stato qualcosa di istantaneo. Non potevo neanche minimamente immaginare come si sentisse, delusa e affranta soprattutto da se stessa, che aveva deciso di fidarsi nonostante il male che stesse provando. E alla fine per cosa, sentirsi dire che era una buona compagnia?

Mi avvolge un braccio attorno al collo e la accarezzo cercando di parlarle con gli occhi, non sarebbero servite parole, entrambe ora sapevamo ciò che era successo e nessuna frase sarebbe stata davvero di aiuto. Doveva solo elaborarlo, perché niente avrebbe potuto cambiarlo. Né io, né lei, né tantomeno Jackson.

Anzi, a lui serviva proprio un calcio nelle palle.

«Ele posso restare qui stanotte?», mi chiede con voce assonnata.

«L'avevo già dato per scontato.» Le sorrido cercando di infonderle coraggio e dimostrarle tutto il bene del mondo.

All'improvviso mi viene in mente che probabilmente non aveva mangiato niente. «Vuoi mangiare qualcosa?»

Mi guarda corrucciata e poi esprime un sorriso debole.

«Ehi non sono malata, non trattarmi come se avessi la febbre.»

Fortunatamente il suo umorismo c'era ancora, e questo non faceva che rincuorarmi.

Le do una tuta dall'armadio per farla mettere comoda e un dischetto di cotone imbevuto di struccante. Quando la vedo saltellare in giro per il corridoio, dopo che mia mamma aveva esclamato "volete un po' di pizza?", mi rincuoro.

La mia Jane c'è ancora. In quel momento realizzo di quanta paura stessi provando al pensiero che qualcosa me l'avesse portata via.

Scendiamo al piano di sotto sedendoci agli sgabelli della cucina, davanti agli avanzi della pizza, e la osservo mentre, affamata, trangugia anche i bordi. Mia madre è sempre riuscita a stabilire un buon rapporto di fiducia con tutte le mie amiche del tempo, ma con Jane è sempre stato diverso, più profondo. Si sente sempre libera di raccontare qualunque cosa della sua vita e, a dimostrazione di questo, anche quella sera non vedeva l'ora di parlarne con lei per ricevere qualche consiglio da una persona adulta che queste cose magari le aveva già vissute. E io me ne sto lì a contemplare la scena di mia madre che, con sguardo rassicurante, le da consigli e la tranquillizza meglio di quanto avrei mai potuto fare io, e un senso di fortuna mi pervade completamente dalla testa ai piedi, e mi rendo conto che non è scontato. Niente lo è mai del tutto.

«Pensala come quella che è, un'esperienza del tutto normale che poteva capitare ora come tra dieci anni.»

Jane la guarda e inarca le sopracciglia, «Avrei preferito tra dieci anni, le prime volte dovrebbero essere le migliori...» mormora in un sussurro. Mia mamma spalanca gli occhi incredula, «Assolutamente no! Le prime volte sono importanti, sì, ma decisamente non le migliori.»

Scoppiamo tutte quante a ridere e io non riesco più a togliermi dalla testa l'immagine di mia madre che... No, non riesco nemmeno a dirlo.

«Ele!» esclama Jane all'improvviso, come se le si fosse accesa una lampadina, «...tu non mi hai detto di Evan, ieri sera siete stati tutto il tempo insieme, vi ho adorato!»

Mi scappa una risatina e mia mamma mi guarda di sottecchi, evidentemente non abbastanza perché Jane non se ne renda conto. «Ehi, cosa non so?»

«Jane, te l'avrei detto ma magari non ora.» Effettivamente non era il mio primo pensiero in quel momento.

«Invece è proprio ora che devi. Ho bisogno di pensare ad altro, racconta.»

Mi convince, così le racconto della sera precedente e delle battutine all'orecchio, che erano il motivo di tutte quelle mie risate improvvise. Soprattutto quando, negli attimi in cui nessuno parlava, si avvicinava a me e mormorava "e calò il silenzio", oppure "ormai nessuno sa più che commentare" e io buttavo la testa all'indietro arricciando il naso per le risate. Le parlo della giornata trascorsa andando in giro per la città correndo da una parte all'altra e del gioco che avevamo ideato per passare del tempo insieme e nel frattempo conoscere i rispettivi interessi. Jane mi guardava curiosa, sorridendo ogni volta che lo facevo anche io ricordando quei momenti. Erano passate a malapena ventiquattr'ore da quando io ed Evan ci eravamo incontrati per la prima volta, ma mi sembrava di conoscerlo da una vita.

Quella sera ci addormentiamo chiacchierando, schiacciate l'una contro l'altra per via del mio letto a una piazza, ma riesco a vedere il sorriso nei suoi occhi e sono fiera pensando che un po' sia anche merito mio.

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