Capitolo 24
Tutto sembrava difficile, soprattutto quando durante l'intera domenica ogni singola volta che il display del mio telefono si illuminava speravo di leggere un unico nome, che non leggevo mai. Al contrario erano messaggi di Jane, alcuni dal gruppo di classe o addirittura da parte di Matt, che si preoccupava di ricordarmi del nostro impegno del giorno dopo, tutti tranne lui. Rispondo a Matt di non preoccuparsi, mi ricordavo perfettamente che il tanto atteso lunedì era quasi arrivato: avrei dovuto passare un intero pomeriggio con il ragazzo perfetto, che contro ogni previsione voleva me, e il suo migliore amico che più volte aveva provato a farci finire insieme, senza riuscirci. Ovviamente a causa mia, eppure me ne stavo qui a lamentarmi invece di fare qualcosa a riguardo.
Ero contenta che stessero per arrivare le vacanze perché sarei riuscita a staccare la testa, e solo in quei momenti riuscivo a non pensare alle sue iridi color cioccolato e a quei dannati ricciolini, o almeno non per tutto il tempo.
Matthew: Che te ne pare di Evan?
Eleanor: Carino e simpatico. E' anche questo merito tuo?
Già, proprio a proposito di Evan: lui era una delle persone che durante la giornata mi aveva scritto. Stavo scoprendo che mi faceva piacere parlare con lui, anche più del previsto. Certo ancora eravamo al livello di battutine, e di discorsi seri neanche l'ombra... ma a tempo debito avevo speranza.
M: Svolgo bene il ruolo di Cupido?
E: Non posso lamentarmi.
M: Ho imparato dalla migliore!
E: Si, proprio dalla migliore.
La migliore in cafonaggine acuta? Assolutamente si.
Mi accorgo di un'altra notifica di WhatsApp e come le altre volte dentro di me si accende una speranza, ma come tutte le altre volte non era lui.
Evan: Ehi, che fai?
Eleanor: Penso a cosa fare, simpatico no? Tu?
Evan: Anche io, che ne dici se vengo da te e ci pensiamo insieme?
Wow. Il cuore sussulta e mi rendo conto che l'emozione sta prendendo le redini del mio corpo.
Eleanor: Ti aspetto.
Evan: Mezz'ora ti basta per diventare bella almeno la metà di ieri sera?
Eleanor: Sono già bella, non credi?
Evan: Assolutamente.
Nonostante tutta l'autostima che esibivo, della quale neanche la metà mi apparteneva davvero, riconoscevo che mezz'ora sarebbe stato un tempo abbastanza ridotto, quindi salto giù dal letto e recupero l'accappatoio per fare una doccia veloce. Mi ricordo di non avergli mandato l'indirizzo, probabilmente ci avrà già pensato Matt ma faccio finta di niente e glielo invio comunque. Oggi pomeriggio i miei piani erano di crogiolarmi nel letto o magari anticipare qualche compito, ma un'uscita con un ragazzo carino e simpatico sarebbe stato decisamente meglio. Indosso dei jeans e una felpa nera, non volevo esagerare e volevo dimostrarmi per quella che ero fin da subito. Anche lui fa la stessa cosa mantenendo uno stile semplice e casual, il che mi rassicura.
«Sei persino più bella in questa versione.» Mormora mentre scendo le scale del porticato per raggiungerlo.
Gli lascio un leggero bacio sulla guancia per poi ringraziarlo, a quel tocco spalanca gli occhi sorpreso ma non fa una piega.
«Adesso che siamo insieme, che vogliamo fare?» chiedo curiosa. Lui mi fa un occhiolino per poi propormi un gioco.
«A turno scegliamo cosa fare in base a quello che vogliamo, ci permetterà anche di conoscerci meglio, ti va?»
«Sì, è un'idea magnifica! Inizia tu, sono curiosa.»
La verità era che non avevo la minima idea di cosa fare e soprattutto quanto spingermi oltre, quindi lascio a lui la patata bollente.
«Okay. Fammi pensare.»
Poggia un dito sulle labbra e le corruccia, alzando gli occhi verso l'alto. Un sorriso si impadronisce del suo volto ed è contagioso.
«Stamattina ho visto la pubblicità di un frappè mentre tornavo dalla corsa con mio padre, sono rimasto con l'acquolina in bocca e, se non erro, il bar dovrebbe essere da queste parti.»
All'idea di un buon frappè allargo il sorriso, «Fai strada!»
Usciamo dal quartiere e arriviamo in centro, avvia la posizione sul suo telefonino e presto raggiungiamo un bar agghindato con lucine colorate e pupazzi di neve. Entriamo e veniamo accolti dal suono della campanella sulla porta e da un leggero vociare che proviene dall'angolo con i tavoli. Ci accomodiamo su due poltroncine di velluto rosa, lo stesso colore con cui era arredato il bar. L'aria era confortevole e il tocco dorato di alcuni oggetti e decorazioni lo rendeva ancora più affascinante. Non appena arrivano a servirci lui assaggia il suo frappè al cioccolato e io pavoneggio il mio alla nocciola con doppia panna.
«Sei una fuori dal comune tu, o mi sbaglio?»
Prova a leggermi dentro, e questo mi crea un subbuglio nello stomaco non indifferente.
«Ti riferisci al fatto che non seguo la massa per i gusti di gelato, oppure al fatto che non indosso l'abito di mia sorella di 9 anni per andare in giro?»
Lui sorride compiaciuto, «Questa del vestito me la devi spiegare. Hai una sorella?»
Assaggio la panna portandola alle labbra con la cannuccia e poi bevo un sorso del frappè. Il gusto della nocciola e il freddo che sento improvvisamente alle mie papille gustative mi manda in estasi. Decisamente il gusto di gelato migliore.
«Intendevo che non indosso abiti così piccoli che sembrano di dieci taglie in meno... e comunque sì, ho una sorella. Si chiama Helena.»
Lui annuisce comprensivo.
«Helena, e ha 9 anni.»
«Esatto!» faccio un occhiolino buffo che però si rivela essere un tentativo fallito. Lui ride e questo mi solleva il morale.
«Tu hai fratelli o sorelle?» gli chiedo.
«Una sorella decisamente più grande di me. Ha 25 anni. Si chiama Clara.»
«Wow! Cosa fa?»
«Rompe le palle, costantemente.»
Ride e io mi accodo, percependo la sua ironia. In ogni caso lui lo precisa, «Scherzo, la adoro. Non vive più qui, è andata a convivere con il suo ragazzo a New Orleans. Studia per diventare un medico.»
«Più mi parli di lei e più la ammiro per il coraggio! Che ci fa a New Orleans?»
«E' andata lì a studiare perché ci abita la famiglia del suo ragazzo, si sono conosciuti per caso e ancora non ho capito come.»
Finisce il suo frappè e incrocia le mani, aspettando pazientemente che io finisca di gustare il mio.
«E' bello questo locale, approvato.» Dico, una volta finito.
«Hai detto che corri con tuo padre?» Mi ricordo del motivo per cui siamo qui e ne approfitto per chiedere qualcosa in più.
«Sì, ma non sempre. Lui è fissato con la corsa, ha fatto anche qualche maratona ogni tanto ed è finito a New York. Io però lo accompagno solo di domenica.» Mi racconta.
«Sei uno scansafatiche?» scherzo.
«Noo, da cosa lo deduci?» ribatte sarcastico.
«Sarà meglio per te che ti riscaldi, ora è il mio turno e la nostra meta è leggermente distante da qui.» Lo avverto.
Lui mi rivolge un ghigno e non faccio a meno di notare le sue labbra carnose.
Ci alziamo e, dopo aver litigato su chi avrebbe pagato il conto - che alla fine ha pagato lui perché, a detta sua, questo era il suo turno - ci riversiamo fuori dal locale e camminiamo a passo veloce. So la strada a memoria quindi mi aggiro furtiva tra i vicoli, cercando il modo più corto per arrivare e lui fa fatica a restarmi dietro. «Avevo intuito fossi scansafatiche, ma non così tanto.» Lo prendo in giro.
«Solo perché non mi sto impegnando.» Subito dopo lo vedo sfrecciare di fronte a me e superarmi.
«Ehi Flash! Ti ricordo che non sai dove stiamo andando.»
Continuiamo a camminare e glielo dico solo quando siamo quasi arrivati e l'insegna, con su scritto "La biblioteca dove tutto è possibile", è perfettamente visibile e a pochi metri da noi.
«Tutta questa strada per una libreria?» commenta scherzoso.
Mi volto per guardarlo male e lui mi circonda le braccia al collo, grattandomi scherzosamente la testa.
«Intanto è una biblioteca, sono due cose diverse. E poi... cosa può esserci di meglio?»
«Ti piace leggere?» chiede a bocca aperta.
«Lo trovi così sconvolgente?» commento sorpresa.
«Non ti giudico, ma per me i libri sono solo parole una dopo l'altra e frasi messe a caso in una pagina.»
Stavolta sono io a spalancare la bocca, «O mio Dio! Non hai nessun ritegno.» Commento la sua crudeltà nei confronti della cosa che più preferisco al mondo.
«Penso di non leggere da quando ho iniziato le elementari! E' una cosa inutile.» Continua lui.
«Oddio, ti prego non parlare.» ribatto, «I tuoi insulti non sono ammessi qui.» Pronuncio in un sussurro, mentre spalanco la grande porta a legno arrugginita. Le luci calde e soffuse ci accolgono e le pareti riempite di scaffali mi fanno sentire a casa. Lui rimane sulla soglia ad osservare il mio stupore. Ogni volta che entro qui è sempre la stessa sensazione a invadermi dalla testa ai piedi. Mi sento nel posto giusto, mi sento compresa, aiutata, motivata. Spesso mi rintanavo qui a studiare e a leggere, quando avevo la sensazione che il mondo mi crollasse addosso questo era il mio rifugio. Non lo faccio da troppo tempo e solo ora mi rendo conto di quanto mi manchi.
«Posso chiederti cosa ci facciamo qui?» Evan disturba la mia visione e lo fulmino con gli occhi prima di rivolgergli un sorriso. D'altronde mi fa piacere averlo portato qui, anche se non apprezza la lettura tanto quanto me, neanche lontanamente.
«Intanto, con i tuoi pregiudizi non so che ci fai ancora qui. Comunque cercavo un libro, e so che questo è il posto dove posso trovarlo.»
«Mi costa ammetterlo, ma è davvero un bel posto.»
«Grazie a Dio!»
Parliamo a bassa voce per non disturbare le persone presenti. Non pensavo che ormai venisse frequentato ma sono contenta di sapere che mi sbagliavo. Una signora con capelli brizzolati ci viene incontro e chiede se può essere d'aiuto. Ci scambiamo qualche chiacchiera mentre Evan rimane in disparte ad ascoltare, rispettando i miei tempi. Chiedo il titolo del libro che sto cercando e lei si affretta a darmelo, correndo nella biblioteca da una parte all'altra degli scaffali.
Registra il mio nome alla cassa e mi comunica che ho un mese per finirlo, anche se non sa che mi basteranno pochi giorni e tornerò per restituirlo.
Finalmente, dopo ore passate a correre da una parte all'altra del quartiere, ci fermiamo a sedere su una panchina del parco, vicino al laghetto delle paperelle, alle quali avevamo dato i resti del waffle che Evan aveva voluto provare.
Osservo le luci sfumate del tramonto e rifletto sul pomeriggio trascorso e su quanto la presenza di Evan accanto a me l'abbia reso piacevole. Ci siamo conosciuti nel modo più genuino che potesse esistere, semplicemente scambiandoci aneddoti sulla nostra vita e portandoci a scoprire le passioni dell'altro.
«Questo vale come turno mio, amo guardare il tramonto.» Decido, poggiando la schiena sul ferro gelido. Lui si siede accanto a me mettendo un braccio sulle mie spalle per avvicinarsi.
«A bordo della mia moto sarebbe ancora più bello.» Sussurra accarezzandomi la guancia. Mi giro verso di lui con sguardo incredulo.
«Hai una moto? Questo ancora non me l'avevi detto.»
Sorride di fronte alla mia reazione sorpresa e annuisce.
«Se vuoi ti porto a fare un giro, ma purtroppo l'ho lasciata a casa oggi...»
«Si, mi piacerebbe, dove abiti?»
«Nei dintorni, in centro.»
«Cosa fanno i tuoi per permettersi un appartamento nel centro della città?» Sfrutto l'occasione per approfondire questo argomento che avevamo leggermente accennato solo all'inizio della nostra conversazione.
Con il lavoro dei miei non posso certo lamentarmi, abbiamo tutto ciò di cui abbiamo bisogno e anche di più, ma un appartamento in centro città ancora non rientra nelle possibilità.
«Mio padre lavora in una ditta immobiliare, mia madre invece andrebbe mandata da Malati del Pulito. Secondo me ha ideato lei quel programma e non ce l'ha detto...»
Rido alla sua battuta e ribatto.
«Mia madre se avesse più tempo credo proprio che avrebbe lo stesso problema, ma è troppo occupata a farsi i fatti degli altri.»
«Perché? Spia dalle finestre il vicinato, per caso?»
«No, fa l'avvocato.» Arriccio il naso come sono solita fare quando rido.
«Ah okay, ora ha più senso!»
Entrambi ridiamo e il suo viso si avvicina leggermente al mio.
Mi piace, cavolo quanto mi piace.
«Non sei curioso di sapere cosa fa mio padre, invece?» mormoro quando il suo naso sfiora il mio.
«Oh, certo. Cosa fa tuo padre?» sussurra, e il suo respiro si abbatte sul mio viso, facendomi rendere conto solo adesso di quanto siamo vicini.
«Professore universitario. Ha anche scritto un libro...»
«Interessante, di cosa parla?»
«Qualcosa sulle parole e di quanto possano ferire, se usate nel modo sbagliato...» Io ne sapevo qualcosa. «Ancora non mi ha permesso di leggerlo, dice che lo farò quando sarà il momento giusto.» Aggiungo.
Mi posa una mano sulla guancia, accarezzandomi con la punta del pollice il labbro inferiore.
«E' il mio turno?» Ci metto un attimo a capire a cosa si riferisca, quando poi riporto alla mente la realtà ricordandomi del nostro gioco.
Annuisco.
«Vorrei tanto fare questo.» Mormora prima di afferrarmi il collo delicatamente, tirandomi a sé e ricoprendo quel poco di distanza che c'era ancora tra noi.
Posa le sue labbra sulle mie, il tocco caldo e morbido mi fa quasi trasalire e non faccio in tempo a rendermi neanche conto di quello che sta accadendo che si ritrae, leggermente imbarazzato.
La ritengo una cosa adorabile e sorrido al pensiero di aver appena dato il mio primo bacio ad un ragazzo bello, simpatico, pieno di umorismo e che mi fa ridere ogni volta che spiccica parola.
Per un attimo mi rendo conto che non stavo più pensando a niente, avevo la mente completamente libera dai pensieri intrusivi e stavo bene, davvero.
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«E così hai dato il tuo primo bacio!» esclama mia madre entusiasta, che non appena ero rientrata in casa non mi aveva neanche dato il tempo di togliere le scarpe per chiedermi tutti i dettagli della mia uscita con il "ragazzo carino e divertente" del quale già quella mattina le avevo parlato.
«Già, è come se per un attimo avessi smesso di pensare a tutto. Non so ma il fatto di non dovermi preoccupare del parere degli altri mi fa sentire più in pace con me stessa...».
Sapevo bene che era questo il motivo, ma una buona parte di esso era anche quanto mi piacesse Evan, con quel suo sorriso dolce che non riuscivo a togliermi dalla testa.
«È normale che costituisca un fattore abbastanza importante per vivere la situazione serenamente, l'importante però è che non sia solo questa la ragione..»
«Ma no, Evan mi piace! Questo è solo un incentivo in più... ecco, per staccarmi completamente da Andrew e riuscire finalmente ad andare avanti. Non abbiamo futuro e questo si sa già da un pezzo.»
Toglie gli occhiali alzandoli sopra la testa, per dedicarmi uno dei suoi sguardi profondi capaci di pietrificarti e farti confessare i segreti nascosti meglio nella tua anima.
«Non voglio mettermi in mezzo a queste situazioni di cuore, solo tu sai ciò che vuoi, però il mio parere è che non ci avete provato abbastanza. Forse hai dato troppa retta agli altri e meno a te stessa...»
In fondo sapevo che non aveva torto, per niente, ma ammetterlo sarebbe stato terribile, soprattutto adesso che nella mia testa c'era Evan e il bacio che mi aveva dato davanti al tramonto. Migliore momento che si potesse desiderare, anzi... che io potessi desiderare.
«Tranquilla mamma, grazie davvero ma ho tutto sotto controllo. Evan mi piace, tanto - questa era la verità -, e alla fine Andrew era una cotta passeggera, non è mai successo niente tra noi e non c'è mai stata neanche l'ombra di dubbio che potesse accadere.» E questa era la bugia.
Tremenda bugia.
La peggiore bugia che potessi dire, dopo tutte le volte ad immaginare che la distanza tra noi si azzerasse completamente. Per non parlare di tutti i momenti passati a pensare a lui, a come comportarmi e ai suoi sguardi che riuscivano a farmi sentire impotente, senza possibilità di fuga.
Era un sentimento diverso, era tutto diverso.
E anche più complicato.
All'inizio avevo notato delle somiglianze ma ora non posso che rendermi conto di quanto non c'entrino niente l'uno con l'altro.
Il mio flusso di coscienza e, di conseguenza, la chiacchierata con mia madre sempre presente per me, viene interrotta da diversi messaggi di Jane in cui chiedeva di poter venire a casa mia di fretta, per un'emergenza.
E: Certo J, vieni. Tutto a posto?
J: Ora che arrivo ti spiego. Assolutamente niente di ciò che è successo è a posto.
E: Ma stai bene?
J: Arrivo.
Quei messaggi mi avevano lasciata sorpresa e anche leggermente agitata, e quando apro la porta ritrovandomela davanti vestita ancora come la sera precedente, con il trucco quasi completamente colato e i capelli arruffati, sapevo che era successo qualcosa, e di certo non qualcosa di bello a giudicare dal suo umore e dal lacrimare dei suoi occhi.
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