Capitolo 1
Sono convinta che se solo raccontassi la mia vita fino ad ora, nessuno crederebbe che ho solo quindici anni. E non per essere drastica, per carità. Posso dire di avere la classica famiglia Brady, tranquilla e amorevole, in cui le liti non vengono quasi mai aperte, a parte qualche eccezione come è giusto che sia.
Da poco meno di un mese ho iniziato il primo anno alla Jones High School di Orlando, in Florida; luogo nel quale sono nata e ho sempre vissuto. Sono riuscita subito a legare con molti miei compagni e grazie al cielo sono capitata con la mia migliore amica nella maggior parte dei corsi. Jane è una ragazza alla moda, estroversa e festaiola, con la quale ho stretto vera amicizia solo durante l'ultima estate. Il nostro rapporto è sempre stato molto travagliato. Questo è dovuto al nostro carattere, molto diverso ma sotto certi aspetti identico. Siamo competitive, amiamo vincere e odiamo provare la delusione della sconfitta, siamo una più testarda dell'altra e entrambe, chi più chi meno, siamo nervose almeno 12 ore su 24.
Ho un carattere particolare, l'ho sempre riconosciuto. A volte troppo buona con chi non se lo merita e altre troppo cattiva con chi mi fa del bene. Non so mai bilanciare le due cose. Quando mi sento sola mi piace andare lontano col pensiero e immaginare di vivere una vita perfetta tra persone che mi amano per quella che sono davvero, e non chi fingo di essere per la maggior parte del tempo. Amo pensare di essere apprezzata e odio avere problemi con la gente. Odio litigare e sentirmi giudicata e non mi piacciono i momenti in cui devo esprimere i miei pensieri, a causa delle aspettative troppo alte che si fanno su di me. Lotto ogni giorno con me stessa, sperando di averla vinta e averne il controllo. Devo farlo, ne sento il bisogno, devo lottare contro le mie paure per superarle ma ne ho così tante che probabilmente il vero ostacolo, il più grande, è prendere la decisione di lavorarci sul serio. Una mia scorciatoia alla paura è quella di scappare dai problemi, ma non voglio che l'ansia di qualcosa mi privi del farla o mi faccia sentire in imbarazzo e in soggezione. Non voglio che la paura sia più grande di me e che mi blocchi. L'inizio del liceo è stato un grande passo verso il mondo che ho dovuto compiere, mettendo da parte ogni tipo di insicurezza. Ho deciso di dedicarmi a tutto il resto, e avere Jane mi aiuta a pensare ad altro.
Afferro le spalline dello zaino e mi incammino nel cortile come ogni mattina. Intravedo i suoi ricci biondi e le vado incontro.
«Buongiorno.»
«L'hai studiata storia?», tiene un quaderno giallo stretto al petto e leggo l'ansia che prova nella piccola ruga che le si crea sempre sul mento. Non è una persona parecchio studiosa, a meno che non ottenga qualcosa in cambio, e a meno che non si tratti del suo futuro.
«L'ho letta», le dico sinceramente.
«Aiutami.»
«Vuoi che te la spiego?» propongo.
«Desideravo che lo dicessi!», sfodera un sorriso e arriccia una ciocca di capelli al dito.
Poso lo zaino a terra e mi siedo accanto a lei, iniziando a ripetere in breve i punti chiave dell'argomento. Dopo molte interruzioni di chi passava a salutarla finalmente finisco di ripetere. Ci stiamo rimettendo lo zaino in spalla quando arriva Matthew, un altro nostro compagno della classe di storia.
«Ciao Matt», lo salutiamo rivolgendogli un sorriso.
E' un bel ragazzo, bisogna ammetterlo. Ha un ciuffo biondo ramato mosso e gli occhi azzurri, ma quando apre la bocca non è il mio tipo. Lui è il classico intelligente che però non si applica perché preferisce uscire in giro con gli amici.
E che amici...
Dietro di lui molti ragazzi si mettono a ridere e scherzare e lo salutano prima di entrare nell'istituto, tutti tranne uno.
Lo scorgo di sfuggita prima che abbassi la testa sul suo telefono, dal braccio risaltano le vene fino alle mani, che sono ricche di anelli. Ha i capelli ricci mori ma non riesco a vedere altro. Sembra pensieroso. «Ci vediamo Matt», sibila in un sussurro a stento riconoscibile.
Se ne va senza degnare nessuno di un solo sguardo, con la testa china sullo schermo.
Al suono della campanella ci avviamo nella classe di storia e recupero la nuova copia del giornalino scolastico.
Sono affamata di gossip e questo giornalino ne è pieno zeppo.
Davanti l'aula Iris, un'altra ragazza con cui ho fatto amicizia, sventola un foglio facendoci segno. Io e Jane ci avviciniamo e la seguiamo in classe. «Ragazze allarme figo!», ripete questa frase dal primo giorno di scuola, quindi rido. «Stavolta faccio sul serio, giuro» promette.
Posa al centro del nostro banco un foglio, strappato dal giornalino, con una foto che sembra palesemente presa da Pinterest che ritrae un ragazzo perfetto, e non è un modo di dire. Alto, mandibola scolpita, ricci ben definiti, occhi color nocciola, braccia muscolose, schiena possente, spalle larghe, mani grandi e uno stile da far paura. Mi ricorda il tipo di stamattina...
«Leggete» lo dice più come obbligo che come consiglio.
...e sembra proprio che il dio della scuola, Andrew Woods, sia tornato dalla sua estate in riva al lago, e abbia ricominciato a comandare nei corridoi della Jones. Caro Andy, preparati a essere riempito di messaggi anche per questo secondo anno. Ti conviene nasconderti!
Rimango a fissare la foto.
«E' un dio sceso in terra!» pronuncia a bassa voce Iris, prima che la professoressa entri nell'aula chiudendosi la porta alle spalle. Sto per risponderle che è vero quando aggiunge: «Deve essere mio!» e ricaccio indietro ciò che stavo per dire.
La lezione vola, presa dal prendere appunti, e mi catapulto fuori dall'aula in un batter d'occhio con Jane e Iris al mio fianco.
«Non ti ho chiesto se ci sono novità di Eric...» dice Jane all'improvviso.
«Viene oggi all'uscita e parliamo» le comunico.
Eric è il mio migliore amico, ma per me non è mai stato solo questo. Soprattutto nell'ultimo anno.
Siamo migliori amici perché a lui non piacevo e la verità è che, pur di continuare a sperare che le cose potessero cambiare, ho fatto di tutto per rimanere in buoni rapporti. Per lo meno era nata così, ma è da un po' che ci comportiamo come dei semplici migliori amici.
Abbiamo un bel rapporto ma ultimamente qualsiasi suo comportamento mi da fastidio. Discutiamo di continuo e mi da sui nervi, inoltre non riesco a capire il suo atteggiamento, in alcuni periodi si avvicina, e non solo fisicamente... quindi è arrivato il momento di mettere le cose in chiaro una volta per tutte.
Iris e Jane si allontanano mentre io mi avvio per la lezione di lingue in fondo al corridoio. Apro il giornalino scolastico, sfogliando le pagine velocemente, e finalmente trovo ciò che mi interessa.
Guardo di nuovo la sua foto, pensando se possa esistere un ragazzo davvero così bello e dall'aspetto così carismatico, ma improvvisamente qualcuno mi viene addosso e mi cade tutto dalle mani, compreso il giornale ancora aperto.
«O mio Dio!» esclamo irritata. Ho sempre odiato le persone che non guardano dove camminano, ma in quel momento ero anche io una di quelle. «La prossima volta fai più attenz...», mi blocco. Sollevo lo sguardo e mi ritrovo davanti proprio lui, proprio il ragazzo perfetto, in carne e ossa.
E' come in foto, ed è lo stesso ragazzo che questa mattina era con Matthew all'entrata di scuola. Mi rivolge un sorriso sghembo e si china ai miei piedi, raccogliendo le mie cose.
«Perdonami» sussurra.
Rivolge lo sguardo alla sua foto sul giornale.
«E' sempre la stessa storia! Non è neanche la mia foto più bella eppure tutte quante ci svenite davanti», mormora con una voce virile e profonda.
Abbassa lo sguardo sulla sua foto, tracciandone il contorno con il dito. Alza lo sguardo verso di me, replicando il sorriso di poco prima. Non capisco cosa sta succedendo.
"Non è la tua foto migliore ma sembri comunque un dio greco", penso, ma tengo questo commento per me.
«Non ci svengo davanti», il fiato mi rimane impigliato alle cordi vocali e ingoio il groppo che ho in gola.
«Io invece credo di sì, si capisce dai tuoi occhi...si illuminano come fossero stelle» abbassa il suo viso sul mio, avvicinandosi, «Sono molto belli sai?».
Ignoro la sua osservazione, anche perché rispondere grazie e correre via sembra eccessivo anche per la mia timidezza.
«Beh... credi male» ribatto, fingendo una sicurezza che non mi appartiene. Lo fisso negli occhi, cercando di scorgere un difetto, uno qualsiasi, ma mi viene quasi impossibile. Mi sento troppo in soggezione e sono imbarazzata, sento le mie guance andare a fuoco. Svio lo sguardo e approfitto per controllare l'orario dalla bacheca di lezioni appesa al muro alla mia destra.
«Dove vai?» mi chiede in un filo di voce.
«Lingue.»
«Allora buona lezione, stellina» sussurra.
Distolgo lo sguardo dalle sue iridi nocciola e prendo le mie cose, allontanandomi più in fretta possibile, cercando di ignorare la sensazione del suo sguardo che grava su di me.
Quando anche l'ultima lezione è terminata attraverso l'uscita salutando Jane con un bacio sulla guancia e mi dirigo al muretto di fronte, dove il ciuffo di Eric si scombina con il vento. «Ehi Eric» lo saluto con un abbraccio. Non mi fa più neanche lo stesso effetto ormai. «Ciao Ele», ricambia l'abbraccio, stringendomi più forte, e io quasi mi sento soffocare. Non riconosco più il suo tocco, non mi provoca più i brividi lungo la schiena e le farfalle nello stomaco.
Siamo amici fin da bambini perché giocavamo insieme al parco del quartiere, ho sempre avuto una cotta segreta per lui ma non ho mai detto nulla. Col tempo abbiamo smesso di andare al parco e quindi di vederci, e il rapporto si è raffreddato. Solo l'anno scorso ho deciso di riprovarci perché provavo ancora gli stessi sentimenti del primo giorno, la stessa sensazione nello stomaco e nel petto alla sua vista. Ma ora non la sento più da tempo, e mi sono resa conto che l'affetto da parte mia era solo attrazione.
Ci incamminiamo verso casa con gli zaini in spalla, dopo un'estate intera in cui non ci siamo visti neanche una volta.
«Dovevamo parlare?», mi guarda cercando di scrutare i miei pensieri. Il suo viso traspare la stessa gentilezza e leggerezza di sempre. Ho sempre apprezzato la sua compagnia per il suo modo di vedere il mondo. Avendolo qui davanti quasi mi manca il coraggio di ammettere ciò che penso, ma sono pronta ad andare avanti e a superare lui e la mia cotta eterna.
«Volevo farti una domanda precisa, in realtà» dichiaro.
«Spara.»
Ci fermiamo davanti casa mia, una casa a due piani con mansarda, steccato bianco e una piccola veranda all'esterno che dà sul giardino, circondato di fiori e piccole pianticelle che mia mamma, Marianne, avvocato con serio bisogno di sfogarsi, ama curare. Incrocio lo sguardo di Eric, sempre disponibile e comprensivo nei miei confronti.
«Tu provi qualcosa per me?» lo guardo negli occhi.
«Ele...»
Si lo so, sono troppo insistente.
«Rispondi.»
«...No.»
«Potresti provarlo in futuro?» continuo imperterrita.
Abbassa lo sguardo sulle sue scarpe.
«Beh non lo so, può darsi, ma per ora non credo.»
«Che vuol dire "può darsi"?»
«Perché tutte queste domande?» incrocio di nuovo il suo sguardo, confuso e imbarazzato.
«Perché devo capire se andare avanti una volta per tutte» confesso.
«Può darsi nel senso che ora non lo posso sapere, ma ti vedo più come una sorella al momento...»
Faccio un sospiro. D'altronde lo sapevo, non sono poi così sconvolta. Piuttosto non capisco perché ci tengo così tanto a essere rifiutata e friendzonata di continuo se già so quello che mi verrà detto.
«Va bene» sorrido.
Lui sorride a sua volta e mi posa un semplice bacio sulla guancia, prima di svoltare verso casa sua, a un paio di isolati di distanza. Gli do le spalle, a lui e a tutta questa storia. Giro la chiave nella serratura e neanche ho varcato la soglia che già sento un profumo inebriante di biscotti provenire dalla cucina. Sono di nuovo a casa.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro