Un nuovo inizio
Omnia tempus habent
Questa frase me l'ero impressa nella mente fin da quando diventai grande abbastanza per capirne il significato.
Ogni cosa ha il suo tempo
Ed era vero, tutto trovava il momento giusto per incastrarsi nell'enorme puzzle che era la vita. Provi e riprovi, cadi e ti rialzi ed alla fine raggiungi la meta.
E ora che avevo appena chiuso l'ultima valigia, potevo sentire di aver appena chiuso lì dentro un capitolo ed ero pronta ad iniziarne un altro, lontana da quella che avevo potuto chiamare casa anche solo che per dieci anni.
Guardai la mia camera ormai quasi spoglia con una punta di malinconia, l'odore del detergente disinfettante permeava nella stanza pizzicandomi il naso e facendomi lacrimare gli occhi. Passai con la punta delle dita la cassettiera ormai spoglia su cui erano posate le poche fotografie che avevo fatto sviluppare e dei libri che avevo comprato al mercatino dell'usato. Proseguii a toccare la piccola lampada color giallo limone che illuminava spesso e volentieri le mie sere passate a studiare e a leggere, ed infine sedetti sul mio letto ormai privo di lenzuola e sospirai, chiudendo gli occhi.
Era la fine del mio spazio sicuro e tra qualche ora avrei ''affrontato'' l'ignoto.
Il leggero bussare alla porta mi fece sussultare e voltando il capo verso di essa vidi Lorraine sorridermi con dolcezza.
<< Sapevo di trovarti qui. Hai finito di impacchettare le tue cose? >>
Le sorrisi << Si, ho finito. Questa è l'ultimo scatolone da caricare in macchina e poi sono pronta. >>
Lorraine camminò verso di me sedendomisi poi accanto e rimanemmo in silenzio per qualche minuto, prima che riprendesse a parlarmi.
<< Sai, mi sembra solo ieri che arrivasti qui da me con le tue valigie, lo sguardo un po' perso e l'ansia che ti stava divorando il corpo. In questi anni ti ho vista crescere e affrontare molte tue paure ed insicurezze, fino a diventare una donna meravigliosa pronta ad affrontare il mondo. >>
Potevo già sentire le mie orecchie andare a fuoco e le guance diventare rosse << Hai ragione, nemmeno io mi capacito che siano passati già così tanti anni da quando mi hai accolta in casa tua. Se non ci fossi stata tu non so dove sarei ora, mi hai aiutata anche troppo. >>
Ed era vero.
Non avrei mai creduto che una persona non voluta come me potesse trovare qualcuno che decidesse di tenermi; mi era stata accanto in ogni momento da quando avevo messo piede qui, passo dopo passo mi aveva aiutata ad affrontare i miei problemi e a combattere con me l'ansia e le mie crisi di panico che continuavano ad accompagnarmi anche ora ma che riuscivo a gestire abbastanza bene. Dopo anni di abusi da parte di un marito violento che aveva incontrato la sua fine per mano di un altro uomo (per me era stata la sua giusta fine per contrappasso) e un figlio che non era mai arrivato, io ero stata secondo lei un dono che Dio le aveva mandato dopo tanta sofferenza.
Ma se io ero il suo dono, lei era stata il mio miracolo e non lo dicevo tanto per dire.
Venni lasciata nella culla termica dell'ospedale qui a Oak Park e, una volta prestate le prime cure e avermi lasciato nel reparto neonatale in attesa che la donna che mi aveva messa al mondo non decidesse di farsi viva per riprendermi, ero stata data in adozione. Non ricordo onestamente i miei primi tre anni di vita; i miei genitori addottivi erano morti in un incidente d'auto o così mi era stato raccontato successivamente, e non avendo più genitori né parenti che mi volessero con sé fui mandata in una casa famiglia e le cose non erano andate migliorando. Ero passata in affidamento da una famiglia ad un'altra a causa della mia incapacità di stare con altre persone in un posto in cui non ero mai stata la benvenuta, soprattutto quando subentrava la gelosia degli altri bambini nei miei confronti che ero la nuova arrivata. Il mio carattere timido e schivo non aiutava con le prese in giro che spesso sfociavano dai pesanti insulti vocali agli strattoni (alle volte anche da parte degli adulti), fino a quando a quindici anni ero diventata troppo grande per essere scelta, visto che solo i bambini piccoli venivano presi volentieri. Finché non arrivai a casa di Lorraine Wilson e da allora non me n'ero più andata; ci siamo fatte compagnia a vicenda e siamo cresciute insieme in una situazione del tutto nuova per entrambe.
<< Vero... Non avrei scommesso un soldo sulla mia permanenza qui. Sono felice di essermi sbagliata. >> ridacchiai mentre mi scioglievo i capelli, passandoci le dita in mezzo per dargli una sistemata.
Sentii una mano fermarmi << So che sei nervosa, ma non devi esserlo. Hai superato il colloquio brillantemente e hai già a disposizione un piccolo monolocale dove sistemarti con calma i prossimi giorni prima di iniziare il lavoro. >>
Sbuffai lievemente << Si, lo so. Sono solo... Sai che non sono molto brava a fare amicizia. Finché si tratta di sorridere e portare gli ordini al tavolo va bene, ma conversare con gli altri... Per me sarà un'impresa anche solo non iniziare a balbettare con le mie colleghe! >>
E si, sapevo che era troppo tardi per tirarsi indietro.
Ero stata io a scegliere di imbarcarmi in questa nuova avventura, decisa finalmente di cambiare in modo concreto il mio modo di stare al mondo. In fin dei conti, non puoi sperare che siano gli altri ad avvicinarsi se tu non fai un singolo passo nella loro direzione. Non puoi sperare di cambiare se non lo vuoi davvero, quindi in barba alla mia timidezza, alle mie insicurezze e alla mia ansia, mi ero letteralmente buttata.
Avevo trovato l'annuncio mentre navigavo in internet, dove stavo facendo ricerche per il mio nuovo libro e contemporaneamente avevo Instagram aperto. Una caffetteria libreria vicino all'Università di Chicago cercava una persona da inserire nel suo staff e se c'era una cosa che amavo più di leggere, era bermici insieme un buon caffè. Di pancia avevo inviato il mio curriculum alla loro mail e il giorno successivo fui ricontattata per un incontro di persona. Mi ero dovuta preparare psicologicamente per un giorno intero per affrontare il colloquio eppure ero riuscita a non balbettare e tenere a freno i miei numerosi tic.
Due giorni dopo avevo ottenuto il posto.
<< Andrai alla grande, tesoro. Riuscirai sicuramente a conoscere molte persone con cui fare amicizia, in fin dei conti non sarai più a Oak ma a Chicago! Sfido chiunque a non trovare almeno un amico in una città così grande! >> rise dandomi un buffetto sulla coscia.
<< Vero... E comunque non posso tirarmi indietro proprio ora, ti pare? Chicago inoltre è una città vibrante e ricca di personalità, molto utile per prendere spunti per il mio prossimo libro. >>
Lorraine sorrise ancora di più << Visto? Pensa... >> << ...Positivo! >> conclusi ridendo.
Osservavo i bagagli nella mia Jeep d'un rosso sbiadito ben incastrati tra loro e annuii soddisfatta, certa che non si sarebbero sposati nemmeno di un millimetro. Avevo solo da raccogliere il mio piccolo borsone lasciato accanto alla porta di casa dove c'erano il mio portafogli, il computer portatile con il suo carica batteria e altre cose, e poi ero pronta a partire.
Rientrai in casa e mi soffermai ad osservare il soggiorno che mi aveva ospitata durante le mie sessioni di studio o le conversazioni a cuore aperto con Lorraine mentre ci godevamo la compagnia reciproca insieme ad una buona tazza di tè. La mensola sopra al camino ospitavano poche cornici ed erano tutte fotografie nostre, insieme a piccoli souvenir portati da amici e colleghi di Lorraine. I divani color crema con cuscini e coperte fatte a maglia mi avevano accolta nelle notti in cui mi ci addormentavo dalla stanchezza, con il tavolino basso in legno di mogano dove sopra era situato un piccolo vaso blu colmo di fiori freschi e la ciotola di porcellana contenente cioccolatini che non avevo avuto il coraggio di toccare nei miei primi mesi lì. Le enormi vetrate che facevano entrare la luce calda in estate davano alla stanza un effetto calmante sui miei nervi, e speravo onestamente di poter ritrovare quella pace anche nel mio piccolo monolocale.
Afferrai il borsone e prima di uscire mi abbeverai della vista di ciò che stavo per lasciarmi alle spalle: il mio rifiugio. Perché quella era davvero diventata la mia casa alla fine e Lorraine mia madre, anche se non glielo avevo mai detto apertamente.
<< Non stavi partendo senza salutarmi, vero? >>
Avevo appena raggiunto la mia auto quando la sentii << No, anche se sarebbe più facile. Non sono... pronta a salutarti. >>
Dopo avermi raggiunta, la vidi porgermi un piccolo pacco quadrato ricoperto di semplice carta da pacchi e sembrava lievemente pesante << Oh lo so, la cosa vale anche per me ma sappiamo entrambe che siamo persone forti e che dobbiamo affrontare sempre gli ostacoli, anche se piccoli. Inoltre, non puoi andartene prima che io ti abbia dato questo. >>
Lo presi e iniziai a scartarlo accigliata, un po' imbronciata << Lorraine, mi hai già dato i soldi per l'affitto, chiedendoti esplicitamente di non farmi altri regali... Un cellulare?! Ed è l'ultimo modello! Ti sarà costato una follia, che diamine! >>
Mi sentivo sempre a disagio nel ricevere regali, soprattutto regali costosi: il mio senso di inferiorità mi aveva sempre accompagnata fin da bambina e anche ora che ero cresciuta la cosa mi faceva bloccare, riuscendo a mala pena a parlare.
<< Non ti piace? Ho chiesto al commesso del negozio quale fosse il modello migliore, visto anche le tue necessità lavorative. >>
Potevo sentire gli occhi bruciare dalla commozione per la dolcezza di questa donna << Certo che mi piace, ma voglio che i soldi tu li spenda per te. Ora che non sarò più a casa e la tua pensione è ormai prossima, sfrutta i soldi che ti sei guadagnata per farti un viaggio, non per... >> mi morsi il labbro inferiore, poiché avevo iniziato a balbettare.
Percepii le sue braccia avvolgermi prima che scoppiassi a piangere << Eva, so che per te è difficile da credere ma sei importante per me. Sei mia figlia, e se non posso aiutarti come posso, che madre sarei? >>
<< Avevo promesso che non avrei pianto, sai? E invece... >> singhiozzai rumorosamente, tentando di asciugarmi le lacrime che avevano iniziato a scendere copiosamente.
<< Piangere fa bene all'anima, pulisce e porta via quasi tutto. Deduco quindi che ti piaccia e che lo accetti, vero? Anche perché non ho intenzione di riportarlo indietro. >>
Scossi la testa << Assolutamente no! Lo terrò con estremissima cura! >>
Lorraine mi sorrise soddisfatta << Bene! Ah sì, un'altra cosa: dentro ho fatto inserire il numero di casa e altri numeri in caso di emergenza. Voglio che mi chiami non appena ti sei sistemata, d'accordo? >>
Mi sedetti al volante << Certamente! Ti chiamerò non appena arrivo a destinazione. Bene, direi che è arrivato il momento di andare, non voglio arrivare tardi visto che voglio mettere in casa le mie cose. >>
<< Mi raccomando: guida con prudenza, va bene? >>
<< Stai tranquilla, sai che non guido mai troppo veloce! Se dovesse esserci bisogno o esserci qualche problema, chiamami, va bene? Mollo tutto e torno. >> dissi tornando seria, mentre avviavo la macchina.
La vidi alzare gli occhi al cielo << A volte sembri tu la mamma. Prometto che se dovesse succedere qualcosa, ti contatto immediatamente! E adesso vai o io non riuscirò a farti partire e tu ad andartene. >>
Risi perché aveva perfettamente ragione, perciò ingranai la marcia e con un cenno della mano, partii, continuando a guardare nello specchietto la mia casa e Lorraine diventare sempre più piccole.
Ok, credevo sarei stata preparata al traffico di città ma... Cazzo! Procedere a passo di lumaca non era per niente come me lo aspettavo. Secondo la mia mappa mentale, il mio monolocale non era così lontano dalla caffetteria e contavo di raggiungerla a piedi, vedendo poi il tempo che ci stavo impiegando per andare verso la mia nuova tana da Hobbit, era una decisione più che saggia.
Finalmente dopo un paio di svolte, avevo raggiunto il piccolo complesso di appartamenti in cui avrei soggiornato e sentii nelle mie vene una scossa di gioia pura; parcheggiai nel mio posto auto con il bagagliaio rivolto al portone principale e spensi la macchina. Cercai la chiave dell'appartamento tra i denti e cominciai a caricare le mie braccia dei primi scatoloni, e dopo aver rischiato di ammazzarmi sui primi gradini d'entrata presi l'ascensore e schiacciai il pulsante del sesto piano. Il corridoio davanti a me aveva la moquette grigia sbiadita e le luci al neon sfavillavano di continuo ma considerando il mio budget finanziario non potevo sicuramente lamentarmi; trovando finalmente la porta di casa, portai dentro le prime cose senza nemmeno guardarmi intorno, volendo prima di tutto portare le mie cose dentro. Oltre al mio computer, al mio telefono e al mio portafogli, non avevo molto da perdere ma mi sarebbe seccato se mi avessero rubato lo scatolone con dentro le mie mutande!
Non so quanto andai su e giù con l'ascensore ma dopo un'ora ero riuscita a portare tutto dentro, anche se ero un po' stranita non aver incontrato nessuno in giro ma sarei stata un'ipocrita nel dire che non ne ero contenta. Perché era vero: facevo fatica a fare amicizia, soprattutto con le persone del sesso opposto e non era solo per il mio carattere riservato e schivo, ma anche per il mio corpo, con cui avevo un rapporto d'amore ed odio.
Mi osservai nello specchio che c'era in entrata e feci una leggera smorfia; sono sempre stata formosa ovunque, a partire da un seno decisamente procace e un sedere troppo rotondo, le mie cosce non erano esattamente sottili così come le mie braccia, il ventre era morbido ma non c'era grasso in eccesso. Potevo dire di non avere un brutto fisico, non ero in sovrappeso ma per qualche motivo mentre osservavo le mie coetanee tutte snelle e alte, mi faceva sentire spesso brutta in loro confronto. L'unica cosa che apprezzavo di me erano il viso appena paffutello, i miei occhi azzurri e le labbra carnose; anche i miei capelli mi davano fastidio perché erano super ricci e di un castano nocciola che spesso e volentieri erano crespi e con poca definizione.
Le persone mi prendevano in giro perché volente o nolente spiccavo nella folla, come un ranuncolo in mezzo ad un campo di margherite. Non aiutava poi il fatto che vestivo con abiti larghi per nascondermi da occhi indiscreti, e l'apparecchio ai denti messo a diciassette anni avevano dato una bella mazzata alla mia già scarsa autostima.
<< Devo pensare positivo... Non sono più al liceo, i miei bulli sono lontani anni luce e a farsi la loro vita. Troverò senza dubbio persone che mi apprezzeranno ed io riuscirò a farmi delle amicizie. >> bisbigliai tenendo gli occhi chiusi.
Tolsi le scarpe, lasciandole in entrata e raggiunsi il piccolo divano a due posti, sedendomi e molleggiando un po'. '' Almeno è comodo '' pensai afferrando la borsa contenente il cellulare nuovo e, dopo averlo acceso e inserito le mie credenziali, potei chiamare Lorraine che mi rispose immediatamente.
Parlammo per una decina di minuti, ma la stanchezza si faceva sentire per entrambe e dopo averla salutata, vidi che era già molto tardi. Mi sdraiai facendo molti respiri profondi, e dopo una breve occhiata agli scatoloni da aprire, decisi che avrei iniziato la mattina seguente mentre il sonno mi reclamava con insistenza.
Chiusi gli occhi e mi addormentai, sperando e pregando per un inizio felice.
Avrei lottato con tutte le mie forze per far sì che ciò si avverasse.
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