Imparare a crescere
Alzo lo sguardo e osservo le volute di vapore sollevarsi al di sopra del piano di cottura e scomparire poco dopo, mentre, al di sotto, il fuoco scoppietta e riscalda la bevanda ambrata contenuta nel pentolino rosso ormai consumato a causa dell'eccessivo utilizzo.
Inspiro a pieni polmoni l'odore della mia tisana e prego con tutta me stessa che essa possa donarmi sollievo e scaldarmi, perché di sopportare il gelo, di sentirlo penetrare attraverso il plaid fucsia di Minnie e il pigiama di lana rosa, proprio non ne posso più. Nemmeno le coperte, il mio rifugio confortevole e sicuro, sono riuscite a offrirmi un riparo dagli sbuffi di aria fredda derivanti dalle pareti poco spesse.
Abbasso la fiamma fino a smorzarla e, con enorme cautela, afferro il tegamino ormai bollente. Ne verso il contenuto in una tazza, servendomi delle presine in modo tale da non ustionarmi le mani; dopodiché, a procedura finita, lo sciacquo con un getto di acqua fredda e lo ripongo nel lavabo.
Mi siedo e inizio a sorseggiare con lentezza il mio decotto, mentre sfrego, con l'unica mano libera, le braccia, nel tentativo di riscaldarmi, ma invano, perché neanche questo gesto mi regala un po' di calore; così come non sembra donarmelo il liquido caldo che scivola giù per la mia gola e il quale, a ogni secondo che passa, diviene sempre più tiepido.
Sospiro, sapendo che a breve quella fugace sensazione di tepore scomparirà, e fisso lo sguardo, per nessun motivo in particolare, sulle mattonelle bianche e immacolate della mia cucina. Ho bisogno di qualcosa che mi distragga dal silenzio in cui la mia casa è avviluppata e contare le righe presenti fra una piastrella e l'altra mi sembra l'unico rimedio efficace per mettere a tacere i pensieri. Sono quasi sicura che se virassi lo sguardo in direzione dell'autostrada dall'altra parte del vetro, essi inizierebbero a viaggiare a una velocità inaudita e non posso permetterglielo; non posso consentirglielo perché a breve dovrei tornare nel mio giaciglio e mi auguro con tutta me stessa di riuscire a lasciarmi andare alla stretta soporifera di Morfeo, ultima soluzione contro l'insopportabile morsa del clima di fine autunno.
Mi alzo e mi affretto a riporre ogni cosa in ordine, prima di raggiungere la mia stanza. Però, prima ancora che possa muovere un passo verso di essa, una luce azzurra, riflessa nello specchio a pochi centimetri da me, attira la mia attenzione.
Non mi spavento, perché sono consapevole di cosa essa rappresenti. Sono mesi che quel bagliore, visibile solo ai miei occhi, appare nel cuore della notte e posa con insistenza i suoi raggi sul mio viso nell'evidente tentativo di svegliarmi; tuttavia, io rimando ogni volta il mio appuntamento. Non questa, però; non quando sono consapevole del mio dovere, non nel momento in cui dall'altra parte c'è qualcuno che necessita della mia presenza, delle mie spiegazioni, delle mie rassicurazioni.
Con un sorriso sghembo stampato sul volto e a passi silenziosi mi dirigo nella mia stanza. Prelevo l'unico oggetto utile in situazioni simili: il mio piccolo portatile; poi, con una mano, afferro il globo fluttuante a pochi centimetri da me. Questo inizia a irradiare una luce così intensa che, per la prima volta dopo tanto tempo, temo possa svegliare qualcuno, ma quando mi volto indietro, non noto alcuna smorfia attraversare il viso di mia sorella e ciò mi fa pensare quanto le mie paure siano infondate.
La sfera luminosa mi avvolge per qualche istante e, quando scompare, un ulteriore sorriso compare sul mio volto. Alle mie spalle è presente un arco in ferro battuto, sulla cui sommità vi sono impresse alcune parole, le quali spiegano che, una volta arrivati lì, nessuno può tornare indietro. Scuoto la testa, divertita, e ripenso a quanto quelle parole abbiano influenzato le esistenze degli abitanti del posto. Loro sono intrappolati in una gabbia dorata, prigionieri delle loro convinzioni. Invece, io, se solo lo volessi, potrei creare un portale per tornare indietro o mutare il colore dei grattacieli azzurri e grigi attorno a me. Tutto quello che mi circonda è argilla morbida nelle mie mani, materia malleabile da plasmare a mio piacimento. Pochi gesti, rapidi click sulla tastiera consunta del mio computer e potrei far diventare il globo argenteo e lattiginoso presente nel cielo un astro sfolgorante. Però, non sono qui per destabilizzare il delicato equilibrio di questa dimensione e mi limito a scrutare le strade con la stessa gioia che proverei nel rivedere una persona cara dopo un lungo periodo di assenza.
Prima di compiere qualche passo, mi osservo e non mi sorprendo nell'apprendere del cambio d'abito. Il mio pigiama è stato sostituito dalla divisa nera dei guerrieri, su cui sono disegnati dei tralci dorati e una rosa azzurra. Stesso discorso vale per le mie pantofole, divenute un paio di stivali alti della medesima tonalità del mio abbigliamento, e per la mia giacca, adesso un lungo cappotto turchino, sul cui retro è presente un fodero.
Nel toccare quest'ultimo, vengo attraversata da un brivido di piacere, perché al suo interno è presente una fedele riproduzione della prima lama celeste mai esistita. Un tempo, in una Terra diversa, quest'arma argentea con i tre zaffiri incastonati sul manico dorato era appartenuta a Narathiel Asamth, uno dei primi tre guerrieri designati dalla Creatrice.
Mi incammino e di tanto in tanto mi soffermo sulle abitazioni e sui locali presenti da ambo le parti dei larghi e caratteristici viali di Andel, la città dei miei sogni; l'unico luogo che, seppur popolato da strane creature, mi sia familiare. Da un lato vi sono alti palazzi adibiti a uffici e appartamenti; dall'altra, invece, una lunga fila di grandi villette bianche come la neve si estende fino all'orizzonte e oltre.
Mentre ne percorro le strade, il mio sguardo cade più volte sui luoghi conosciuti: sulla centrale, dove i miei personaggi si addestrano per combattere; sul palazzo nel quale, una volta, abitavano Frederick e Sophie e su villa Wave, su cui il mio sguardo indugia per un po'.
Sono tentata di raggiungerla, di aprire con poche parole il cancello di quella casa solo per andare da Francis e spiegargli quali atteggiamenti avrebbe dovuto evitare, però non lo faccio, perché voglio che capisca da solo quali siano le decisioni più giuste da prendere in situazioni simili. In fondo, se voglio che cresca, devo lasciarlo affrontare in autonomia le difficoltà da me create.
Mi mordo le labbra, distolgo a forza lo sguardo dall'unica luce accesa –appartenente proprio alla stanza dove alloggia lui - e oltrepasso a passo svelto la villa candida e immersa nel verde, poiché so che se restassi ferma ancora per qualche secondo, potrei voler tornare indietro e non posso farlo, in quanto non è lui la persona a che ho intenzione di incontrare, stanotte.
Abbasso il capo, così da evitare che i corti ciuffi di capelli castani mi offuschino la vista a causa del vento e mi nascondo all'ombra degli alberi piantati nelle piccole aiuole dei marciapiedi. So di essere nella mia dimensione e, oltretutto, indosso la divisa, ma ciò non mi tranquillizza. È possibile che io incontri qualcuno di pericoloso e non sono sicura di poter agire tanto in fretta da poter eliminare un potenziale avversario. Fra l'altro, il mio portatile è ancora spento, riposto nella sacca apparsa al mio fianco quando sono entrata qui.
Mi aggiro furtiva per le strade e mi chiedo se, durante la mia passeggiata notturna, io non abbia la possibilità di incontrare Richard, di sicuro impegnato nella sua ronda giornaliera o in una spedizione pericolosa; oppure Adam, così calato nel suo compito da tagliare fuori qualsiasi cosa riguardi la sua vita abituale, durante i suoi turni di guardia. Però, le strade continuano a rimanere tranquille e deserte; fatta eccezione per un tratto, dove vi è un gruppo di ragazzi ritardatari. A dispetto del coprifuoco imposto ai giovani dalle leggi, esso continua a schiamazzare di fronte all'entrata di un locale e sembra troppo concentrato a prendersi in giro per potersi accorgere di me. Passo oltre e getto una rapida occhiata a quegli adolescenti ignari del loro futuro più prossimo. Mi auguro, nel mentre, che loro si godano appieno quegli ultimi attimi di tranquillità e se ne tengano stretto il ricordo, perché qualcosa potrebbe stravolgere la loro vita.
Mi riscuoto dai miei pensieri e mi accorgo di aver percorso qualche centinaio di metri. Mi tranquillizzo non appena apprendo di essere vicina al mio obbiettivo; tuttavia, proprio quando sto per tirare un sospiro di sollievo, una terribile figura mi si para davanti. Per mia fortuna non è una persona, però sono altrettanto sicura della pericolosità di quella creatura mostruosa chiamata Gowin. Le sue zanne acuminate, così come la scia di bava verde e corrosiva lungo la loro superficie e la pelliccia nera, ritta e ispida, donano ulteriori conferme alle mie certezze.
Cerco di racimolare tutta la calma possibile e, dopo aver accantonato le mie paure in un angolo della mente, mi fiondo su di essa. I miei movimenti sono impacciati, resi goffi dall'inesperienza. Con rammarico, penso a quanto sarebbe stato meglio se, prima di partire, avessi avviato il mio computer, così da poter digitare le parole che mi avrebbero salvata nel giro di poco, ma adesso, vulnerabile come sono, non posso fare altro se non contare sulle mie esigue forze, basarmi sull'esperienza dei miei personaggi e sperare di avere un pizzico di fortuna.
Roteo la lama celeste in alto, così da prendere tempo e distrarre il mostro con il suo scintillio azzurro; dopodiché, dirigo l'arma verso il basso e la pianto nella spina dorsale della creatura con un tale impeto, che questa stramazza a terra con un ultimo uggiolio, come di cane ferito. Estraggo l'arma dal suo corpo, contenta di aver superato con tanta facilità quel primo ostacolo, la ripulisco alla bell'e meglio con un panno estratto dal taschino interno della mia divisa e la ripongo nel fodero; in seguito, riprendo a camminare e inizio a sperare di non incappare in ulteriori pericoli. Le mie preghiere rivolte alla Creatrice sul rimanere al sicuro, però, non sortiscono alcun effetto e in qualche attimo mi ritrovo ad affrontare un uomo calvo e robusto, uscito allo scoperto nello stesso momento in cui l'essere impuro è morto. La sua divisa nera, con il medesimo motivo dorato della mia, ma con una rosa scarlatta al centro, così come il ghigno sinistro impresso sulle sue labbra carnose, sono l'evidente prova della sua appartenenza al culto di Marcus.
«Stai lontano da lei!» urla una voce familiare alle mie spalle. Mi volto e incontro il viso di Adam, i cui lineamenti, di solito distesi, si sono induriti. I corti capelli castani sono scomposti a causa della corsa e gli occhi, del consueto azzurro dei guerrieri, sono ardenti per via della rabbia.
«Perché dovrei?» domanda l'altro con una risata agghiacciante.
«Perché tu sei un traditore. E come tutti i tuoi simili, meriti di stare nelle segrete della centrale!»
«Non ci penso neanche» replica l'altro e abbassa la lama su di me, la quale viene intercettata da quella dell'uomo che mi sta proteggendo.
«Spostati!» mi intima. «Va' a cercare un riparo o torna a casa, se puoi!»
«Grazie, signor Adam!» esclamo grata in risposta e, dopo aver rinfoderato la mia lama celeste, corro via prima che il guerriero oscuro possa inseguirmi. Mentre mi allontano, non posso fare a meno di voltarmi indietro e notare lo sguardo perplesso sul suo volto, però non chiede nulla, poiché è troppo impegnato a tenere a bada il suo avversario.
Raggiungo la clinica dell'angelo Gabriel e, solo quando salgo la gradinata di pietra bianca e supero le porte di vetro scorrevoli, il rimorso si insinua dentro me. Mi dispiace aver lasciato il signor Wave da solo, però mi rendo conto che, se fossi rimasta, gli avrei procurato solo altri guai, non essendo in grado di difendermi.
All'interno dell'edificio i corridoi dalle pareti azzurre e decorati a tratti da ali d'angelo, così come quello di casa mia minuti fa, sono completamente immersi nel silenzio. Molte delle porte di legno sono socchiuse per celare chi vi dimora all'interno; altre, invece, sono spalancate e mostrano a chiunque sia di passaggio il loro contenuto. L'odore predominante, all'interno di quella struttura composta da più piani e svariati reparti, è quello di alcol e antisettico.
Salgo due rampe di scale a fatica a causa dello sforzo fatto durante il combattimento con il mostro e mi incammino, a passo sicuro, oltre la vetrata dell'ambiente dove vengono ricoverati i guerrieri morsi dai demoni. Prima di accedervi, però, decido di accendere il mio computer e caricare la pagina bianca di Word in cui scriverò in caso io lo ritenga necessario.
Per sfortuna, sono costretta subito a ricorrere a questo stratagemma, perché un infermiere sta per avvicinarsi a me e, dallo sguardo che mi rivolge, sembra volermi chiedere cosa io ci faccia qui. Gli ordino, attraverso le parole scritte, di dirigersi ai piani inferiori, poiché un suo collega lo ha chiamato.
«Arrivo!» grida l'uomo e io non posso fare a meno di soffocare un risolino a causa della situazione.
Senza indugiare oltre, percorro il corridoio fino alla stanza quattordici, dove sono sicura di trovare la persona che sto cercando. Spingo in avanti la porta di legno socchiusa e, quando essa si spalanca, trovo una figura femminile rannicchiata sul materasso. I suoi lunghi e ondulati capelli scarlatti ricadono sulle braccia, ricoperte da un pigiama rosa e gli nascondono il volto dai lineamenti morbidi.
La ragazza alza lo sguardo e i suoi occhi azzurri, divenuti rossi a causa dei rivoli di lacrime sul suo volto e colmi di dolore, incontrano i miei. Ho un tuffo al cuore nel vederla soffrire così, stare male per la persona amata. Soprattutto, sapendo che la responsabile di tutto questo sono io.
Lei, nel vedermi, scatta all'indietro e afferra la lama celeste tempestata di smeraldi e nascosta dietro al comodino in parte al suo letto. «Chi sei?» mi domanda. Dall'espressione rivoltami dalla ragazza, capisco che non ci metterà molto ad alzarsi dal letto e affrontarmi. Ne avrebbe tutte le ragioni; dopotutto, sono un'estranea, una figura sconosciuta, e immagino che presentarmi con la divisa addosso non sia stata la migliore delle mie decisioni, dato il suo tono allarmato.
Sebbene mi rammarichi, digito alcune parole sul portatile fra le mie mani e posiziono la sua arma in un luogo dove lei non possa raggiungerla. Però, la giovane non si perde d'animo e afferra la bottiglia d'acqua accanto sul mobiletto. Essa, proprio come l'oggetto precedente, sparisce nel nulla con un mio comando.
«Ma insomma, chi sei?» continua a chiedere lei e io sospiro per l'ennesima volta nel corso della nottata.
Mi siedo sul bordo del letto e le prendo con dolcezza il mento fra le mani. «Sono Maria, la persona che ti ha creata» dichiaro e attendo una sua reazione, che non tarda ad arrivare.
«Tu devi essere matta» risponde, soffocando un singhiozzo. «Una di quelle fanatiche appartenenti alla schiera del Creatore. E se è così, perché invece di questa pagliacciata non mi dici subito cosa vuole da me e dove sono i miei genitori?»
«Pensavo che la mia divisa parlasse chiaro» dichiaro con tono conciliante e indico il mio petto, dove campeggia la rosa azzurra, simbolo dei guerrieri dal cuore puro. «In ogni caso, se non si fosse capito, no. Non sono cattiva e né tantomeno pazza. Sono davvero chi dico di essere.»
Poiché la ragazza continua ad avere un'espressione confusa, digito alcune parole sul mio portatile e faccio apparire al mio cospetto due tazze di latte caldo, nella speranza che anche un gesto insignificante come questo la aiuti a prendermi sul serio.
«Adesso mi crederai, Silene?» le domando e a quel punto, all'improvviso, comincia a tempestarmi il braccio esposto di leggeri pugni. Non mi ritraggo, consapevole di meritarmeli tutti quanti. Se io fossi stata al suo posto, con ogni probabilità avrei reagito nello stesso modo.
Quando la sua rabbia si dissipa, lei torna nella sua posizione iniziale e i singulti riprendono.
«Io... Mi dispiace» mormoro con un'alzata di spalle e, poco dopo, la stringo fra le braccia, tra cui lei, a seguito di qualche istante di esitazione, si lascia andare. Le accarezzo con dolcezza i capelli e il viso rosso a causa delle lacrime.
«Quando hai intenzione di farlo tornare da me?» mi domanda fra un brivido e l'altro, ma non sta tremando per il freddo. Quei tremiti sono il frutto della lontananza da Francis, la sola persona la cui assenza la distrugga quasi quanto quella dei suoi genitori.
«Presto» la rassicuro e lei comprende che le sto dicendo la verità dal modo in cui la guardo negli occhi. Con questo contatto visivo, cerco di trasmetterle tutto il mio affetto per lei e il rammarico per la sua situazione.
Lei si asciuga le lacrime con i dorsi delle mani. «E perché non adesso?»
«Perché dovete imparare a crescere, Silene» affermo e, mentre la guardo, noto un'ombra scura passare sul suo volto pallido, smagrito e su cui sono presenti delle occhiaie. «So quanto possa sembrare crudele, da parte mia, farvi questo, ma ne avete bisogno. La vita non consiste solo nell'affrontare uomini cattivi e mostri, ma anche questo genere di difficoltà. Un giorno, forse, mi ringrazierai.»
«Dovrei ringraziarti per tutto il dolore che mi stai facendo provare? Per tutte le ferite che hai procurato a me, Francis, May e tutte le persone a me care? E per tutte quelle che ancora ci infierirai?» sbotta lei e incrocia le braccia al petto in segno di protesta.
«Mettiamola così» inizio, sistemandomi gli occhiali da vista blu. «Io ho avuto un assaggio del vostro dolore e sto cercando di sopportarlo. Per una persona non addestrata a combattere, ti assicuro che uno scontro, seppur breve, costa una grande fatica. Adesso, però, tocca a te comprendere come fare a superare tutto questo. Se posso riuscirci io, una semplice mortale, perché non dovresti tu, che sei una coraggiosa guerriera?»
«Se non vuoi sistemare tu le cose, puoi, almeno, inviarmi un aiuto?» Sospira e abbraccia il cuscino, fino a qualche istante prima poggiato dietro di lei.
«Questo sì» dico e le stampo un bacio delicato sulla fronte, da cui lei non si ritrae. Sebbene sia contrariata per quello che le ho fatto, sembra aver compreso i miei motivi e ciò le permette di lasciarsi andare con me. «Però, prima, devi promettermi che continuerai a combattere.»
«Lo prometto» mi rassicura e io annuisco, soddisfatta dalla sua risposta; dopodiché, mi alzo in piedi e digito sul portatile le parole con cui posso creare il portale di ritorno a casa.
«Cosa stai facendo?» mi chiede, incuriosita dai miei gesti.
«Sto creando un passaggio. Devo tornare a casa prima dell'alba» replico, guardando l'orologio sul mio polso e accorgendomi solo adesso di quanto si sia fatto tardi. «Se qualcuno della mia famiglia si rendesse conto della mia assenza, come credi che la prenderebbe?»
«Non bene» osserva lei con aria pensierosa. Benché non abbia parlato, io sono certa della direzione intrapresa dai suoi pensieri. La sua mente è in balia dei ricordi riguardanti la sua famiglia, vittima di una triste tormenta non ancora giunta al termine.
«Ritroverai anche loro» asserisco, interpretando i suoi pensieri, «più avanti.»
Non risponde, ma a giudicare dal timido sorriso formatosi sul suo volto, comprendo quanto la notizia la sollevi. «Tornerai?» mi domanda.
«Con la mente, sì. Fisicamente, mai più. Non sono proprio in grado di combattere» confesso con le guance imporporate a causa dell'imbarazzo e lei scoppia nella prima risata sincera da quando sono arrivata. Mi si scalda il cuore nel vederla ridere, perché è proprio ciò che desidero e il peso che fino a qualche minuto fa mi ostruiva il petto ora si attenua.
Non voglio andarmene senza lasciarle un segno del mio passaggio, così le regalo il mio cappotto. Lei lo stringe a sé, come se fosse un tesoro prezioso e, prima che possa sparire così come sono venuta, lei alza la mano in segno di saluto, a cui io rispondo con un cenno del capo.
Il globo azzurro mi avvolge ancora una volta e, qualche istante dopo, mi ritrovo fra le coperte, a casa, con il mio pigiama, il portatile fra le mani e un largo sorriso sul volto. Il mio obbiettivo era rassicurare la mia Silene, spronarla e, dopo l'ultimo scambio di battute, sembra proprio che io ci sia riuscita.
SPAZIO DELL'AUTRICE:
Questa è una storia breve scritta in occasione del #MonthShot di Dicembre della campagna Wattpad Advisor. Sono felicissima di poterla pubblicare anche qui, con tutte le correzioni del caso segnalatemi dai giudici @SlyCooper e firstofhisname. Non mi resta che sperare che possa piacere anche a un pubblico esterno, oltre che a incuriosire il lettore al riguardo della dimensione fantastica presente nella mia opera! (Il testo fa riferimento al secondo volume della mia saga: "Legends - I guerrieri".)
Grazie ancora a tutti! :)
Maria.
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