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Thomas Shelby [PB]

La stanza è immersa in una penombra che sembra fatta apposta per nascondere tutto quello che non siamo pronti a dire ad alta voce.

Thomas è lì, in piedi accanto alla finestra, con lo sguardo perso fuori.

Il riflesso del vetro disegna linee sottili sul suo viso, accentuando quei lineamenti taglienti che sembrano scolpiti da un artista troppo innamorato della perfezione.

Io sono appoggiata al muro opposto, fingendo di essere interessata a qualunque cosa mi venga in mente per non fissarlo troppo a lungo.

Ho una tazza di tè tra le mani, ormai freddo, ma non mi importa.

La mia attenzione è tutta concentrata su di lui, su ogni movimento appena accennato.

Come il modo in cui le sue dita tamburellano distrattamente sul davanzale, o come inclina leggermente la testa, quasi pensieroso.

-Stai per caso cercando di bucare il vetro con quello sguardo?- rompo il silenzio, perché è più facile fare battute che ammettere che non riesco a respirare quando siamo nella stessa stanza.

Thomas si volta lentamente, il suo sguardo è intenso come sempre, e sì, mi prende in pieno come una scarica di adrenalina.

Le sue labbra si piegano in un sorriso appena accennato, ma i suoi occhi rimangono seri -Ci stavo provando, ma non sembra funzionare.-

-Peccato- mormoro, cercando di sembrare disinvolta.

Ma il battito del mio cuore è tutto tranne che disinvolto.

È impazzito, e sono abbastanza sicura che lui possa sentirlo da dove si trova.

Thomas fa un passo verso di me.

Un solo passo, e già sembra che l’aria nella stanza si sia fatta più densa.

Il suo sguardo scivola sulla mia figura con una lentezza esasperante, come se stesse cercando di memorizzare ogni dettaglio.

Non dice nulla, ma il modo in cui mi guarda è sufficiente a farmi dimenticare come si respira.

-Dovresti smetterla di guardarmi così- riesco a dire, anche se la mia voce è più debole di quanto vorrei.

-Così come?- chiede lui, inclinando leggermente la testa.

È un gesto piccolo, quasi innocente, ma mi fa venire voglia di urlare per la frustrazione.

-Come se stessi per fare qualcosa di... - mi fermo, cercando la parola giusta.

Ma lui alza un sopracciglio, sfidandomi a finire la frase, e improvvisamente tutte le parole che conosco svaniscono.

Un altro passo.

Poi un altro ancora.

Ora è così vicino che posso vedere le ciglia scure che ombreggiano i suoi occhi, e sentire il profumo del tabacco e del whisky che sembra sempre avvolgerlo.

-Di pericoloso?- suggerisce infine, la sua voce bassa, quasi un sussurro.

-Sì, qualcosa del genere- rispondo, ma il mio tono tradisce quanto poco vorrei che si fermasse.

Non mi tocca, non ancora.

Ma la sua mano si avvicina, lenta e misurata, fino a sfiorare appena la mia.

È un tocco così leggero che potrebbe quasi non essere reale, ma manda una scossa elettrica lungo il mio braccio.

Le sue dita si spostano sul dorso della mia mano, poi si fermano.

Aspetta, come se stesse lasciando a me la decisione finale.

Come se mi stesse dando la possibilità di fermarlo, se lo voglio davvero.

Ma non lo voglio.

Faccio un passo verso di lui, annullando lo spazio che ci separa.

La mia mano si alza quasi senza che io me ne renda conto, trovando la strada verso il suo viso.

Quando le mie dita sfiorano la sua guancia, lui chiude gli occhi per un istante, come se stesse cercando di trattenere qualcosa di troppo grande per essere espresso a parole.

-Questo è un errore- mormora, ma il suo tono è troppo debole per essere convincente.

-Forse- rispondo, la mia voce altrettanto incerta.

Poi finalmente cede.

Le sue mani si posano sulle mie spalle, scivolando lentamente lungo le braccia fino a stringermi la vita.

Mi tira verso di sé, e il mondo si dissolve.

C'è solo lui, il calore del suo corpo contro il mio, il ritmo irregolare del suo respiro che si mescola al mio.

E poi mi bacia.

Il suo bacio è tutto ciò che non mi aspettavo e tutto ciò di cui avevo bisogno.

È lento, misurato, ma c’è una passione sottostante che mi lascia senza fiato.

Le sue labbra sono morbide, ma ferme, come se stessero cercando di comunicare tutto ciò che le parole non possono dire.

Le mie mani trovano la strada verso i suoi capelli, affondando tra le ciocche scure mentre mi avvicino ancora di più.

È come se non riuscissi a stargli abbastanza vicina, come se avessi paura che possa svanire se lo lascio andare.

Quando ci separiamo, i suoi occhi cercano i miei, e per un momento restiamo lì, senza dire nulla.

Il suo sguardo dice tutto: che questo non è stato un errore, che forse è stato inevitabile sin dall'inizio.

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