Spencer Reid [Cm]
Immagina per lucy08novembre2001
Spero ti piaccia 💚
Mi sveglio con un peso sul petto.
Letteralmente.
David, uno dei nostri gemelli di due anni e mezzo, ha deciso che la mamma è il suo cuscino personale.
Lo sento respirare piano, completamente incosciente del fatto che mi sta comprimendo i polmoni.
Dall’altra parte del letto, Diana è rannicchiata contro Spencer, con il pollice in bocca e la sua copertina stretta tra le dita.
Sorrido.
Vederli così sereni mi fa sempre un effetto strano.
Forse perché conosco troppo bene l’oscurità che si nasconde nel mondo, nei casi che risolviamo ogni giorno.
O forse perché, in fondo, l’oscurità l’ho conosciuta molto prima di diventare una profiler.
Mi stiracchio piano, cercando di non svegliare David, e noto che Spencer è già sveglio.
Ha gli occhi fissi sul soffitto, come se stesse risolvendo un’equazione complicata nella sua mente.
Poi, con voce sonnolenta, dice:
-Sei mesi-
-Mh?-
-Sei mesi, e poi avranno tre anni-
Il mio cuore si ferma.
Tre anni.
Le parole di Spencer risuonano nella mia testa come un colpo di pistola.
Il fiato mi manca.
Le mani si fanno gelide.
E all’improvviso non sono più nel nostro letto, con mio marito e i nostri bambini.
Sono in un altro posto.
Un altro tempo.
-20 ottobre 1985-
Palloncini rossi e gialli.
Un treno giocattolo che gira in tondo, il suo suono monotono che riempie la stanza.
La voce di mia madre, dolce, mentre mi canta una canzone che non ricordo più.
Poi urla.
Un coltello.
Sangue.
Io che piango.
Io che non capisco.
Io che rimango lì, con il corpo di mia madre, perché non so dove andare, perché ho solo tre anni e la mia mamma non si sveglia più.
-Presente-
«T/N? Amore?»
La voce di Spencer mi riporta alla realtà.
Lui è seduto, gli occhi spalancati, la fronte corrugata.
Capisce subito che c’è qualcosa che non va.
Mi sfiora la guancia con la punta delle dita.
-Cosa c’è?-
Apro la bocca. La richiudo.
Poi mi tiro su, attenta a non svegliare David, e scendo dal letto.
-Niente. Ho solo bisogno di una doccia-
Non è vero.
E Spencer lo sa.
Ma non insiste. Per ora.
---
Non riesco a togliermi dalla testa quella frase.
Sei mesi, e poi avranno tre anni.
Tre anni.
L’età che avevo quando ho visto mia madre morire.
Mi sembra un segno.
Un segno che è arrivato il momento.
Così, quando arrivo al BAU, mi dirigo direttamente da Hotch.
-Voglio riaprire un caso-
Lui alza un sopracciglio -Che caso?-
-L’omicidio di mia madre-
Silenzio.
Tutti smettono di fare quello che stanno facendo.
Spencer mi fissa, preoccupato.
JJ copre la bocca con la mano.
Emily incrocia le braccia al petto.
Anche Derek, che di solito ha sempre una battuta pronta, rimane senza parole.
Poi Hotch annuisce -D’accordo-
Ed è così che, dopo trentasette anni, il caso di Evelyn viene riaperto.
Non ho mai ricordato molto di quella notte.
Ma tre cose non mi hanno mai lasciato:
Palloncini rossi e gialli.
Un treno giocattolo.
Il cognome Reagan.
Ci buttiamo nel caso.
Analizziamo il fascicolo, riesaminiamo le prove.
Spencer lavora come un dannato, anche se so che preferirebbe che mi allontanassi da tutto questo.
Ma non lo farò. Non questa volta.
Alla fine, è Garcia a trovare la chiave di tutto.
Si chiama Richard Reagan.
Ma io lo conosco con un altro nome.
Papà.
Il sangue mi si ghiaccia nelle vene quando Garcia lo dice.
Ma in fondo, non sono sorpresa.
Mia madre mi ha sempre raccontato che il mio vero padre era sparito prima che io nascessi.
Ma non era vero.
Lui l’aveva cercata. L’aveva trovata.
E l’aveva uccisa.
---
Lo arrestiamo due giorni dopo.
Ha sessantatré anni, i capelli bianchi, gli occhi gelidi.
Mi guarda come se fossi un fantasma.
Io lo guardo come se fosse già morto.
-Sono tua figlia-
Lui annuisce, come se fosse ovvio -Lo so-
Non gli do il tempo di dire altro.
-Non ti odio... Non lo faccio per te, ma per me stessa. Ti perdono-
Lui mi fissa, sorpreso.
Ma poi io aggiungo: -Ma questo non significa che voglio vederti mai più-
E me ne vado.
Spencer è lì, ad aspettarmi fuori.
Non dice niente.
Mi guarda e basta.
Poi mi tira a sé, mi abbraccia così forte che quasi mi toglie il respiro.
Sento le sue labbra contro il mio collo, un bacio caldo, un bacio che sa di casa.
E io mi lascio andare.
Perché dopo ventisette anni, l’incubo è finito.
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