Elias Voit [Cm: Evolution]
Non dovrei essere qui.
Lo so. Lo so nel momento stesso in cui la mia mano si posa sulla maniglia della porta d’ingresso al blocco di detenzione.
È come se ogni fibra del mio essere mi stesse urlando di fermarmi, di voltarmi e tornare indietro.
Eppure, eccomi qui.
La luce illumina il corridoio stretto, riflettendosi sulle pareti bianche e spoglie.
Ogni passo che faccio riecheggia nel silenzio innaturale, spezzato solo dal ronzio delle telecamere e dal lieve cigolio della sedia dell’agente di sorveglianza.
Svolto l’angolo, e l’agente mi lancia un’occhiata curiosa.
-Buongiorno, agente T/c- dice con una nota di sorpresa nella voce -Ci sono novità?-
Sorrido, o almeno tento di farlo.
È un sorriso tirato, troppo consapevole del peso che porto -Potrebbero essercene... Ho bisogno di parlare con Voit-
Lui si alza dalla sedia, un sopracciglio alzato -Capisco- Esce dalla stanza, facendo un cenno rapido alla guardia accanto alla porta della cella -Ai suoi ordini-
Mi schiarisco la gola e aggiungo, con una calma che non sento affatto: -Posso... Posso chiederle di spegnere le telecamere? Sa, l’indagine è delicata. Non possiamo permetterci fughe di informazioni-
L’agente ride sottovoce, scuotendo la testa -Ah, voi federali. Sempre così riservati.- Si gira verso il pannello di controllo, smanettando con un paio di pulsanti -Le telecamere saranno spente-
Annuisco, trattenendo il respiro -Grazie-
Con un gesto della testa mi invita a entrare, e la porta si apre con un pesante cigolio metallico.
È seduto su un angolo della branda, un libro in mano.
La luce fredda illumina i suoi lineamenti, accentuando le ombre sulle sue guance scavate e sugli zigomi alti.
Ha l’aria rilassata, come se fosse seduto in una libreria invece che dietro le sbarre.
Chiudono la porta dietro di me, e il suono secco del chiavistello che scatta sembra sigillare non solo la cella, ma anche ogni mia via di fuga.
-Voit...- dico a bassa voce, il nome che mi esce dalle labbra come una confessione.
Lui alza lo sguardo dal libro, con un’espressione che è una miscela di curiosità e divertimento -T/n...-
Mi avvicino di qualche passo, i miei occhi che si spostano automaticamente verso le telecamere spente.
Devo essere sicura.
Lui nota il mio gesto e sorride -Niente sorveglianza, quindi? Mi hai appena regalato un po’ di libertà, T/n-
La sua voce è calma, morbida, ma ha quell’intonazione che riesce sempre a farmi sentire vulnerabile.
-Non dirlo neanche per scherzo- replico, fermandomi a pochi passi dalle sbarre.
Chiude il libro con un gesto lento, misurato, e si alza.
È alto, imponente, e nonostante l’ambiente ristretto riesce a riempire la stanza con la sua presenza.
Indossa la solita divisa del carcere, ma su di lui sembra quasi un capo elegante, come se anche le circostanze non riuscissero a scalfire la sua immagine.
Gli occhi grigi mi scrutano con un’intensità che mi fa venire voglia di scappare, e allo stesso tempo di rimanere.
-Allora?- chiede con un sorriso inclinato, ironico -Ci sono risvolti? Avete trovato prove che mi incriminano?-
Deglutisco, sentendo un nodo stringermi la gola -Smettila- mormoro, la voce quasi un sussurro -Non dovrei nemmeno essere qui-
-Però ci sei-
Le sue parole sono semplici, ma colpiscono come una verità ineludibile.
Faccio un passo avanti, fino a che le sbarre non ci separano solo di pochi centimetri.
Le sue dita si muovono appena, come se stesse aspettando un mio gesto.
Deglutisco di nuovo e, contro ogni logica, allungo una mano verso di lui.
Le sue dita si intrecciano alle mie, calde e sicure.
È un contatto così semplice, ma mi fa sentire come se stessi precipitando.
Guardo verso la porta, cercando di nascondere il tremito che mi scuote.
-Non ci vedranno, non ci vedono mai- dice con calma.
La sua mano si allunga attraverso le sbarre e afferra anche la mia altra mano.
Non riesco a distogliere lo sguardo da lui, dai suoi occhi che sembrano scavare dentro di me.
Appoggio la fronte contro le sbarre fredde, il metallo che mi graffia leggermente la pelle.
-Non dovrei...- sussurro, la voce spezzata.
-Shh- replica lui, il suo tono morbido ma fermo -Smettila di dirlo, se poi torni sempre qui-
La sua mano si solleva lentamente, sfiorandomi il viso.
Il pollice accarezza la mia guancia, asciugando una lacrima che non mi ero nemmeno accorta di aver versato.
-Hai bisogno di saperlo, vero?- chiede piano, con una calma che mi disarma.
-Saperlo?-
Mi asciuga un’altra lacrima, il tocco gentile in contrasto con la brutalità delle sue parole successive -Se sono davvero lui. Se sono davvero Sicarius-
La mia gola si stringe, e il mondo intorno a noi sembra svanire.
Lui si avvicina ancora di più, le sue dita che mi sfiorano il collo e risalgono sulla nuca, facendomi rabbrividire.
-Lo sei?- domando, la voce rotta, spezzata.
Un sorriso si allarga lentamente sulle sue labbra.
Poi mi bacia, per quanto le sbarre ce lo permettano.
È un bacio strano, frammentato, ma mi lascia senza fiato.
-Sì- mormora contro la mia pelle -Sono io-
Mi bacia di nuovo, le sue mani che mi prendono il viso con una delicatezza che mi confonde.
Mi sento sopraffatta, intrappolata in un vortice di emozioni che non riesco a controllare.
Porto una mano dietro il suo collo, cercando di trattenerlo, anche se so che dovrei fare esattamente il contrario.
-Devo andare- sussurro, rompendo il contatto e appoggiando di nuovo la fronte contro le sbarre -Sospetteranno altrimenti-
Lui mi osserva, i suoi occhi che sembrano leggere ogni mio pensiero -Sempre così paranoica...- mi sistema una ciocca di capelli.
-Sono un agente della BAU, Elias, non è paranoia é prudenza-
-D'accordo... Tornerai?-
Esito, ma poi annuisco -Sì-
Il suo sorriso si allarga, e per un attimo sembra quasi umano.
Ma so chi è. So cosa ha fatto. Eppure, quando mi giro per uscire, so anche che tornerò.
Non riesco a farne a meno.
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