Bucky Barnes 🔵² [Marvel]
Immagina per Max_Castellan
Spero ti piaccia 💚
Il bar è pieno, un miscuglio di voci e risate che si mescolano al tintinnio dei bicchieri e al profumo di birra e patatine fritte.
Mi siedo al bancone, il bicchiere mezzo vuoto davanti a me, e mi costringo a rilassarmi.
Questo è il mio posto sicuro, un rifugio dove la musica copre i pensieri e le persone sono solo volti anonimi.
Nessuno mi conosce qui.
Nessuno sa chi ero due anni fa o quanto tempo ho passato a raccogliere i pezzi di me stessa.
Almeno, è quello che penso fino a quando sento la sua voce.
-T/n-
Mi irrigidisco immediatamente.
Il suono è un sussurro, come una preghiera, ma lo riconosco all’istante.
Non potrebbe essere più familiare se lo avessi sentito in sogno.
Lo odio per questo.
Odio il modo in cui il mio corpo risponde prima ancora che il mio cervello registri chi è.
Mi giro lentamente, sperando che sia solo un brutto scherzo della mia mente.
Ma no.
È lì.
Bucky Barnes.
In piedi davanti a me, più alto di quanto ricordassi, con i capelli un po’ più lunghi e la barba più marcata.
Indossa un giubbotto di pelle nero che lo fa sembrare pericolosamente fuori posto in un bar tranquillo come questo.
E quegli occhi azzurri.
Ancora loro.
Ancora un colpo basso.
-Che ci fai qui?- chiedo, la mia voce più fredda di quanto mi aspettassi.
Lui sembra esitare, come se non sapesse nemmeno da dove cominciare.
Si passa una mano nei capelli, un gesto nervoso che mi fa stringere i denti.
Non ha il diritto di essere nervoso.
Non ha il diritto di essere qui.
-Ti ho vista entrare- La sua voce è bassa, come se stesse cercando di calmarmi con il tono.
Come se avesse paura di spaventarmi -E... ho pensato che fosse giusto parlarti-
Rido, un suono corto e amaro che sembra attirare qualche sguardo curioso.
-Parlare? Ora vuoi parlare? Perché, hai improvvisamente scoperto che le porte non si chiudono da sole dietro di te?-
Lui chiude gli occhi per un attimo, come se le mie parole gli facessero fisicamente male.
Una parte di me vuole che facciano male.
Voglio che sappia cosa significa essere lasciati senza una vera spiegazione, con solo il suono della porta che si chiude come addio.
-Lo so che non merito di essere qui- dice, guardandomi di nuovo, questa volta con uno sguardo che sembra più sincero di quanto vorrei -Ma volevo scusarmi. Voglio scusarmi, T/n. Per come me ne sono andato. Per tutto.-
Non rispondo subito.
Mi limito a guardarlo, cercando di capire se sta dicendo la verità o se è solo un altro modo per cercare di giustificare quello che ha fatto.
Due anni fa, avrei fatto qualsiasi cosa per sentire quelle parole.
Ora, mi chiedo se abbiano ancora qualche significato.
-Sei stato via per due anni, Buck- dico infine, la mia voce piatta. -E ora te ne esci con un "mi dispiace"? Davvero?-
Lui fa un passo avanti, e per un momento temo che stia per toccarmi.
Ma non lo fa.
Si ferma a pochi centimetri da me, le mani tese lungo i fianchi come se stesse cercando di controllare ogni movimento.
-So che ho sbagliato. So che ti ho fatto male. Ma... ho passato ogni singolo giorno a pensare a te. A cosa ho fatto. E a come non posso cambiare il passato, ma... voglio provarci. Voglio rimediare, se me lo permetti-
Le sue parole sono come pugnalate.
Voglio odiarlo per quello che ha fatto, per il dolore che mi ha lasciato.
Ma c'è una parte di me, una parte piccola e fragile, che vuole credergli.
Che vuole dargli un’altra possibilità.
No.
Non questa volta.
-Sai una cosa?- dico, il mio tono improvvisamente più calmo -Per molto tempo, ho sperato che tornassi. Ho sperato che ti rendessi conto di quello che avevi fatto e che venissi da me con un discorso come questo. Ma non è successo. Non sei tornato quando avevo bisogno di te, Bucky. Sei tornato quando era conveniente per te-
Lui sembra colpito dalle mie parole, ma non risponde subito.
Invece, mi guarda con quegli occhi che un tempo avrei fatto di tutto per vedere sorridere.
Ora, non provo nulla.
Solo una calma glaciale.
-T/n... io ti amo- La sua voce è appena un sussurro, ma le sue parole sono come un’esplosione nella mia testa.
Mi alzo dal mio sgabello, afferrando la borsa.
Lo guardo dritto negli occhi, e questa volta sono io a sembrare una statua.
-Sai cosa, Bucky?- dico, la mia voce ferma -Vai a farti fottere.-
Lo vedo sobbalzare, come se quelle parole fossero l’ultima cosa che si aspettava.
Ma non mi fermo.
Mi giro e mi dirigo verso la porta, ignorando i suoi richiami dietro di me.
Esco nel freddo della notte, il cuore che batte furiosamente nel petto.
Ma per la prima volta in due anni, non mi sento spezzata.
Mi sento libera.
Liberata dal peso di aspettare qualcuno che non è mai tornato.
E questa volta, non sarò io a guardarmi indietro.
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