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Pumpkin Head


Novembre era oramai alle porte, un freddo secco e pungente accompagnava l'imbrunire delle foglie e le piogge autunnali. Quel trentuno ottobre sanciva, oltre che la fine del mese, anche l'arrivo della festa di Halloween, o per lo meno la piccola cittadina di New Post, gemma nel cuore del Wisconsin, si preparava a metterne in scena gli addobbi, pronta ad alleggerire gli animi dei cittadini con un altra festività.

Tra i camini accesi e gli abeti dorati, l'atmosfera era quella di una perfetta cittadina ridente pronta all'arrivo del freddo e delle basse temperature, ma, a guardar meglio non per tutti la tranquillità sembrava essere di casa. A pochi passi dalla stazione di benzina, in una abitazione malandata con il portico in larice, abitava Timothy.  A sette anni e con un padre violento e alcolizzato, viveva tra quelle mura.

Quando non si hanno termini di paragone, anche la più misera delle esistenze può sembrare sopportabile e agli occhi di Timmy, era proprio questo la sua vita. Sopportabile. L'avere perso così presto la madre, gli faceva apprezzare la presenza del padre, che, seppur perennemente ubriaco e violento rappresentava a quegli occhi innocenti, la cosa più somigliante ad una famiglia che potesse mai sognare di avere.

Ogni qualvolta lo sentiva rincasare, Timmy provava timore, badava sempre d'essere a casa al suo ritorno; non gli era permesso d'uscire ne di frequentare altri bambini, tutto poteva tramutarsi in una scusa per una buona dose di schiaffi. Ricordava ancora quella volta in cui, per essere rincasato tardi, il padre aveva usato la cintura, c'erano volute due settimane perchè ne vedesse scomparire i segni. I lividi mutarono di colore al passar dei giorni, per ogni nuova sfumatura una colpa da attribuirsi; forse era tanto disubbidiente, di poco aiuto nelle faccende domestiche o persino inopportuno a volte, pensava.

Non gridava quell'uomo, quasi mai, ma bastava uno sguardo di sdegno perchè Timmy capisse che era giunta l'ora delle botte. La sera era sempre nervoso e spesso finiva per prendersela con lui, con il tempo il bambino aveva capito che, a nulla sarebbero valse le parole di scuse rivolte all'uomo e che anzi, avrebbero finito per fungere da carburante verso quell'ira cieca e vigliacca.

Rimaveva in silenzio Timmy, anche quando si ritrovava sbattuto sotto al letto dell'uomo. Era questa la conclusione delle sfuriate, ilpadre lo intimava di rimanere zitto sotto al letto mentre lui, consumato dall'alcol, si sdraiava sopra di esso e pochi minuti dopo cadeva irrimediabilmente in un profondo sonno. Era dura per Timmy non cedere al panico, il buio era spaventoso e il mostro sopra al letto forse, lo era ancora di più. Ad ogni respiro dell'uomo, uno scricchiolio delle molle ed un respiro trattenuto per Timmy. Quei mezzi respiri intrisi d'attesa e paura oramai, li conosceva bene, prima o poi finivano sempre per lasciare spazio a brutti pensieri, per questo il bambino cercava qualsiasi fonte di distrazione lo allontanasse da quelle sensazioni spiacevoli.

Cercava a volte di ricordare una filastrocca, ripescava nella testa i pensieri felici, altre invece parlava con una bambina grassottella che aveva preso vita nella sua immaginazione. L'aveva chiamata Bette, come il personaggio di una storia che la madre gli raccontava, quando tutto era ancora normale.Quando la paura di essere solo, ancora non gli apparteneva.

Nonostante tutto Timothy, aveva i sogni di ogni qualsiasi altro bambino e per nulla al mondo avrebbe rinunciato a festeggiare la sera stessa. Seppur confinato tra le mura di quella casa, si era procurato una grossa zucca, l'aveva poggiata sotto al portico. Con quel gesto si era sentito meno diverso, come gli altri bambini anche lui, a modo suo, aveva addobbato la veranda di casa. Chiudendo gli occhi Timmy la poteva vedere, la normalità, poteva assaporarla e gustarne quasi il sapore dolce.

La sera era giunta, come tutte le altre, il padre sfinito da innumerevoli birre era collassato sul divano. Timmy allora, facendo attenzione a non far rumore aveva aperto la porta d'ingresso ed era uscito in veranda. Era sgattaiolato fuori con indosso solo la salopette, non sarebbe stato il freddo a fermarlo.

Nel silenzio della notte, tutto pareva meno pesante, in paese c'era aria di festa, il lontano vociare dei bambini travestiti da piccoli mostri rallegrava il cuore di Timothy. Qualche minuto più tardi i passi svelti di due bambine vestite da diavolette, attirarono la sua attenzione.

-dolcetto o scherzetto?- chiese una delle due.
Non aveva granché con se. Ma il bambino si affrettò comunque a rispondere.
-dolcetto!- frugò nella tasca dei pantaloni e ne estrasse due gomme da masticare, le porse poi, con aria soddisfatta alle due ospiti.
-che cos'è questo schifo? Non hai nient'altro? Caramelle? Lecca lecca?-

Timmy si sentì dispiaciuto.

Le due diavolette, gettarono a terra e calpestarono le gomme. Il suo piccolo tesoro.
-aspettate! Io, forse...possiamo giocare!-
Si voltarono ancora una volta per ridere di lui, posarono i loro occhi divertiti sulla salopette sgualcita, poi scomparvero come erano arrivate.

Il bambino rimase immobile e con il palmo asciugò le lacrime scese a rigargli le guance. Avrebbe dovuto vestirsi meglio, pensò, ma per giocare comunque sarebbe andata bene anche la salopette. C'era quasi riuscito, non capiva che cosa fosse andato storto.

-Bette! Che cosa ho sbagliato? Perché non hanno voluto giocare con me?-
Chiese all'amica immaginaria, in preda allo sconforto.

-Oh Timmy...lasciale perdere quelle. Sono antipatiche, non ti meritano sai!-

Il bambino, tirò su col naso.

Un attimo dopo, il silenzio fu rotto da una voce sconosciuta.

-Hey, la vorresti una maschera anche tu?-
Timmy si guardò attorno in cerca della provenienza di quella voce, sembrava provenisse dalla Zucca.

-chi parla? Chi è? Si che la voglio una mascherina! Come posso fare per averla!?-

Fu Bette a fornirgli subito una risposta.

-è la zucca! È lei che ti sta parlando Timmy!-

Il bambino guardò incuriosito la sfera arancione posata sul tavolo.
Poi Bette continuò.

-ho avuto un idea meravigliosa! Ci divertiremo, vedrai!!-

La bambina prese ad intagliare la zucca con due grandi occhi, fece poi la bocca ed il naso.

-ecco, dovrebbe calzarti a pennello! Avvicinati-.

Timothy si avvicinò è lasciò che Bette gli infilasse la zucca in testa. Poi prese una coperta scura, posata sul dondolo li vicino e ne avvolse le spalle esili del bambino.

-così sei perfetto Timmy! Possiamo andare a divertirci!-

Tutto contento, prese la mano di Bette, ed insieme a lei iniziò a camminare verso le luci del paese.

Ben presto furono per la strada principale, maschere di ogni genere saltavano e ballavano. L'aria gelida aveva arrossato il naso di Timmy che pareva però non curarsene, tanta era l'emozione.

Diavoli, piccoli fantasmi e mostri ridevano rincorrendosi. Qualcuno sorrise anche a Timothy, così mascherato ed irriconoscibile, pareva che le persone gli volessero più bene. Sembravano ridursi le distanze che lo separavano dall'essere come gli altri. Con questa nuova consapevolezza, il bambino prese coraggio e sorridendo richiamò l'attenzione di Bette.

-Bette! Che ne dici, andiamo anche noi a bussare alle porte? Proviamo a fare dolcetto o scherzetto!-

-ma certo Timmy! Vieni, andiamo a bussare laggiù-.

I due si avviarono verso il portone di un abitazione che dava sulla strada principale e bussarono.
Non dovettero aspettare molto prima di vedere la porta aprirsi e un volto accoglierli. Una bambina suppergiù della sua età, apparve dietro al cigolio del portone. I capelli sottili e dorati facevano da cornice ad un viso scavato e a due grandi occhi cerulei. Il pigiama chiaramente troppo leggero per il freddo che faceva, scucito in alcuni punti.

-ciao-. Esclamò Timothy.
-io sono Timmy e lei è Bette! Dolcetto o scherzetto?-

La bambina restò per un attimo ferma sulla soglia con lo sguardo puntato sul bambino.

-ciao. Mi chiamo Audrey-.
-Audrey, allora, dolcetto o scherzetto?-

La bambina abbassò lo sguardo, fece un passo indietro con aria desolata.

-mi dispiace ma, io di caramelle non ne ho. Non posso darti niente.-

Timmy si chiese perché la bambina tenesse gli occhi abbassati, erano così belli, pensò. Intervenne Bette a spiegargliene il motivo.

-Timmy, Audrey è dispiaciuta perché non ha nulla da darti, vorrebbe tanto ma, non ha nulla con se e si sente a disagio-.

Il bambino realizzò lo stato d'animo di Audrey. Anche a lui era capitato di sentirsi a disagio, quando qualcuno per esempio gli chiedeva come andava a scuola e lui non poteva rispondere perché a scuola non andava.
D'improvviso sentì come un dolore al cuore e provò il bisogno di metter fine al dispiacere della bambina.

-non ti preoccupare Audrey! Le caramelle non mi piacciono nemmeno in realtà! E poi ne ho già tante che non saprei neanche dove metterle!-.

La bambina sorrise debolmente, gli occhi appena lucidi la spinsero ad indietreggiare. Chiuse la porta e fu silenzio. Timmy restò fermo per un attimo, pensando al da farsi; era sicuro di poter fare qualcosa per lei.

-Bette! Non voglio che Audrey pianga. Hai visto com'erano lucidi i suoi occhi mentre parlava? Vorrei fare qualcosa per farla sorridere!-

Poi si guardò attorno e vide pochi metri più su, attorno ad una panchina, un grosso pagliaccio che tirava caramelle e dolciumi ad un gruppo di bambini.

-Bette vieni! Andiamo la, raccogliamo quante più caramelle possiamo e torniamo da lei! Vedrai che riuscirò a farla sentire meglio, ce le avrò io le caramelle per lei!!-

Corse sino al capannello di persone attorno al pagliaccio. A terra erano sparpagliate, insieme a coriandoli e fili di schiuma colorata, una moltitudine di caramelle e dolciumi. Ne prese quante più potè e con quelle si riempí le tasche della salopette.

-ecco Bette! Ora possiamo tornare da lei!-

Tutto sorridente riprese la via verso la porta di casa di Audrey. Quando arrivò era accaldato e con il fiatone.
Bussò. Di nuovo, ma questa volta con il cuore in fibrillazione, sperava di aver visto giusto. Sperava di vederla sorridere.
Come la volta precedente, Audrey non si fece attendere, passarono pochi secondi ed il portone si aprì.

-Timothy, io le caramelle non ce le ho. Non ho trovato nulla in casa, mi dispiace-.
Di nuovo quello sguardo un misto di dispiacere e rassegnazione.

-no! Non fa niente, ce le ho io le caramelle per te!-

Scostò i lembi di tessuto che formavano le tasche e mostrò ad Audrey tutti i dolcetti che contenevano.

-visto? Guarda quante!adesso puoi venire con noi e giocare!!-

Audrey sorrise, abbassò di nuovo lo sguardo toccandosi il pigiama sottile.

-grazie Timmy, sei tanto gentile ma non ho niente da mettere.-

Timothy non ci pensò due volte, sapeva che cosa fare. Velocemente sfilò la zucca dalla testa e la porse ad Audrey, slacciò il mantello e lo poggiò sulle sue piccole spalle. Per vederla sorridere sapeva di poter rinunciare al suo travestimento. La bambina infilò la zucca e Timmy ebbe l'impressione che da sotto la maschera spuntasse un sorriso.

-bene! Adesso una mascherina ce l'hai, le caramelle pure, possiamo andare a giocare insieme!-

Timmy allora allungò una mano verso di lei che, non lo lasciò attendere; afferrò il palmo del nuovo amico ed insieme a lui scese le scalette delle casa sino ad arrivare in strada.
Si guardarono attorno per qualche istante, le mani sempre più strette.
Timothy si voltò poi alla ricerca di Bette ma con grande stupore non la trovò più accanto a lui.
Bette aveva lasciato il posto ad un amica in carne ed ossa, in quella fredda sera di fine ottobre, Timothy aveva trovato molto più che il coraggio di disubbidire al padre, tra il vento gelido e le caramelle di Halloween il bambino aveva trovato un amica.

Non vi fu più un solo giorno in cui i due, di nascosto dai genitori sfuggendo ad una vita ingiusta, non trovarono il tempo per passare almeno qualche ora assieme.
Ne Audrey ne Timothy si resero conto che, in quella notte fatta di maschere e stelle in realtà un piccolo miracolo si era compiuto; il seme dell'amicizia aveva piantato profonde radici.

La solitudine è il peggiore dei mostri che nella vita possiamo aver la sfortuna di incontrare, per loro due fortunatamente fu quella notte l'ultima in cui ebbero a che fare con quella sensazione. Per la prima volta nelle loro piccole vite potettero assaporare il gusto dolce della parola Noi.

NA: questa storia nasce dalla collaborazione con Sinapsi_Corrotte, che ringrazio per questo scambio di parole.

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