Lucciole
È un pianto stanco il mio. Silenzioso e composto. Calpesto lucciole per mestiere.
Spengo i bagliori, ammanto i sogni.
Dove riposa l'angoscia, oggi, porto fracasso; e nulla temo se, destandosi, della vendetta sua scorgo l'ombra. No, non muta mai, questa natura mia, esile e buia. Oggi cresce e si rinnova, come fresco germoglio.
Dei dubbi mi riscopro l'assillo adesso, della tristezza mi faccio scudo e avanzo, laddove un tempo ormeggiata, sostava la comprensione, annego le sorti dei sognatori. Annego i ricordi. E non ho fissa dimora. Vago per i mari e per desolate lande erro, semino tristi e storpi baci, dimenticati quasi, pure dal vento.
Spalanca gli occhi ti prego, sgranali e guarda, l'impassibile strascico di questa mia veste, guarda come di noia ricopre ogni cosa, guardalo mentre riveste le menti, le mani copre, guardalo mentre soffoca ogni tenera cosa.
Di un vento succubo e schiavo mi servo, per propagare il riverbero di questo buco nero, per sperdere speranze, sparpagliare ricordi e gioie. Un vuoto a rendere. Ferma, immobile.
Stanca figura, incastono negli occhi delusioni brillanti, lego le ali con corde di pianto, dono lamenti; di ammonimento e costrizione benevola ambasciatrice, mi vesto di cose mai dette, di mani mai strette. E guardo. Occhi mai visti svanire liquidi. E perdo. Spalle accoglienti da stringere. E rido, di notti passate a cercare le stelle, di notti cantate da voci sublimi. Scivola via, con i singhiozzi, con le spalle larghe, sparisce ogni traccia d'umanità.
Scivola via questa mia giornata, scivola fuori dal tempo che strappa. Calpesto lucciole per mestiere. Saprò accettare ogni cosa, affronterò ogni prigione.
FINE
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