La cimice
Su di un monte, in un crepaccio mi infilo.
Quando nessuno può vedermi, nel mio buco silenziosa, scivolo.
Come il ragno quand'è sorpreso dalla pioggia, così io nell'alcova mia fuggo, quando del petto ritrovo la morsa.
Ve lo dico qui, tra il bianco ed il nero, dove il fiato perderebbe ogni speranza di resistere, le parole vinceranno solide come il marmo; in questa vita mia tante volte son caduta, tante le volte, in cui ho creduto di spezzarmi, come un ramo sfinito dalle intemperie, divenire chiara e fina polvere mi sono vista.
Quando alto e spietato il sole annunciava l'inizio di un altro dì, aprendo gli occhi per un attimo, di tenero nulla mi sentivo avvolta. Poi, come il torpore della notte abbandonava il corpo i sensi miei tornavano vivi, come vivi apparivano i ricordi, la realtà.
Cadevano, allora, le gocce di consapevolezza a bagnare il mio viso, sicure scivolavano giù per il collo arrivando al mio petto seguendo un sentiero fin troppo battuto; in quel momento il cuore iniziava a dolere.
E la testa di lato piegavo, le palpebre degli occhi strizzate, serrata la mascella come a voler impedire l'inevitabile. Mi sentivo al fronte, senza essere soldato. Nulla del guerriero mi apparteneva. Non ero pronta io. Allora mi concentravo, dei respiri controllavo la cadenza, li legavo con una corda a me, li costringevo a rallentare, "siate clementi" sussurravo loro.
E non ero più io tra quelle lenzuola, in quel letto. Ogni giorno appena sveglia, quando all'orizzonte, dei ricordi scorgevo l'ingombrante sagoma io, me ne andavo via lontana, nel crepaccio correvo a cercare riparo.
Come una cimice appiattita nel materasso, così le giornate trascorrevo. Guardavo per ore il ventre mio alzarsi ed abbassarsi, su e giù, su e giù, seguendo l'ineluttabile disegno della natura, nelle mani allora stringevo le frivolezze della vita, alle quali disperata mi attaccavo, per non vedere, pezze umide sopra gli occhi.
Finta, di vetro. Lo sguardo confuso, di cui non mi rendevo conto, ma che tanto risaltava agli occhi di quelli che, l'animo avevano in pace. Come gazze ladre attirate da luccicanti gemme, così quegli occhi giudicanti, dal mio viso erano attratti. Ed era come essere scoperti dopo aver commesso un crimine e sarei voluta morire perché loro di me sapevano, di me potevano vedere chiare e nitide le macchie nere di cui la mia vita era imbrattata.
Eppure avevo fatto tanta attenzione per non sporcare quella mia preziosa tela, nonostante tutto, adesso la vedevo irriconoscibile.
Nessuno forse conosceva il volto dei miei turbamenti, ma sul mio viso, di certo scoprivano quanto pesanti fossero.
Ed oggi? Sono passati molti giorni dall' ultima volta in cui ho visto il crepaccio. Non mi nascondo quasi più, non ho paura. Quasi mai, dico quasi, perché ogni tanto da quel passato io mi sento osservata; temo che si invaghisca ancora di me e che decida di venirmi a trovare di nuovo.
Sulle spalle adesso tante responsabilità, nuove ed amate. E mi sento piccola, mi sento un puntino, ma di quel puntino so che qualcuno vive. Allora mi rialzo sempre, mi sollevo con le mani sulle ginocchia con il sorriso a guarnire il volto; mi sento giusta a volte, delle volte mi sento perfino speciale.
Provo ad essere più forte, mi creo una corazza con la quale affrontare tutti i nemici, ecco, della mia corazza fate parte anche voi. Con il vostro essermi vicino, con le vostre parole sincere e disinteressate. Vi dico grazie. Spesso siete stati la pioggia che ha cancellato le tracce del sentiero che portava a quel maledetto crepaccio.
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