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In metro

Seduta su di un sedile lercio, se ne stava a guardare dal finestrino, le luci delle gallerie. Tutte uguali, come fantasmi l'accompagnavano durante il rientro a casa.
Tutte le sere la stessa storia, saliva sulla metro, cercava un posto a sedere, possibilmente lontano da quel muso giallo, impiegato maleodorante di chissà quale lobby; passava il tempo a "non dare confidenza", osservava, come davanti allo schermo, il brulicare di vita in quell'angusto spazio dimenticato da Dio.
Il sobbalzare della carrozza fece tintinnare qualcosa nella sua tasca destra, ricordò le chiavi di casa, e alla mente tornò il ricordo dell'ultima volta in cui, quella casa l'aveva vista sorridere. Erano passati otto lunghi mesi da quando Vittorio l'aveva lasciata, il suo spazzolino campeggiava ancora sulla mensola del bagno, quasi come se il toglierlo da lì, equivalesse a toglierlo dal cuore, a massacrare le possibilità di un ritorno. Cinzia l'ingressista di un locale vip della zona, aveva un fisico da urlo e un vero e proprio talento nell'intrattenere, Vittorio non sarebbe mai tornato da lei, dalle sue tette cadenti, dai suoi occhi piccoli e inespressivi.
Infilò una mano nella borsa con l'intento di arrivare ad un pacchetto di fazzoletti, nel vortice di oggetti, però, urtò qualcosa di non familiare; portò la borsa sulle ginocchia per poter armeggiare meglio, fogli, penne, assorbenti, analgesico e...una scatolina di cartone.
Fu pervasa da un improvviso brivido, che cosa ci faceva quell'oggetto lì? Chi ce lo aveva messo? Scandagliò mentalmente tutte le cose accadute nei giorni precedenti, ma niente, nessun indizio o ricordo di come quell'oggetto fosse potuto finire nella sua borsa.
Tra le dita, la carta della scatola, si mostrava ruvida, tenuta insieme da un cordino di rafia che una volta allentato fece aprire del tutto il piccolo scrigno; sulla base dell'oggetto, con grafia ordinata vi era scritto:

" E' TUA ".

Una collana semplice, un filo d'argento e un piccolo pendente in ametista, questo l'altro contenuto della scatola. La ragazza prese in mano il gioiello e della pietra, stette per un po' a contemplare le sfumature. Era grazioso, pensò.

Una stretta al petto. Istintivamente prese a guardarsi attorno, come se, l'imbarazzante sequenza di quelle due parole, fosse stata udita da tutti i passeggeri.
Una piacevole inquietudine la pervase, poteva essere stato un gesto di Vittorio, magari pentito dopo troppo tempo cercava di conquistare il suo perdono e quello altro non era che l'inizio del suo piano di riconquista; sapeva però, in una parte di se, che non si trattava di lui, sua non era la scrittura, nè tantomeno l'idea originale.
Era di certo un regalo per lei, non poteva essere finito li per caso, qualcuno voleva sorprenderla e di certo stava riuscendo nel suo intento. Strinse il ciondolo tra le mani e lo fece scivolare nel taschino della borsa, non prima di averlo guardato un ultima volta. Ebbe l'impressione di avere già visto quell'oggetto...non seppe però, rintracciare nella memoria quel ricordo.
Le porte si aprirono accompagnate dallo stridore dei freni, velocemente si fece strada tra la folla, saltò sul pavimento della stazione e si incamminò verso l'esterno.
Il tragitto verso casa fu accompagnato da un freddo pungente e dalla prima neve dell'anno, le feste di Natale erano oramai alle porte, sarebbero arrivate insieme al carico di ricordi e alle telefonate di circostanza come tutti gli anni. Avrebbe parlato con la madre, sopportato le sue raccomandazioni e annuito involontariamente nel sentirla parlare, seppur dall'altro capo del telefono. Sarebbe toccato al padre poi, avrebbe assecondato le sue manie di grandezza, badando bene a non offendere Irene, nuova, ventenne compagna. Così avrebbe passato la giornata, tra frustrazione e ansia, avrebbe mangiato i noodles precotti riscaldandoli al microonde e brindato al giorno di festa con la birra ricevuta in omaggio dal take-away cinese sotto casa.

Infilò la chiave nella toppa, dopo quattro mandate e un calcio allo stipite gonfio d'umidità, fu dentro. Poggiò la borsa sul tavolo, poi fu la volta del cappotto.
Tolse le scarpe e prese a dirigersi verso la cucina.
Sul piano del lavandino qualcosa attirò la sua attenzione. Di nuovo. Un cartoncino bianco, questa volta.
Si avvicinò, le gambe molli, prese in mano quel pezzo di carta come se potesse esplodere da un momento all'altro. Gli occhi di lei corsero a osservare quelle righe. Di nuovo la grafia ordinata.

" SEI BELLISSIMA"

Tremò. Fu un tremito ancestrale, irrefrenabile qualcosa dentro di lei la spronava a fuggire, aveva colto il pericolo; si voltò di scatto inciampando sullo sgabello della cucina, giusto in tempo per vedere le luci sparire. Una ad una spegnersi come fuochi fatui.
Il buio riempì l'appartamento. I battiti del cuore di lei accelerarono a tal punto da risuonarle in gola prepotenti. Trattenne allora il fiato, quel tanto che poteva servire per richiamare a se la ragione, acuì i sensi e rimase immobile lì dov'era.
Fù in quel momento che sentì nitido e tremendo, un sospiro. Poi quattro mandate.
La ragazza iniziò  a piangere, singulti disperati.
Poi d'un tratto una voce.

<< Mi piaci quando piangi>>

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