Intrappolo i desideri nelle pagine,
li faccio aderire al foglio
premo forte, li lego stretti alle fibre di carta, desidero vederli congelati. Innocui.
Pericolose bestie dai colori sgargianti, intinti di pastello, affilati come rasoi.

Vorrei poter vivere questa vita
al sicuro da tutti i fremiti del cuore, dalle idee improvvise, dalle serate estive passate a guardare tramonti traditori; sfumature di giornate morte che paiono meraviglie.

Vorrei impedire ai sogni, di partire per quei loro lunghi viaggi che,
inevitabilmente mi fanno poi piangere.
Come si può nascere così, con la sensibilità di un sognatore e le possibilità di un condannato?

Relegati in notti tanto lunghe quanto buie, tutti a parlar di speranze, con al piede legato stretto, tutto il peso della tristezza. Come si fa?
Come si può affrontare la giornata, abbracciati allo sconforto e poi pregare a mani giunte con gli occhi speranzosi?

Il tempo s'avviluppa scorrendo alle dita delle mani, tiene stretti, accompagna, ma non è di sorella o madre la presa sicura; un Boia, vestito di momenti e giorni, che ci conduce alla meta. Non è una passeggiata, i piedi trascinati, strattonati verso il domani.

E se non volessi andare, se di guardare oltre io, avessi paura?
Come potrei sorridere al giorno se senza il mio permesso questo mi proietta ogni volta un passo più in la? Che cosa diventerò, se non un groviglio di cose non volute e frustrazione.

Il problema è nel nascere fragili, ancor meglio, il problema è nel convincersi di non esserlo. E mentre tutt'attorno l'intreccio della vita, tesse ricami unici ed inevitabili, io rimango ferma e scendo a compromessi con il senso di inadeguatezza che dimora nelle mie viscere.

E mentre tutto scorre, io resto.