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Epilogo


Un anno dopo

Vorrei tanto respirare, ma rovinerei rovinato l'abito, quindi sarei morta in uno splendido Yves Saint Laurent verde smeraldo.

Insomma, morta, ma con stile.

Mancano ore alla cerimonia, ma devono apportare le ultime modifiche al vestito per renderlo perfetto. E con modifiche intendo proprio cucirmelo addosso in modo che appena mi piego scoppi ogni punto.

Quella di stasera sarà la figura di merda più epocale della storia.

E capiterà a me, che punto a essere appena più decente di un tubero e a passare inosservata, non ho intenzione di attirare su di me le attenzioni della stampa. Né delle fan di Seb psicopatiche.

Osservo i capelli in posa e il trucco in fase di costruzione e, sebbene faccia fatica a riconoscermi, mi trovo un bel bocconcino. Insomma, se mi si guarda con attenzione si capisce chiaramente perché il grande Sebastian Hartford è caduto ai miei piedi appena mi ha incontrata. Chi non l'avrebbe fatto?

Stasera farò la stessa impressione a tutti.

Chi mi incontrerà, penserà: "Wow, chi è questa meravigliosa sconosciuta? È di una bellezza così ultraterrena che sento il bisogno di conoscerla". Tipo l'effetto della pubblicità di J'adore Dior con Charlize Theron dove si denuda pezzo per pezzo con quella camminata da tachicardia. Ecco, lo stesso effetto, ma senza perdita di gioielli – che mi vengono prestati e hanno un valore pari al prodotto interno lordo del Belize – e di vestiti. Se possibile, anche senza inciampare o cadere dai trampoli che mi ritroverò ai piedi.

Nel complesso fatico a riconoscermi, ma sono soddisfatta. Ho pregato la make-up artist di farmi un trucco luminoso e non scuro che eviti di appesantirmi i connotati, o di cambiarmeli, tanto da applicare come tocco finale un rossetto nude.

Anche lei ha concordato e, cito le sue testuali parole, ha detto: "Sei così radiosa che non hai bisogno di una full face pesante, comprometterei la tua bellezza".

E se lo dice lei che di solito lavora con star del calibro di Gigi Hadid e Blake Lively, chi sono io per contraddirla?

Sì, sono a buon punto e mi sento bene.

«Faccio una pausa di cinque minuti, ok?» Nikki, la make-up artist in questione, raddrizza la schiena e la fa scrocchiare con le mani vicino alla zona lombare. Una pausa mi sembra d'obbligo. «Sarebbe meglio se ne approfittassi per fare pipì, perché a breve indosseremo il vestito e poi arriveranno le auto per portarvi al teatro».

Inspiro ed espiro, fingendo che non sia vero.

«Certo, vado subito». Mi alzo per sgranchire le gambe e seguire il consiglio della mia truccatrice.

La raggiungo al piano di sotto e la becco mentre si scambia messaggi vocali con la sua collaboratrice. «Dio, com'è bella, hai creato un'opera d'arte».

Poi, appena mi vede, mi chiede di mettermi alla luce naturale, vicino alle finestre della casa. «Ferma qui, voglio aggiornare Anisha sul lavoro e farle vedere quanto sei meravigliosa».

Scatta la foto e me la mostra dopo averla inviata. Spiando nella conversazione vedo la foto di cui parlavano prima, quella della persona che si sta sistemando con Anisha, e noto che è Claire e, porca miseria, è di una bellezza sconvolgente.

Alle sue spalle vedo un abito azzurro, un colore in perfetta palette con la sua carnagione. Deve essere far parte della sua stagione armocromatica, e io manco so che stagione sono.

Cazzo.

Addio sicurezza, addio Charlize Theron.

 In confronto a lei sembro un labrador che si è rotolato per ore nel fango.

Per essere bella come lei dovrei presentarmi con tutti i filtri di Instagram esistenti e per sembrare magra, non ai suoi livelli, avrei dovuto farmi una liposuzione conficcandomi l'aspirapolvere della Dyson tra le chiappe. Praticamente a respirare ingrasso, in confronto a lei.

La vita fa schifo.

Ora cancello tutto, mi metto la tuta e mi guardo la cerimonia dal divano.

Nikki osserva in silenzio il mio crollo mentale poi, quando ho finito, mi fa ragionare.

Mi dice che sono bella anche io, che siamo due persone completamente diverse, che se Claire è così è soltanto perché è più abituata a prepararsi e ad affrontare questo tipo di eventi.

Quando si accorge di non avermi convinta, fa appello all'artiglieria pesante. «Sai che, se stasera non ti presenti, Claire e Sebastian saranno nello stesso posto e la stampa non darà loro tregua? Soprattutto con l'ultimo film della saga in uscita a breve. Alla faccia degli Academy».

«Ok, torniamo di sopra, subito». Marcio decisa verso la camera, che è diventata il mio camerino per la giornata. «Fai del tuo meglio. Toglimi dieci anni dalla faccia, devo sembrare radiosa, una che si è appena alzata dal letto dopo aver dormito dodici ore ed è fresca come una rosa. Più di una rosa».

Devo sembrare una che ha immerso la faccia per cinque giorni consecutivi in tutti quei prodotti coreani di skincare che sembrano fare miracoli.

«Andiamo, non manca molto». E, nel dire così, la guido verso la nostra postazione.

*

Un'ora e mezza più tardi sono pronta.

Cioè, sono vestita e truccata di tutto punto, ma pronta per il primo red carpet della mia vita, a un evento così importante? No, quello mai.

Espiro in modo brusco, poi mi ricordo del vestito cucito a pelle e lascio andare il respiro in modo più graduale, onde evitare spiacevoli incidenti. Tanto lo so che a metà cerimonia andrò in bagno e poi ne uscirò con l'orlo della gonna infilata nelle mutande contenitive che indosso, così da perdere anche quel poco fascino che ho. Perché la verità è questa, per avere una linea sinuosa sotto l'abito la gente si immagina intimo ridotto all'osso, invece indosso guaine color carne che in confronto Bridget Jones con i mutandoni della nonna sembra Adriana Lima che ha appena smesso di calcare la passarella del Victoria's Secret Fashion Show.

E, sinceramente, vorrei che certi dettagli rimanessero tra me e Seb. Anzi, se potessi evitarli anche a lui sarebbe molto meglio. Del tipo che, appena arriviamo a casa dopo l'after party, la tuta color carne abbandonerà il mio corpo prima ancora di varcare la soglia d'ingresso, per essere dimenticata nel cespuglio di piante grasse accanto all'entrata, di modo che Seb non conosca mai il mio segreto, sia se faremo sesso o meno.

Scendo le scale e lo vedo parlare con Francine, è così concentrato da non badare a me. Penso che stiano ripassando il discorso che ha preparato in caso di vittoria, sta mettendo il cartoncino nella tasca interna dello smoking blu scuro che gli calza a pennello. Anche solo di spalle è una meraviglia.

Ah, quelle chiappe così sode, che spettacolo!

La verità è che si è allenato tanto per mettere massa per il prossimo ruolo e io, da brava ragazza, l'ho accompagnato a ogni allenamento. E lo stimo per il lavoro che fa, perché ho seguito una scheda più leggera del suo personal trainer e, porca miseria, ne sono uscita a pezzi ogni volta.

Io ora sono soda, non assomiglio più al budino del supermercato che balla per mezz'ora dopo averlo portato a casa dal bancofrigo. Seb, invece, è tutto definito. E, Dio, grazie per avergli concesso questo ruolo importante, ci sono notti in cui mi diverto parecchio, soprattutto quando scopro nuovi profili da seguire con la lingua, muscoli di cui non ho mai conosciuto l'esistenza.

Mi posiziono alla base degli scalini e aspetto che abbiano finito.

Francine, quando mi vede, sgrana gli occhi e copre il sorriso con entrambe le mani, commossa.

Seb, vedendo la sua reazione, segue lo sguardo dell'agente e si gira. Quando mi nota spalanca gli occhi e la bocca. Io, sentendomi in imbarazzo, decido di fare una giravolta su me stessa – nella speranza di non pestare lo strascico con i tacchi e fare un capitombolo ancora prima di essere uscita di casa – per mostrargli l'insieme.

«Francine, i soccorsi». Seb si mette una mano sul cuore. «Penso di avere un infarto».

Oddio, no, non adesso!

Lo raggiungo a passi piccoli, perché i tacchi assassini non mi permettono di fare altro, se non zampettare come una cretina. «Stai bene? Un attacco di panico? Vuoi un bicchiere d'acqua? Sediamoci, sarà un po' d'ansia».

Però lui non mi segue, mi rivolge un sorriso splendente, un po' sorpreso e un po' divertito. «Sto bene. È che sei bella da far male al cuore».

Tiro un sospiro di sollievo, sollevata.

Poi recupero la clutch gioiello e lo colpisco sul petto. «Cretino, mi hai fatta spaventare!» Tra i due, quella più vicina a un attacco di panico sono io, in effetti. «Ti ammazzerei, se non chiazzassi il vestito!»

«Il mio o il tuo?» Alza un sopracciglio, ironico.

«Il tuo. Ma, ora che ci penso, il mio è più importante». Vedo di ricompormi, a breve arriveranno le auto che ci verranno a prendere.

Mi porge una mano e, quando appoggio il palmo nel suo, mi studia con attenzione. «Sembri la regina dei boschi».

«È un complimento, vero?»

Nervosa, tocco il cerchietto dorato che porto nel mezzo raccolto morbido, un modo per non dover tirare i capelli e non soffrire con styling estremi, non sarebbero da me. Il vestito è verde, plissettato, con uno spacco da capogiro e una cintura con foglie oro che si abbina alle scarpe.

Immagino che Seb, dopotutto, abbia azzeccato il paragone. Mi sento davvero uscita da un bosco. L'immagine mi dona più serenità di quanto pensi.

«Sembri una dannata regina, certo che è un complimento!» Mi lascia un bacio sulla guancia. «Un essere fatato che attirerà tutti gli sguardi su di sé. Mi invidieranno per essere l'uomo più fortunato sulla faccia della terra».

E, dopo avermi offerto il braccio, mi guida verso il giardino. Siamo nella sua casa di Los Angeles, quella che usa quando gira in zona. Ha due piani, un piccolo giardino ed è meravigliosa, nonostante non sia affatto la classica villa che ci si aspetta da un attore con un cachet del suo calibro.

«Non penso proprio». Lo fulmino con lo sguardo, anche se sono grata del suo supporto.

«Perché non dovrebbero invidiarmi?» Mi guarda, corrucciato.

«Perché, come abbiamo stabilito, io terrò un profilo molto, molto basso, e sarò lì per te, ma non sarò lì con te». Preciso, come se avessi studiato la mia parte a memoria. Forse è così. «Sai com'è, deve uscire l'ultimo film di Legacy e tu hai un contratto da rispettare. Un contratto in cui io non sono compresa. Anzi, io sono la variabile che non te lo farebbe onorare».

Motivo per cui due auto sono qui. Faremo parte del percorso insieme poi, prima del red carpet, io salirò in una berlina che mi accompagnerà prima di Seb, di modo da non dare nell'occhio.

Passerò velocemente il tappeto rosso e, dopo una decina di minuti arriverà Sebastian a catalizzare l'attenzione. Io, agli occhi della gente, potrei essere una qualsiasi influencer o addetta ai lavori di qualche film invitata all'evento.

Nonostante sia da un anno che siamo tornati insieme, Seb e io non abbiamo rivelato la nostra relazione. Un po' per le clausole del suo contratto, un po' per avere la privacy necessaria per godere al meglio del nostro rapporto. L'unico inconveniente è dover stare attenti a scegliere le uscite e, soprattutto, a centellinarle.

Motivo per cui io sarò seduta in fondo alla sala. Sono sempre pronta a sostenerlo, ma non intralcerò la sua carriera in alcun modo.

«Sei pronta?» Sebastian mi riporta alla realtà.

«No. Ma per te, sempre». Gli sorrido e mi avvio verso l'abitacolo dell'auto.

*

Più ci avviciniamo al Dolby Theatre, più il mio nervosismo sale. Soprattutto ora, che devo prendere la mia berlina e salutare Seb.

Gli stringo la mano, più per calmare me che lui.

«Ci vediamo dentro». Poi mi bacia leggero le labbra, per evitare di sbavarmi il rossetto e di presentarsi ai fotografi conciato come Pennywise.

Annuisco, emozionata, perché non vedo l'ora di osservarlo nel suo ambiente, sicura di vederlo trionfare. «Sarò quella che farà il tifo per te».

«A tra poco». Mi bacia il dorso della mano, che sostiene per aiutarmi a rimettermi in piedi, attende che mi sistemi e poi, una volta salita nell'auto destinata a me, chiude la portiera e chiede all'autista di fare un giro più largo per arrivare al teatro.

Quando arrivo davanti al red carpet, nell'indifferenza generale delle persone che aspettano i propri attori preferiti, sono i fotografi a guidarmi. Mi chiedono il nome, mi dicono che sono bellissima e di mettermi in posa. È così surreale che faccio quello che dicono, dato che sembrano gli unici a sapere quello che fanno, rispetto a me.

Appena arriva Jennifer Lawrence ne approfitto per defilarmi, soprattutto perché in confronto a lei sembro una bozza uscita male e lei il disegno definitivo, non posso permettermi che qualcuno se ne accorga.

Mi accomodo al mio posto, scortata da una maschera del teatro che mi chiede di mostrarle l'invito per cercare il numero di seduta corretto, e poi decido di non scollare le chiappe dalla sedia per alcun motivo. Meno mi alzo, meno respiro, e meno figuracce faccio. Ho troppa paura di rovinare il vestito. O il momento di Seb. O, per finire, ma non in ordine di importanza, la sua carriera.

Controllo una ventina di volte che il cellulare sia silenzioso e senza vibrazione, e solo in quel momento mi rilasso.

Quando Sebastian mi passa accanto ci scambiamo un sorriso d'intesa, poi torno a Candy Crush e a questo maledetto livello che non vuol sapere di essere superato per ammazzare il tempo.

La cerimonia inizia e, con mia grande sorpresa, mi ricorda gli Hunger Games. Per quanto sia sorprendente, gli sketch sono inutili ed è così lunga che solo alcuni sono destinati a sopravvivere per vedere le premiazioni delle categorie più ambite, ovvero quelle per i migliori protagonisti e, soprattutto, il miglior film.

Rischio più volte di addormentarmi, così mi pizzico le cosce sotto gli strati della gonna, giusto per evitare di essere ripresa mentre russo e sbavo, fino a quando una maschera si avvicina e si piega su di me per pormi una domanda.

«Elle Cooper?»

Lo guardo con gli occhi sgranati dalla sorpresa.

Oddio, cosa ho fatto?

Il primo pensiero va all'auto. Ho paura di averla lasciata in divieto di sosta, ma poi mi ricordo di non essere venuta in auto e, soprattutto, di non avere una macchina. Men che meno a Los Angeles. La tensione gioca brutti scherzi, soprattutto ora che il momento di Sebastian si avvicina.

«Sì, sono io». In preda al panico arpiono i braccioli della seduta. Se mi cacciano ora non potrò vedere la premiazione del migliore attore, e non me lo perdonerei mai. «Le serve qualcosa?»

«Dovrebbe seguirmi».

Lo sapevo. Mi devo essere addormentata tra il miglior montaggio e la migliore scenografia e devo aver parlato nel sonno. Ma cose sconce, altrimenti non si spiega. Cosa già avvenuta, tra l'altro, perché in fondo è così che ci siamo conosciuti Seb e io, con me che lo limono a tradimento nel sonno perché lo immaginavo nudo e ammiccante.

Avrei dovuto bere un caffè prima dell'evento, ma a mia discolpa posso dire che non pensavo fosse una gara di sopravvivenza, ero convinta di uscire da qui senza un anno in più sulle spalle.

«Cosa ho fatto?» Chiedo, perché ora sono curiosa di sapere di cosa vengo accusata.

«Niente, è che per le premiazioni i rispettivi accompagnatori devono sedere accanto ai candidati».

Ah. Questa non me l'aspettavo.

Forse avrei preferito essere sbattuta fuori dall'evento.

Non esiste. «Ehm, no grazie, sto benissimo qui».

Batto le mani sui braccioli, come a sottolineare il concetto, e mi metto comoda, con un'espressione soddisfatta in faccia che spero copra il panico che mi monta dentro.

«Lei non è l'accompagnatrice di Mister Hartford?» L'addetto ai lavori aggrotta le sopracciglia, confuso.

La gente, però, inizia a guardarci, incuriosita dal nostro scambio.

«Sì certo, sono io» replico a denti stretti. Vuole farlo sapere anche su Plutone?

«Allora mi deve seguire, la condurrò alla sua nuova postazione».

Sospiro, sapendo di non poter vincere questa battaglia.

«Ok. Va bene». Mi alzo e lo seguo furtiva, in punta di piedi, nel tentativo di non attirare su di me gli sguardi dei presenti che, ovviamente, vedendomi camminare come una ladra mi osservano più del dovuto.

Arrivata al nuovo posto ringrazio quel malcapitato che ha dovuto convincermi per spostarmi e mi lascio cadere sulla seduta, accanto a Sebastian.

«Ciao». Sorride, soddisfatto.

«Tu lo sapevi». Lo accuso con lo sguardo, ma preferisco sottolineare l'ovvio e puntargli anche l'indice contro.

«Certo». Continua a sorridere, lo stronzo.

«E non me lo hai detto!» Urlo sottovoce, con un tono isterico che mi rende ancora più ridicola.

«Non me lo hai mai chiesto». Alza le spalle, fingendo innocenza.

È innocente come Ted Bundy, quella sottospecie di fidanzato a cui mi trovo seduta accanto.

«Perché non pensavo fosse anche solo lontanamente possibile!» Gli faccio notare, nera.

«Quindi la riservatezza era un modo per fregarmi. Le auto diverse, entrare separati, i posti lontani... era tutta una bugia».

E io che mi sono sentita per tutto il tempo James Bond, convinta di fregare la gente in mondo visione. Per la serie: "ci sono, ma voi non lo sapete", con tanto di risata malefica alla fine.

«Io la definirei più una tutela nei confronti dei tuoi nervi». Continua con la farsa del ragazzo premuroso.

«Non mi freghi». Forse è meglio mettere le cose in chiaro: «Ti ucciderò».

Non qui, ma avverrà. Non posso rovinare il vestito, solo per questo rimanderò la cosa a casa e la farò sembrare un incidente.

«Dopo, grazie. Prima ho bisogno del tuo supporto». Il suo sorriso è sincero, mentre mi allunga la mano con il palmo rivolto verso di me.

Senza pensarci due volte intreccio le dita alle sue, più serena di essere accanto a lui di quanto mi sarei mai aspettata.

È soltanto quando le telecamere iniziano a girarci attorno, a causa dell'annuncio dell'imminente categoria in cui Seb è candidato, che divento nervosa. Spero che non si accorgano delle nostre mani, e che non le riprendano.

«È arrivato il momento». Mi sussurra. Vuole mostrarsi tranquillo, ma so che è emozionato. E ha tutto il diritto di esserlo.

«Sono fiera di te a prescindere. Hai fatto un lavoro straordinario». Stringo appena la presa per infondergli coraggio. «Per me il vincitore sei tu».

Stringe di rimando, ma non parla più, concentrato sui preparativi sul palco.

Seguo il suo sguardo e mi gelo.

«Cosa ci fa Claire lì?» Lei e la sua maledetta perfezione.

Quell'aspetto innocente da fidanzata che chiunque vorrebbe accanto, che fa sospirare ogni persona sulla faccia della terra. La stessa che ogni tre o quattro mesi prova a scrivere a Seb per sapere come sta e, casualmente, chiede se la sua relazione continua a gonfie vele.

Sì, maledetta, gli do più orgasmi e risate io, che foto su Instagram Chiara Ferragni.

Così, per dire.

«Premia». Seb risponde asciutto, come se la cosa non lo disturbasse.

«E perché proprio lei?» Alzo un sopracciglio, spero che colga la minaccia nella mia domanda.

«Perché l'anno scorso ha vinto il premio come miglior attrice. E i vincitori degli anni passati, ma nella categoria opposta, premiano i vincitori di quest'anno».

«Ah». Eh, certo. È palese che qualcuno mi odia ai piani alti, perché non è possibile che io sia così sfigata.

Sto pensando a un modo per farla fuori all'istante: desiderare fortemente che, nel camminare, si sloghi una caviglia, buttarle la crema depilatoria sui capelli come Gossip Girl mi ha insegnato in tempi non sospetti... insomma, qualsiasi cosa per evitare che possa anche solo avvicinarsi a Seb, ma non funziona niente, anche perché non ho il tempo di attuarlo.

Di solito sono per il girl power, ma in questo caso sono proprio disposta a fare un'eccezione.

«Tutto ok?» Sebastian mi distrae dai miei pensieri omicidi, insospettito dal mio silenzio.

«Certo. A meraviglia» rispondo a monosillabi. «Ma ricordati che se sali su quel palco per ritirare la statuetta, dovrai tenere una distanza di sicurezza, fare finta che lei non esista. Non azzardarti nemmeno a essere espansivo. Ti concedo di essere cortese ai limiti della decenza. Altrimenti...»

«Cosa?» Si gira verso di me e mi accarezza il dorso della mano con il pollice, ma non attacca, non riuscirà a blandirmi.

«Non lo vuoi sapere». Lascio la frase in sospeso, profetica, perché in realtà non so come minacciarlo, non ne ho le forze.

Si protende verso di me per sussurrarmi all'orecchio: «Mi piaci gelosa».

Vorrei replicare, ma le clip degli attori in gara finiscono e la frase iconica richiama la nostra attenzione, facendoci tacere di colpo e tendere ai nostri posti.

«E l'Oscar per il migliore attore va a...»

Seb stringe la mia mano in modo così convulso da far sbiancare le nocche, ma io non sono da meno. Sto trattenendo il fiato e non ricordo come si lascia andare, gli occhi spalancati e fissi sul presentatore.

«Sebastian Hartford!»

Le telecamere sono su di noi, gli scrosci di applausi fanno da sottofondo e le luci si accendono.

È il caos in questo momento, ma è un caos bellissimo.

Tutti sono esaltati per la sua vittoria e io con loro, fiera del mio ragazzo e del lavoro che ha fatto e gli è stato riconosciuto.

Seb mi sorride adorante e, se fossimo a casa, gli sarei già saltata al collo per baciarlo, mentre avrei continuato a saltellare per la stanza come un'ebete.

Ma siamo in mondo visione e nessuno sa della mia presenza, e non dovrebbe saperlo fino alla fine della promozione della seconda parte dell'ultimo film di Legacy, a maggio; quindi, mi do un contegno e gli rivolgo un sorriso che spero gli comunichi quanto io sia felice per lui.

Ricambio lo sguardo traboccante di gioia e mi unisco agli applausi.

Mi alzo per lasciarlo passare e lui mi abbraccia.

«Giù le mani da Claire». Ma rido nel dirlo, troppo felice per lui.

«Claire chi?» Lascia una risata lì, tra il mio orecchio e il collo, e io rabbrividisco appena.

Quando sale sul palco, oltre a essere felice oltre ogni immaginazione, Seb è visibilmente emozionato.

Il suo discorso è toccante, ma non perde l'occasione per fare qualche battuta. Sono orgogliosa di lui da non riuscire a descriverlo a parole.

Sembra pronto per concludere il monologo, ma poi sorprende tutti e continua come se niente fosse. «Oh, sì. E, ehm, per ultima la persona che mi sostiene più di tutti, che mi sprona a migliorarmi e a buttarmi in ogni progetto a capofitto. La donna che vorrebbe essere dappertutto, tranne che qui...»

Chi? Io?

Solo perché dopo questo discorso sto cercando di infossarmi nella poltroncina e mi copro la faccia con la mano, nel tentativo di difendermi da un teatro intero che ha gli occhi puntati su di me? Nah.

Cioè, potrebbe parlare di una qualsiasi donna, e io potrei essere l'amica lesbica, ma anche no, la cugina, la sorella ritrovata. Una escort!

«La donna che mi fa essere un uomo migliore. La donna che amo da tempo e che ha sempre messo la mia carriera prima di qualsiasi altra cosa. Stasera è giusto che io metta te al primo posto. A te, Elle. Ti amo!»

La gente applaude e io vorrei fare un discorso in risposta.

Insomma, in sala ci sono Chris Evans, Jake Gyllenhaal e... è Ryan Gosling, quello?

Ciao Bradley Cooper. Con te non dovrei nemmeno cambiare cognome, in caso di matrimonio.

Cioè, voglio dire... ragazzi, ok, sto con Sebastian, ma parliamoci chiaro: niente di serio.

Capitemi: a Hollywood niente è per sempre, nemmeno il matrimonio! Figurarsi una semplice relazione.

Sono aperta a tutte le possibilità.

Poi, mentre Seb torna al suo posto e, quindi, verso di me, mi rendo conto che il suo discorso non è fraintendibile, che quella persona sono io, che ha fatto il mio nome.

L'ha detto davanti al mondo intero.

Sebastian arriva alla nostra fila ma, al posto di superarmi per sedersi, si china su di me con un sorriso sfrontato e mi bacia a favore delle telecamere che lo stanno riprendendo.

Lo lascio fare, contagiata dalla sua felicità.

Poi, però, mi rendo conto che ora la Elle che ha nominato sul palco è associata alla mia immagine.

E addio sogni di gloria. Addio Chris, Jake, Ryan e Bradley.

Addio, soprattutto, sotterfugi. Addio al nostro nasconderci.

E no, non ero pronta. Ma, ehi, sono così felice di poter dire che sto con la persona che amo che in questo momento non riesco nemmeno a capire le conseguenze.

«Me la pagherai». Sussurro una volta che si è accomodato accanto a me con la statuetta.

«Davvero?» Solleva un sopracciglio, curioso.

«No, è il tuo momento» ammetto, incapace di fare la sostenuta, soprattutto ora. «Ti perdonerei tutto. Ma posso rinfacciartelo a vita».

Gli regalo un sorriso furbo, pronta a scommettere che potrei rinfacciargli l'accaduto dalle quattro alle cinque volte a settimana.

Ma Seb mi stupisce. Si avvicina per lasciarmi un bacio sulla guancia, e poi mi sussurra all'orecchio: «Se è a vita mi sta bene».

Sorrido, ma ho una certezza. Con Seb una vita potrebbe non bastarmi.

*

Alla fine della cerimonia è scattato il putiferio. L'intervista ai vincitori degli awards, e soprattutto quella di Seb, è stata una caccia alle informazioni sul mio conto, che lui ha messo a tacere invocando il nostro diritto alla riservatezza.

Ha precisato che ha voluto condividere quel momento con le persone che ama, tra cui me, e che era stufo di nascondere una cosa così bella come l'amore, che non sta facendo nulla di male. Vuole sentirsi libero di mostrare che mi ama e quanto grande è il suo sentimento e, soprattutto, condividere la bella notizia con le persone per lui più importanti, cioè i suoi fan.

È stato furbo, ha preso in considerazione il fanbase che lo segue e ha messo in un angolo la casa di produzione di Legacy, così da non permetterle di intervenire a gamba tesa proprio ora che il contratto lavorativo è agli sgoccioli, dato che l'ultimo film verrà rilasciato a maggio.

Seb ha fatto capire, in modo indiretto, che ormai è inutile portare avanti l'idea di una relazione tra lui e Claire, e la casa di produzione ora non potrà fare altro che fare buon viso a cattivo gioco.

È riuscito a tranquillizzarmi a riguardo mentre ci dirigevamo alla festa post premiazione, perché sa quanto ci tengo a non essere un intralcio nel suo lavoro.

All'after party, come previsto, abbiamo avuto un faro puntato addosso, ma siamo riusciti a goderci la festa e a divertirci, e forse a bere pure un bicchiere di troppo.

Ora, dopo tutto il caos delle ore precedenti, entriamo in casa e ci godiamo il silenzio.

Sebastian si libera del papillon e si avvia verso il salotto, mentre io scalcio i tacchi che mi distruggono i piedi. Belli, per carità, ma sono convinta siano stati inventati come una tortura, altrimenti non si spiega tutto questo male ingiustificato. Poggio le piante sul pavimento freddo e sospiro di sollievo.

Io, al contrario del mio ragazzo, mi dirigo in cucina per conquistare una bottiglietta d'acqua fredda, che sembra rimettermi in sesto. Sono a pezzi, nemmeno avessi scalato il K2.

Mi giro e non lo vedo, forse ha sistemato la statuetta accanto agli altri premi, ma per sicurezza alzo la voce.

«Dove sei?»

Sebastian alza un braccio che mi segnala la sua posizione, ovvero spiaggiato sul divano.

Vado a sbirciare da sopra lo schienale e lo scopro sdraiato su un fianco, la faccia verso la spalliera, la camicia sbottonata sul collo e sfilata sui pantaloni. Scalzo, con gli occhi mezzi chiusi e la giacca buttata a terra e, soprattutto, un sorriso beato a dipingergli la faccia, appoggiata sul cuscino.

È la posizione in cui si mette quando è stanco morto, segno che a breve crollerà. Normale, viste le emozioni e l'ora tarda.

Allungo la mano per scompigliargli i capelli con affetto.

«Cosa c'è?»

«Sono orgogliosa di te, mio piccolo grande guerriero stanco». Sorrido, intenerita dal modo in cui si protende verso la mia mano. «Ma non sarebbe meglio andare a letto?»

Una cosa così bella che ora sembra un miraggio.

«So che sono un premio Oscar, ora, ma non ho le forze per fare sesso». Apre un occhio e ride, malizioso e ironico.

«Cretino!» Gli do uno schiaffo giocoso sul bicipite.

«E poi il letto è troppo lontano. Ci sono pure delle scale da fare». Come lo capisco. Sembra più lontano di Londra, in questo momento «Migliaia di gradini, milioni di passi».

«Esagerato» lo rimprovero.

«Vieni qui. Il tempo di riposarci un attimo e poi saliamo di sopra. Lo giuro». Sbadiglia.

Sembra un bambino in cerca di coccole. E chi sono io per negargliele?

Quindi faccio la cosa più insensata di tutte e mi sdraio dietro di lui, per fortuna il divano è uno di quelli così abnormi da ospitarci comodamente entrambi. Ed è comodo, forse troppo.

È come se mi sentissi catturata, incapace di alzarmi per raggiungere il tanto agognato materasso.

Con dolcezza gli sistemo i capelli e glieli levo dalla faccia, così che non perda un occhio, poi poso il viso nell'incavo del suo collo. Lì, dove sa di buono. Di avventura, di colonia agrumata e di casa.

L'odore che, per me, ha la felicità.

«Stavo pensando...» si interrompe per sbadigliare, «cosa ne dici di rimanere insieme?»

Ridacchio divertita, la stanchezza deve avergli dato alla testa. «Non penso di andare da nessuna parte. Sai com'è, sono le quattro da un po' e non ho nemmeno intenzione di raggiungere la camera da letto, figurarsi un hotel!»

«No, intendevo dopo. Tipo... a Londra».

Ormai straparla. Abbiamo la fortuna di essere vicini di casa, e non ho intenzione di lasciarmelo scappare. È logico che, una volta tornati a Londra, staremo insieme, così come è stato nell'ultimo anno.

«Non vorrei dire, ma non ho intenzione di lasciarti. Ho già commesso una volta questo errore e grazie, ma no. Non fa per me».

Gli metto la mano sul petto, mentre Seb posa la sua sul mio polso, quasi volesse trattenere il palmo lì.

Intreccio le gambe con le sue per godermi il calore che emana, questo vestito non tiene molto caldo. Seb allunga il braccio e ci copre con la coperta che teniamo a portata di mano sullo schienale.

«Sono felice di sentirtelo dire, ma non intendevo questo». Si gira con il viso verso di me per regalarmi un sorriso, poi però decide di cambiare fianco per guardarmi in faccia.

«E allora dovresti essere un po' più chiaro...»

«Sto pensando da un po' di prendermi casa da solo. Sai, con altri tre coinquilini c'è poco spazio, e poca privacy. È giunto il momento di avere un posto mio. Non trovi?»

Mi sposta una ciocca di capelli dietro l'orecchio, una scusa per continuare poi ad accarezzarmi.

«Mi sembra sensata come cosa». E gli indico la stanza attorno a noi con la mano. «Non penso che i soldi per comprare casa ti manchino».

Questa villetta è meravigliosa, anche se è solo una seconda casa. Non oso immaginare come potrebbe essere quella dove decide di vivere in pianta stabile, a Londra.

«Però ho anche pensato che una casa come quella che ho in testa sarebbe troppo grande per godermela da solo...» Con la mano scivola sul mio fianco, senza malizia.

«Stai dicendo quello che penso?» La stanchezza svanisce, per lasciare il posto ai battiti accelerati che mi riempiono il petto.

«Se pensi a una permanenza prolungata, allora sì». Alza un sopracciglio, insolente. «Così quando torniamo dal lavoro siamo già lì, con uno spazio per noi. Senza un letto minuscolo, o altre persone che ci girano attorno... insomma, cose così».

Ora sono le spalle a volare verso l'alto, come se quello che ha detto non avesse importanza.

«Mi stai chiedendo di convivere?» Sgrano gli occhi, scioccata e sorpresa dalla proposta, sempre che le mie conclusioni siano giuste.

Anche se il cuore impazzito sui cui ho posato la mano mi sembra un segnale inequivocabile.

«Avrei detto più "ottimizzare gli spazi domestici", ma anche convivere non suona male, in effetti». Sorride, perché la mia espressione emozionata tradisce quello che provo.

«Sei sicuro?» Soffio sulle sue labbra, con gli occhi che mi brillano dalla felicità. L'idea di costruire qualcosa insieme a Seb mi elettrizza e mi riempie di gioia.

«Solo se lo sei tu». Mormora, a un soffio dal bacio che attende come ossigeno. «Cosa ne pensi?»

La domanda arriva dopo il mio prolungato silenzio.

Forse sono rimasta troppo in estasi a contemplare la vita insieme, in una casa nostra. Non sa a cosa ha dato vita, perché nella mia testa è partito un film che meriterebbe ben più di una sola statuetta, come si è portato a casa lui stasera.

«Penso che, anche se questa casa non c'è ancora, tu debba farmi un po' di posto in bagno e nell'armadio. Anzi, a pensarci bene penso che una cabina armadio soltanto per me sarebbe l'ideale». Gli rispondo con gli occhi al cielo e l'indice sul mento, per sottolineare i miei pensieri malefici.

«È una pretesa molto azzardata, che dovrà essere ricompensata a caro prezzo». Mi fa notare, divertito.

«Del tipo?» Sono curiosa.

«Molto, moltissimo sesso». Annuisce convinto, nonostante il sonno che incombe. «Anche quando sarò lontano per lavoro. Lunghe sessioni di sexting».

«La tua è una richiesta che richiede un certo sforzo fisico, ma sono pronta a onorare questo accordo ogni volta che vorrai». Gli accarezzo il naso con il mio. Non mi ha chiesto niente di complicato. Nulla che non faccia già parte della nostra realtà, ed è bellissimo così.

«Allora affare fatto».

Seb si mette comodo, segno che non ha intenzione di schiodarsi da qui, e io lo seguo a ruota, sempre più assonnata.

«Ti sei resa conto che vuole dire invecchiare con me?» domanda, con la voce roca di chi sta per addormentarsi, dopo un lungo silenzio che mi ha fatto pensare che fosse già crollato.

«Solo se i miei piani malefici in cui sposo un vecchio milionario per avere la sua eredità avranno la peggio» lo prendo in giro, con gli occhi ormai chiusi.

«Stronza». Mi pizzica il fianco, con un sorriso ironico, che intravedo dalle fessure che ho aperto per osservarlo. «Ma ti amo anche per questo».

«Io ti amo e basta. Anche se mi hai esposto al mondo. Ma penso di perdonarti, anche perché è il tuo momento».

Gli faccio notare, dato che non è stata una cosa concordata. Anche se so che, stando insieme a una star di fama mondiale, sarebbe stato impossibile nascondere la nostra relazione in eterno.

«Allora, visto che la mia ragazza – quella creatura stupenda – ha accettato di vivere con me, posso dire che è davvero la mia giornata fortunata».

Mi accarezza i capelli sempre più lentamente.

«In realtà quella fortunata penso di essere io». Sbadiglio, per poi avvicinare la guancia al petto di Seb e goderne il calore. «Fortunata per averti incontrato ma, soprattutto, per il tuo amore».

«Era inevitabile innamorarmi di te». Lascia un bacio sulla testa, una buonanotte preannunciata dal nostro modo di parlare fiacco. «Sei perfetta per me».

E ci addormentiamo entrambi, cullati dall'amore che ci lega.


F I N E


(Ci vediamo ai ringraziamenti, così vi aggiorno su un po' di cose)

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