9. Collisioni
«Ford, su, non ti muovere!» Elle mi riprende guardandomi dall'alto.
So che può sembrare impossibile, dato che sono ben più alto di lei, ma io sono seduto perché mi pitturi la faccia.
È la mattina del flash mob ed Elle è l'incaricata a dipingerci i volti di modo che la gente non mi riconosca. Hanno deciso di unirsi a me in questa pazzia per destare meno sospetti. E lei, siccome è l'unica brava a disegnare, si è sobbarcata questo compito.
«Eh no, cara». La rimbecco, mentre la freno con una mano aperta a separarla dal mio viso. «Prima mi dici come mi vuoi truccare».
Chissà come mi vede: un leone coraggioso dalla folta criniera, un lupo fiero, una tigre aggressiva. Sono curioso, spero che rappresenti al meglio la mia virilità, perché da quando il mio inquilino del piano di sotto si è risvegliato mi sento più uomo, un po' più sicuro di me. Come se fossi nella mia forma migliore.
La vedo sbuffare e incrociare le braccia sotto al seno, indispettita da questo perdere tempo.
Cristo. Santo.
Ho gli occhi all'esatta altezza del suo seno. Devo avere lo stesso autocontrollo di un monaco buddista per alzare lo sguardo e focalizzarmi sulla sua faccia, mentre la scopro ad alzare gli occhi al cielo.
Mi sento un supereroe per la mia forza di volontà. Iron Man, per la precisione, perché in questo momento una parte di me potrebbe diventare davvero d'acciaio, se abbasso lo sguardo per puntarlo davanti a me.
«Se va avanti così non ti trucco affatto, vediamo cos'è peggio!» Si lamenta, per poi prendere della pittura con il pennello.
«AH!» La colgo in fallo. «Vedi? Hai detto che potrebbe essere peggio. Di cosa si tratta?»
Ha preso del grigio, potrebbe essere uno squalo. Un po' intimidatorio, forse, ma potrebbe tenere la gente lontana, magari lo fa proprio per questo.
«Ok, ok». Si arrende, infine. «Ho intenzione di renderti un maestoso procione».
Un cazzo di orsetto lavatore. E lo dice anche con fierezza.
Praticamente mi immagina come un cucciolo da accudire. Alla faccia della mia virilità ritrovata.
«Stai scherzando, vero? Mi prenderanno tutti per il culo!» Perché non da puzzola, allora, se proprio voleva infierire?
Come se già la situazione non fosse tragica, in quell'istante Daniel passa nel corridoio, cosa che lo mette al corrente di questa rivelazione. «Un procione, Seb! Sai che risate? Ti sfotterò a vita».
A testimoniare i miei timori, tanto che indico a Elle la porta aperta, a sottolineare l'ovvio.
Come se non bastasse essere seduto sul water di casa mia davanti alla ragazza che mi piace. No, aggiungiamo il carico da novanta e facciamo in modo che la mia virilità sia azzerata in virtù della mia carinococcolosità. E sì, ho creato un neologismo. Tanto valeva dipingermi una vagina in volto, almeno mi sarei sentito parte del gruppo girl power. Le ragazze e io avremmo potuto fare le Spice Girls senza Geri.
Elle mi ignora per prendersela con Dan. «Zitto, tu! Ti renderò un maiale, almeno le ragazze sanno già con chi hanno a che fare». Poi si piega su di me con fare deciso e, per quanto l'idea del procione non mi piaccia, mi lascio distrarre dal seno che si avvicina alla mia faccia e smetto di protestare. «Stai buono che inizio».
«Meglio così, almeno non devo nascondere la mia vera natura» Urla di rimando Dan.
«Non se ne vergogna nemmeno, è quasi ammirevole» Borbotta tra sé, mentre con un pennello inizia a impiastricciarmi il viso.
«Perché proprio un procione?» Mi rifiuto di dire orsetto lavatore.
Non mi priverò di quel poco di palle che mi sono rimaste.
«Preferivi un bradipo?» Elle solleva un sopracciglio, a metà tra l'essere stizzita e scettica. «O una farfalla?»
«Per carità di Dio!» In risposta alzo le mani in segno di resa e mi ammutolisco, zitto e buono come vuole lei.
Seduto sul trono di ceramica che spetta a un buffone come me.
Per distrarmi la osservo, dato che ce l'ho così vicino. Ammiro il suo naso delicato all'insù, la bocca leggermente aperta da quanto è concentrata e gli occhi più disarmanti che io abbia mai visto. Sono fieri e sembrano sempre pronti a sfidare chiunque le si pari davanti. Forse è coraggio o, forse, autodifesa.
Inspiro a fondo per riempirmi il naso del suo profumo, uno di quelli di brand iconici che, su di lei, sanno di peccato e ingenuità. Diventa un ricordo che si incastra nella memoria e sono sicuro che quando sentirò di nuovo questa fragranza non potrò non pensare ad altri che lei.
Poi mi concentro sul suo respiro. Un suono appena percettibile che, però, sembra sincronizzato con il mio, vicini e distanti nello stesso tempo.
Potrei – vorrei – baciarla qui e ora, incurante degli altri, ma non sarebbe giusto, anche se una parte di me se ne vorrebbe fregare e prendersi quello che desidera, una buona volta, incurante delle conseguenze.
Ma non posso farlo contro la sua volontà, così cerco di contenere i miei ormoni da quindicenne e tento di recuperare i dieci anni che mi separano dalla mia effettiva età anagrafica.
«Cosa c'è?» Il suo tono curioso mi riporta qui e adesso.
«Mh». Apro gli occhi con indolenza, perso nella mia esperienza trascendentale che mi ha portato a percepirla con ogni senso possibile.
«Avevi un'espressione buffa. Sembravi quasi eccitato!» Sorride, mentre con un pennello rifinisce una parte vicino al mio occhio destro e mi si ferma il respiro per il calore che sprigiona.
«Stavo pensando». Cerco di giustificarmi. «Mi sono concentrato per trattenere uno starnuto, non avrei voluto rovinare il tuo lavoro».
«Grazie». È sorpresa dalla mia risposta e mi sento uno stronzo per averla raggirata con tanta facilità, ma queste bugie bianche mi stanno aiutando nel parlare con lei in modo disinvolto, senza balbettare o incespicare nelle parole. Quando smetterò di arrossire voglio un premio in diretta mondiale. Penso di meritarmelo.
Dopo un'altra decina di minuti si allontana per osservare il risultato, poi si rivolge a me con entusiasmo e soddisfazione. «Finito! Avanti, guardati».
Mi passa uno specchio portatile e devo dire che il risultato è stupefacente.
Nessuno, nemmeno mia madre, potrebbe riconoscermi dietro un simile camuffamento e, per quanto avrei preferito un altro animale, mi sento veramente accattivante.
«Sono un procione fatto e finito, nessuno può capire chi si nasconde dietro un travestimento così. Sei fantastica». Le sorrido, conscio che il mio complimento si riferisce a molto più della sua abilità.
«Allora», comincio un discorso qualsiasi perché, altrimenti, dovrei uscire da questo bagno minuscolo e allontanarmi da lei e, in tutta sincerità, non mi sento ancora pronto, «Jane è un gatto, Rachel una giraffa, Charles una rana, Eddie una Tartaruga ninja...» Cosa che non mi sta bene, per inciso, perché è una maschera bellissima. Perché lui sì e io no?
Lascio la frase in sospeso, ma Edward si intromette per ribadirle tutta la sua gratitudine.
«E non sai quanto io mi senta figo per questo» dice, mentre passa davanti al bagno, pronto a recuperare le cose indispensabili per la giornata.
«Poi c'è Daniel...» continuo a buttare giù tutto l'elenco dei presenti.
«Di cui è il turno». Urla Elle in risposta, per farsi sentire dal mio amico.
Amico che, per farci capire che ha sentito, replica con dei grugniti. A quanto pare è già entrato nella parte.
«Bravo, calati nella parte». Elle sembra avermi letto nel pensiero ma, forse, Dan è di facile interpretazione.
«Tu, quindi, da cosa ti trucchi?» Domando curioso, finalmente giunto al punto a cui volevo arrivare poco fa.
«Da volpe». E solleva più volte le sopracciglia.
«Scaltra!» ribatto mentre sento Daniel avvicinarsi con la sua falcata rilassata.
«Già. Ma se non fosse così non mi sarebbe nemmeno venuta quest'idea». Indica le facce di entrambi e Dan arriva, pronto a farsi dipingere un po'. Mi alzo per cedergli il posto d'onore.
Nel frattempo Jane passa davanti al bagno, intenta a recuperare i cuscini in più che abbiamo preso da IKEA, poi ci ripensa e ritorna sui suoi passi, per affacciarsi di nuovo nella stanza che, data la sua grandezza, è decisamente sovraffollata. «Elle, dopo la lotta fai shopping come me e Rach? Siamo libere entrambe e abbiamo pensato di pranzare fuori, visto che a casa il frigo piange».
Elle ridacchia, ma nega con la testa. «Grazie, ma non posso. Devo tornare a casa con sono-buono-e-figo-ma-faccio-finta-di-non-saperlo Ford perché gli consegnano il nuovo materasso, che è a nome mio».
Poi si gira verso di me, con un sorriso divertito. «Sono quasi tentata di chiederti una percentuale per il servizio».
«Bravo, Seb!» Interviene Dan, a un livello di decibel che credo lo possano sentire anche su Plutone. «Sei andato dritto al solo! E poi il maiale sarei io». Alza gli occhi al cielo, con fare drammatico. Quando si mettere a fare queste parti capisco perfettamente perché sia nato per fare teatro e tutti lo scritturino.
«Ma che dici? Io non faccio finta, io non sono figo!» A conferma di ciò mi indico la faccia, dove campeggia un procione, nemmeno fossimo nel cartone di Pocahontas. «E non sono un maiale».
Non nei fatti, almeno. Ho del potenziale in quel senso, come ogni ragazzo di quasi ventisei anni che si rispetti, soltanto che gli altri venticinquenni hanno una vita sessuale che io, al momento, posso solo sognare. O cercare su PornHub.
«Comunque», continua Daniel, come se non l'avessi ripreso, «dopo il flash mob io sono dai miei, anche Charles ha lo stesso programma, mentre Eddie esce con una tipa di cui non conoscevo l'esistenza». Alza le spalle, incredulo e pratico. «Quindi mi dispiace, non possiamo darti una mano».
Vedo Jane irrigidirsi sul posto, per poi allontanarsi con una scusa, con le spalle basse. È da un po' che ho come l'impressione che abbia un debole per Edward ma, siccome non mi è parso che gli altri sospettino qualcosa, immagino sia solo frutto della mia fantasia.
«Vedo quanto ti dispiace». Gli faccio notare, sarcastico. «Praticamente mi lasciate solo».
E, subito, mi arriva un pugno sul bicipite, o quella cosa che dovrebbe essere un muscolo definito. «Ehi, e io chi sono?»
«Logico, a parte te». Ricordo subito a Elle.
Prima di fare altre figuracce vado in camera per cambiarmi, dato che ho addosso ancora i pantaloni della tuta che uso per stare a casa.
È arrivata l'ora di munirsi delle armi, il flash mob è vicino.
*
Arriviamo a Trafalgar Square con mezz'ora di anticipo rispetto all'inizio dell'evento e già dal viaggio in metro si è capita l'enormità della cosa, dato che abbiamo incontrato tantissime persone munite di cuscini per partecipare.
La piazza è così piena di gente da sembrare la prima di un film della saga, con la sola differenza che non è lì per me e i miei colleghi e non urla come una disperata. Avevo paura che i nostri travestimenti fossero eccessivi ma, a guardarmi in giro, capisco che siamo alcuni tra i più sobri e la cosa mi tranquillizza, perché riusciamo a passare inosservati. Forse sarebbe successo anche se ci fossimo presentati senza le facce dipinte o, forse, sarebbe stato un bagno di sangue per me. So soltanto che sono felice di non scoprirlo, perché dietro la pittura mi sento protetto e libero di agire come meglio credo.
Sono pronto a divertimi, nonostante penso sia un evento inutile, anche se di sicuro può essere allegro.
Di sicuro è la prima volta che mi trovo nel mezzo di un bagno di folla e non mi sento fuori posto. A quanto pare è vero che c'è una prima volta per tutto.
È tutto così calmo, così carico di pacata aspettativa che mi lascio contagiare. Sono circondato da persone che, come noi, si prendono il tempo per scherzare, bere un po' d'acqua, fumare una sigaretta e scattarsi qualche foto. Non c'è isteria, non c'è la frenesia che ritrovo quando incontro qualcuno che cerca un contatto con me in qualsiasi occasione mi trovi e mi piace.
Mi sento trasparente, invisibile, e mi sento bene.
Faccio parte della folla senza che la ressa sia lì a osannarmi e mi va più che bene così. È un'esperienza che non faccio da anni e la trovo sana e salutare. Un bagno di umiltà che molti miei colleghi dovrebbero provare.
Il tempo passa in fretta e gli organizzatori invitano i presenti a prepararsi, perché manca poco al via.
Tutti alzano i propri cuscini, pronti a menare colpi sui propri vicini e io faccio lo stesso. Inizio a sentire l'adrenalina del momento, uno sfogo innocente su degli sconosciuti. Un po' penso di meritare un tale onore. Per tutti gli urli in faccia. Per tutti gli strattoni. Per tutta la maleducazione gratuita ricevuta. Per ogni gesto non richiesto.
Il fischio dà il via ai dieci minuti più liberatori della mia vita.
Dopo il segnale è il caos più totale. Mi guardo attorno e non vedo più i miei amici. Niente più maiale, niente più giraffa, tartaruga ninja e nemmeno la volpe, ma va bene così.
Mi sento stupido, ma anche leggero. Colpisco una ragazza, un ragazzo e ridiamo.
Volano piume ovunque e continuiamo a ridere.
Il suo amico e lei mi guardano, ma non vedono davvero chi sono, così si girano e colpiscono altra gente.
Dopo qualche minuto di fendenti, risate e fughe mi accorgo che il mio cuscino è vuoto e completamente fuori uso, così prendo il secondo per dare man forte alla lotta che impazza.
Colpisco una persona, le sorrido e mi sposto.
Colpisco, sorrido e mi muovo.
È un procedimento collaudato che porto avanti finché anche il secondo cuscino mi abbandona.
Sono circondato da piume. Sul suolo, sulla testa e sopra la gente. Una nuvola soffice e in movimento che fa da cornice a una cosa talmente assurda da essere perfetta.
Mi sento leggero. Mi sento felice.
Mi sento bene e mi stupisce che sia una cosa così ridicolmente semplice a farmi stare così.
È una benedizione e non tutti possono capire l'enormità della questione, lo stare bene con le piccole cose.
Mentre gli organizzatori annunciano due minuti e mezzo alla fine della lotta, mi volto e ritrovo la mia volpe preferita nei paraggi.
Elle mi nota, sorride e si dirige verso di me, per poi fermarsi a un passo di distanza.
Un passo di troppo, per i miei gusti.
Sono accesso di vita e il mio respiro è affannato, come se avessi corso per mezz'ora, ho così tanta voglia di trasmetterle tutto questo che fatico a parlare, perché non so come dare forma a quello che ho dentro con le sole parole.
Risulterebbero riduttive. Futili. Limitanti.
Lei, approfittando della mia confusione, posa il suo cuscino a terra, poi vede il mio – ormai svuotato da ogni piuma – e fa lo stesso, dopo avermelo preso dalle mani.
«Cosa fai?» Ho i capelli spettinati come il respiro, gli occhi spalancati come il cuore e temo di non essere in grado di nascondere come mi sento per la prima volta dopo tanto, troppo tempo.
Elle non risponde, piega soltanto la testa di lato, accenna un sorriso e azzera la distanza tra noi.
Mi bacia il labbro superiore, ma lo fa con delicatezza. Un contatto morbido e rassicurante, diverso da quello nella cucina di casa sua, più febbrile e disperato. Differente dai baci scherzosi, dati per gioco, che ci siamo scambiati da IKEA.
Si separa e mi infila una mano sotto la maglietta per premermela contro la pelle accaldata della schiena, appena sopra i jeans, per farmi avvicinare a lei. Poi mi bacia il labbro inferiore con più foga.
La stringo a me di rimando, ma ci stiamo ancora studiando, come se fossimo parole di un libro non ancora letto e dovessimo assorbire i rispettivi contenuti. Ogni gesto è accennato, per non cadere nell'errore di bruciare tutto con la velocità e non carpire i particolari.
Elle prende la mia faccia tra le mani e la avvicina con gentilezza alla sua mentre si alza sulle punte dei piedi per venirmi incontro, in un'uguaglianza in cui non ho mai sperato, perché lei è sempre stata tre passi avanti a me, libera da ogni schema o pregiudizio. La lingua esplora la mia bocca, accarezzandone ogni dettaglio, ricordi che deve imprimere nella memoria di entrambi. Non sapevo nemmeno di averle, certe parti di bocca.
Infine la sua lingua incontra la mia e tutto perde senso e lo assume un secondo dopo.
Questo bacio è come un benvenuto nell'universo: è spaventoso da quanto è bello e non so dove finisce la creazione di Dio e inizia la scienza, so solo che mi lascia senza parole per la meraviglia.
Vengo avvolto dal silenzio dell'infinito, quasi non fossimo nel mezzo di una lotta. È come essere al centro del caos cosmico, culla della vita, brillante in modo intimidatorio, e non posso fare altro che arrendermi a una sensazione così totalizzante.
Se lei è il caos, io sono la muta cassa di risonanza della sua eterna eco.
Elle è così. Il suo bacio è così.
Un sistema solare che attira, una galassia che illumina, un inverso intero che travolge, e io sono il minuscolo uomo dello spazio designato a esplorare quello che mi viene offerto. Onorato e intimorito da un silenzio così completo da diventare assordante e coprire ogni cosa conosciuta.
Sono succube di Elle e di come mi bacia, del magnetismo gravitazionale che ci porta sempre a scontrarci. Mi ha in pugno.
La mia eccitazione è difficile da eclissare, soprattutto quando il suo corpo è un tutt'uno con il mio, ma non ho intenzione di nasconderla, non voglio vergognarmi di quello che mi fa provare.
Mi riprendo dallo smarrimento dato dal bacio e rispondo meglio che posso, nel tentativo di trasmetterle tutto quello che lei ha dato a me, e mi lascio guidare dal desiderio che ho di Elle. La prendo per la nuca per paura che scappi, una stella cadente che interrompe il percorso e io il cielo che la ferma per il timore di vederla svanire.
Al suono di stop degli organizzatori ci separiamo, dopo quello che pare un tempo indefinito.
Elle, le guance rosse, mi sorride luminosa in quel modo in cui solo lei sa esserlo. «Non domandarmi perché l'ho fatto». Mi anticipa, prima di tornare con i piedi per terra.
«Non lo stavo facendo». Mento con il riflesso del suo stesso sorriso sulle labbra.
«Non sai mentire, te l'hanno mai detto?» Dovremmo allontanarci, ma le sue mani sono sul mio petto, mentre le mie dita viaggiano sulla schiena di Elle in una carezza pericolosa per la mia sanità mentale.
No, è stato diverso da ogni bacio che ci siamo dati, questo è stato il nostro primo bacio, quello che ci siamo scambiati perché lo abbiamo desiderato, senza scuse a coprire il fatto.
Gli altri erano false partenze mentre questo, invece, sembra il primo passo verso qualcosa di diverso.
«Forse». Sempre. Mi hanno detto che le emozioni le ho scritte in faccia, ma col tempo ho imparato a contenerle, almeno un po'. Non è mentire, è sopravvivenza, un modo come un altro per evitare di esporre al mondo il fianco debole e dargli pure le armi per colpirmi.
«L'ho fatto solo perché mi piace come mi baci, Ford». Mi accarezza il petto con l'indice sopra la maglietta, ma è come se il tessuto non ci fosse perché lo sento impresso sulla pelle, ben oltre dove dovrebbe arrivare con un semplice gesto.
«Posso farlo più spesso». Mi sento un emerito coglione per aver pronunciato una simile frase, ma è l'unico modo che ho per esternare la mia voglia di farlo di nuovo. Sempre. A ogni occasione possibile. «Tutte le volte che vuoi».
Le accarezzo una guancia, incurante della pittura che mi sporca le dita. Colori ormai striati dalla colpa che portiamo entrambi in viso. Non oso immaginare come sono ridotto, visto che la volpe di Elle ha gli stessi contorni sbavati delle mie emozioni, ma non ho intenzione di pormi problemi a riguardo o, peggio, di sentirmi in difetto.
«Vedremo...» Eppure non c'è la sfumatura dubbiosa in quelle parole, ma soltanto la promessa di un appuntamento ancora non definito, ma di cui si ha la certezza che accadrà di nuovo.
E me lo faccio andare bene. È un inizio e, per me, è una grande conquista.
Ci allontaniamo appena prima che i nostri amici ci trovino per riformare il gruppo compatto. Non li ho mai odiati tanto come ora per aver interrotto quel qualcosa che c'è stato, ma sono grato di aver messo fine a un momento delicato, troppo perché io potessi uscirne vincitore.
«Scusate, ci siamo persi!» Rachel si scusa con noi a nome di tutti, ma non proviamo del vero rancore per quell'allontanamento.
Ci guardiamo in giro. Lo scenario post apocalittico di una guerra. Trafalgar è una distesa di piume, intervallate da persone composte da frammenti di colore e, anche se ai margini della piazza si vedono già persone intente a ripulire il disastro, l'effetto ottico è notevole.
Sapere di aver fatto parte di un evento simile è catartico, perché è come se la leggerezza di quelle piume mi avesse pervaso.
Sorrido al mio gruppo di amici come un imbecille. «Non vi preoccupate, non c'è problema. Anche noi ci siamo appena rincontrati».
E posso dire con certezza che non è mai stato così bello smarrirsi tra la folla e allo stesso tempo ritrovarsi.
Hola!
In realtà non ho molto da dire su questo capitolo, se non che ho amato metterci mano, soprattutto sul bacio, e che l'ho diviso in due per concentrare il focus su ciò che accade qui e focalizzare il prossimo su un'altra cosa.
Il flash-mob è avvenuto e, tra l'altro, è successo davvero a Trafalgar, anni e anni fa. Infatti ho preso spunto da lì.
Non ho intenzione di dilungarmi, vi aspetto lunedì di Pasquetta, tanto non penso sarete fuori a far grigliate. Vedetela così: il capitolo potrebbe essere il vostro "evento della giornata". Un po' triste, me ne rendo conto, ma non c'è molto di meglio da fare.
La canzone che ha ispirato questo capitolo è stata inserita nella Playlist, appena aggiornata per voi.
A presto,
Cris
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