8. (S)montata
Appena scendo dall'auto ricorro al mio travestimento e indosso sia il cappello da baseball che gli occhiali da sole specchiati. Quando li ho addosso mi sento più sicuro, come se fossero uno scudo tra me e il mondo, dato che le lenti mi permettono di spiare senza farmi vedere.
Ho come la sensazione che possano proteggermi.
Praticamente sono al pari di un cinquenne che crede di avere accessori che donano poteri magici e ti fanno diventare un supereroe. Patetico.
Entriamo negli ampi locali del negozio, al piano dell'esposizione, ed Elle è già più avanti di me, con il suo solito entusiasmo che la contraddistingue, e urla nella mia direzione: «Andiamo, Ford, svegliati! Non fare il bradipo».
Mi gelo sul posto.
Il fatto che mi abbia chiamato per cognome, anche se in modo abbreviato, mi fa guardare in giro come se qualcuno avesse annunciato una valanga imminente nei nostri dintorni, come se quel soprannome mi avesse puntato mille fari addosso.
Se prima ero contento di entrare da IKEA come un uomo è felice di accompagnare la propria fidanzata in un centro commerciale il primo giorno di saldi, ora la mia voglia è scesa circa al centro della terra o, forse, direttamente all'inferno.
«Sssssshhhh! Non urlare!» La riprendo a bassa voce con tono isterico. «Potrebbero circondarci». Un po' estremo, ma rende bene l'idea. Lei non sa cosa voglia dire essere il centro di un bagno di folla, mentre io sì e mi vengono i brividi al solo pensiero. «E poi io sono un bradipo».
È la mia dicotomia: sono uno che non sa stare fermo, eppure sono pigro a livelli imbarazzanti. Quando non lavoro la mia vita ha gli stessi ritmi di Ryanair, praticamente vivo in ritardo e mi ricarico giusto per svolgere le azioni necessarie alla sopravvivenza.
«Circondarci? Siamo in guerra?» Mi prende in giro. «E poi sei più riconoscibile con un paio di occhiali da sole in un luogo chiuso che con il mio urlo di poco fa, quindi», prende la montatura dai lati e me li leva, «questi li mettiamo qui. Non siamo all'aperto, non ti servono».
Apre leggermente il colletto della mia t-shirt e li infila a cavallo, poi conclude l'operazione dandomi una piccola pacca sul petto, a sottolineare il gesto che ha appena compiuto.
Questo contatto, seppur poco significativo, mi riporta alla mente il bacio di stamattina e mi eccita al punto da provocarmi un brivido.
«Sensibile?!» Domanda Elle, maliziosa e con un sorrisino soddisfatto dipinto in faccia, quasi sapesse a cosa è dovuta la mia reazione istintiva.
Al che faccio la cosa più virile che mi viene in mente: incrocio le braccia al petto con fare stizzito e mi concentro su dei bicchieri che ho a portata di mano. «Nah» rispondo acido. «Mi hai solo fatto il solletico».
«Solletico?» È ovviamente scettica.
«Già». Continuo, ma sono meno credibile di Selena Gomez che capita "per sbaglio" a un concerto di Justin Bieber.
«Mamma mia, sei più acido di una donna con il ciclo e che non fa sesso dalla prima guerra punica». Si prende gioco di me. «Non ti si può prendere in giro, Ford?!»
Le rispondo con una smorfia della bocca, non riuscendo a elaborare niente di meglio.
Ma lei ride e a me basta, almeno la diverto.
Continuiamo il nostro giro alla ricerca della zona notte, ma ogni angolo sembra un posto ideale per Elle per fermarsi e studiare i design dei mobili e degli oggetti che circondano, mentre io cerco di mantenermi in piedi e di non rompere tutte le ceramiche dell'immenso negozio.
Impresa difficile, dato che a causa del mio essere scoordinato ho rischiato di stamparmi sul pavimento una quindicina di volte per colpa di cesti – con prodotti inutili – posizionati in mezzo al percorso.
Ho evitato la più grande figura di merda della storia solo perché Elle mi precede e, per evitare di abbracciare il pavimento, mi sono aggrappato alle sue spalle.
Si gira verso di me divertita e la sua bocca si apre per lasciare libera una nuova risata. È così bella e genuina che non riesco a prendermela con lei, non quando non mi rinfaccia il mio essere maldestro come gran parte delle mie ex ma, anzi, ne sembra quasi affascinata. «Bradipo e imbranato».
Siamo solo all'inizio del nostro giro, ma se continuo così entro stasera potrei essere il più grande idiota che Elle abbia mai conosciuto. Attore di fama planetaria o meno.
Sempre se ci arrivo a sera, perché con tutte le figure di merda che sto collezionando – manco facessero parte di un album di figurine – è probabile che io ci rimanga secco tra un appartamento di venti metri quadrati e l'altro, schiacciato da una libreria Billy da trentacinque sterline. Una morte poco onorevole, se mi si permette.
Inizio a non sentirmi tanto sicuro qui dentro.
«Allora, ci muoviamo?» Elle mi sollecita, riportandomi alla realtà. Certo, ora che lei ha smesso di catalogare ogni prodotto dobbiamo sbrigarci, come se a rallentare il tour fossi stato io.
«Arrivo». Alzo gli occhi al cielo. Regola di sopravvivenza numero uno: mai – e dico mai – contraddire una donna in un negozio IKEA. Non se ci tieni alle palle. «Hai così fretta?!»
Ma lei sembra ignorarmi, animata da una nuova luce negli occhi, come se avesse un nuovo scopo nella vita: «Dato che tu devi scegliere un materasso direi di partire da qui, dato che c'è l'esposizione e possiamo provarli. Per i cuscini, invece, dobbiamo scendere». E, per sottolineare la serietà con cui si approccia alla missione, si munisce di foglio e matita per scrivere il nome impronunciabile del modello che sceglierò.
«Come fai a sapere tutte queste cose? Ti hanno eletto Miss IKEA?» Fosse stato per me sarei passato dalla via più breve per le casse e avrei comprato il primo materasso su cui avrei posato gli occhi.
È bianco? È rettangolare? Ci si sdraia sopra? Ok, è quello giusto.
«No». È il suo turno di alzare gli occhi al cielo. «Anche se questo posto è un'accozzaglia di stili e oggetti che non amo, ci ho sempre accompagnato mia madre che, al contrario di me, lo adora». E mi mostra la lingua.
Quella stessa lingua che vorrei sentire ancora nella mia bocca e, perché no, mi piacerebbe scoprire sul corpo.
«Dai, vieni!» Senza aspettare risposta mi prende per mano e mi invita a seguirla. Per essere una che non ama questo posto si diverte parecchio!
Mi ritrovo accanto a lei, seduto su uno dei divani più scomodi che io abbia mai provato in vita mia, durante la nostra prima tappa di quello che appare un lungo il percorso. Accanto a me vedo uomini con la mia stessa faccia arresa e mi sento sollevato per non essere l'unico che vorrebbe essere ovunque, tranne che qui.
Elle, approfittando della mia distrazione, mi guarda con le sopracciglia alzate e un sorriso a sottolineare l'espressione divertita.
Sollevo un sopracciglio anch'io, scettico, ma mi adeguo al suo umore. I suoi modi di fare mi contagiano, come se non fossimo al chiuso davanti a prototipi di case grandi quanto una scatola di scarpe. Guardare il suo sorriso è un po' come sentire il sole sulla pelle e non riesco a non lasciarmi scaldare da un gesto simile, non se viene da lei.
«È terribile». Eppure sorrido, incapace di contenermi. «Ho provato assi di legno più comode di questo divano».
«Non rovinarmi il gioco». Piagnucola tra le risate.
Ed è così che poi ci troviamo a provare ogni mobile e accessorio di quei set. A commentare il design di ogni oggetto, come se fossimo esperti – almeno per quel che mi riguarda – come se fossimo a una mostra d'arte.
E io riesco a centrare più volte i lampadari con la testa, rischiando una commozione cerebrale alla fine della giornata. So di essere alto, ma non capisco come mai le luci siano a portata dei diversamente alti. E dire che gli svedesi hanno la fama di essere pertiche. Possibile che vivano in scatolette di tonno di poco più di due metri?
Ok, ho due occhi per guardare dove vado, ma Elle da questo punto di vista è una distrazione.
Lei e i suoi giochi, dove finge di guardare una televisione che poi scopre rotta, mentre io mi calo nella parte e sto allo scherzo, dato che è quello che so fare meglio.
Ci ritroviamo davanti a bagni arredati e lei finge di scandalizzarsi dentro una doccia, come se fosse nuda e io fossi entrato nella stanza per sbaglio.
E la seguo, dopo essermi schiacciato un dito nell'anta dello sportello del bagno, verso un allestimento particolare, un po' più nascosto dagli altri.
Passiamo attraverso il salotto e ci dirigiamo verso la cucina, un posto piccolo e appartato, dove c'è un piano cottura di ultima generazione e la tavola apparecchiata nel dettaglio, anche se manca una tovaglia e c'è una striscia di tessuto soltanto che percorre la lunghezza del tavolo.
Vedo Elle accarezzare la superficie poi, con un sorriso assassino, alza gli occhi su di me, brillanti di divertimento e malizia. Sposta una sedia dal tavolo e inizia a piegarsi, per ficcarcisi sotto.
Deve aver perso qualcosa. Il mio sguardo segue ogni movimento che fa, come se fosse la portata principale di quella cucina e io fossi affamato da mesi.
Attendo una sua mossa, ma la vedo semplicemente raggomitolarsi sotto al tavolo.
Chi la capisce è bravo, e giuro che non penso ai milioni di psicoterapeuti che ci sono là fuori.
«Vieni qui!» Mi intima con un filo di voce, come se fosse un segreto.
Mi sento stupido, ma non riesco a non assecondarla, così mi ritrovo rannicchiato sotto un tavolo che non è stato sicuramente ideato per contenere il mio metro e novanta.
«Cosa stai facendo?» Le chiedo con una smorfia allegra, curiosa e sorpresa.
«Niente. Sto facendo qualcosa di diverso, qualcosa di stupido che non avrei mai pensato di fare». Alza le spalle e, con il suo sorriso malizioso, mi sfida mentre si sdraia. Le gambe fuori e la faccia rivolta alla parte sbagliata dell'asse, come se stesse guardando un cielo di stelle e non del compensato.
È la cosa più bizzarra che mi sia ritrovato a fare ma, al posto di farmi sentire scemo, mi fa divertire e mi fa venire voglia di rischiare, di essere contagiato dalla sua follia e infischiarmi delle conseguenze, anche a costo di ritrovare sui siti di gossip un articolo dove mi prendono per il culo perché mi rintano sotto i tavoli in un IKEA qualsiasi, anche se nessuno sembra avermi riconosciuto grazie al cappellino.
Mi metto in ginocchio e la sovrasto, in modo da entrare nel suo campo visivo. La vedo al contrario, dato che i miei occhi sono all'altezza della sua bocca, eppure questo non intacca la sua bellezza.
Elle solleva le mani e me le mette sulla guancia. «Sei carino».
Deglutisco, sconvolto dal contatto e dalle sue parole, così semplici ma sincere.
«Anche tu sei carina». Le sfioro la fronte con un dito per toglierle un ciuffo di capelli immaginario. È stato impossibile per me non rispondere con del contatto in questo momento, anche se mi ha portato via tutta l'aria dai polmoni.
«Carina può andare, anche se molte, al mio posto, se la prenderebbero». Poi mi rivolge un sorriso quasi timido. «Ho sempre amato le scene dei film in cui i protagonisti si ritrovano sotto un tavolo. Sia che fossero scene d'amore o divertenti».
Alzo un sopracciglio, incapace di capire dove vuole andare a parare, ed Elle lo interpreta come un invito a continuare.
«Sai», continua come se nulla fosse. «Se ci fossero le tovaglie da ricevimento, quelle lunghe fino al pavimento, sarebbe l'ideale per limonare come due adolescenti».
Alza una spalla con indifferenza, quasi volesse minimizzare le sue parole.
E, come per magia, il mio viso è più vicino al suo, richiamato dalla sue parole o, meglio, dall'implicito invito che nascondono.
Io, con tovaglia o senza, sono pronto a farmi arrestare qui e ora per atti osceni in luogo pubblico. Non mi sento nemmeno in colpa, in fondo è IKEA la patria del monta e smonta e io mi sento più che pronto a calarmi nella parte.
Deglutisco, in affanno, e la vedo osservare il movimento del mio pomo d'Adamo con troppo interesse, lo stesso che io riservo alle sue labbra.
Mi sono abbassato verso di lei, conscio che non ci sono più giochetti tra noi, niente scuse sul ricordare di voler baciare l'altro, solo la voglia di farlo, e ritrovo i nostri respiri mischiati per la vicinanza.
La vedo chiudere gli occhi mentre azzero le distanze tra noi.
Ed è diverso da come mi aspetto. Non mi immaginavo tutto questo umido, né labbra così ispide. Non erano così l'ultima volta, non le ricordavo in quel modo.
Insomma, non mi aspettavo che Elle mi leccasse la faccia.
«Rocky, vieni qui!» Apro gli occhi e mi ritrovo davanti un carlino che mi fissa gioioso. Non ho niente contro i cani, giuro, li adoro, ma in questo momento vorrei accartocciargli ancora di più il muso piatto che si ritrova. «Serve una mano?»
Il padrone sembra domandarlo più per cortesia che per vero interesse.
Mi schiarisco la voce e mi allontano da Elle, mentre lei ride a crepapelle per la situazione. «No, grazie, tutto a posto, abbiamo recuperato l'orecchino».
Il padrone e Rocky se ne vanno, ma il momento magico sembra sparito.
«È arrivata l'ora di provare i materassi» Mi dice Elle, prima di alzarsi senza sforzo.
Forse non tutto è perduto. La seguo a ruota, non me lo faccio ripetere due volte, ma prima prendo una testata contro il tavolo sopra la mia testa, di cui mi ero dimenticato.
Esco da lì e massaggio la fronte, mentre esamino quella casa arrabattata in poco spazio. Nonostante le soluzioni non siano molte per fruttare al meglio ogni posto, devo dire che è ben fatta. Ed è così che mi ritrovo a fissare un letto con delle lenzuola scozzesi che in camera mia non stonerebbero affatto. So che non ci si crede ma, anche se non ci passo gran parte del tempo, la stanza in cui vivo quando sono a Londra è personalizzata e curata, più di quella di altri, che invece sembrano infischiarsene del senso di familiarità che una casa dovrebbe avere.
Vicino a me si piazza un altro uomo, uno sulla cinquantina e dai tratti asiatici. Direi vietnamiti, visto il colore scuro della pelle, perché nei giapponesi e nei cinesi è più pallida.
Ci fissiamo davanti al letto e ci facciamo un segno d'assenso, come se in quella camera vedessimo un tocco abbastanza maschile per farcela piacere.
«Tesoro, mi tradisci così?» La voce sotto shock di Elle mi arriva alle spalle, cogliendomi di sorpresa, tanto da irrigidire le spalle e guardare il mio amico appena trovato con sincero smarrimento. «Io... pensavo ti piacessero le donne! Non mi aspettavo un simile comportamento da te».
Sembra sconvolta. Devo darle atto che in quanto a improvvisazione e recitazione non è affatto male.
Il signore sgrana gli occhi a mandorla, spaventato e – dopo aver scosso la testa per allontanare le accuse mosse da Elle – scappa, recuperando la moglie lungo il tragitto per il piano di sotto.
Ho perso il conto delle figure di merda che ho collezionato qui dentro in meno di un'ora, ma devo ammettere che mi sto divertendo più di quanto mi aspettassi.
Alzo gli occhi al cielo, calcando ancora di più il cappello sulla testa, mentre lei ride della nostra reazione.
Ci incamminiamo verso la zona notte e una distesa di materassi si apre davanti a noi.
Poco dopo Elle mi trascina su un letto matrimoniale per testarne la durezza e, per quanto non mi piaccia espormi, devo ammettere di non aver opposto resistenza davanti all'eventualità di trovarmi sdraiato con lei accanto. Mi chiamano volontà di ferro, già.
Ne proviamo un po', muovendoci come dei pesci fuori dall'acqua per provare la rigidità e la resistenza, fino a scovarne uno un po' più alto, fuori dal centro dell'esposizione, un modo per dare meno nell'occhio, cosa che apprezzo.
«È quello che mi piace più di tutti». Mi metto su un fianco, rivolto a lei e con la schiena verso il passaggio, e non sono sicuro di stare parlando del materasso.
Elle mi imita e ci ritroviamo uno di fronte all'altra, i visi vicini mentre lei si morde un labbro. Sento il suo respiro che mi accarezza appena le guance e mi piace perepire quanto sia alterato dalla vicinanza, scoprire come non la lascio indifferente.
«Tesoro, devo dirti un'ultima cosa...» Gioca a fare la timida, ma i denti sul labbro dimostrano che sta trattenendo una risata.
«Dimmi». La invito a continuare.
«C'è il tuo amante che ci fissa». E, nel dirlo, indica l'uomo che poco prima è caduto vittima del suo scherzo. L'estraneo ci guarda, sconvolto per essere stato di nuovo tirato in mezzo alle nostre dinamiche di coppia e si allontana di gran carriera, prima che io mi possa scusare.
Ridiamo entrambi, poi Elle torna a concentrarsi su di me. Alza piano una mano e mi accarezza una guancia, per poi passare i polpastrelli sugli zigomi e scendere sulla labbra, quasi volesse memorizzare ogni mio contorno, come se le appartenesse. Un gesto inaspettato, sincero e quanto mai desiderato.
Si blocca, come se si fosse resa conto a quale istinto ha ceduto, ma mi sorride. «Mi piaci».
«Anche tu». Non riesco a tacerlo, non dopo quello che lei ha rivelato per prima. E non mi sembra vero che sia reale e che stia succedendo a me.
Sono le parole che avevo bisogno di sentirle dire, anche se diamo due sfumature diverse a quella frase. Eppure dimostra che non mi sono sognato tutto.
«Amici» sussurra con sguardo solenne. «Ti ho convinto?»
«Amici» rispondo un po' deluso dalla continuazione di questo dialogo, ma ci studiavamo da troppo per rimanere in sospeso. Essere amici non è male, è un punto di partenza che può portare in varie direzioni. Sono io che devo essere bravo a portarla dove vorrei. «Mi hai convinto».
«Dobbiamo suggellare questo patto». Non finisce nemmeno la frase che sfiora le mie labbra con le sue. Un tocco fugace che, però, lascia brividi ovunque. «Ecco. Ora è ufficiale».
Si alza dal materasso come se niente fosse e si gira a guardarmi, aspettando che io faccia lo stesso, anche se sono troppo sconvolto dai suoi continui cambi di umore per muovere un muscolo.
Forse il segreto è che di muscoli non ne ho. Non allenati di recente, almeno.
«Ho scritto il numero del materasso sul foglio, ora conviene ordinare la spedizione a casa e poi scendere al piano terra per i cuscini». È determinata e agguerrita, come se niente fosse successo poco prima. «E, se compri questo set di lenzuola, giuro che le metterò io sul nuovo letto».
Lo dice per convincermi, ma la verità è che, per quanto la fantasia sia particolare, le avrei prese comunque, ma se questo mi evita il lavoro sporco, ben venga. Accetto prima che si accorga di essersi fregata da sola.
«Affare fatto». Prendo la confezione e la tengo in mano, poi ci dirigiamo di sotto.
Se continua così mi manderà al manicomio. O al cimitero. Se persisterà a sorprendermi in questo modo metterà fine ai miei giorni molto presto, prima del tempo, perché il mio corpo non può reggere le emozioni che mi suscita e tutta l'eccitazione che continuo a reprimere e contenere.
E, in tutto questo, esco da IKEA con l'aver sfiorato l'idea di montare, per poi dovermi accontentare del solito fai da te.
*
Siamo sulla via del ritorno e, per quanto il giro turistico di IKEA sia stato divertente, preferisco passare del tempo da solo con lei e non dividerla con altri, quasi fosse un mio segreto. Forse lo è, ho paura che qualcuno si accorga della luce che emana e che la allontani da me. Quanto posso durare come novità? Quando si stancherà di assecondarmi prima di passare ad altri interessi?
«Per fortuna ero con te!» dice con fare compiaciuto. «Così ho potuto dire che il materasso era per me e non hai dovuto dare i tuoi dati». La soluzione l'ha resa euforica, un po' come una novella Sherlock Holmes che ha trovato la soluzione a un problema complicato.
Ma le sue parole bastano a strapparmi dai miei pensieri da mezzasega.
«Eh, già. I vantaggi di abitare nello stesso palazzo». Lo dico con fare ovvio, giusto per infastidirla un po'.
«Puoi dirlo forte!» Ma Elle non si lascia provocare. «L'unica cosa che mi scoccia è che lo porteranno il sabato in cui c'è il flash mob a Trafalgar. Dovremo scappare subito dopo».
Prima annuisco ma, quando mi accorgo delle sue parole, mi acciglio e scuoto la testa. «Scusa? Dobbiamo?»
«Eh, sì. Primo», e alza un dito per tenere il conto, convinta di ogni gesto e parola che fa, «perché dobbiamo far credere al tizio che quella è casa mia, dato che ha i miei dati. Secondo, perché ho promesso di sistemarti il letto con le nuove coperte. E lo farò: mantengo sempre la parola data».
Di sicuro non le impedirò di sistemarmi la stanza dopo che il tizio avrà fatto un casino. Chi sono io per oppormi al volere di una donna?
«Ti va di riprendere il gioco di prima?» Propongo per evitare il silenzio, mi piace sentirla parlare, è un modo per conoscere i suoi pensieri e i gesti con cui si esprime.
«Se proprio dobbiamo». Elle fa una smorfia, ma non dice di no.
E, siccome ho in mente una domanda specifica, lancio le mie condizioni.
«Solo una domanda» dico convinto, alzando l'indice per sottolineare la cosa. «Alla quale, però, devi rispondere. Non c'è possibilità di bypassarla».
Alza gli occhi al cielo e fa di nuovo quella smorfia schifata con una sola parte della bocca, nel tentativo di prendere tempo e capire se accettare o meno.
«Tranquilla, è sul presente, non sul passato». Cerco di tranquillizzarla così, alla fine, annuisce.
«Perché continui a baciarmi?» La fisso interessato, un sopracciglio che scatta verso l'alto mentre cerco di alleggerire la situazione. «Ok, è chiaro che sono irresistibile e mi desiderano tutte le donne e gli uomini del pianeta, però vorrei sentire le tue motivazioni. Sono affascinato».
Elle è colta alla sprovvista. Di certo la considera una domanda scomoda, ma meno rispetto a una sul suo passato, sul quale non ha intenzione di confidarsi.
«Ma ti sei già risposto da solo. Non posso non approfittare dell'uomo più irresistibile del mondo. Lo faccio in nome di tutte le donne – e gli uomini – che ti desiderano». Ridacchia, allegra, dopo aver fatto una faccia ridicola. «E poi è opera della mia gemella cattiva».
«Bel tentativo, già, ma non rispetta il nostro accordo». Le faccio notare con leggerezza e lo sguardo accesso.
«Mh, Ford, come sei noioso!» Sbuffa, fingendo un fastidio che non prova. Poi, però, sembra rifletterci davvero su. Non perché non sappia perché lo fa ma, piuttosto, per soppesare le parole da dire e quanto rivelare. «Penso sia a causa del mio modo di approcciarmi alla vita».
«E quale sarebbe?»
«Ma la domanda non era soltanto una?» Mi fa notare, astuta, con gli occhi che le brillano per il divertimento. Devo essere una sfida per lei e la cosa è assolutamente reciproca.
«Infatti la mia non è una domanda, è più una conseguenza alla tua risposta vaga».
Mi piace come riesce a stimolarmi nelle discussioni. Mi fa uscire dai miei canoni. Sono solito incastrarmi tra le parole, arrossire e non avere sicurezza in me, quando ho a che fare con qualcuno che, su di me, ha un certo fascino. Con lei, invece, sono sfacciato e riesco a superare i miei difetti. Mi sento me stesso, eppure mi spinge anche a essere di più. Non qualcun altro, ma quello che sarei sempre potuto essere e non ho mai osato essere.
«Non fa una piega». Concede, con un sorrisino, prima di raccogliere le idee.
Lascio che il silenzio anticipi le sue parole, curioso di scoprire di cosa voglia parlare.
«Prima ero una persona diversa. Aspettavo che le cose accadessero perché, ehi, se una persona è destinata prima o poi l'occasione arriva». Sospira, come se all'improvviso fosse lontana, catturata da un passato che sembra non appartenerle più. «Poi, però, è arrivata la vita, come una carezza fatta con il badile, a ricordarmi quanto fossi stupida, che le cose non ti piovono addosso quando più le aspetti».
Concordo. Sono diventato un attore di Hollywood perché mi sono guadagnato il posto con determinazione e facendomi il culo. Se avessi aspettato che i talent scout e gli sceneggiatori bussassero alla mia porta a quest'ora lavorerei da Burger King. Non ci sarebbe niente di male, ma so cosa voglio e il fast food non era nei miei piani.
«Ho capito che le occasioni arrivano solo se fai qualcosa perché capitino. Le situazioni te le crei. Quindi, se vuoi qualcosa, prendila». Sta parlando come se non si rivolgesse a me, quanto più a una se stessa del passato, come se avesse voluto avvertirla, metterla in guardia. Si gira verso di me con lo sguardo lontano, ma comunque caldo. «Volevo un tuo bacio, ma da ricordare. Me lo sono preso. So che non è carino senza il consenso, ma era già capitato, non ho pensato a quanto potesse essere ingiusto».
«Tranquilla, è tutto a posto». Sorrido nel modo più sereno possibile. «Preferisco essere baciato da ragazze consenzienti che ubriache». Le strizzo l'occhio. Forse non ho formulato al meglio la frase, ma è il mio modo per dirle che non mi ha dato fastidio.
Si morde il labbro e sul viso di Elle si dipinge del sincero senso di colpa.
Stringo più forte le mani attorno al volante, tanto da farmi diventare le nocche bianche, perché vorrei poter far scorrere le dita sul suo labbro per farle smettere di torturarsi. Non è un problema il suo gesto, non quando quel bacio è stato così desiderato anche da parte mia.
Intanto, però, il suo discorso mi fa riflettere su più punti. Il primo è che mi sono sempre ritenuto una persona trasparente, ma con lei tendo a non sbilanciarmi, a nascondermi dietro gesti smorzati, più neutri di quanto vorrei che fossero. Questo perché a Elle piace giocare, ma la verità è che se si guarda oltre la superficie si vede una gatta con le spalle al muro, pronta a sfoderare gli artigli.
Il secondo punto su cui mi fermo a pensare è che ha ragione. Lei le sue occasioni se le è create, mentre io nei suoi confronti ho sempre aspettato il momento giusto, senza pensare che avrei potuto agire come lei ha appena suggerito dimostrando che, in fondo, non sono poi così sfacciato come ho pensato prima.
«Ok, ora tocca a me». Sorride famelica, pronta a restituirmi il sudore freddo che le ho fatto provare nei viaggi in auto di questa giornata. «Una sola domanda».
«Non ho mai detto che sarebbe valso anche per te». Cerco di mettermi sulla difensiva perché, anche se non sembra, ci accomuna lo stesso terrore. Ho paura a mostrarmi per come sono.
Paura di essere venduto ai giornali, paura di non essere fedele a me stesso ma, soprattutto, paura di non piacere per come sono. Quasi la gente mi pensasse diverso e io non fossi in grado di essere all'altezza delle loro aspettative.
«Non hai mai detto nemmeno il contrario». Usa il mio discorso prima contro di me e io penso di potermi innamorare di lei in questo momento.
«Non fa una piega». La canzono, prendendo spunto dalla sua risposta precedente. «Domanda pure». Alzo le spalle per fingere una tranquillità che non mi appartiene.
«Cosa pensi di me?» Si morde la pellicina di un dito, ma i suoi occhi lasciano trapelare quanto sia curiosa riguardo la mia risposta.
Entrambi, a quanto pare, ci sentiamo troppo esposti, forse questo gioco è andato oltre le nostre più fervide immaginazioni.
«Penso che tu sia solare. Sì. Un vero e proprio raggio di sole». Ammetto, con la voglia di ricambiarla con al stessa schiettezza che mi ha donato poco fa, per quanto mi costi essere così sincero. «Anzi, il mio raggio di sole personale».
È vero. Elle mi fa sorridere, mi spiazza e porta scompiglio nella mia vita. Mi scalda un punto nel petto che non sapevo potesse avere un simile effetto.
«Mi sottovaluti. Dici così perché non mi conosci bene». Con la coda dell'occhio la vedo alzare un solo angolo della bocca. «Io non sarò il tuo raggio di sole. Io diventerò il tuo sole». Mi guarda mentre divento rosso per quell'affermazione così cruda e diretta, quasi riuscisse a leggermi in faccia quanto io sia affascinato da lei.
Mi fa un sorriso dolce e raggiante che chiude il discorso, prima che diventi peggio per entrambi, poi prende una sigaretta dalla sua borsa e abbassa il finestrino.
Dan si incazzerà parecchio per questo.
Buonasera a tutt*!
Come state? La quarantena come procede? Lo so, è dura. Io ho la "fortuna" di andare a lavoro qualche giorno e, se anche mi sento sempre esposta, è un modo per svagarmi, uscire (dato che raggiungo il lavoro a piedi) e interagire con gente diversa. I vantaggi di lavorare nei servizi di primaria necessità. E anche gli svantaggi.
Spero che questo giro all'IKEA sia stato una boccata d'aria per voi, così come scoprire sempre qualcosa in più di Elle. Per avere il quadro completo il percorso sarà lungo, ma è del viaggio che dovete godere ;)
Inoltre vi chiedo un po' di pazienza. È da quando questa situazione è iniziata che fatico a scrivere. In dieci giorni non sono riuscita a concludere un capitolo. In pratica ho ripreso sabato a imbrattare il file e vedo la luce. Certo, sono avanti di 5 capitoli circa rispetto a voi ma, per garantirvi aggiornamenti costanti, non è detto che io non rallenti un po' la pubblicazione.
Per ora no, ma mai dire mai.
In caso vi informo sui social.
Altrimenti ci si vede su questi schermi il primo mercoledì di aprile.
Siate forti e state a casa,
Cris
PS: Su instagram sto partecipando a un concorso a votazione, vi va di darmi una mano? Trovate le info nelle mie stories, grazie!
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