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7. Intervista al contrario

Sono sull'auto con autista che ho noleggiato perché mi porti a casa dai miei, ancora sconvolto per come mi sono comportato. Davvero l'ho baciata?

È stato strano comportarmi così per me, perché di solito non agisco tanto sfacciatamente, ma Elle mi stuzzica e tira fuori questo lato spudorato che non sapevo di avere ma che, non l'avrei mai detto, mi piace, perché mi fa sentire padrone della situazione e più uomo.

Talmente tanto padrone della situazione che è stata lei a baciarmi, ma tralasciamo i dettagli poco importanti.

In quel bacio c'è stata l'urgenza di chi lo voleva fare da tempo, ma ci siamo trincerati dietro stupide scuse, con la tacita promessa che non accadrà più, motivo per cui ci abbiamo messo tutta la voglia che avevamo e ci siamo prosciugati.

Se lecco l'interno delle mie labbra posso sentire il suo sapore e ricordarmi che è successo davvero, nessuna controfigura al mio posto. Un pizzico di tabacco, caffè e biscotti. Una cosa normale per chi, come lei e me, fuma e fa colazione, ma è come se fosse così tipico suo che riesco a ritrovarla in ogni nota, quasi questi gusti la rappresentassero alla perfezione. Intossicanti e buoni, per chi come me ha queste dipendenze.

Più mi allontano dal nostro palazzo e mi avvicino a casa dei miei, più mi sento stupido. Cosa volevo dimostrarle con quel bacio? Volevo conquistarmi la sua devozione? Il suo interesse?

Cazzo, sì. Vorrei che fosse interessata a me almeno la metà di quanto io sono incuriosito da lei.

Avrei voluto che si prendesse così tanto che mi sbattesse sul tavolo e facesse di me la sua colazione.

Ogni volta fa la cosa sbagliata, ma al momento si rivela sempre quella più giusta da fare.

E mi spiazza, perché lei è sentimento, è istinto. Ed è appassionata.

La conosco da poco ma la distanza emotiva, tra noi, è stata nulla. Non ho mai raggiunto una simile alchimia con qualcuno in così poco tempo, nemmeno sul set.

Non ci arrivo vivo a pranzo dai miei, non riuscirò a tollerare le battute di Victor e Marcus, i miei fratelli maggiori, con questo pensiero fisso in testa, con la spasmodica attesa di vederla nel pomeriggio che mi colpisce la pelle come elettricità.

E oggi passerò del tempo con lei. Dividerò il piccolo spazio di un'auto, come se Elle per me non fosse già abbastanza intossicante. Devo trovare una soluzione, perché ora che l'ho assaggiata ho voglia di farlo di nuovo e ho paura di non riuscire a gestire la situazione.

Non posso dimostrarmi così debole.

Ne vorrei sempre di più, fino a far scivolare sul pavimento i vestiti, scoprire e conoscere la sua pelle nuda e sperimentare cosa prova a contatto con la mia.

Innanzitutto risolviamo il problema dell'auto. Non ho voglia di ricorrere a Fred, il mio autista, e tenerlo impegnato tutto il giorno, dato che mi sta portando già ora, di domenica, quindi devo chiamare Daniel e pregarlo in tutte le lingue del mondo affinché mi presti la sua Audi.

Inoltre, il motivo per cui non voglio Fred o altri testimoni in giro, è che ho paura di rendermi ridicolo e perdere quel briciolo di dignità e, se non c'è nessuno nei paraggi, non corro il rischio di fare una  figura di merda dietro l'altra.

Il telefono squilla e Dan, dopo qualche tentativo, risponde: «Ehi amico, come va?»

Tiro un sospiro di sollievo. Anche se non posso confidare le mie paranoie a Daniel, sentire il suo tono rilassato mi tranquillizza. «Bene, e a te?»

«Da Dio! Ormai sono madrelingua e i ragazzi mi mandano a parlare con gli altri». In sottofondo sento Charles che dice che, in realtà, lo mandano avanti per primo così è lui a fare le figuracce al posto loro, ma Dan non sembra ascoltarlo. «Con Elle? La stai conoscendo meglio?»

Il tono allusivo passa la Manica alla velocità della luce e arriva chiaro e cristallino fino a qui, ma ignoro la sua frecciatina.

«Sì, tutto tranquillo». Minimizzo, sorvolando sul bacio, non c'è bisogno che sappia che ho conosciuto meglio il suo cavo orale rispetto alla personalità. «Oggi mi accompagna da IKEA per comprare il materasso nuovo, perché tu hai reso il mio un ricettacolo per malattie sessualmente trasmissibili».

Sì, forse voglio farlo sentire un po' in colpa.

Eppure Daniel ride, circondato da un rumore assurdo. «Ti salutano tutti!»

Devo dedurre che la mia minaccia passivo aggressiva non sia servita a molto.

«Ricambia!»

«E Jane chiede se da IKEA puoi prendere anche sette cuscini con le piume per la lotta a Trafalgar Square. Poi, ovviamente, ripaghiamo i debiti».

Certo, per un cuscino da quattro stelline è pronto a saldare il debito, per la playstation nuova fa orecchie da mercante. Furbo.

Scelgo di sorvolare sulla cosa, in fondo l'ho chiamato per un favore, non mi sembra il caso di rinfacciargli certe cose, soprattutto perché non ho problemi di soldi, anche se questo non implica che io diventi la banca di chi mi sta attorno e che mi accolli tutte le spese che li riguardano. «Ok, lo farò. Comunque ti ho chiamato per chiederti un favore...»

«Sono tutto orecchi». Lo sento concentrato, meglio così, ho bisogno della sua attenzione.

«Mi presteresti la tua auto, oggi?» Sospiro e, per il nervosismo, mi spettino i capelli. Non amo guidare, ma è meglio che io sia autonomo. «Siamo carichi, non ho voglia di andare in metro o chiamare Fred con l'auto dai vetri oscurati...»

«Certo» dice, con fare risoluto, dopo averci pensato qualche secondo. «Ma trattala bene. La trovi parcheggiata sotto casa, le chiavi sono nel cassetto del mobile vicino all'entrata».

«Dan, sei il migliore. Mi hai salvato!» Mentre parlo lancio un pugno in aria in segno di vittoria.

«Aspetta!» Quasi urla per frenare il mio entusiasmo. «Te la presto a una condizione: non farla guidare a Elle. Promettilo!»

Non capisco questa strana richiesta, ma non è un problema per me, non posso rischiare che Daniel non mi presti più l'auto, quindi sottostò volentieri alle sue regole. «Lo prometto!»

«Ok, ora ti devo lasciare, stiamo entrando al Louvre e i cellulari non prendono bene». Sento gli altri che lo chiamano «A presto e tratta bene la mia piccola».

Ama la sua macchina come se fosse una parte del suo corpo e, per non diventare volgare, eviterò di dire quale.

«Certo, ciao. Scusa il disturbo e grazie!»

«Non consumarla troppo». Ride e riaggancia, senza che io possa rispondere a quella frase ambigua. Ma ho come la sensazione che si riferisse a Elle.

Essere alla guida mi permetterà di non consumarla con lo sguardo, perché sarò troppo intento a concentrarmi sulla strada per non fare un incidente o riportare anche solo un graffio sulla carrozzeria. Conosco Dan e ci tengo alla mia vita. È troppo presto per me per andarmene, devo ancora vincere un Oscar.

«Siamo arrivati a destinazione». Mi avvisa Fred con tono garbato e discrezione, motivo per cui mi appoggio sempre a lui quando sono in città.

«Grazie».

Ora sì che sono carico per il pranzo con la mia famiglia.

*

Sono il fratello minore, quindi Marcus e Victor amano coalizzarsi per prendermi per il culo come quando eravamo bambini, ma sono stato troppo eccitato durante tutto il pasto per rispondere alle loro provocazioni, tanto da godermi le attenzioni dei miei genitori. Ho un ottimo rapporto con i miei fratelli, sia chiaro, ma sanno essere anche dannatamente stronzi e io sono buono ai limiti della stupidità.

Arriverà il giorno in cui li prenderò a legnate con le mie statuette – segni dei miei riconoscimenti sul lavoro– e dovranno subire in silenzio. Non attendo altro, sono un tipo fiducioso e paziente, motivo per cui se ne approfittano.

Ah, vendetta, tremenda vendetta.

Fred mi sta riportando a casa e intanto scrivo a Elle in chat per dirle che tra dieci minuti ci troviamo fuori dai nostri appartamenti, giusto il tempo di recuperare le chiavi dell'Audi a cui Daniel tiene più della sua stessa vita.

Mi urla di aspettarla di sotto, che le servono ancora due minuti per essere presentabile, così faccio come dice, anche se penso che potrebbe uscire senza trucco e con il pigiama più imbarazzante di sempre, che tanto risulterebbe meravigliosa.

Scende, intercetta l'auto e, mentre si avvicina, stringo le mani sul volante. È così carina con quel cappello da baseball che devo concentrarmi il doppio. La verità è che sono abituato a guidare dall'altro lato della strada, dato che passo la maggior parte del mio tempo a Los Angeles, per questo condurre una macchina per le strade di Londra mi terrorizza, mi sembra di rischiare sempre la vita, di essere dalla parte sbagliata della carreggiata.

Elle potrebbe essere una piacevole distrazione, ma non voglio avere sulla coscienza questa incantevole e strana creatura.

«Ciao Ford, guarda!» È entusiasta nell'indicare il berretto. «Ho pensato di mimetizzarmi un po'. Anche tu hai un cappello? Com'è andato il pranzo?» E, appena prima di allacciare la cintura di sicurezza, mi bacia la guancia, come suo solito.

Un gesto innocente che, però, mi lascia sempre frastornato. Il suo profumo intenso mi investe e quando si allontana mi rimane addosso, torturandomi piacevolmente.

Serro le mani attorno al volante e inspiro a fondo per tentare di recuperare la concentrazione.

«Ciao!» rispondo al saluto con entusiasmo. «Allora, il pranzo nella norma. Sono stato vessato dei miei fratelli e coccolato dai miei genitori, quindi è andato bene. E sì, ho anche io un cappellino ma, da mago dei travestimenti quale sono, ho anche gli occhiali da sole». Come se facessero la differenza. «Quanto andrà avanti questa storia di Ford?» Non che mi dispiaccia, è una cosa tra me e lei e porta la confidenza tra noi a un livello superiore, ma preferirei essere Seb e basta.

«Non molto, un giorno giuro che la smetterò». Sorride, divertita. «Ma non è questo il giorno».

Alzo gli occhi al cielo, fingendo un'esasperazione che non provo.

«Fammi indovinare». Lascia la frase in sospeso mentre si picchietta il mento con l'indice. «Immagino che Dan ti abbia dato disposizioni precise sull'auto, tipo di non farmela guidare».

Usa un tono vago, ma l'interesse riverbera nel suo corpo, non è per niente brava a fingere.

Rido e annuisco.

«Che stronzo!» Lo apostrofa, poi guarda fuori dal finestrino Londra, animata di vita e di colori come sempre, che sfugge accanto a noi nell'arco di un attimo.

«Sai qual è la cosa ridicola di questa storia?» Aggiungo, divertito.

Sarebbe da me provare imbarazzo, visto che stamattina ci siamo ritrovati con la lingua nella bocca dell'altro, ma non riesco a provare imbarazzo, Elle ha la capacità di mettermi a mio agio con la sua sola dirompente presenza e, soprattutto, riesco a essere me stesso, quasi la conoscessi da sempre.

Fa no con la testa e la sua attenzione si concentra su di me. La spio con la coda dell'occhio per qualche istante, prima di tornare alla strada.

«È che Daniel ha dato l'auto a me, impedendo a te di guidarla, ma io ho seri problemi con la guida a destra».

Ci ritroviamo a ridere entrambi dell'assurdità della cosa.

«Sei un finto inglese!» Mi prende in giro, prima di continuare. «Sai, Jane ama i giornali di gossip, e mi pare di ricordare un articolo di giornale in cui si diceva che hai distrutto un'auto sul set. Problemi con le marce manuali, o qualcosa del genere».

Stringe gli occhi nel tentativo di ricordare ma, per mia fortuna, non le viene in mente la notizia precisa.

Io, anche se la ricordo come fosse ieri, non ho intenzione di umiliarmi ulteriormente e dire in che ho distrutto l'auto a causa di un testa coda involontario a causato dal freno a mano tirato in un momento di panico. Ho una dignità da difendere.

«Fossero solo quelli i miei problemi al volante!» Minimizzo, prima di addentrarmi in argomenti per me troppo spinosi. Così cambio il focus alla situazione, concentrandomi su una verità tanto ovvia quanto triste, almeno per me. «Comunque non è giusto».

«Cosa?» È curiosa e, quando succede, i suoi occhi chiari diventano ancora più brillanti e grandi.

«Tu sai praticamente tutto di me e...»

Mi interrompe. «Esagerato!»

«Non tutto, ok». Le concedo. «Però sai molto. Io di te, invece, non so nulla». Lo ammetto con riluttanza. È uno dei tanti difetti di essere famoso: tutti sanno troppo sul tuo conto, ma tu non sai niente di loro. E questo suo evitare di aprirsi con me un po' mi ferisce, quasi volesse dire che con me si trova bene, ma non al punto da confidarsi. È anche vero, però, che di me sa quello che pubblicano i giornali e che dico nelle interviste, che non è poi molto di quello che sono davvero.

«Spara». Si accoccola sul sedile mentre giro a sinistra.

«Spara cosa, scusa?» Sono un po' disorientato dalla piega che ha preso questo discorso.

«Domanda quello che vuoi e, se posso, rispondo». Alza le spalla per ostentare indifferenza, ma poi aggiunge: «Se la domanda è spinosa sono libera di saltarla».

Un buon compromesso e un buon punto di partenza. Non mi lamento, tanto che inizio con il mio interrogatorio.

«Cognome?»

«Cooper». Tipico inglese.

«Dove sei nata?»

«Bristol». Sorride e riesco a intuire il perché, sembra un quiz televisivo dove lei pare avere tutte le risposte giuste. Peccato che la vincita sia solo mia.

«Quanti anni fa?»

«Ventiquattro. Devo fare i venticinque».

«Siamo quasi coetanei». Concludo, poi continuo, perché sono troppo curioso di conoscere la sua storia. «Come è avvenuto il passaggio da Bristol a Londra?»

«Ho vissuto a Londra in passato e, siccome me ne sono innamorata, ho deciso di tornarci». Sospira, come se fosse uno sforzo immane tornare con la testa al passato. «Mio padre è docente universitario, mia madre una scultrice, Londra è stata la città ideale per entrambi per molto tempo».

Immagino che la vita pulsante di Londra sia l'ideale per un'artista e che, allo stesso tempo, i college che ospita siano pane per i denti di un docente. Non è difficile immaginare che quella scelta fosse adatta per entrambi.

«A Bristol ci sono nata, ma ci ho trascorso solo l'infanzia. Siamo rimasti fino ai miei otto anni, poi mio padre ha ricevuto un'offerta dalla Sorbonne, così ci siamo trasferiti a Parigi per quattro anni, poi siamo approdati nella capitale». Accenna un sorriso, ma ha una venatura triste, è talmente fulmineo da non riuscire a contagiare gli occhi, come le succede di solito. «Poi il giro è ricominciato».

«In che senso?» Non capisco e sono troppo curioso per tenere quella domanda per me. Picchietto gli indici sul volante per l'impazienza di avere una risposta, nella speranza che Elle riesca a rispondere alle mie domande prima di arrivare a destinazione, perché non so quanto tempo mi è concesso per scoprirla, ma ho come l'impressione che appena usciremo dall'abitacolo tutto questo finirà.

«Durante i miei quindici anni siamo andati a Edimburgo, fino ai miei diciotto. Poi siamo ripartiti per Parigi, e ora eccomi qui». Il suo tono è lontano, come il suo sguardo. «I miei sono ancora Francia, io ho spiccato il volo e ho deciso di tornare qui».

E si indica, mentre un sorriso ironico fa capolino quando i nostri sguardi si incrociano, anche per poco tempo.

È strano per me essere quello che fa le domande ed è avido di ogni informazione ricevuta in cambio, ma mi piace per questa volta non essere sotto un simile tiro incrociato, mi fa tirare un sospiro di sollievo, mi fa sentire normale ed è una sensazione bellissima.

Capisco però dal suo modo di parlare che qualcosa non va nel suo passato, che se è a Londra c'è un perché, tanto che non riesco a frenare il mio interesse: «Motivo per cui hai lasciato Parigi?»

E qui capisco di toccare il tasto dolente, perché con la coda dell'occhio vedo i tratti del suo volto irrigidirsi. Serra le mascelle e guarda dritto davanti a sé. «La prossima».

Ed ecco l'argomento da saltare. Quello per cui, neanche a dirlo, ucciderei per conoscerlo, perché questo mistero stimola la mia curiosità. Ma ho capito che non è il momento adatto e non otterrei le informazioni che cerco.

«Ok». Fingo disinteresse e, mentre penso a una domanda di riserva da porle, tengo il ritmo della canzone che c'è in sottofondo sul volante, fino a che non mi viene in mente quella giusta. Bingo. «Che tatuaggio hai?»

So che è stato il motivo per cui Dan l'ha cambiata quando è rimasta a dormire con noi, ma la cosa particolare è che Elle non è molto predisposta a parlarne o a mostrarlo.

Sbuffa, ma l'aria si fa di nuovo leggera, tanto che mi fa capire con quel gesto di non essere davvero infastidita. «Se l'ho fatto vicino all'inguine è perché non volevo che tutti lo sapessero». Alza gli occhi al cielo con fare ovvio.

Eppure non mi lascio intimidire. Le rivolgo il sorriso strappamutande, quello sfacciato e malizioso, per poi ribattere: «Se non avessi voluto che tutti lo sapessero, non ti saresti fatta un tatuaggio».

Annuisce, come per darmi ragione.

«Ok, Mister ho quasi sempre ragione». E alza le mani in segno di resa. «Rappresenta la Tour Eiffel che litiga con il Big Ben. Ovviamente sono resi come dei cartoni. E, prima che tu lo chieda, ritraggono la mia vita».

Liquida la cosa con un gesto della mano, come se fosse una cosa di poco conto ma, siccome ora conosco parte del suo passato, direi che è legata a esso.

Eppure non riesco a non ridere per via dell'immagine ridicola che si è formata nella mia testa. Per fortuna siamo fermi a un semaforo, perché devo reggermi la pancia dal male. Se per il prossimo ruolo devo farmi il fisico, giuro che non frequento la palestra ma ripenso a questo momento per scolpire gli addominali.

Mi si formerà un six pack che in confronto quello di Chris Hemsworth sembrerà un addome rilassato.

«Lo trovi stupido?» E, per quanto non sembri andare fiera di quel tatuaggio, mi guarda male, roba che se potesse mi augurerebbe una diarrea fulminante, qui e ora.

E non potrebbe essere più stupenda di così.

Mi asciugo gli occhi e cerco di darmi un contegno. «No, anzi, lo trovo geniale». E cerco di cambiare argomento per recuperare un po' di serietà. «Toglimi una curiosità: chi ha la meglio?»

«Il grande Ben, senza ombra di dubbio!» Beccatevi questo, mangiarane che vi ficcate le baguette sotto le ascelle sudate d'estate.

«Ultima domanda». Mi concedo, dato che stiamo per arrivare a destinazione.

Alza di nuovo gli occhi al cielo, ma mi invita a continuare. «Sei più curioso di una donna, lo sai? Comunque ok».

«Come mai ti sei ubriacata la notte prima di conoscerci?»

Ride divertita. Forse non si aspettava un simile cambio d'argomento, una cosa così leggera, ma è sollevata e tremendamente bella nella luce che emana quando è spensierata. «Ero fuori con i miei compagni di corso per festeggiare la buona riuscita di un progetto, e delle mie amiche mi hanno presentato un tipo orrendo. Dovevo cercare un modo per dimenticarlo, l'alcool ha fatto al caso mio». Ridacchia ancora al pensiero di altro. «E poi mi serviva del coraggio per scappare dalla finestra del bagno del pub. Però, come avrai notato, la situazione mi è sfuggita di mano».

«Sei fuggita dalla finestra del bagno?» Dire che sono stupito è dire poco.

«Giuro». E si mette una mano sul cuore, divertita.

Ora, davanti a quella scritta gialla su sfondo blu, mi sento di dire con certezza che mi piace. Mi piace da matti.

Prima avevo la scusa per appigliarmi a un semplice fattore fisico e attrattivo, ma la verità è che più conosco la sua personalità, più ne rimango affascinato come persona. È lei a piacermi, non il suo corpo.

Parcheggio nel primo posto libero vicino all'uscita, mentre lei finisce il suo discorso. «Spero solo che non sia ancora nel pub ad aspettarmi».

Mi piace come non mi è mai piaciuta nessuna.

Riesco ad ammetterlo, almeno a me stesso, e ho la sensazione che sia l'inizio dei miei guai.

Buona giornata a tutti!

Eccomi qui con un nuovo capitolo. Di passaggio, lo so, ma queste parti "iniziali" mi servono per introdurre bene il loro rapporto, per farli conoscere di modo che ci siano le basi per il comportamento futuro di entrambi. Soprattutto di Seb, dato che viviamo la storia dal suo punto di vista.

Lasciate inoltre che vi dica una cosa: arriverà il momento in cui rimpiangerete questi momenti tranquilli, garantisco!

E, intanto, ridendo e scherzando, siamo arrivati da IKEA e con qualche informazione in più su Elle. Di sicuro Seb, che è scemo ma non del tutto, ha trovato il suo punto debole. Riuscirà a scoprire qualcosa di più su di lei?

Ma la vera domanda è: siete pronte per il livello di disagio che questa gita porta con sé?

Per me no ;)

P.S. IMPORTANTISSIMO: Mi sono accorta che negli scorsi capitoli ho parlato del fratello di Seb ma, come vedete in questo capitolo, mi sono fissata sul fatto che ne avesse due, quindi ho cambiato la cosa nei capitoli precedenti. Spero che la cosa non vi dispiaccia molto. È un fatto molto marginale, ma volevo una famiglia numerosa numerosa per lui.

Ok, ho finito, spero di avervi allietato un po' questa quarantena.

A presto,

Cris

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