5. Gita fuori (dalla) porta
Da quando ho ammesso a me stesso di desiderare Elle perché ne sono attratto, sto cercando di autoconvincermi che non mi piace poi particolarmente e non vale la pena perdere del tempo con lei. So che è un controsenso in essere ma, ehi, non ho mai detto di essere coerente.
Ma Elle è una delle poche ragazze che non sembra subire il fascino della star che emano sugli altri – escluse le persone a me vicine – e questo mi stuzzica più di quanto voglia ammettere.
Il fatto che non si faccia intimorire da quello che secondo gli altri sono mi piace, così come mi incuriosisce questo suo voler evitare di parlare di sé, quasi non volesse aprirsi subito per creare una sintonia con me a tutti i costi.
E la cosa mi brucia un po', in modo perverso, dato che è quello che fanno tutti quando mi conoscono e da cui scappo sempre. Però non riesco ad accettare di non interessarle nemmeno un po'.
Mi piacerebbe avere qualche idea per attirare la sua attenzione. So che avere una tattica non è una mossa vincente, ma almeno è un punto di partenza. Sono conscio di non sapere da che parte si inizia a corteggiare una donna, tantomeno come se ne conquista una, ma la mancanza di creatività e ingegno mi mandano fuori di testa.
È per questo che mi trovo qui, nel mio letto, a fissare il soffitto senza riuscire a prendere sonno e a farmi compagnia con queste paranoie. È la caratteristica di noi incapaci di fare i seduttori, di noi timidi, se qualcuno se lo stesse chiedendo. Praticamente ho scelto di fare l'attore per interpretare i film mentali che ho in testa, per cui avrei già dovuto vincere un Oscar. E forse è questo il mio obiettivo ultimo: vincere una statuetta con uno dei miei tanti film mentali. La mia non è una mente, ma una multisala con proiezioni continue.
Vorrei dormire, ma non ce la faccio proprio.
È più forte di me, Elle occupa tutti i miei pensieri. Anche perché, devo ammetterlo, senza il lavoro non ho molto da fare, anche se con i miei agenti sto valutando alcune sceneggiature e sto facendo un po' di provini.
Non riuscire a dare una forma ai miei pensieri fa fremere le dita, anche se sono a letto, che iniziano a formicolare per la voglia di tornare alla musica, l'unica altra passione forte come la recitazione. E, dopo quasi un anno in cui non tocco la chitarra, la voglia di prenderla tra le braccia scoppia dentro di me e parte dalle mani.
Mi alzo dal letto, incapace di cedere al sonno. Ho una melodia in testa che mi scorre tranquilla.
Non rispecchia Elle, non riesco a catturare la sua essenza tra una nota e l'altra, ma lei è il motivo scatenante che mi ha portato a strimpellare e a comporre di nuovo.
Accendo la luce fioca sulla scrivania, trovo dei fogli e inizio a scarabocchiare indistintamente qualcosa. Sotto una massa di carte trovo un pentagramma vissuto, così trasporto le note sul rigo prima che scivolino via.
Averle fissate mi fa sentire meglio, è come vedere sistemato il caos che avevo in testa fino a poco fa.
Forse è così che deve andare con Elle: non deve avere idee, o una tattica da seguire.
Forse devo lasciare che le cose scorrano tranquille, come la musica.
O, invece, non deve proprio andare, ma questa opzione non la voglio prendere in considerazione.
Ora che la frenesia è passata e sono più tranquillo, provo a mettermi a letto e a distendere i muscoli e i respiri, ho davvero bisogno di riposare.
Decido di vivermi il momento con lei, cosa che mi ha garantito un certo successo l'ultima volta, e cogliere le opportunità che mi si presentano. Improvvisare. È quello che mi riesce meglio, tanto che mi addormento con il pensiero che già domani si può presentare l'occasione adatta per fare un passo verso di lei.
*
Improvvisare? Occasioni che piovono dal cielo? Opportunità che si presentano?
Tutte stronzate. Sono le speranze notturne – nuovo modo aulico che ho adottato per descrivere le paranoie – di uno che non ci sa provare con una ragazza nemmeno sotto tortura.
È da giorni che attendo il momento propizio, quello perfetto, che mi permetta di cogliere la palla al balzo e provare – perché questa è la parola chiave – a essere un po' più spudorato con Elle, ma non c'è stato verso di avere successo. Lei è sfuggente e indaffarata, mentre io sono solo un cretino che si limita a guardarla in adorazione, balbettando nel tentativo di formare una frase di senso compiuto e non del tutto scontata.
La gente pensa che io abbia tutte le fortune, ma si sbagliano.
È vero, ho un lavoro pagato meravigliosamente e che mi dà tante soddisfazioni, ma non mi permette di vivermi appieno la mia vita. O, almeno, i suoi aspetti più insignificanti, cioè quelli fondamentali.
A volte, per contratto, non posso avere una ragazza. Oppure, se la trovo, devo sperare che non mi odi per le minacce che riceve dalle fans o che non sia una alla ricerca di visibilità, pronta a vendermi ai siti di gossip.
È meglio che limiti anche le uscite con gli amici, soprattutto durante le promozioni dei film, dove ho più limitazioni che in altri contesti.
Sapevo a cosa sarei andato incontro scegliendo la carriera dell'attore e, nonostante sembra che io mi stia lamentando, accolgo tutti questi lati, compresi i meno belli. Però a volte non è facile da accettare.
Specialmente la percezione, quasi sempre sbagliata, che la gente ha di me.
Quindi, con così poco tempo per allenarmi a fare il seduttore, si può capire perché io sia un fallimento con le donne. Vorrei una ragazza, ma vorrei anche continuare a giocare a Call of duty.
Non si può avere tutto dalla vita.
Mentre sono perso nei miei pensieri, sento qualcuno che mi riporta alla realtà.
È Edward e mi sta domandando qualcosa, un qualcosa a cui non ho prestato la minima attenzione.
«Ehi, Seb. Ci sei? A cosa stavi pensando? Sei strano stasera». Alza le spalle, poi riprende a parlare: «Saresti dei nostri o no, se riuscissimo a concretizzare la cosa?»
«Dove, scusa? Quando?» Strano? Non più del solito. Ma, gliene do atto, ho la testa da altre parti, parti che appartengono a Elle e che sono vietate ai minori di diciotto anni. «Di cosa stiamo parlando?»
«Non mi stavi ascoltando?» Alza gli occhi al cielo, come se fossi un caso perso.
«In effetti no». Mi tocca ammettere, prima di stropicciarmi la faccia in fiamme, colto in fallo.
«Stiamo organizzando questo week-end a Parigi. Vieni?» È speranzoso e l'idea mi alletta, ma cerco di fare mente locale per i miei impegni. Prendo Google calendar per controllare l'agenda. I miei agenti sono previdenti, abbiamo questo calendario condiviso dove loro mi segnano tutti gli appuntamenti. Senza di loro e questa applicazione mi dimenticherei anche la testa. «Il primo fine settimana di giugno, giusto?» Domando per conferma.
«Esatto. Dai, avanti, non fare il guastafeste!» Charles si unisce alla richiesta di Ed.
Sono tentato, perché queste avventure portano sempre a risvolti inaspettati, ma controllando Google vedo che ho un impegno che non posso rimandare. «Mi dispiace, ho un pranzo con il mio agente e i produttori di un film per cui sono in lizza per il ruolo del protagonista, non posso rimandarlo».
«Peccato, ti perderai due giorni di fuoco!» Elle mi fa una smorfia triste, quasi avesse sperato in quest'occasione per smuovere un po' le acque.
Eppure, nonostante scherzi, ha lo sguardo teso di chi in quel viaggio vede qualcosa di preoccupante. Un'inquietudine che le affiora in superficie. È questione di un attimo, un attimo che agli altri sfugge, ma a me no, perché io ho gli occhi di chi, invece, la osserva troppo, in ogni cosa che fa, quasi contro la mia stessa volontà.
La voglia di abbracciarla per consolarla è tanta, anche solo per avere un primo contatto fisico con lei, ma non posso fare la parte del maniaco, passerei per un pazzo totale.
Cosa dicevo riguardo al fatto che sono sfigato? Appunto.
«Rimanderemmo volentieri, ma poi non riusciremmo a trovare un fine settimana in cui ci siamo tutti». Si giustifica Charles, che si sente in colpa per la loro decisione.
«Ci dispiace» aggiungono quasi in coro Jane e Rachel, dispiaciute.
«Non vi preoccupate». Minimizzo, speranzoso che questa possa essere la prima di tante gite. «Ne approfitterò per vedere la mia famiglia. Sono qui da qualche settimana e ancora non li ho visti. Mia madre vuole chiamare Scotland Yard e darmi per disperso». Sorrido.
Se c'è una cosa in cui sono bravo è infondere calma e positività, o almeno così mi hanno detto.
Ho voglia di vedere i miei genitori e i miei fratelli. Solo quando trascorrerò del tempo con loro a Islington mi sentirò davvero a casa e capirò che questo ritorno alle origini, questo equilibrio, è reale.
«Almeno ci sei alla lotta di cuscini a Trafalgar Square che si terrà sabato mattina, tra due settimane?» Rachel cerca di rimediare alla mia mancanza nel viaggio a Parigi e la cosa mi scalda il cuore. Non è una domanda posta con malizia, traspare davvero la voglia di coinvolgermi nelle attività del gruppo e mi fa sentire apprezzato per quello che sono, non per quello che rappresento agli occhi del mondo.
«La cosa?» Mi devo essere perso qualcosa, perché anche in questo caso non so di cosa stia parlando.
Jane alza gli occhi al cielo, prima di sorridere divertita. «Allora non hai ascoltato una parola degli ultimi venti minuti?!»
«Ho la memoria corta. Cortissima». Mi giustifico imbarazzato, colto in fallo.
«Ma dove hai la testa?» domanda Dan, incuriosito.
"Più vicino di quello che credi" vorrei rispondere, ma dopo dovrei spiegare che la mia voglia nasce dal bacio che Elle mi ha rubato quando ci siamo conosciuti e muore nelle mie fantasie che rasentano il pornografico, dovrei dare troppe spiegazioni e non ne ho voglia, così accenno: «Sono distratto da alcuni pensieri che mi vagano per la mente. Ma ditemi ancora di questa lotta. È una cosa tranquilla?» Non sono favorevole alla violenza ma, soprattutto, ho la virilità di un unicorno quando si tratta di contatto fisico. Se mi trovassi in una rissa, probabilmente sarei il primo a prenderle di santa ragione senza menare un colpo.
«Certo!» Mi rassicura con prontezza Elle. «Ci siamo tutti. È un flash mob che si terrà alle dieci e mezza. Ci si trova là con un cuscino o due a testa e, quando viene dato il via dagli organizzatori, ci si colpisce con i cuscini».
È una cosa senza senso, ma è talmente semplice da sembrare divertente.
«Sembra una cosa interessante. Ma c'è un problema». Ok, a quanto pare questa conversazione punta a farmi sembrare il ragazzo più rompipalle di questo pianeta, me ne rendo conto. «Come faccio? Se qualcuno dovesse riconoscermi diventerebbe un bagno di sangue, per me».
Basta l'incontro con una persona che mi conosce e addio divertimento. Dovrei fare l'attore, quello disponibile con tutti per una foto o un autografo e non riuscirei a godermi l'evento con i miei amici.
«Ho già pensato anche a questo». Mi risponde Elle, orgogliosa. «Dato che è un evento delirante di per sé, ci possiamo presentare con la faccia dipinta. Nessuno farà caso a una simile stranezza. E poi siamo in sette, e sette danno meno nell'occhio di uno, no?»
Mi guarda come se volesse conoscere ogni mio pensiero e la cosa mi fa piacere. Ha pensato a tutto affinché io fossi lì. E chi sono io per dire di no? Non ho parlato di occasioni da cogliere? Questa potrebbe fare al caso mio.
«Non male, Elle, non ti facevo così intraprendente». Daniel la prende in giro e lei risponde con una linguaccia, al quale Dan manda un bacio come reazione.
«Invece so che lo sai, stronzo». Alza un dito medio in direzione del mio amico per rimarcare il concetto, poi si rivolge a me con occhi curiosi e accesi. «Ci state?»
Tutti annuiscono a turno e manca solo il mio assenso.
La loro disponibilità mi emoziona, perché so che lo fanno per me, perché io sia con loro in questo delirio.
«Seb?» Charles cerca una risposta.
Elle mi vuole lì, con lei.
Non può volermi e basta, come io desidero lei?
«Ci sto». Sorrido. «Vada per impiastricciarsi la faccia».
E così colgo la mia occasione, spero di non toppare alla grande.
*
È venerdì pomeriggio e in casa fremono i preparativi per Parigi, dato che hanno il volo all'alba.
I continui riferimenti al viaggio mi hanno messo di pessimo umore, essendo l'unico scemo che se ne sta a casa. Nulla potrebbe tirarmi su il morale.
Sono tutti su di giri per quando saliranno sulla Tour Eiffel e cose simili, poi si scusano con me per essere stati indelicati. Offendermi? Io? Solo perché la cosa più interessante che farò sarà un pranzo con un produttore che mi offre un ruolo per cui ucciderei e per cui dovrò leccargli il culo da qui fino alla Siberia?!
Sì. E molto, anche. Non faccio nulla per nascondere il mio muso lungo, non ho voglia di recitare anche nella realtà.
Senza contare che l'euforia generale porta sempre benefici tra i rapporti, occasioni che non potrò sfruttare a mio vantaggio con Elle. Spero solo che l'eccitazione e l'atmosfera romantica di Parigi non la convinca a cedere alle avances dei miei amici, che da sbronzi potrebbero provarci pure con i pali della luce. Ed Elle è molto più bella e interessante di un palo della luce.
«Seb, puoi andare dalle ragazze a chiedere se qualcuna porta beni di prima necessità?» mi domanda Edward, con la testa immersa nel trolley, nel tentativo di dare un ordine ai quattro indumenti che ha infilato dentro in modo sparso.
«E cioè? Le birre?» Ognuno ha le sue priorità, e quando si parla di bisogni, questo è ciò che mi viene in mente.
«No». Lo sento sussurrare un insulto nei miei confronti. So che è il suo modo per dirmi che mi vuole bene. «Intendo farmaci di ogni genere. Di solito le donne se ne vanno in giro attrezzate come un ospedale».
«Sì, ok, vado subito». Alzo gli occhi al cielo e mi dirigo verso la porta, meglio uscire da questo clima caotico prima di dare fuori di matto, anche se non penso che dalle ragazze sia meglio.
Immagino un contesto post bellico in cui, tra due o trecento capi e ventiquattro paia di scarpe – perché non si sa mai –, parlano di moda, di ragazzi fighi parigini e della biancheria intima da portare e, magari, da sfruttare. Non voglio pensarci e, per portarmi avanti con i lavori, decido di odiare a prescindere tutti gli uomini francesi di questo mondo.
Mi faccio coraggio e busso, sono pronto a scendere in guerra.
«Avanti!» Urla Jane di rimando da dietro la porta. Sono felice che sia lei, perché le attenzioni di Rachel a volte mi mettono a disagio.
«Ciao!» La saluto con sincero calore mentre, con un sorriso, la osservo in preda alla preparazione del bagaglio più imponente per la storia. Sembra davvero pronta a invadere un continente, vista la tenacia con cui si accanisce sulla piccola valigia.
«Ciao Seb!» Mi risponde dopo che mi sono chiuso la porta alle spalle. «Scusa il disordine, ma qui la faccenda è seria. Ti serve qualcosa?» Domanda con in mano un perizoma di pizzo. Quando si accorge di averlo in bella mostra, lo ricaccia nel trolley con le guance rosse per l'imbarazzo.
«Sono qui per conto dei ragazzi». Le dico divertito. Mi fa piacere di non essere l'unico imbranato, qui dentro. «Mi hanno mandato per chied...» Ma vengo interrotto dalla porta, sbattuta con una certa veemenza, e da delle urla.
«Non è possibile! Li odio con tutto il cuore!» Elle entra in casa come una furia, gli occhi fuori dalle orbite. «Sono delle immensi stronzi. Ammassi di sterco che non sono altro!»
Non sembra in grado di trattenersi, tanto che sembra ringhiare. Non l'ho mai vista così e un po' mi fa paura. Un po', però, mi eccita.
Lo so, sono malato.
«A cosa dobbiamo tutti questi francesismi, tesoro?» Jane è preoccupata, tanto che abbandona un top e si concentra sulla coinquilina.
«Odio il mio lavoro». È la risposta pragmatica e lapidaria di Elle, che cerca di veicolare tutto il rancore e la rabbia in quelle parole.
«Quale dei tanti, di grazia?» Jane ora è divertita, come se l'iperattività di Elle la rendesse buffa. E mi trovo d'accordo con lei, la ragazza ha le stesse energie di una calamità naturale. E, su di me, ha anche le identiche conseguenze: mi lascia devastato a ogni suo passaggio.
Eppure da questa domanda mi accorgo che, nonostante io sia attratto da Elle fisicamente e dalla sua personalità esuberante, non so molto di lei. È avvolta dal mistero. Entra, scombussola lo scenario con la sua sola presenza e quando se ne va lascia un segno del suo transito.
Una calamità naturale, in tutto e per tutto.
E ho capito una cosa, da questo pensiero: di lei voglio scoprire ogni cosa. Questi suoi comportamenti mi spingono a volerne sapere di più a riguardo. Provo il desiderio bruciante di conoscerla.
«La squadra» risponde con ovvietà, come se fosse palese dalla sua irritazione. Nemmeno si accorge che sono sul suo percorso e quasi mi travolge con la sua convinzione. Solo quando quasi mi sbatte addosso alza lo sguardo e sembra uscire dal suo momento di rabbia. «Scusa, non ti avevo visto».
«Figurati». Sorrido, nonostante la situazione non richieda un simile gesto, consapevole che vorrei si spalmasse su di me come se fossi una fetta di pane e lei la Nutella.
Poi, conscio di non capire di cosa si sta parlando, mi giro verso Jane e le chiedo con un filo di voce di cosa stia parlando Elle, mentre scuoto la testa. Però ho capito una cosa: ha più di un lavoro ed è un aspetto interessante, soprattutto perché non passa il tempo a parlarne.
Jane, cauta, mi mormora un "Aspetta" e si volta verso Elle per farla parlare e sbollire, un metodo che dovrebbe portare chiarezza anche nelle mie idee confuse.
Nel frattempo interviene Rachel, che è corsa dalle scale del palazzo, richiamata dalle urla dell'amica. «Respira, siediti e spiegaci tutto». Anche Rachel, a ben vedere, avrebbe bisogno di respirare, perché sembra che abbia corso per arrivare il prima possibile e chiudersi la porta alle spalle che Elle, invece, aveva lasciato aperta.
Elle fa come le suggeriscono le amiche e si accomoda sul divano, anche se è rigida. «Odio queste cose». Inizia, con le parole che le si incastrano in gola, come se dovesse piangere da un momento all'altro. «Non posso più partire».
Ah. Che notizia orribile. Anche io al suo posto sarei incazzato, specialmente con così poco preavviso.
«Scherzi! E perché?» Jane si precipita accanto a lei per consolarla in un abbraccio. Le accarezza la testa mentre all'altro fianco si materializza Rachel, pronta a stringerle la mano in segno di conforto. È bello vedere che, anche se sono così diverse, sono riuscite a stringere un'amicizia forte e sincera. Non è difficile capire perché si siano trovate con i miei amici di una vita.
Mi schiarisco la voce, in imbarazzo. «Forse è meglio che vada». Mi sento di troppo, oltre che imbecille, in piedi in mezzo alla stanza in un momento così intimo.
Elle si asciuga velocemente gli occhi, poi si rivolge a me: «No, resta pure. Tanto dopo dovrei rispiegare tutto ai ragazzi. Almeno ho una persona in meno a cui ripeterlo». Tenta di sorridere. «Così so di dirlo ora a tutte le persone che possono capirlo la prima volta».
Poi cerca di riprendere il discorso, ma sbuffa perché la rabbia sembra impedirle di parlare a dovere. «Amo le mie ragazze, ma odio la società».
E vai con il secondo round della mia vita, chiamata anche "Sono più in ritardo di un pacco di Aliexpress". Come prima non sto capendo nulla e mi sembra che mi manchino degli elementi per comprendere il discorso. Ma sono un uomo, parto svantaggiato per natura, un po' come le bionde.
«Cos'hanno combinato?» Rachel non è contenta delle recenti dichiarazioni di Elle e non fa nulla per nasconderlo.
«Phil è malato, Dave è impegnato con la riabilitazione del ginocchio operato, quindi la dirigenza mi ha obbligata ad accompagnare le ragazze dell'under 18 al torneo che c'è domani, dato che ci sono un po' di scout che potrebbero permetterci di monetizzare. Se non vado mi licenziano, me l'hanno detto chiaro e tondo». Spiega, nel tentativo di rimanere calma. «Devo andare. Mi pagano bene e amo allenare le mie squadre, mi permette di continuare ad avere un legame con la pallavolo, anche se non gioco più».
Pallavolo. Società. Allenare. Ora mi è tutto chiaro.
«Che stronzi!» Rachel non usa mezzi termini.
Jane, invece, è stizzita, ma cerca di contenersi. «Mi dispiace per te, per i soldi che ci rimetti, dato che i biglietti aerei non sono rimborsabili e so quanto sforzo fai per metterli da parte».
«La cosa che mi scoccia è che non so cosa fare senza di voi. Mi annoierò da sola». Elle cerca di cambiare argomento, ma si vede che è scossa.
Però le sue parole mi accendono qualcosa dentro, tanto che sto gridando, ma solo internamente. Sono un attore e fuori tento di tenere un certo decoro, una cosa che noi uomini chiamiamo dignità.
Qualcuno lassù nei cieli deve aver guardato in basso e ha fatto in modo di darmi un assist. Faccio pena pure ai santi, in pratica, se non direttamente alla trinità.
«Ehi, io rimango qui. Domani ho il pranzo di lavoro, domenica in famiglia, ma poi sono libero. I pomeriggi e la sera possiamo vederci, se ne hai voglia». Cerco di sembrare disinvolto, come se fossero pensieri istantanei e non pezzi di un puzzle più grande che si incastra come la torre di Jenga, con un piano delineato che la porta a innamorarsi di me, perché a volte merito anche io di essere ricambiato. Nella vita precedente devo essere stato un dittatore o una pessima persona, altrimenti la mia sfiga non si spiega.
Merito una tregua, ho già espiato abbastanza queste colpe non mie.
Gli occhi di Elle diventano di nuovo lucidi, ma questa volta per il sollievo. Si alza e me la ritrovo al collo prima che io possa anche solo realizzare la cosa. «Per fortuna ci sei tu!» Mi dice con sguardo accesso di nuova speranza. «Staremo così tanto insieme questo fine settimana che dopo sarai talmente stufo di me che non vorrai più vedermi!»
Vorrei risponderle che è impossibile che succeda, ma quello è il primo contatto tra noi, il primo vero contatto dopo il bacio che mi ha rubato e di cui non si ricorda, e sono tramortito dalla sensazione per dire qualcosa. L'abbraccio mi inebria e mi elettrizzo. È come se i nostri corpi si chiamassero e fossero fatti per stare vicini, incastrati a partire dalle braccia. Ricambio la stretta per non lasciarla scappare e le accarezzo un paio di volte i capelli, quasi volessi tranquillizzarla, ma sono io quello da calmare, perché ho il cuore in gola.
So che può sembrare infantile, ma c'è qualcosa in Elle che mi dà speranza, ed è per questo che mi faccio tutte queste paranoie. Vedo come mi guarda, il suo modo curioso di osservarmi, a volte malizioso. Mi studia come io esamino lei, però non so se è una mia speranza o se effettivamente è così. Se non avessi dubbi lascerei perdere, se avessi la certezza di interessarle mi butterei nella cosa, ma così è una tortura. Il problema è che è piacevole, quindi ci sguazzo più di quanto dovrei.
Prima o poi arriverò alla soluzione del problema e probabilmente sarà meno divertente di quel che penso.
Quando ci separiamo ho il suo profumo addosso perché lo sento, incastrato sulla mia pelle. È un profumo che ho già sentito, ma è perfetto per lei, essendo agrumato e frizzante.
Ho l'umore alle stelle e non vedo l'ora che sia domani sera per poter passare il mio tempo con lei, poco importa che gli altri siano a Parigi. Anzi, meglio, perché ci costringe a passare del tempo soli, una cosa che non avevo nemmeno preventivato.
Uomini francesi, prendete questa!
*
I ragazzi partono in piena notte, dato che il volo è alle sette di mattina, ma questo non mi ha fermato dall'alzarmi per salutare l'allegra comitiva che se ne andava. Il mio buonumore non è passato inosservato, ma i miei amici non hanno voluto spiegazioni a riguardo.
Tanto non le avrebbero avute.
Elle e io ci incrociamo così nel corridoio, ancora con i vestiti che usiamo per dormire e gli occhi gonfi di sonno. Ringrazio il fatto che sia quasi estate e lei abbia addosso roba leggera, che può accompagnarmi nei miei sogni da qui fino al momento in cui la demenza senile mi farà dimenticare che non indossava il reggiseno sotto la canotta sottile. Forse il sonno lo perdo, su questi dettagli.
Alzo lo sguardo per fissarla negli occhi e tentare di essere un essere umano decente ma, se non sbaglio, anche lei sembrava interessata al cavallo dei pantaloni della tuta. Sollevo un sopracciglio, incuriosito e soddisfatto, ma non commento la cosa. Spero solo che l'articolo abbia suscitato interesse e che non abbia sfigurato.
Uno scambio equo: i suoi capezzoli per la mia pannocchia. Sono per la parità e non mi lamento.
«Stasera Thailandese e Netflix, ti va?» Mi domanda, dopo aver sbadigliato.
Sono perso a osservarla mentre si frega l'occhio da metterci troppo a rispondere, tanto che ricorro alla testa per annuire estasiato. Apprezzo comunque la proposta, immagino l'abbia fatto per tenermi fuori dalla portata dei paparazzi e di possibili fan, dato che è stato un argomento di discussione nell'ultima uscita, e questo me la fa piacere ancora di più, dato che si preoccupa per me.
«Facciamo così: ti lascio il mio numero». Si sporge dentro l'uscio di casa sua e fa qualcosa, dopo poco rispunta con un biglietto scarabocchiato su due piedi. «Quando sei pronto mi scrivi, così ti dico a che punto sono e ci troviamo a casa. Spero di non metterci troppo con quel torneo, dato che inizia la mattina. A stasera». Non mi lascia il tempo di rispondere, mi fa "ciao, ciao" con la mano e si chiude la porta alle spalle.
Così rimango solo, nel bel mezzo del corridoio del palazzo, di notte, con un biglietto stretto tra le mani.
Non so se sia un modo di fare molto sicuro che ha o se, invece, è un modo per non ricevere un rifiuta ma... beh, mi piace. Mi piace davvero come riesce a tenermi sulle spine e come non mi lascia scampo dal pensare a lei.
Me ne vado a dormire con un sorriso, contento che – finalmente – qualcosa sia andato nel verso giusto e sia stato più facile del previsto, dato che non pensavo di riuscire ad accaparrarmi il suo numero tanto presto.
Mi sveglio con calma, ma la giornata trascorre frenetica per arrivare fino a sera. Le ho scritto nel pomeriggio per sapere come è andato il torneo ed Elle mi ha dato appuntamento per le sette e mezza a casa mia. Casa loro sembra una fortezza da espugnare per noi ragazzi, con un coefficiente di difficoltà che nemmeno i tuffi dal trampolino di dieci metri raggiungono alle Olimpiadi, ma non è un problema, preferisco giocare in un territorio amico.
Ed è così che ci troviamo sul divano dove mi ha baciato da ubriaca, accomodati al meglio e con davanti le confezioni del cibo da asporto, mentre parliamo del più e del meno, dopo aver deciso di guardare Star Wars episodio IV. Non solo perché è un cult, ma perché ha un debole per Harrison Ford. Potrei davvero innamorarmi di questa ragazza.
E, tra un pad thai e altri tipi di noodles, scopro cosa fa nella vita.
Elle studia per diventare una interior designer e la mattina frequenta le lezioni. I pomeriggi liberi fa la dog sitter, il martedì e il giovedì allena due squadre di pallavolo, le under 10 e le under 18 e, quando la chiamano, fa la promoter da Selfridges, in profumeria.
Il fatto che sia così autonoma ed eclettica è interessante, si fa in quattro per inseguire i suoi sogni e le passioni che ha e lo trovo davvero ammirevole.
Si è aperta con me e io ho fatto lo stesso perché – strano ma vero, per uno schivo come me – mi ha fatto sentire così a mio agio da raccontarle piccole cose della mia vita che non ho detto a nessuno, nemmeno a Claire, con la quale ero convinto di stare per sempre.
Quindi siamo qui, seduti sul divano, mentre lei sbava per Han Solo e io per l'intera saga, a commentare il film, tra considerazioni interessanti e battute di dubbio gusto.
Dov'era nascosta?
Mi sento una persona nuova, con lei accanto.
Nonostante io sia assorbito dal film siamo al buio, cosa che mi costringe a guardare Elle più del dovuto, al sicuro dietro questa oscurità, mentre lei è illuminata solo dalla luminosità dello schermo.
Ha un profilo fiero, il naso all'insù e i capelli raccolti in uno chignon disordinato, che però le dona pure troppo.
L'atmosfera è strana. È come se fossi calamitato dalla sua presenza, tanto che sono finito al centro del divano, ma a lei non sembra importare. Anzi, ora si accoccola contro di me, dopo essere rabbrividita dal freddo. Vorrei dire di aver colto la palla al balzo, ma ho concentrato in me un sacco di attrazione che il contatto con la sua pelle mi irrigidisce e smetto di respirare.
Ora è il mio turno di tremare e a Elle non sembra sfuggire. «Andiamo, Ford! Non fare l'adolescente, rilassati. Non ti salto addosso!» E mi fa l'occhiolino.
È sicura? La accendiamo? Non vuole cambiare risposta? Io non avrei nulla in contrario e mi risparmierebbe un sacco di figure di merda.
«Ford?» Domando invece con un sopracciglio alzato, cercando di catalizzare l'attenzione lontana dalla tensione che sembra scorrere tra noi. Non so, ma è come se ci stessimo ancora studiando e non fossimo pronti per giungere alla conclusione che ci piacciamo e siamo pronti a strapparci i vestiti di dosso. Lei mi sta ancora analizzando e ho tutta l'intenzione di fornirle tutto il materiale che le serve per farla capitolare.
«Sì, Ford. Seb è troppo intimo per me, per ora. È Hart è troppo comune. Quindi, sempre da Hartford, sei diventato Ford». Si gira per sorridermi in quel modo sincero e disarmante che la contraddistingue. «Ford, oltre a essere una cosa solo nostra, è figo. È come Harrison». E indica lo schermo, anche se ormai siamo ai titoli di coda.
«Allora, se è nostro», e calco la parola più del dovuto, «ed è figo, vada per Ford».
Annuisco soddisfatto e non riesco a non guardarla negli occhi verdi dal taglio felino.
Elle, però, è stanca e interrompe quel momento strano e bellissimo. Si stira e sbadiglia, per poi piantarmi in asso senza tanti complimenti. «Vado a dormire, ci vediamo domani».
Si alza e fa per andarsene, ma poi ci ripensa e ritorna vicino al divano per chinarsi su di me e darmi un bacio sulla guancia. «'notte».
Non aggiunge altro e mi lascia qui, da solo, come un cretino.
È un modo di fare che mi stranisce ogni volta, ma ho come l'impressione che dovrò farci l'abitudine.
*
La mattina successiva mi sveglio rilassato, ho dormito come un sasso e mi sveglio con un sorriso.
Sono pronto per il pranzo in famiglia, soprattutto perché quello di lavoro del giorno prima è andato bene e porto interessanti novità.
Ma, prima di tirarmi a lucido per far contenta mia madre, ho bisogno di un litro di caffè per svegliarmi, così vado in cucina per accendere la macchina per prepararlo, conosciuta ai più come un valido metodo di sopravvivenza, ma scopro con orrore che il caffè è finito e nessuno l'ha comprato.
Cerco di far funzionare i neuroni, ancora addormentati, ma questi stronzi sanno solo pensare a Elle. Ed è così che mi viene l'illuminazione: lo chiedo a lei. Sono sicuro che le ragazze non rimarrebbero mai senza caffeina.
Spero solo di non svegliarla, ma sono pronto a correre il rischio di una sfuriata pur di avere la mia dose. Sì, ho sviluppato una dipendenza, e non so se sto parlando del caffè.
Prima di uscire dal mio appartamento controllo allo specchio che la maglia e i pantaloni della tuta con cui dormo siano presentabili, poi mi dirigo verso la sua porta.
Sollevo la mano e le nocche battono sulla superficie liscia e mi appoggio allo stipite con fare rilassato. Cerco di adottare il mio migliore scopasguardo, conosciuto così da tutti i siti di gossip e dal mio fandom, ma ho paura di sembrare sexy quanto un facocero che soffre di aerofagia. Roba che Pumba de "Il re leone" in confronto parrebbe Leonardo di Caprio.
Sì, vincerebbe a mani basse, o zampe, ma ignoro questa orrenda sensazione e aspetto che apra.
Sono pronto, o almeno così credo.
Hola!
Ecco qui un nuovo aggiornamento. So che il capitolo è lungo, ma non ho trovato un punto in cui dividerlo e così eccolo qui.
Quindi ci ritroviamo con una quasi gita a Parigi, sfociata in una serata Netflix and chill per alcuni di loro.
Seb non si lamenta, questo è poco ma sicuro!
Anche Elle però, dopo una prima incazzatura, sembra prendere bene la cosa. Come mai?
Lo scopriremo nel prossimo capitolo, dato che sarà uno dei suoi POV.
Comunque, siccome aggiorno ogni 10 giorni circa, che gli aggiornamenti avverranno ogni dieci giorni e avverranno di lunedì e mercoledì. Ok, so che oggi non ci ho preso, ma a mia discolpa posso dire che avrei voluto postare ieri, ma non ne ho avuto il tempo.
Quindi il prossimo aggiornamento sarà lunedì, ma tra dieci giorni, e quello dopo ancora il mercoledì, dopo 9/10 giorni. Così sapete all'incirca quando aspettarvi i capitoli.
Vi ringrazio di cuore per l'entusiasmo con cui accogliete questa storia, mi rende felicissima!
Alla presto,
Cris
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro