46. Favola
Ovviamente, dopo il nostro faccia a faccia, Elle è sparita di nuovo.
A sua discolpa posso dire che è sempre impegnata tra i vari lavori e i corsi al college, ma non so se, per il tempo restante, stia evitando di incrociarmi o se invece è proprio sfiga la mia, e siamo sincronizzati su un tempismo di merda.
Conoscendo la mia sfortuna, potrebbe essere tranquillamente così.
Ma potrebbe anche essere che preferirebbe dormire negli spogliatoi del grande magazzino in cui lavora, che incrociarmi lungo le scale della palazzina. Magari ha già cambiato domicilio da Selfridges e io non me ne sono ancora accorto.
Dunque, non posso fare altro che arrendermi all'evidenza e sperare in un momento migliore. Nel frattempo posso capire come agire con lei. Non saprei... progettare un piano di riconquista, forse?
Peccato che io sia negato in queste cose.
Non sono il Machiavelli delle relazioni amorose.
Il tempo a disposizione l'avrei anche, perché non ho nulla da fare durante il giorno, quando tutti sono via. Non so nemmeno cosa inventarmi.
Ho sistemato l'armadio, per far capire il mio livello di disperazione. Ho detto tutto.
L'attività più entusiasmante è fare da baby-sitter a un roditore zannuto, penso che ormai Ford mi ami e mi preferisca pure a Dan, ma sono troppo buono per farglielo notare. Giuro, però, che abbiamo stabilito una profonda connessione e, anche se una volta mi ha fatto la pipì addosso, ora siamo ben oltre la fase "un giorno diventerai il mio pasto".
Sto per finire pure i giochi della Play, e non li trovo stimolanti perché ho passato troppe ore attaccato allo schermo. Sono sul punto di prendere in considerazione l'idea di costruire quelle case in miniatura per ammazzare il tempo, ma so che poi finirei con una porta incollata in fronte, un divano sul naso e, per precauzione, non voglio pensare a dove potrebbe finire il box doccia.
Quindi mi dedico a un passatempo noioso, ma almeno sicuro: fissare il soffitto.
Sto diventando cintura nera, se fosse uno sport alle olimpiadi potrei portare in alto l'onore della Gran Bretagna con il minimo sforzo.
Ma, ahimé, non è così, è richiesta ancora qualche capacità per i giochi olimpici, anche per quelli meno pericolosi, come il ping pong, e io non sono per nulla portato.
Guardo in giro per la stanza, alla disperata ricerca di qualcosa da fare.
Per l'ennesima volta gli occhi vagano sulla custodia della chitarra che Elle mi ha riportato qualche giorno fa e sospiro.
Io porto ancora al polso il suo braccialetto, incapace di togliermelo e di trovare il coraggio di ridarglielo, mentre lei mi ha restituito la chitarra, la mia preferita e quella a cui sono legato a livello affettivo, con una facilità che mi fa sentire rifiutato. È un po' come se mi avesse detto "Ehi, tieni. Grazie, ma no, sono andata avanti, passata oltre. Tante care cose e arrivederci".
Avrei una voglia matta di strimpellare qualcosa, anche solo per distrarmi, ma fa male.
Poi però mi di "Fanculo, sono troppo sentimentale, devo darmi una svegliata, non posso vedere in eterno il rifiuto in un simile gesto". Ho bisogno di andare avanti, di suonare, di svagarmi con la musica perché è una delle poche cose che mi dà sempre conforto.
Mi alzo e, con mani insicure, porto la chitarra sul letto.
Apro la fodera e pizzico le corde, un gesto che fa vibrare anche il mio cuore.
Ora sì che mi sento a casa.
Sorrido, a mio agio, e prendo la chitarra per posarla in grembo, ma un qualcosa cattura il mio sguardo. Del bianco sul fondo nero.
Lascio perdere lo strumento, posandolo accanto a me, e prendo un foglio, piegato malissimo, quasi fosse stato buttato all'interno per far sparire le prove su quel pezzo di carta.
Lo distendo e rimango sorpreso nel trovarci la scrittura di Elle. Mi aspettavo una lista, forse degli appunti sulla musica, la posizione delle dita per riprodurre le note o lo schizzo di qualche suo progetto per l'università, invece mi trovo davanti una lettera, un qualcosa di fitto e scritto di fretta.
E, la cosa che più mi stupisce, è che è rivolta a me, dato che inizia con "Caro Seb".
Non capisco. Non capisco perché sia rivolta a me, ma non me l'abbia mai data, nascosta insieme alla chitarra.
È un foglio che non è mai stato aperto dopo essere stato scritto e ripiegato, quasi fosse stato dimenticato.
Curioso, inizio a leggere il contenuto, anche se mi fa sentire dalla parte del torto, come se stessi spiando qualcuno che non vuole essere guardato.
Gennaio
Caro Seb,
so che non rientra nella normalità ritrovarsi a scrivere una lettera cartacea nel ventunesimo secolo, e infatti il mio non era uno sfogo premeditato, ma mi sono ritrovata con un foglio e una penna tra le mani per tutt'altro ed eccomi qui, a esprimere nero su bianco quello che provo, quello che la scoperta di oggi mi ha smosso dentro.
Forse ti sembrerà strano che io abbia trovato soltanto ora la chitarra, dato che è metà gennaio ed è qui da agosto (almeno immagino), ma avevo bisogno di ritrovarti. Il tuo pensiero, dopo tutti questi mesi, non mi bastava più. Avevo bisogno di sentirti, e ho pensato di cercarti qui, in un posto che è diventato nostro, che è stato testimone dei nostri momenti più sereni, alcuni tra i più felici.
Come puoi immaginare, dunque, non mi sono esercitata molto con la chitarra, ma la verità è che non avrei potuto, perché mi sarebbe mancata una parte fondamentale. Tu starai pensando a te stesso come a un insegnante, ma a me manca quello che, durante le lezioni (se così le vogliamo chiamare), si creava. A me, in realtà, manca condividere qualcosa con te, costruire dei momenti insieme, quel senso di appartenenza che sei riuscito a donarmi soltanto tu.
Ho provato a cercarti tra le lenzuola, quasi avessero intrappolato la tua essenza, ma mi sono resa conto troppo presto che mi stavo illudendo.
Così sono tornata alla realtà, ho deciso di smetterla di agire da pazza – per il bene di chi mi sta attorno e si preoccupa per me – e comportarmi in modo normale, ma niente è normale, se tu non sei qui.
È come se la mia vita avesse perso colore, come se avessi perso la parte migliore di me.
Il mio eroe.
Se ti ricordi ti ho definito così in un brutto periodo – anche se a Blaise devo dire grazie, perché la sua presenza mi ha aperto gli occhi su molte cose, a partire da me stessa – e forse è arrivato il momento di spiegarti il perché.
La verità è che, molto semplicemente, mi hai salvata. Da me, da Blaise, da un passato che mi hai fatto capire non mi è mai appartenuto. Da un errore che non ho mai commesso, che si è rivelato in realtà una pallottola schivata con la precisione di Neo in Matrix.
(Passami l'umorismo, ho un disperato bisogno di sdrammatizzare.)
Mi sei stato accanto e mi hai aiutata in un periodo difficile per me, nonostante non fossi obbligato, soprattutto perché avevamo litigato e il motivo ero io, con le mie stupide paure.
Mi hai aiutata nonostante mi odiassi, e ne avevi tutte le ragioni del mondo. Hai visto quanto fossi complicata, quanto i miei difetti fossero enormi e incorreggibili, eppure mi sei sempre stato accanto. Non sei scappato, non ti sei mosso, anzi, ti sei avvicinato.
Ho provato a spezzarti, riversandoti addosso errori che non sono mai stati tuoi, e tu ti sei a malapena piegato.
Mi hai riportata alla vita, mi hai fatto capire che non sono io quella sbagliata. Mostrato quanto Blaise non meritasse nulla, nemmeno il mio rancore, ma, soprattutto, mi hai insegnato che non poteva impedirmi di amare me stessa.
Tu mi hai spiegato come si fa, tanto da farmi capire quanto possa essere bello, di conseguenza, amare qualcun altro. E quel qualcuno non potevi che essere tu.
Mi hai riempito il cuore con ogni tuo battito.
Sei diventato un bisogno straziante, più di respirare.
E ora, qui con i miei dubbi e tutto il dolore che posso provare per non averti accanto, ho il terrore di non avertelo mai dimostrato abbastanza. Di non essere mai stata all'altezza del tuo amore.
Sei diventato tutti i miei perché, e mi hai resa felice come non sapevo di poter essere.
Ero una di quelle persone che non credeva nel principe azzurro e ora, oltre ad averlo trovato, mi ha dimostrato che merito l'intera fiaba.
Il fatto che io sia stata così stupida, o terrorizzata, da lasciarlo andare, beh, questa è un'altra storia.
Ma tu sei davvero l'unica favola che sono disposta a vivere, non potrei mai immaginare nessun altro, accanto a me, in un simile cammino.
Vederti di fianco a Claire fa male, non sapere se è vero o meno è pure peggio, ma non avere il diritto di conoscere la verità, in un certo modo, placa la mia curiosità, che tanto non verrebbe soddisfatta perché non mi libererei mai dei dubbi e delle paranoie che mi fanno compagnia.
E so per certo di aver fatto la scelta sbagliata, ora, ma è anche la più facile da affrontare.
Sai qual è la cosa che più mi fa ridere (in maniera isterica, s'intende)? Che ho paura del tuo ritorno.
Non vedo l'ora di rivederti, di incontrare i tuoi occhi e sentirmi a casa, ma ho il terrore di non vedere specchiato lo stesso sentimento, che per te sia finita. Sarei in grado di evitarti per almeno due o tre mesi, ma forse anche anni, per evitare di sentirti mettere fine alle mie speranze, sentirti dire che non mi ami più.
Ti ricordi quando mi hai chiesto cosa avrei fatto nel momento in cui mi fossi accorta di aver commesso uno sbaglio, lasciandoti?
Adesso so risponderti.
Mentirei a me stessa, nel tentativo di convincermi che sto bene, che l'ho fatto per il nostro bene.
Ed è quello che ho fatto.
L'ho capito nel momento in cui ti ho lasciato in aeroporto e me ne sono andata. Lì, in quel momento, non ho perso te, ma ho perso me stessa. È come se vagassi senza meta fino al tuo ritorno.
Perché, nonostante abbia commesso tanti sbagli, so per certo che amarti è stata l'esperienza più bella della mia vita, e non voglio che finisca mai.
Il cielo è bellissimo oggi, ma la sua bellezza si è persa ancora prima che sia riuscita a baciare il profilo degli edifici più bassi, e questo perché non sei qui a condividerlo con me.
Io mi eserciterò con la chitarra, ma tu abbi cura del mio cuore, sai che è con te.
Elle
Soltanto alla fine della lettera mi ricordo come si respira.
È stata una lunga apnea che, nell'arrivare alla fine, mi ha ricordato come dare aria ai polmoni.
Mi hai riempito il cuore con ogni tuo battito.
È la sintesi perfetta dell'amore che provo per lei, che proviamo l'uno per l'altra.
Mi ama, forse non ha paura a dimostrarlo, ma di dirmelo sì. E mi evita per questo.
Questa lettera mi ha ridato respiro, ha fatto esplodere la speranza nel mio petto e ho intenzione di attaccarmici con tutto me stesso, ma mi ha tramortito. Ho percepito ogni sua ragione, il suo dolore, ma anche l'amore di cui parla.
Elle è una che non è sempre in grado di esprimerlo a parole, ma se lo tatua sulla pelle per renderlo indelebile. Lo plasma sotto forma di una piscina gonfiabile perché sa che è quello che desidero. Rimane al pranzo a tradimento dai miei genitori, perché sa che mi rende felice. E la mia felicità è la sua. È quella che ti regala il braccialetto più importante della sua vita nel periodo peggiore tra noi, per ricordarmi che, nonostante tutto, c'è.
È quella che dà come nome il mio soprannome al coniglio, perché sono nei suoi pensieri. È la stessa persona che per dirmi che mi ama l'ha fatto con Wonderwall degli Oasis.
Lei non l'ha detto con la frequenza con cui avrebbe voluto, ma l'ha dimostrato, e l'ha fatto senza accorgersene.
Il cuore in gola mi dà così fastidio che sembra debba scoppiare da un momento all'altro.
Ho tante cose per la testa, ma non riesco ad afferrare mezzo pensiero.
Provo tante emozioni tutte insieme. Felicità, sollievo, ma anche tristezza per non averlo scoperto prima. E, se non avessi trovato la lettera, non so quando avrei trovato il coraggio di agire.
Perché è questo che ha fatto la lettera, mi ha dato la spinta per fare qualcosa.
E, nel caos che mi vortica nella mente, inizia a farsi spazio un'idea.
Macino chilometri nella mia piccola stanza, nel tentativo di mettere a punto tutti i dettagli.
Ho ragionato così tanto sul da farsi, che soltanto ore dopo vengo distratto dai rumori che provengono dal salotto. Senza pensarci due volte vado a scoprire chi c'è, perché ho bisogno dell'aiuto dei miei amici. E forse anche di quello divino, ma andiamo per gradi: prima le cose fattibili.
«Allora, cosa si dice?» Saluto i presenti con un sorriso, mentre mi siedo sul pavimento. È superfluo dire che ci sono tutti, tranne Elle?
«Il solito. Tu?» Jane mi sorride dalle gambe di Ed. Un modo per avere più spazio, si giustificano, ma io so che è solo una scusa per avere le mani addosso all'altro tutto il tempo.
Sono così innamorati che li invidio. Invidio quello che hanno e, soprattutto, la naturalezza con cui lo esprimono.
«Pronto per la riconquista». Sorrido, sicuro di me e soddisfatto.
«Di Elle, vero?» È Dan a parlare, e lo fa con tono preoccupato. «Non stiamo parlando di Claire o altro, tipo il mondo? Non lo reggerei».
Lui non lo reggerebbe? Io non sarei così masochista nemmeno dopo aver bevuto e aver preso un palo in faccia nel camminare.
«Ti ricordo che in entrambi i casi la prima volta è andata di merda. Eviterei di bissare l'esperienza, se fossi in te». Charlie gli dà man forte, mentre accarezza Ford.
La fiducia che i miei amici ripongono in me e nelle mie capacità è sconcertante, davvero. Pensano non sia in grado nemmeno di allacciarmi le scarpe. È vero, ho un modo tutto mio di fare il nodo e il fiocco, ma il risultato è lo stesso ed è un metodo funzionale, perché rinfacciarmelo ogni volta?
Insensibili.
Alzo gli occhi. «Sto parlando di Elle».
«Era ora! Cosa hai aspettato?» Edward esulta con un pugno in aria. Forse sono stanchi di vedermi girare per casa con lo sguardo da cane abbandonato. Beh, breaking news: sono il primo a essere stufo della situazione. Ma, ora che ho scoperto la lettera e ho capito cosa fare, ho intenzione di cambiare le cose.
«Avevo bisogno di capire se fosse ancora interessata a me» ammetto, senza la sicurezza di poco fa.
«Non ti sembra palese?» Daniel allarga le braccia, per sottolineare l'ovvietà della situazione «Si comporta come un'adolescente alla prima cotta».
«Siete diventati tutti esperti di relazioni?» domando, un po' risentito. Facile per loro parlare, quando non si trovano nella mia situazione, con Elle che mi evita come se fossi la sifilide.
«No, ma facciamo meno schifo di te, a quanto pare». Anche Rachel, la mia fan numero uno, riesce a smontarmi con una sola frase.
E io non posso che essere d'accordo con lei.
«Touché» le concedo.
«Quindi? Spara, sono curioso». Charlie riporta l'attenzione sulla riconquista di cui ho parlato all'inizio del discorso.
«Siamo sicuri che Elle non capiti qui a breve?» Alzo un sopracciglio, non posso giocarmi l'effetto sorpresa.
«No. Ha allenamento, non tornerà prima di un'ora». Conferma Rach, risoluta, già focalizzata su quello che ho da dire a tutti loro.
«Bene». Annuisco, per poi iniziare a illustrare quello che mi passa per la testa. «Prima di tutto, ho bisogno del vostro aiuto...»
«Anche senza sapere altro, già mi piace». Daniel è elettrizzato nonostante io non abbia ancora detto nulla.
Sorrido. Sapevo di poter contare su di loro.
*
Se mi avessero detto che certe cose nella mia vita sarebbero cambiate fino a questo punto, non ci avrei mai creduto. Guardandomi adesso, però, sono fiero del salto di qualità che ho fatto.
Sono passato dall'essere la ragazza tettona che muore prima dei titoli di testa degli horror, l'esca, la miccia che fa scattare tutta la serie di azioni che dà il via alla trama, all'essere Danny Ocean. Sono un George Clooney senza i capelli grigi e Nespresso. Ok, forse mi manca pure il completo sartoriale di Danny e un whisky da migliaia di sterline in mano, ma ho elaborato un piano che farebbe impallidire pure Ethan Hunt e una delle sue mission impossible.
Mi giro per controllare il risultato alle mie spalle e sorrido.
Ora manca soltanto la realizzazione del piano. L'obiettivo? Il mio bottino? Elle.
Cioè, non ho intenzione di caricarmela in spalla come una sacca piena di banconote per poi chiuderla in camera mia, al sicuro da tutto e tutti, ma mi auguro di riuscire a convincerla a darci una seconda possibilità, nella speranza che sia quella definitiva.
Quindi...
Primo step: chiedere a Jane e Rachel di trovare la piscina gonfiabile che abbiamo usato questa estate. A cosa mi è servita? Ogni cosa a tempo debito.
Secondo step: rivelare del tetto ai ragazzi. E qui, devo essere sincero, mi sono sentito travolgere dalle peggiori parolacce. Sono stato accusato di tradimento, perché un simile spazio sarebbe potuto diventare un ottimo angolo di ristoro estivo, un'alternativa ai pub quando non abbiamo voglia di uscire. Così, dopo aver chiesto scusa a tutti, nemmeno un po' pentito di aver diviso quello spazio solo con Elle, ho promesso loro che l'avrei sacrificato per la prossima estate.
Mi dispiace? Sì, un po', per quello che ha sempre rappresentato per noi due, ma se serve ad aiutarmi a riaverla, beh, sono disposto a condividerlo con il gruppo.
Terzo step: aspettare che Elle ritorni a casa.
Quarto step: far sparire la piccola palla di pelo.
Apro la porta di sicurezza del tetto e, con l'orecchio teso, a giudicare dalle urla preoccupate che sento, il piano è stato innescato e funziona alla grande.
"Il primo posto in cui ha cercato il piccolo roditore è il forno" mi scrive fiero Dan. Poi allega una foto di Ford con una benda sugli occhi. Il suo piccolo ostaggio.
Penso abbia preso la cosa più seriamente di quanto avrebbe dovuto.
Ford deve far credere di essere fuggito, ma è con Dan nascosto in camera sua, quando Elle invece pensa che Daniel sia fuori per lavoro.
"Da quello che sento penso stia per arrivare da te".
Mi rimetto in ascolto dallo spiraglio della porta aperta e le voci concitate confermano il messaggio del mio amico.
«Noi andiamo giù» urla Jane, concitata. «Voi andate verso i piani superiori».
«Io mi fermo al secondo piano» sento Rachel parlare, mentre probabilmente è già intenta a salire le scale.
«Ok, io vado il terzo». È Elle a parlare.
Bene, il terzo è qui, in pratica, dove c'è l'accesso al tetto.
«Oh no!» Singhiozza, mentre nota la porta aperta. «Spero che Ford non abbia uno spiccato istinto suicida!»
E, nonostante l'argomento delicato, il suo pensiero – che arriva a me appena accennato – mi strappa un sorriso.
Spalanca la porta con irruenza, forse è salita di corsa, e si ferma quando nota me accanto al gazebo, che è illuminato da tantissime luci che ho provveduto ad allestire con un piccolo aiuto.
«Ciao» esordisco con un leggero sorriso.
«Ciao» replica, incerta e sorpresa di trovarmi lì ad attenderla.
«Beh... wow» esclama dopo essersi guardata velocemente in giro. Poi, però, si riprende. «Hai visto Ford? Il coniglio, intendo».
Si schiarisce la voce, leggermente a disagio.
«Ford sta bene». Annuisco sicuro.
«Ah sì?» È confusa. «E dov'è?»
Si guarda attorno, ma non vede traccia del coniglio.
«Al sicuro. Con Daniel». E, nel mentre, scrivo un messaggio al mio amico dove lo invito a inviare una foto a Elle di Ford in compagnia dei ragazzi, a casa.
«Ma se è con Daniel non è al sicuro!» È nel panico, come se la sua osservazione fosse ovvia.
«Non posso darti torto». Rido, divertito. «Ma è con gli altri, nel suo recinto».
Le arriva la foto. Lo so perché la vedo estrarre il cellulare e fissare lo schermo, sempre più smarrita.
«Non capisco». Scuote la testa e aggrotta le sopracciglia.
È arrivato il momento della verità.
Quel momento in cui, in Ocean's eleven, viene svelato ogni dettaglio del piano.
«Un trovata un po' perfida per portati qui». Incrocio le braccia al petto e le rivolgo un sorriso soddisfatto.
«Tu mi hai fatto venire un infarto per questo?» Sembra turbata, ma dietro al tono isterico percepisco il sollievo per sapere Ford al sicuro, ma anche l'agitazione di essere qui, con me, senza una vera scusa per scappare. Ed Elle lo sa benissimo.
«Forse» ammetto, un po' divertito. «Con tutti gli infarti che mi hai provocato tu!»
«Vero». Ridacchia nervosa, mentre dondola sul posto, a disagio. Si morsica un labbro, in attesa che io dica qualcosa.
«Ti piace?»
«È bellissimo». Studia i dettagli che la circondano. «E diverso».
I ragazzi e io abbiamo fatto un lavoro assurdo. Oltre a ricoprire il gazebo con un soffitto di luci, abbiamo lasciato che una striscia collegasse la struttura in metallo all'ingresso del tetto, una specie di scia luminosa che dovrebbe invogliare Elle a seguirla, una specie di percorso su cui ho lasciato qualche indizio, la prima parte degli altri oggetti accanto a me, sul solito tappeto, che mi servono per spiegarle tutto.
«E non vuoi scoprire cosa c'è di diverso?» La incalzo, nella speranza che desideri cogliere il mio invito.
«Sono un po' spaventata». Lascia andare un sospiro e abbassa le spalle, sconfitta per la sincerità della sua stessa ammissione.
«Non pensi sia ora di smettere di avere paura?» Nelle mie parole non c'è accusa, solo una richiesta a parlare, ad andare oltre i suoi limiti.
«Mai, quando si tratta di te». Un'altra dichiarazione che le costa fatica.
«Ti spavento?» Inclino la testa, curioso di conoscere la sua risposta.
«Tu no». E la prendo come una vittoria personale, un passo avanti nella direzione giusta, almeno spero. «I sentimenti che riesci a far nascere in me, quelli sì, da morire».
Brava Elle, il primo passo per affrontare le proprie paure è ammettere di averle. Non combatterle, lasciale andare.
Sono convinto che, in fondo, abbia imparato ad affrontare gli ostacoli che ha sempre visto come insormontabili, ora le mancano le certezze, e io sono qui per dargliene.
Aspetto una sua reazione, che non tarda ad arrivare, dato che, pur di non guardare me, studia ogni particolare che ci circonda.
«Cosa sono?» È adesso che si accorge delle foto appese al filo di luci tra la porta e il gazebo.
Un altro passo avanti. Sì, così.
«Foto». Mi stacco dal palo di metallo a cui mi sono sostenuto, attento a ogni sua reazione, ma non mi muovo per paura di vederla scappare. «Te le ricordi?»
Prende tra le dita la prima e sorride, poi passa alla seconda e le labbra si distendono ancora di più, un po' come il mio cuore a questa vista.
«La caccia al tesoro!» replica, allegra.
«Già». Annuisco. «Vedi altro?»
«Devo avvicinarmi...» È incerta.
«Solo se sei curiosa». Non voglio forzarla in alcun modo, deve essere lei a volersi avvicinare.
«I cuscini!» Indica un punto vicino a me, sorpresa.
«E la piscina!» La voce è pervasa dall'eccitazione, come quando, guardando un film, ti ritrovi davanti alla scena preferita. Poi aggrotta le sopracciglia. «Ma perché ci sono le palline dei giochi dei bambini, dentro?»
«Vorresti fare un bagno a marzo?» Alzo un sopracciglio, ironico.
«Non ci penso nemmeno!» Le spalle sono distese e sembra a suo agio, quasi gli oggetti che si trova davanti l'avessero fatta rilassare, facendola muovere su un terreno a lei conosciuto, che le dona serenità. Proprio quello che speravo.
«Ed ecco spiegato il motivo». Le faccio notare. Sono convinto che Daniel si divertirà da matti in quella piscina con le palle. Potrà sfottermi a vita dicendo che, non avendole, almeno sono riuscito a comprarle su Amazon. «E anche perché ricordano l'area giochi dell'IKEA...»
«L'IKEA! La nostra missione per comprare un nuovo materasso». Un altro collegamento che speravo cogliesse, sono fiero di lei. E dell'idea che ho avuto, ma ora non è il momento di celebrarsi.
«E la chitarra». Nota, con una punta di nostalgia, come se per lei significasse qualcosa. Immagino che le riporti alla mente il giorno in cui l'ha trovata, quel momento in cui ha avuto bisogno di me più del solito.
«È in parte merito suo, se sono qui, ora». Faccio un passo verso di lei. Ora ci dividono pochi metri. Averla qui mi rende nervoso.
Non ho un discorso pronto, ho deciso di seguire l'istinto.
«Perché?» È sospesa, proprio come lo sono io. Forse non sono l'unico ad aver bisogno di affrontare un discorso simile.
«Perché volerla suonare mi ha fatto trovare questa». E, nel dirlo, le mostro il pezzo di carta che scoperto nella custodia. Ora è più consumato rispetto a prima, perché l'ho aperto mille volte per leggerlo, per fare mie le frasi che ho scoperto.
«Oddio, no». Nasconde la faccia nelle mani, piena di vergogna. «Era una cosa nata per caso. Privata... non era destinata a te».
«Ah no?» La provoco. «Eppure inizia con "Caro Seb"...»
«Era uno sfogo del momento. Non era una lettera da inviare» dice, in imbarazzo, tanto che incespica nelle parole. Continua a evitare il mio sguardo, a quanto pare il pavimento è più interessante. «Non avresti dovuto riceverla».
«Io però sono felice di averla letta».
«Perché?» Alza il viso di scatto, curiosa. Vorrebbe le risposte, e le vorrebbe subito, ma ho bisogno di farle capire ogni cosa, prima di confessarle la verità.
«Perché mi ha fatto capire tante cose». Non sono le parole che si aspettava.
«Del tipo?»
«Non ti preoccupare, tra poco ci arriviamo». Sorrido, senza sbilanciarmi.
«Sembra una minaccia».
Elle incrocia le braccia al petto, sulla difensiva, ma io mi sto divertendo troppo. Provocarla sta accendendo un fuoco in lei, sta riportando a galla quello che è rimasto sopito in questi mesi. Mi piace questo flirt che c'è tra noi. All'apparenza innocuo, ma che in realtà è benzina sul fuoco.
Voglio che esploda, voglio i fuochi d'artificio.
Sono quelli che meritano gli happy ending.
«Forse lo è». Alzo le sopracciglia, poi la invito a focalizzarsi di nuovo sugli indizi che ci circondano. «Non manca qualcosa tra questi oggetti?»
«Non saprei...» con lo sguardo fa passare gli oggetti attorno a noi, alla ricerca di qualcosa che pensa le sia sfuggito la prima volta. «Dipende tutto da cosa significano».
«Sono i nostri ricordi. Tappe di quella che è stata la nostra storia». Dall'inizio, non proprio tradizionale, fino ad arrivare a questo punto. La rappresentazione di ogni cosa che Elle ha fatto per me, e io per lei.
«E cosa mancherebbe?» Aggrotta le sopracciglia, curiosa.
«La fine» sentenzio, asciutto.
«È un po' difficile portare fisicamente la fine di una storia». La piega del discorso non sembra piacerle, perché si irrigidisce sul posto. Che abbia paura che io l'abbia portata qui per mettere un punto alla situazione?
«Ma per la nostra è più difficile». È difficile nascondere l'agitazione che mi scorre dentro, ma mi piace avere il controllo delle circostanze.
«Perché?»
«Perché non è mai finita». E, nel dirlo, faccio un passo verso di lei, mentre alzo una manica del maglione per mostrarle il polso. «Vedi?»
«La chiave...» sussurra, emozionata.
Quella per arrivare al suo cuore.
D'istinto porta una mano davanti alla bocca, con l'altra, invece, si allunga verso di me, a sfiorare il cordoncino di pelle in cui è infilata. Accarezza appena la pelle, delicata, quasi avesse paura di toccarmi, di rompere l'importanza di questo momento.
«Anche quando hai tentato di chiudere la porta, mi hai lasciato uno spiraglio». Gioco con i nodi del braccialetto, una scusa banale per avere un contatto con lei, il primo dopo tanti mesi, e qualcosa si scioglie in me. «So perché mi hai evitato in questi giorni».
«Non penso proprio...» Elle torna a fissarmi con gli occhi spaventati.
«Perché hai paura che ti dica che tra noi è finita» replico, con precisione chirurgica. «Sai, la lettera».
«Maledetta me». Con la mano che accarezzava il braccialetto, con la quale ha sfiorato in modo impercettibile e pure me, si dà una pacca sulla fronte.
«Non potrei mai mettere fine alle tue speranze». Ho bisogno di riprendere il discorso, perché le parole che ho sempre voluto dirle sono qui, incastrate in gola, pronte per uscire.
«Smettila di esprimerti a monosillabi, o quasi, mi stai uccidendo».
Il suo corpo è elettrico, a poca distanza dal mio. Indeciso se allontanarsi per paura di un rifiuto, o se accorciare la distanza e mettere fine a questa prolungata agonia. Deve solo capire se sono disposto ad accoglierla.
«Io ho ascoltato il tuo silenzio per mesi». E ha fatto male, malissimo, un nuovo tipo di dolore che non avevo mai provato e che spero di non provare mai più, ma che mi è servito a capire cosa voglio. E voglio Elle accanto a me.
«È stata una cosa reciproca». Si morsica un labbro, in attesa, mentre condividiamo lo stesso vuoto che ci ha perseguitato nei mesi precedenti.
«Non proprio». Prendo il cellulare e inizio a cercare qualche foto in internet. «Io ti ho sempre parlato. Guarda».
Sono foto di me e Claire. Ho cliccato su quelle che ci riprendono più da vicino, per farle notare il dettaglio.
«L'ho indossato sempre, al di fuori delle riprese». Le indico il polso, anche se è sfocato. «Sapevo, o forse speravo, che avresti guardato le foto, e ho portato con me il braccialetto ogni volta. Era un modo per dirti che eri sempre con me, per farti sapere che era tutto ok, che niente era perduto».
«Io... non me ne sono mai accorta». Ha le lacrime agli occhi.
Spero solo sia commozione e non rimpianto, perché non sono venuto per rinfacciarle nulla.
«Normale». Alzo le spalle e metto il cellulare di nuovo in tasca. «Alla fine i paparazzi non hanno mai scattato foto in alta definizione, era difficile concentrarsi su un dettaglio così piccolo e sgranato, quando c'era il resto a distrarre».
Quando c'erano i dubbi a fare da contorno agli scatti, ai gesti ripresi che, decontestualizzati, lasciavano intendere ben altro, rispetto alla verità.
«Vorrei solo sapere perché». Espira rumorosamente, dopo aver gonfiato le guance. Un modo per ricacciare indietro le lacrime. «Ho bisogno di saperlo, perché averti davanti e non sapere se posso toccarti ancora, se posso sentirti di nuovo, mi consuma».
«Cosa vuoi sapere, di preciso?» Faccio un passo verso di lei.
«Perché non puoi mettere fine alle mie speranze». Ed Elle fa un passo verso di me.
Le prendo le mani e, con i pollici, le accarezzo il dorso. Un gesto che dovrebbe calmare lei, ma che aiuta me a mantenere i nervi saldi e il cuore nel petto. «Perché vorrebbe dire che non ti amo più, e non è così».
Espira, e le lacrime che ha negli occhi sembrano brillare, ora che le rigano le guance. Quello, però, che mi fa capire che sono di sollievo è il sorriso che le accompagna.
Un gesto che mi spinge a continuare a parlare. «Ho riflettuto su quello che hai scritto. Sull'essere il tuo eroe, il principe azzurro. Io la favola l'ho vissuta con te, l'abbiamo costruita insieme. Il drago non l'abbiamo sconfitto al primo tentativo, ma, se me ne darai l'occasione, voglio provarci ora. Sconfiggiamo ogni drago, ogni ostacolo che ci capiterà davanti, ogni paura che si presenterà. Ma per farlo dobbiamo essere uniti».
Ride e piange. Sento le sue dita fremere tra le mie. Vorrebbe asciugarsi gli occhi, ma non vuole che il contatto tra noi finisca, è confortante.
«Voglio darti la fiaba che meriti, aggiungere tasselli alla storia. Vivere nuove avventure e creare nuovi ricordi. Voglio essere il tuo lieto fine, ma può essere così solo se è quello che vuoi anche tu. Quindi ora ti pongo una domanda».
Mi schiarisco la voce, terrorizzato.
«O... Ok». Balbetta, con la voce rotta dall'emozione.
«Mi ami ancora?»
Perché sta tutto in questa domanda.
«Ho chiamato un coniglio con il tuo soprannome, tu cosa ne pensi?» Il nodo alla gola non la aiuta, ma riesce a ridere lo stesso, e il mio cuore vibra al ritmo di questo suono che mi era mancato come l'aria.
«Che questo potrebbe essere un indizio, non una risposta». Piego la testa e le regalo un'espressione buffa. Poi le stringo appena le mani, nel tentativo di estorcerle una risposta.
La sento tremare, so che l'emozione la getta nel panico, ma la vedo combattere le sue paure e questo è l'importante.
La mia piccola grande guerriera.
Prende un bel respiro prima di rispondermi.
«Ti amo». Espira. Rilassa le spalle e il cuore. Distende il sorriso e risplende di tutto l'amore che non ha più timore di provare. «Ti amo come e più di quanto ho lasciato intendere in quella lettera. Mi sono fatta frenare dalla paura, da mille dubbi, e sono stata una stupida, ma ho intenzione di imparare dai miei errori».
Mi lascia le mani per accorciare le distanze e finire tra le mie braccia. Mi circonda la vita con le sue e posa il mento sul petto, per guardarmi dritto negli occhi.
Ed è giusto così. Noi, in questa posizione. Di nuovo insieme.
Faccio per dire qualcosa, ma mi interrompe.
«Mi fai venire voglia di essere una persona migliore, che merita i tuoi sorrisi e l'amore che provi per me. Ora so che sono in grado di sopportare anche i momenti difficili, perché vali ogni singolo sforzo. Da quando sei tornato il mio mondo ha acquistato di nuovo colore. La verità è che, senza di te, non ci voglio stare».
Le circondo il viso con le mani e le passo i pollici sulle guance, incapace di proferire parola.
Se è questa la felicità spero che nessuno arrivi mai a interrompere questo momento.
Riesco davvero a capire la frase che Elle ha scritto nella lettera, perché ogni suo battito riempie il mio cuore. Ogni suo respiro riesce a far respirare me.
Ma, a quanto pare, la mia mancanza di risposte la fa stare sulle spine, perché poi aggiunge: «Quindi vuol dire che mi dai una seconda possibilità?»
Il pollice si sposta sul suo labbro, che ha continuato a torturare con i denti.
«Ho fatto tutto questo per te, tu cosa dici?» E, con una risata leggera, le indico tutte le luci che ci circondano.
«Che potrebbe essere un indizio, non una risposta». Mi prende in giro, come io ho appena fatto con lei.
«Allora il mio è un sì. A patto che tu sia qui per restare».
«Sempre». E posa le mani sui miei polsi. «Seb?»
«Sì?»
«Dovresti baciarmi». Sorride nell'attesa.
«Sei sicura?» Fingo di pensarci su, regalandole una smorfia buffa e pensierosa. «Se inizio ho paura di non smettere più».
«E allora non smettere mai».
Ed è così che, sulle sue labbra, riprendo a dare vita alla favola che abbiamo creato.
Ciao!
Sul finale della storia miglioro, avete notato? Ho aggiornato con qualche giorno di anticipo!
Questo perché ho messo fine all'epilogo, quindi ho deciso di stringere un po' i tempi e farvi leggere l'ultimo capitolo... non vedevo l'ora!
Seb un po' stronzo a mettere in scena la fuga di Ford, ma anche brillante, non trovate?
E poi ci tenevo a farvi leggere le parole di Elle, ma ho preferito farvele conoscere tramite gli occhi di Seb. Parole che sono arrivate per far capire che nulla è perduto.
Beh, che dire, ormai siamo alla fine e non mi sembra vero!
Manca solo l'epilogo, e poi salutiamo Seb ed Elle.
E, a proposito di epilogo, lo posterò mercoledì e giovedì prossimo.
Giuro, non mi sembra reale essere arrivata alla fine di questa storia, non dopo tutti i blocchi di cui ho sofferto, ma tornare da Elle e Seb è sempre stata una gioia, come tornare a casa ogni volta.
Spero sia lo stesso per voi.
Alla prossima settimana,
Cris
PS: ovviamente negli scorsi capitoli ho dimenticato di allegare la canzone che ha contribuito alla stesura del capitolo (Remind me to forget (feat. Miguel) – Kygo), ma l'ho aggiunta alla playlist, insieme a quella di questo capitolo (Xo – Beyoncé). Ora la playlist è completa!
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