44. Senza respiro
Sono l'ombra di me stessa e, la cosa che mi diverte di più, è che lo sono per scelta mia, perché fino all'ultimo non ho dato a Seb l'opportunità di scegliere per noi.
Ho provato a tenermi vicino il ricordo, i primi giorni dopo la sua partenza. Ho pensato che dormire tra le lenzuola con il suo odore servisse a lenire il dolore. È stato un palliativo effimero perché, quando sono uscite le prime foto con Claire, sono crollata più che nel momento in cui gli ho detto addio in aeroporto.
Le mani di Seb accanto alla testa di Claire, non so dire se per trattenersi dall'ucciderla o dal baciarla. Un abbraccio struggente che, già solo in foto, aveva il sapore di un nuovo inizio.
Quale? Non lo so, ma so come ci si sente a vedere una persona che è stata importante e sentirsi inermi, spaventati, ma con la sensazione di sentirsi a casa.
La camera di Sebastian, il mio piccolo mondo sicuro, è scomparso. La bolla in cui era rinchiuso mi è esplosa in faccia e ha fatto male quanto una bomba, perché lì dentro c'era tutta la mia fragilità.
Ho tagliato anche l'ultimo legame con lui, ma non ha fatto meno male.
Hanno continuato a uscire foto. Una serata fuori, un concerto, due chiacchiere con i colleghi post lavoro.
E io le ho guardate tutte, hanno avuto lo stesso effetto dell'alcool sulle ferite aperte, ma ho continuato a farmi male.
Ottobre, novembre, dicembre. Tutte tematizzate. Prima una festa di Halloween, poi un novembre pieno di illuminazioni in preparazione del Natale, e poi sfondi in cui facevano capolino abeti addobbati come i casinò di Las Vegas.
Un clima intimo, caloroso. Il contrario del mio cuore, in pratica. Arido e freddo come non lo è mai stato.
Mi ero ripromessa di non avere il diritto di stare male per quello che sarebbe successo in Wyoming con Claire, ma il dubbio di quegli scatti, come ha detto Seb prima della nostra rottura, mi logora. È un acido che mi corrode da dentro e a ogni secondo si prende una parte di me.
Perché non ho smesso di amarlo, ho soltanto voluto mettere fine alle pretese su di lui, e questa consapevolezza mi distrugge. Deve essere libero di fare quello che vuole, e devo essere tanto coraggiosa da lasciarlo andare. Essere felice per lui, ma questo è eroismo, per me, e non arrivo a tanto.
Invece, dopo quattro mesi, mi ritrovo al punto di partenza. Lui colpisce con nuove foto e io sanguino.
Sono così patetica che non ho nemmeno la forza di compatirmi.
L'unica cosa che frena la mia caduta è il suolo, sul quale mi accascio con una familiarità agghiacciante.
Ho ripreso i corsi al college per l'ultimo anno, e quando non studio lavoro. Ma ci sono quei momenti in cui mi fermo e il cuore fa male, perché non riesco a non aggiornarmi.
Sono dura ed estranea, perché manca quel cuore pulsante che ha dato vita al mio mondo e ne è diventato il centro pulsante. Quel mondo che, da agosto, non mi appartiene più.
Il pavimento, dunque, è diventata la mia ancora di salvezza. Impersonale e asettico, ho cercato di assimilare le sue caratteristiche. Peccato che il cuore, invece, non voglia saperne nulla di questo processo di autoconservazione, ed è lì che ogni volta viene inferto il colpo. È lì che lo incasso sempre peggio.
Vedere tutto dal basso mi aiuta a rimettere tutto nella giusta prospettiva.
Perché è così che si vedono le cose quando si tocca il fondo: dal basso verso l'alto, dove sembrano più grandi di quel che sono. Ostacoli insormontabili.
Come la mia paura.
Gli amici provano a venirmi in soccorso, ma è inutile. Mi ricordano Seb, perché è lui il filo conduttore che ci lega.
Ogni volta riportano alla mente un particolare diverso. Un dettaglio che mi uccide poco alla volta.
Il colore dei suoi occhi, la felicità che ha portato nella mia vita, il modo in cui è riuscito a migliorarmi come persona, la sua bocca fatta apposta per baciare me.
È un'agonia senza fine.
Tutto, nel giro di un attimo, diventa un male necessario. Una droga. Quella cosa che mi spingerebbe a scavare oltre il punto più basso del baratro.
Perché Seb è stato il mio respiro. Era la mia boccata d'aria a pieni polmoni.
E ora che non c'è ci provo, ma non ci riesco: non respiro più.
Vivo la vita in apnea, ma ormai ci ho fatto l'abitudine.
Le feste le ho passate in compagnia dei miei genitori. Sono tornata a Parigi a testa alta, senza il fantasma di Blaise ad aleggiarmi addosso. Mi sono goduta una delle città che mi hanno accolto durante gli anni passati ed è stato liberatorio.
Avremmo voluto trascorrere capodanno a New York per assistere così allo spettacolo di Daniel, ma gli impegni del gruppo erano inconciliabili, senza contare che sapere che Seb avrebbe trascorso i giorni di riposo con lui mi ha tolto ogni voglia di raggiungere la grande mela. Il confronto mi terrorizza, l'idea di incontrarlo e vedere la sua indifferenza mi fa mancare la terra sotto i piedi.
Preferisco rimanere in un limbo che mi permette di sperare, in cosa non lo so nemmeno io.
Guardo l'ora e mi accorgo che devo correre, se non voglio arrivare tardi al mio appuntamento.
Prendo la metro al volo e controllo di avere con me tutto il necessario.
Cellulare: in tasca.
Abbigliamento decente: più o meno. Diciamo che non sembro una che è scappata di casa durante un cataclisma, è già un traguardo.
Oyster card: è ancora con me.
Regalo di Natale in ritardo: preso. E ancora intatto nel suo pacchetto elegante. Sono fiera di me.
Sorriso: ci sto lavorando su.
Anche se, devo ammetterlo, in questo periodo c'è una persona che è riuscita a farmi alzare gli angoli della bocca all'insù. E sapere di incontrarla di qui a poco riesce a placare la tristezza che mi fa compagnia dall'estate.
Avere ricominciato i corsi è stata una benedizione, sotto tutti i punti di vista.
Arrivo al locale per il brunch con soli cinque minuti di ritardo. Mi sistemo al meglio il cappotto, giusto per non dare l'impressione di essermi buttata nell'armadio ed esserne uscita con i primi capi che mi si sono appiccicati addosso.
Guardo all'interno e lo vedo seduto a un tavolo accanto alla vetrina, che mi aspetta.
Sorrido, felice di avere questi pochi momenti di spensieratezza e lo raggiungo.
Tobias è di spalle, quindi non mi vede arrivare, né si aspetta il bacio che gli deposito sulla guancia a mo' di saluto.
«Ehi», sorride con calore mentre mi siedo, «già qui? Pensavo di doverti aspettare un altro quarto d'ora».
«No, caro». Alzo l'indice in segno di avvertimento, soddisfatta. «Ho calcolato bene i tempi, soprattutto con il cambio della metro».
Circa. Ho semplicemente avuto fortuna, soprattutto con il cambio di linee. Altrimenti avrebbe dovuto mettersi l'anima in pace e aspettarmi almeno un quarto d'ora, come lui stesso ha preventivato.
Dopo che ho preso posto mi osserva. «Come stai?»
«Sono tornata». Non in me, quello non so se succederà, ma sono tornata nel luogo in cui mi sento a casa e, per quanto sia legato a Seb e alla sua mancanza, è dove mi sento meglio. «Ti sono mancata?»
Lo so, non ho risposto, ma il "bene" che potrei riservargli in questo momento sarebbe relativo, forse addirittura falso, quindi non mi addentro in un simile percorso.
«Certo! Altrimenti non saresti stata la prima persona che avrei incontrato dopo le feste». Non so se ha senso per Toby, ma per me sì. Da quando abbiamo ripreso le lezioni è stato la mia salvezza. Ci siamo trovati in modo naturale. È la mia spalla per i momenti leggeri e per lo studio.
Toby c'è. È diventato una costante, uno di quegli elementi che portano al mio buon umore, sempre se si può considerare così.
È una persona che, per me, fa la differenza.
E vuol dire abbastanza.
«Stai bene?» Abbassa il viso per incrociare il mio sguardo. Mi conosce abbastanza bene, ormai, da sapere quando qualcosa non va. Sa che c'è qualcosa di diverso in me dall'inizio dei corsi, ma non mi giudica per questo.
«Sì». Forse, e dico forse, avrei dovuto sembrare un po' più convinta.
«Elle...» mi rimprovera, con il menu tra le mani che punta nella mia direzione.
Ops, sgamata.
«Sto come al solito». Alzo le spalle. «Forse un pochino meglio. Ma non parliamo di me, non ho molto da raccontare. Tu, invece?»
L'aver trascorso il tempo con la mia famiglia e qualche vecchio amico ha aiutato. È stato curativo, mi ha permesso di non pensare, di essere la Elle prima di conoscere Seb, ma libera dallo spettro di Blaise.
«Sei stata a Parigi dalla tua famiglia, nella città dove c'è quel rifiuto umano del tuo ex e non hai nulla da raccontare? Non dire cazzate». Se continua a indicarmi con quel coso giuro che glielo ficco in un occhio, per non dire di peggio. «Io voglio i dettagli, giorno per giorno».
Alza il braccio per chiedere alla cameriera un cappuccino mentre decidiamo cosa ordinare. Lo seguo a ruota, perché qui è una vera bomba. È uno dei miei posti preferiti, per questo l'ho scelto oggi. È da poco iniziato il nuovo anno e vorrei ripartire. Cercare di cauterizzare le ferite aperte che porto con me da mesi. Non farle sparire, ma almeno osservarle senza provare un dolore vivo.
«Ma...» obietto, senza però riuscirci, perché Tobias mi ferma.
«Ah ah. Poi passeremo alle mie novità». Alza le sopracciglia più volte, per incuriosirmi.
Operazione riuscita, agente zero zero tette.
«Quindi ce ne sono, lo sapevo!» Batto una mano sul tavolo, contenta di avere degli aggiornamenti da parte sua e spostare il focus da me.
«Prima ordiniamo da mangiare».
Mi regala uno sguardo che non ammette repliche, ma io, da temeraria quale sono, rispondo con una smorfia schifata. Un solo angolo del labbro alzato, insieme a parte del naso, per indicare il mio disgusto all'idea.
«Io prendo un'insalata». Da quando Seb è partito, mi si è chiuso lo stomaco. Sono dimagrita e non mi piaccio, ma l'idea del cibo mi provoca la nausea. So che il problema non è il cibo, che è il mio stato mentale a indurmi questo blocco, che somatizzo in questo modo, ma è più forte di me.
«Tu prendi un avocado toast con salmone come minimo». È serio, non sta scherzando. «O un pancake con un chilo ci crema sopra. A te la scelta».
Al pensiero di un dolce sento la bile risalirmi in bocca. Ma so anche che Tobias non sta scherzando, si preoccupa sempre che io mangi abbastanza.
«Ma non ho molto appetito» mi difendo, con poca convinzione.
«Dovresti smetterla di farti del male da sola...» Appoggia i gomiti sul tavolo e piega la testa. Ahia. Brutto segno. «Vuoi parlarne?»
Allarme rosso, allarme rosso. Questa non è un'esercitazione.
Toby sa che avevo una storia, che è finita e che da quel momento non sono più la stessa, ma non conosce i dettagli, e non ho intenzione di fornirglieli ora.
«Penso opterò un avocado toast con salmone». Discorso chiuso.
«Ok, ho capito». Solleva le spalle con indifferenza, ma so che prima o poi mi chiederà spiegazioni. Probabilmente il giorno in cui mi vedrà in pezzi, solo perché ora sono stata brava a mostrarmi intera, a tenere insieme i cocci almeno all'apparenza.
Ma dentro? Sono completamente rotta.
«Comunque, prima di passare ai vari aggiornamenti, ho un regalo di Natale in ritardo per te». Provo a cambiare argomento dopo che la cameriera ci ha lasciato i cappuccini e ha preso le nostre ordinazioni. Gli allungo la borsa con il mio pensiero per lui.
«Questo è inaspettato». È sorpreso, ma solleva un solo angolo della bocca, soddisfatto.
Non riesco a interpretare la sua reazione, ma mi piace osservarlo mentre studia il pacchetto regalo.
«Dai, aprilo prima che arrivi il cibo!» Lo esorto.
Fa come gli dico e trova un profumo. Uno di quelli veri, studiati con le essenze della Provenza e creato sul mio gusto.
«Cazzo, è fighissimo!» Vedo Toby illuminarsi, e un po' del suo chiarore sembra riscaldarmi. Un leggero tepore che si deposita sulla pelle, ma non mi arriva dentro. Solo Seb ci è riuscito. «Wow. È perfetto! Proprio come piace a me. Avrai speso un occhio della testa».
«Un'amica lavora nel negozio, ho avuto un trattamento di favore».
Alzo le spalle per minimizzare il gesto, poi mi ritrovo a spiegare da cosa è composto, ansiosa di capire se gli piaccia davvero o no.
«È personalizzato. L'ho fatto creare in base a quelli che usi di solito. La nota di testa è legno di cedro, quella di cuore è la pera, mentre la nota di fondo è composta dal sandalo». Indico la descrizione che ha estratto dalla confezione. So quali profumi indossa e ho cercato alcune note in comune, la pera è un mio tocco personale, che ho scovato solo in uno di quelli che usa. «E poi te lo meriti. Mi hai sopportato in questi mesi».
Pura e semplice verità.
«L'ho fatto volentieri». Tobias è così. È buono, ha un cuore puro e si preoccupa degli altri, soprattutto delle persone che gli stanno a cuore. E, dopo quest'ultimo periodo, posso dire di avere la fortuna di rientrare tra queste ultime, ed è lo stesso per me.
«Perché?» Mi scivola dalle labbra prima ancora che io riesca a concepire una simile domanda.
Ci stiamo per inoltrare in un territorio per cui non ho equipaggiamento.
Huston, non abbiamo un problema qui, io voglio proprio tornare a casa e abbandonare la missione.
«Oltre al fatto che ti ho ficcato la lingua in bocca questa estate?» Detesto quando tira fuori la questione. Abbiamo iniziato a conoscerci nel modo sbagliato e mi dispiace molto, ma ora stiamo recuperando e facendo le cose nel modo corretto.
«Acqua passata, svista passeggera. Capita». Minimizzo con un gesto della mando davanti alla faccia. «A volte sembri posseduto dalla sindrome della crocerossina, che è una prerogativa tendenzialmente femminile».
Huston, come dici? Ah, sono io la deficiente che persevera e tu non puoi fare nulla?
Mi sa che hai ragione, perché non dovrei proprio insistere. Eppure eccomi qua, a continuare su questo percorso sconnesso che in confronto un livello di Crash Bandicoot è una passeggiata di salute.
Si appoggia allo schienale del divanetto sul quale è seduto, mentre valuta se dirmi la verità o meno. Lo so. Lo conosco abbastanza per dire che sta prendendo tempo e sganciare una rivelazione per cui non so se sono pronta.
«Perché sei sempre stata il sole del corso». Incrocia le braccia al petto, una sorta di difesa dietro cui nascondersi. Benvenuto nel mio mondo. Le vedi le macerie che mi circondano? «Ma da settembre sei spenta. Mi piace provare a ravvivare il tuo calore. Vorrei tornare a vedere la luminosità che ti ha sempre contraddistinto. È contagiosa».
«Oh...» Spalanco gli occhi davanti alla sua dichiarazione. So cosa vuole dire, perché anche io mi vedo spenta. Mi sento spenta. Ma come posso brillare, se la mia luce se ne è andata? Se Seb l'ha portata con sé, perché era lui a illuminare la mia vita?
La cameriera ci lascia davanti i rispettivi ordini, e riprendiamo da dove siamo stati interrotti.
«Gli amici servono a questo, no?» Toby con la forchetta attacca la frutta, per poi dare un morso al suo french toast.
«Già». Spilucco un po' di salmone, che mi apre lo stomaco. O forse saranno le farfalle causate dalla cruda sincerità della persona che ho davanti ad aver aperto una voragine in me?
«Mi dispiace non ottenere i risultati sperati. Mi manca il tuo sorriso». E, nel sottolinearlo, mi regala il suo. Timido e schietto. E, proprio per questo, potente, così tanto da allargare un po' anche il mio.
«Credimi, sei il motivo del mio buon umore da qualche mese a questa parte». Tobias è diventato il mio porto sicuro. Un qualcosa di diverso da Daniel e da Seb, ma è riuscito a incastrarsi tra i miei pezzi rotti, farsi spazio senza ferirsi e curare i tagli. È stato il balsamo al posto del limone.
Uno spiraglio in fondo al tunnel.
Sto meglio? No, ma se non sto peggio il merito è solo suo.
«Non è un gran complimento, se questo è il mio effetto». Mangia con voracità. Ma non mi aspetto niente di diverso da uno che ha trascorso tre ore in palestra e passerà il pomeriggio sul campo da rugby. È la futura stella della nostra nazionale, non può battere la fiacca, nemmeno a tavola.
«Forse per te non lo è, ma per me è un cambiamento enorme». Io lo percepisco. Non mi ha tirato fuori dal buio, ma si è seduto accanto a me e mi ha fatto compagnia. Non ha cercato di riaggiustarmi, ma solo di capirmi così, come mi ha trovata. «Sei una delle poche persone che rende le mie giornate migliori».
Non credevo di essere in vena di queste confessioni, ma Tobias me le fa nascere in modo spontaneo. Lui improvvisa, e io gli vado dietro a ruota.
«Ed è per questo che anche io ho qualcosa per te...» dice, contento.
Batte la mano sulla confezione accanto a sé, che non avevo notato. È stato molto bravo a fare in modo che mi concentrassi su altro.
«Un regalo di Natale?» Indago. Ha acceso una curiosità che non provo da tempo, un qualcosa che mi scuote dentro in modo febbrile.
«Non proprio, più che altro qualcosa che ti avevo promesso». Solleva una scatola con dei buchi sul coperchio. Ok che è bravo a improvvisare, ma chi regalerebbe un pacco bucato? «Da parte della ragazza di un mio compagno di squadra».
Non me lo faccio dire due volte e la apro, anche perché la scatola ha iniziato ad agitarsi.
«Oh mio Dio!» Una volta levato il fiocco rosso levo il coperchio e mi trovo davanti i due occhi più teneri dell'universo conosciuto.
Un cucciolo nero di coniglio nano mi guarda con interesse e timore.
«Non ci credo, è bellissimo... l'ho sempre immaginato così!»
Sono stata così presa dal regalo inaspettato, che non mi ricordavo che la ragazza di un suo compagno ha avuto una cucciolata e io ho detto a Toby che mi sarebbe piaciuto averne uno.
Deve essere passato il periodo dello svezzamento e ora... ora sono una mamma single di un roditore meraviglioso.
«È maschio» afferma, prima che possa anche solo ringraziarlo.
Mi alzo con ancora il mio figlio peloso tra le braccia e mi precipito a baciare Toby sulle guance. Ripetutamente. È possibile che, visti da fuori, qualcuno pensi che mi abbia fatto la proposta e io l'abbia accettata.
Imbarazzante.
«Grazie! Grazie!» Urlo entusiasta. Sono una bambina di cinque anni che ha ricevuto la Barbie preferita e la casa sulla spiaggia nello stesso pomeriggio.
«Oh, finalmente un po' di quella vitalità che ti ha sempre caratterizzata». Anche Tobias, a quanto pare, è soddisfatto del risultato.
«Sono felicissima, davvero!» Mi rimetto a sedere e mi calmo, perché ho agitato il mio piccolino.
«Ne sono contento». Si mette una mano sul collo, in imbarazzo dopo che l'ho ricoperto di gratitudine con i miei baci indimenticabili. «Come hai intenzione di chiamarlo?»
«Ford». Non attendo mezzo secondo a rispondere, cosa che mi frega all'istante.
Alza un sopracciglio, sorpreso e incuriosito.
Ok, so che ho detto che non conosce tutti i dettagli della mia disastrosa storia d'amore, ma, come tutto il mondo, ha visto le foto mie e di Seb e non è scemo, ha fatto due più due dopo la serata al Venom, quando ci siamo baciati e poi mi ha raccolta in lacrime mentre ero intenta a rinnegare i miei sentimenti crescenti per Sebastian.
So che sa che è Seb la persona di cui sono innamorata, ma non ho il coraggio di confermarglielo.
«Harrison Ford, detto Ford». Correggo il tiro, ma forse è troppo tardi, perché non mi sembra convinto dalla mia spiegazione.
«Cosa ne dici di prendere a Ford una nuova casa?» Mi fa notare che, vista la sua sorpresa, non ho l'occorrente in casa per avere un animale domestico.
«Ok, subito dopo andremo in un negozio di animali per prendere il necessario», acconsento dopo aver finito gli ultimi bocconi del mio brunch, «ma prima devi dirmi le tue novità. Allora, sei riuscito a dichiararti a Caroline?»
Ora ha tutta la mia attenzione.
«Non dirò niente finché non organizzi un'uscita con Ed e Charlie, mi piacciono quei ragazzi e non li vedo da una vita».
Già, perché senza Daniel, la mia spalla, Tobias si è conquistato nella mia vita un posto importante, che non è quello di Seb, perché è insostituibile, lui è l'unico che ha accesso al mio cuore, ma è diventato un amico sincero come solo i ragazzi sono stati in grado di essere.
E ora anche Toby si è affezionato al mio gruppo di amici, da quando è uscito un po' di volte con noi. E, non lo nascondo, questa cosa mi permette di volergli bene un po' più.
Gliel'ho detto, lui è parte del mio miglioramento, anche se non lo vede.
«Ok, va bene, ma ora spara, voglio sapere tutto». Prometto, poi ordino anche il dolce.
Mi è venuta fame.
*
Il mio cucciolo e io veniamo scortati a casa con tutto l'occorrente da Tobias, che mi lascia sotto casa solo dopo essersi assicurato almeno mille volte che io riesca a portare tutto a casa da sola. Ma è facile, ho caricato il necessario nella gabbia e Ford in braccio.
Lo ringrazio per il regalo e il passaggio, poi mi avvio a casa.
Rachel e Jane, nemmeno a dirlo, sono entusiaste della presenza del coniglio, e anche Ed e Charlie si sperticano in coccole e carezze.
«Devi assolutamente prendergli una gabbia o un recinto da tenere nel nostro appartamento». Charles è determinato. «Nel caso dovessimo fargli da baby-sitter».
Non so se adoro più il mio nuovo esserino peloso o i miei amici che già gli vogliono bene.
A quanto pare dovrò fare una lista di altre cose da comprare al negozio di animali.
Ford viene viziato, cibato e accomodato nel suo nuovo alloggio, dove si addormenta di schianto, stanco dopo i traumi subiti durante il giorno.
Ed è in questo momento che respiro con più fatica, perché se di giorno è facile non pensare a Seb, la sera è impossibile sfuggire al suo pensiero. L'assenza che ha lasciato diventa un qualcosa di tangibile.
Di giorno mi tengo occupata tra allenamenti, lavoro da Selfridges e dog-sitting, ma la sera la situazione cambia. Senza qualcosa a cui pensare la sua mancanza mi divora. La notte, il momento in cui il tempo si dilata per mancanza di cose da fare, è dove accuso di più il colpo.
Non perché eravamo abituati a passarla insieme, ma perché mi manca tornare a casa e condividere con lui la mia giornata, ascoltare la sua.
Mi manca la persona che lui mi ha resa, il voler essere migliore per potermi meritare accanto proprio lui.
Dividere la stanza e la serata con il solito gruppo di amici mi fa mancare l'aria, diventa sempre più opprimente perché ogni cosa mi ricorda Seb e diventa più doloroso. Il buio amplifica il male provocato dalla sua mancanza.
Prendo carta e penna, con la scusa che con loro che fanno casino non riesco a ragionare, e scappo dall'appartamento dei ragazzi.
La verità è che a volte, come ora, mi manca così tanto Seb che il solo pensiero non mi basta, ho bisogno di più, come un tossico in piena crisi d'astinenza. Ed è per questo che, per la prima volta dopo mesi, mi ritrovo sul tetto prima ancora di essermi resa conto dove mi ha guidata il mio bisogno di lui.
Quel posto che sembra sempre lo stesso, in attesa del mio ritorno. O di quello di Seb.
Accendo le lucine che sono aggrovigliate attorno alla struttura per crearmi un punto luce e provo a scrivere alcune parole sul foglio senza, però, riuscirci. Il problema è che il caos non è di sotto, ma nella mia testa, l'unica costante che mi perseguita. Sono scappata dai troppi stimoli, ma sono i miei pensieri a essere troppo rumorosi, e non c'è modo di sfuggire loro.
Devo allentare la pressione, trovare una valvola per dar sfogo al disordine che regna dentro di me, ma non so come fare.
Penso alla lista ma, oltre a essere distratta, non ho nemmeno un appoggio. Apro la cassapanca e cerco qualcosa, mi pare ci sia un kit del pronto soccorso che può fare al caso mio, ma quando guardo all'interno trovo altro ad attendermi.
La chitarra di Seb che, paziente, ha aspettato il mio arrivo. È lì, per ricordarmi che, nonostante il tempo e la distanza, lui c'è.
È presente anche senza esserci. Il suo pensiero è con me.
Apro la custodia e rido e piango insieme, mentre cerco di prendere fiato.
Appoggiato sulle corde c'è un biglietto. Semplice, eppure importante.
Per te.
Esercitati.
Seb.
Pizzico le corde, senza toglierla dal fodero.
La trascino d'istinto più vicina a me e, dimentica del mio scopo principale, appoggio il foglio sul corpo dello strumento e do libero sfogo alle parole che mi sto tenendo dentro da troppo tempo.
Caro Seb...
E, tra un singhiozzo liberatorio e l'altro, gli dico la verità su questi ultimi mesi, gli confido delle cose che non ho detto a nessuno, nemmeno a lui. Ma, soprattutto, gli racconto una favola, le illusioni in cui mi sono imbattuta e le difficoltà che provo a respirare ogni volta che lui è con me, in ogni pensiero, e ogni volta che mi manca.
Degli errori che ho commesso, e di come non so come risolverli.
Arrivo alla fine di quella che si rivela essere una lettera, stremata. È stata l'equivalente di dieci sedute di terapia. Mi ha prosciugata, ma mi ha reso libera da un peso che non sapevo nemmeno di portare addosso.
La rileggo e mi rendo conto che è troppo intima, nuda, per essere anche solo spedita via mail, così la nascondo nella custodia.
Vorrei scrivere un messaggio a Seb, ringraziarlo per rinfrancarmi dopo tutti questi mesi, ma non ho il coraggio per farlo; perciò mi limito a sospirare rivolta al cielo, una muta preghiera perché anche lui veda la stessa stella a cui rivolgo i miei pensieri, godendomi l'aria pungente di gennaio. Sorrido appena e ritorno alla mia vita, sapendo che è lì ad aspettarmi, pronta ad accogliermi dove l'ho lasciata in sospeso mesi fa.
So che non è facile, ma ora so che ce la posso fare.
Non smetterà di fare male, ma io sono più forte del dolore.
Ho ripreso a respirare, e il merito è soltanto di Seb.
Hola gente!
Scusate se posto con un giorno di ritardo, ma ieri sono stata messa ko da un mal di testa atomico, e non mi andava di aggiornare tardi la sera, mi sembra di buttare il capitolo a caso sulla piattaforma.
Sarà colpa del FRI questo ko tecnico? Probabile. Una volta scesa l'adrenalina ho sentito tutta la stanchezza della giornata e mi avrà presa ieri... chi lo sa!
Comunque, eccoci qui.
Un pov Elle che ci dimostra che non sta bene, nonostante i mesi passati, ma ha trovato un amico che la fa stare "meno peggio", ed è già qualcosa.
Chi l'avrebbe detto che Tobias potesse rivelarsi un amico sincero?
A me piace tanto come personaggio e, anche se si vede poco, spero possa piacere anche a voi!
In realtà non ho molto da dire su questo capitolo, se non che ci avviciniamo sempre di più alla fine, perché mancano 3 capitoli, e posso dirvi con certezza che il prossimo lo pubblicherò giovedì prossimo, il 23!
E, sinceramente, non vedo l'ora!
A presto,
Cris
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